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La voce di un pesco in fiore ∞
Prologo: Hanami in dolce attesa
Il
piacevole e stimolante canto delle
cicale non era ancora cessato nel cuore di quella notte primaverile. Il
solito
silenzio era stato dolcemente rotto da quelle bizzarre creaturine
saltellanti e
gli abitanti della zona più cupa e solitaria della
città di Kamakura non
poterono che essere soddisfatti dal cambiamento apportato da cotanta
melodia. A
tal proposito, la maggior parte di essi non esitava, in quelle speciali
occasioni, a trascorrere gran parte della nottata affacciati alle
finestre
delle loro case godendosi il profumo di una tazza di tè
verde bollente o di un
buon fiasco di vino o saké. Naturalmente erano soprattutto
gli uomini a
compiere parte di quel bizzarro rituale quotidiano, il quale aveva da
sempre
costituito un modo per suscitare, almeno una volta ogni tanto, un
gradevole
senso di serenità nei cuori di quelle persone. Ancora
più fortunati erano sicuramente
i residenti delle grandi ville poste in periferia o in luoghi
particolarmente
distanti dal flusso di persone che erano solite passeggiare per le vie
o
attraversare la strada con mezzi rumorosi quali le automobili o i bus.
L’entusiasmo generale fu quindi merito dell’ausilio
delle sorprese che la
natura ebbe in serbo quella notte e ben presto le ore più
buie si trasformarono
in momenti di autentica estasi, tanto che la maggior parte dei
residenti decise
di uscire finalmente allo scoperto, rivelandosi ai più per
andare a passeggio
nei dintorni, cogliendo perfino l’occasione di andare a far
visita ai vicini e
di regalare qualcosa di interessante a coloro ai quali ci si sentiva
maggiormente affezionati.
In
tali circostanze, molti bambini e
adolescenti erano di solito i primi a cogliere la palla al balzo e ad
approfittare dell’occasione per andare a giocare fuori e
passare placidamente
la serata a giocare alle ombre cinesi o a nascondino sotto lo sguardo
vigile e
attento dei genitori. I fanciulli, infatti, in maniera più
indiretta e meno raramente
plateale, avevano non poche volte espresso il loro malessere legato
all’angoscia provocata dalla costante sensazione di non
sentirsi al pari dei
propri coetanei, di non riuscire a dedicare il giusto tempo per
divertirsi o,
peggio ancora, di non riuscire a portare a termine i propri doveri
quotidiani.
Ad eccezione dei periodi festivi, infatti, le uscite fuori casa erano
di fatto
previste per i giovani ragazzi di quartiere solo in mattinata per
recarsi a
scuola, o in alcuni casi anche nel pieno pomeriggio per incontrarsi con
gli
amici, per partecipare a uno dei numerosi club e corsi proposti dai
vari
istituti scolastici o per recarsi dai rispettivi insegnanti di
ripetizione, quest’ultimi
rivelatisi quasi sempre una validissima ancora di salvezza per tutti
gli
studenti meno diligenti e per coloro che faticavano a prendere bei voti
(sebbene gli orari di studio e di ripasso presso queste persone
risultavano
essere estremamente massacranti). Di sera, invece, era abbastanza raro
vedere
numerose comitive o facoltose famiglie gironzolare liberamente per la
città. Non
che fosse impossibile vederle di tanto in tanto, anzi, più
turisti e residenti
si recavano verso il centro della città, maggiore risultava
il loro entusiasmo
nel constatare la sempre maggiore popolarità che Kamakura
stava acquisendo nel
corso del tempo. Tuttavia, trattandosi pur sempre di un luogo assai
vasto e con
una popolazione con esigenze sempre diverse e non sempre omogeneamente
distribuita sul territorio, era innegabile che in certe zone tendessero
a non
essere viste masse tanto consistenti di persone camminare
così allegramente per
strada. C'erano moltissime ragioni del perché la gente
tendeva a restare quasi
sempre a casa in certe ore del giorno. La più evidente fra
tutte era senza
ombra di dubbio la stanchezza, accumulatasi nel corpo e nello spirito
degli
individui a seguito di dure e intense giornate lavorative, passate
solitamente tra
le mura di un azienda fuori città o di una fabbrica
metallurgica distante
centinaia di chilometri da Kamakura. Gli uomini, in particolar modo,
erano
generalmente così esausti che uscire con la famiglia o
trascorrere la serata in
compagnia dei figli e delle mogli diventava spesso una vera impresa.
Certamente
non si poteva quasi mai rinunciare a un bel pasto caldo, ad un buon
bicchiere
di saké e ad una piacevole chiacchierata in compagnia di
tutta la famiglia.
Ciononostante, risultava spesso essere troppo tardi andare oltre e
quindi era
opportuno che tutti rimboccassero al più presto le coperte e
andassero a
dormire per iniziare la giornata successiva senza ulteriori
complicazioni.
La
sola presa di consapevolezza secondo
cui quella fatidica notte d’aprile si sarebbe dovuta
necessariamente
trascorrere in modo totalmente diverso dal solito non poteva che far
gioire
tutte quelle famiglie, le quali avevano peraltro constatato che a breve
sarebbero sbocciati dei magnifici fiori di ciliegio sia nelle aree
periferiche
che nelle vie principali della città. A tal proposito, era
inevitabile il fatto
che oramai l’animo di quelle persone si fosse ravvivato non
poco e che fosse
necessario trasmettere una simile energia in tutti i cuori.
Naturalmente ognuno
continuava in un modo o nell’altro a discutere dentro di
sé circa le proprie
angosce esistenziali e a riflettere sulle persistenti e ingenti
problematiche
lavorative e private. Durante le passeggiate, per esempio, alcune
coppie di
fidanzati o coniugi tendevano non solo a godere del massimo grado di
elevazione
spirituale fornitagli dal dolce soffio del vento e dallo splendente
bagliore
emanato dalla luna piena e dalle stelle nel cielo, ma persisteva
insistentemente dentro di loro, come una dilaniante spina nel fianco,
una sorta
di malinconia generale dalla quale pareva impossibile slegarsi. In
poche
parole, la mente si liberava sì delle superficiali tensioni
quotidiane, ma era
come se fosse pur sempre vincolata in qualche modo da un insopportabile
timore
per il futuro e da un profondo e irritante senso di smarrimento, che a
sua
volta partoriva sensazioni piuttosto spiacevoli quali frustrazione,
insicurezza, amarezza.
Era
come se nonostante tutto la
piacevolezza della primavera fornisse un mezzo non esclusivamente
tendente al
distacco totale da quelli che dovrebbero essere le cruciali questioni
vitali,
bensì un aiuto (seppur funesto e straziante) per riportare a
galla nella mente
del soggetto un maggior motivo di riflessione su quanto fosse
importante il
proprio lato sensibile, così tanto trascurato e calpestato
da ciò che oramai
aveva imposto l’odierna società urbana e
sviluppata.
Tutto
questo, però, non demoralizzava
certo i giovani padri intenti ad accompagnare i propri bimbi al parco o
le
madri mentre trascinavano dolcemente i passeggini dei figli
più piccoli; anzi,
per loro l’occasione di un’uscita serale fuori dal
solito orario era molto più
che imperdibile.
Come
se non bastasse, il paesaggio
risultava essere una vera gioia per gli occhi data la presenza sia
dell’elemento naturale che dei lampioni e delle fioche luci
delle lampade
appese alle pareti delle case circostanti e che illuminavano gran parte
dei
volti intenti a esprimere i sentimenti più variegati e i
sontuosi templi shintoisti
nelle vicinanze.
C’era
però da dire che erano proprio
questi ultimi a costituire uno dei maggiori luoghi frequentati dalla
popolazione locale nei giorni di festa (essendo adibiti al culto degli
dèi e
degli antenati) e quella notte non fu di certo un’eccezione
vista l’inconsueta
allegria di tutti.
Di
tutti, ad eccezione di quella di un
uomo, alto e barbuto, dai folti e lisci capelli oramai destinati a
diventare completamente
grigi e dal volto allungato e segnato da piccole rughe collocate in
gran parte
sia al di sopra dei suoi luminosi occhi di un intenso color marrone
scuro, sia
di fianco alla sua bocca piccola e stretta. Egli indossava un paio di
comodi
pantaloni beige e una semplice giacca dello stesso colore a collo
sciallato al
di sopra di una camicia bianca a quadri e dai sottili contorni blu. Ai
suoi
piedi portava un paio di scarpe scure, dalle cuciture parallele e poste
obliquamente
di fianco a dei lunghi lacci color marrone scuro, entrambi
accuratamente stretti
in un fiocco.
Egli
si era inoltrato nel bel mezzo di
uno dei viali più piccoli (nonché uno dei
più affollati) del quartiere di
residenza dopo essere giunto, a seguito di una faticosa giornata di
lavoro nel
suo solito ufficio in una piccola azienda di ingegneria civile a
Yokohama, alla
più vicina stazione dei bus. Il clima era mite e gradevole:
il vento soffiava
dolce e leggero, la luna e le stelle sembravano sorridere a tutti da
quanto
splendessero e il cielo era privo di nubi, rivelando a chiunque alzasse
gli
occhi su di esso il suo caratteristico e affascinante colore blu scuro.
L’aria
era inoltre impregnata di
numerosi profumi derivanti dalla cottura di tante deliziosissime
pietanze
locali, molte delle quali erano servite ancora ben calde e croccanti a
una fila
di passanti curiosi ai lati della strada, i quali, visibilmente presi
dalla
tentazione di gustare tutte quelle leccornie, si erano messi a
bombardare
letteralmente di nuove richieste i cuochi al di là dei
banconi e delle
friggitrici. I negozi e le botteghe di artigianato erano ancora tutti
aperti e
accoglievano i clienti in maniera più che appassionata. A
risentire della
vivace atmosfera serale di Kamakura erano inoltre le commesse e le
titolari dei
negozi di abbigliamento, di prodotti agricoli e di oggettistica
artigianale più
piccoli, le quali, spesso prese da un’evidente frustrazione
per non essere
riuscite a mandare avanti il loro lavoro con regolarità a
causa delle scarse
vendite, si sentivano ora molto più risollevate. A giudicare
dai loro atteggiamenti
gioiosi e dai loro volti sorridenti, si poteva notare chiaramente un
certo barlume
di speranza, quella di poter riacquistare sia un certo auge
nell’ambito del
turismo locale, sia di riuscire ad estinguere i propri debiti per
garantire
senza intoppi una vita serena e dignitosa alle loro famiglie.
Oltretutto,
trattandosi molto spesso di persone lavoranti in proprio, era indubbio
che esse
desiderassero con tutte se stesse che il frutto del loro lavoro,
portato avanti
con dedizione e volontà da generazioni, non risultasse vano
e che non venisse
magari dimenticato in futuro.
L’uomo,
seppur esausto e più che mai
desideroso di stendersi sull’amato futon della sua camera da
letto, non poté
evitare di lasciarsi travolgere dalle medesime sensazioni di gran parte
delle
persone che lo circondavano, tra cui anche di quelle radunate sotto i
fiori di
ciliegio a conversare del più e del meno e a pregare
dinnanzi ai templi a bassa
voce.
“E’
sempre bellissimo assistere
all’arrivo della primavera” pensava lui mentre era
intento a osservare
intenerito un bambino la cui madre gli stava gentilmente porgendo un
pacchetto di
patatine color rosa confetto acquistato in un piccolo locale alla
destra di una
delle gelaterie più amate dai residenti di
quell’area solitamente tanto quieta
di Kamakura.
Recatosi
poi nei pressi di un tempio
altrettanto importante e celebre per chi abitava da quelle parti e
cercando
quanto più possibile di non arrecare il benché
minimo disturbo ai fedeli, si
avvicinò incuriosito ad una sua vicina di casa, una signora
sessantacinquenne
vedova e senza figli, di bassa statura e molto minuta e dal carattere
bonario e
affabile che aveva appena terminato la sua preghiera e le disse, poco
dopo aver
porto i propri saluti: -Mi auguro di cuore che questa stagione le sia
di buon
auspicio per gli anni a venire-.
La
gentile signora gli rivolse fin da
subito un caloroso sorriso, poi continuò dicendo: -Oh, caro
signor Mori, auguro
lo stesso di cuore anche a lei e alla sua famiglia! Comunque noto che
quest’anno sembrano tutti più euforici del
solito… Non penso sia una mia
impressione, dato che mi reco da queste parti durante ogni solenne
celebrazione
e difficilmente mi capita di non far caso anche ai più
minuziosi cambiamenti.-
Il
signor Mori non poté che concordare
con lei.
-In
effetti è vero. E anch’io, vivendo
a Kamakura da anni, posso dire di essermi reso conto sin da subito
della
situazione di stasera. Mai ho visto poi una simile luce nei cuori dei
nostri
vicini, ma d’altronde non posso che esserne contento.-
affermò.
-Lo
stesso vale per me. Io poi a vedere
tutte queste famiglie e coppiette un po’ più
serene e felici e meno passive del
solito mi dà un’adrenalina tale da farmi tornare
giovane almeno per qualche ora.-
spiegò la signora Michiko in preda ai più gai ed
euforici sentimenti.
Tutto
d'un tratto, però, ella spalancò
gli sbarazzini occhi scuri ed annunciò, con fare gioioso e
trepidante:
-Oh!
Signor Mori, ora che ci penso...-
L'uomo
alzò ambedue le sopracciglia,
cercando istantaneamente di capire quali fossero le intenzioni della
signora e,
incuriosito, ne fissò ogni singolo e consecutivo gesto.
-Mi
pare di averlo messo qui...- disse
lei, frugando rapidamente in ciascuna delle diverse tasche interne
facenti
parte della propria veste color rosa corallo e cercando evidentemente
di
estrarre qualcosa da una di esse. Tutto ciò non faceva altro
che far leva sulla
curiosità e sulla simpatia che l’uomo stava
trasmettendo alla gioviale signora
in quel momento e pochi istanti dopo, ella esclamò:
-Oh,
eccolo qua!-
Improvvisamente
spuntò tra le sue mani
un bellissimo ramoscello composto sulla sua ruvida superficie da
minuscoli
steli di bellissimi fiori di ciliegio, i cui delicati petali si
piegavano ad
ogni lieve soffio del vento.
Gentilmente,
la donna glielo porse allungando
leggermente il braccio sinistro.
-Per
lei, signor Mori!-
Egli
rimase pressoché meravigliato da
quel gesto così generoso e afflitto da un imbarazzo senza
precedenti esclamò:
-Oh, signora, lei è sempre così gentile! Mi
rincresce di non avere fatto in tempo
a fare prima un regalo a lei che se lo merita per davvero! Non posso
accettare.-.
La
donna gli diede una leggera pacca
sulla spalla e divertita ribadì: -Macché! Non si
faccia troppi problemi, signor
Mori! In fondo il più bel regalo che possa avermi fatto
questa sera è proprio
quello di esservi rivolto a me in un momento di così grande
fervore. Comunque
la prego, accetti questo mio dono anche in nome di suo figlio Kirihito,
che
sfortunatamente non è qui con noi per festeggiare
l’inizio della primavera e
omaggiare gli dèi per la vitalità di stas...-.
La
donna interruppe improvvisamente il
proprio discorso, resasi quasi immediatamente conto dell'effetto
precario e
doloroso che quella frase detta così impulsivamente avrebbe
provocato
nell'animo del gentile uomo di fronte a lei.
"Oh,
no, cosa stavo per dire!
Quanto sono idiota! Povero signor Mori!" pensò, stringendo i
denti e
tentando di scusarsi con tutte le sue forze, nonostante il senso di
vergogna
che oramai era iniziato a divampare con grande impeto dentro di lei le
stesse
impedendo di proferire ulteriori parole.
A
quel punto il signor Mori, sebbene si
stesse assicurando di cercare in tutti i modi di scacciare i cattivi
pensieri
dalla propria mente e di non farsi travolgere perennemente dalla
tristezza
dovuta a certi malsani ricordi riguardo la scomparsa di suo figlio, si
lasciò
comunque intenerire dalla bontà di quella donna
così gentile ed educata e con
slancio tese il braccio verso quei bei fiori bianchi appena sbocciati e
li
prese in mano. Poi sorrise abbassando lo sguardo e affermò
(essendosi nel
frattempo accorto del notevole stato di imbarazzo nel quale si era
trovata
catapultata la signora Michiko):
-Non
si preoccupi, signora. Non è
successo niente, anzi... Io la ringrazio infinitamente per il pensiero;
mia
moglie ne sarà davvero entusiasta. Sappia però
che ciò non ci impedirà di
ricambiare la sua benevolenza in qualche modo.-.
-Ma
le pare! Tra amici è giusto che
vada così, o sbaglio?-
disse lei,
sforzandosi in tutto e per tutto di scordare quello che era stato
appena detto
nella speranza di non far sbiadire il placido sorriso del capofamiglia
di casa
Mori.
***
Dopo
aver chiacchierato ancora per un
po’, il signor Mori salutò cordialmente la signora
Michiko, si allontanò e
decise di proseguire il suo cammino verso casa, non molto distante dal
clima di
festa che si era formato in occasione della fioritura dei ciliegi e che
aveva
garantito un immenso quanto gradevole sentimento di armonia dovuto
all’imminente
arrivo della piena stagione primaverile.
Dopo
qualche minuto, il suo volto si
presentò di fronte alla porta d’ingresso
dell’abitazione e con gran gioia una
figura femminile apparve poco dopo per farlo entrare e per porgergli le
mani.
-Ryouichi,
finalmente sei tornato! Sono
così felice!- esclamò lei, abbracciandolo subito
dopo con affetto.
Il
lungo kimono le ricopriva
interamente il corpo snello e i tratti delicati le conferivano,
nonostante la veneranda
età di cinquantun anni, un aspetto gioviale e fresco come
quello di
un’adolescente alle prese con le classiche prime esperienze.
Il suo carattere
amabile e affettuoso faceva rallegrare perfino i parenti più
burberi, i quali
erano soliti venirli a visitare in certi importanti periodi
dell’anno. Inoltre,
i capelli castani raccolti in un delicato chignon mettevano in risalto
l’ampia
e pallida fronte, le lunghe sopracciglia e i grandi occhi magenta.
Lui
la osservò rallegrato e con
delicatezza la prese per la spalle e le sussurrò:
-Anch’io cara, sapessi
quanto! Però stai molto attenta la prossima volta, Ako. Sai,
il bambino…-
A
quel punto, lei abbassò lo sguardo e
dispiaciuta arrossì, notando peraltro la particolare
attenzione del marito nei
confronti di un punto particolare del suo corpo.
Egli
quindi percorse amorevolmente la
mano lungo il ventre della donna, rigonfio per via della sua gravidanza
ormai
perdurata da sette lunghi mesi.
A
quel tocco gentile, Ako non esitò a
ricomporsi e disse: -Hai ragione. Comunque sia ora sto molto bene,
caro. Ormai
le doglie sono passate.-
-Sì,
ma... Ciò non toglie che tu debba
cercare di evitare movimenti bruschi. Sai cosa ha detto il dottore.
Agendo
così, può essere rischioso per nostro figlio.-
disse lui, abbracciandola ancora
di più e cercando di fare il più possibile per
garantire l’incolumità della
salute di sua moglie.
Tuttavia
egli si accorse, guardandola
attentamente negli occhi, che sebbene la donna stesse tentando non
apparire per
nulla preoccupata, nascondeva in realtà il suo grande
dispiacere nell’aver
agito così impulsivamente dalla felicità.
In
fin dei conti, puntualizzavano
sempre sia lui che i loro parenti più stretti, era sempre
stata proprio lei a
essere così attaccata ai figli da cercare di non avere la
benché minima
difficoltà ad affrontare qualsiasi sacrificio per il loro
bene. Ecco anche la
ragione per cui ogni gesto sbagliato da parte sua costituiva da sempre
il
prerequisito per farla cadere nella più cupa disperazione e
nel più grande
senso di colpa.
Oltretutto,
nonostante fossero ormai
passati dieci anni dalla morte del primogenito Kirihito e fosse ormai
noto il
fatto che stesse per ripresentarsi una gran felicità nella
sua vita per via
della presenza del nascituro, la signora Mori non era mai comunque
riuscita a
smettere di accusare se stessa di ogni danno che era capitato nella sua
famiglia prima e dopo la scomparsa del ragazzo.
Anzi,
negare del tutto questo fatto era
praticamente un controsenso dato che il suo carattere ipersensibile
l’aveva fin
dal principio fatta precipitare nel grande abisso del dolore e a sua
volta l’aveva
fatta inesorabilmente ricadere in un circolo vizioso fatto di
improvvise e
inaspettate sensazioni di “cuore in gola”, quali il
terrore di poter perdere da
un momento all’altro altre persone a lei care o di non
riuscire a superare il
dilaniante senso di colpa che le impediva di portare almeno un fiore
nella
tomba di Kirihito.
In
particolare, il pensiero più
ricorrente che oramai da molto tempo tormentava il suo animo
più di qualunque
altra cosa era: “Cosa sarebbe mai accaduto se io non avessi
litigato con te,
figlio mio? Sicuramente saresti ancora qui con me e con tuo padre e
avresti
l’opportunità di conoscere la tua nuova famiglia.
Miei dèi, quanto mi manca il
tuo sorriso! Riconosco di essere una madre iperprotettiva e di averti
quasi
soffocato il più delle volte, ma credimi, Kirihito: se solo
avessi la
possibilità di tornare indietro, non ripeterei
l’errore che commisi quel giorno
per nulla al mondo. Sono stata una pessima persona e per questo motivo
merito
di pagare a caro prezzo le mie colpe.”.
Una
piccola lacrima le scese tutto ad
un tratto lungo le candide guance e ricordandosi della promessa fatta
anni
addietro al marito riguardo la decisione di essergli sempre fedele e di
raccontargli tutto ciò che le passava per la testa, Ako si
scusò per averlo
fatto tanto preoccupare.
-Perdonami
caro, hai perfettamente
ragione, solo che…-
Lui,
sempre più preoccupato e scosso
per quanto stava accadendo la interruppe.
-Dimmi
Ako... non temere, sfogati con
me e raccontami tutto ciò a cui stai pensando.-
-Beh,
ultimamente non riesco a
combinarne una giusta e riconosco che in questo periodo dovrei mettere
l’impulsività in secondo piano per far
sì che non accada nulla a questo
bambino. Solo che ora ho così tanta paura…-
A
quelle parole, il signor Mori non
esitò a riabbracciarla di nuovo e a domandarle costantemente
le motivazioni del
perché fosse così agitata, oltre che a cercare di
confortarla e di infonderle
quel gran senso di serenità che tanto le mancava.
-E
di cosa, tesoro? Presto saremo di
nuovo una famiglia, te ne rendi conto? E questo bimbo non è
che il frutto della
nostra unione. Siamo benedetti dagli dèi e nonostante tutte
le difficoltà che
abbiamo dovuto affrontare, saremo di nuovo felici tutti insieme!-
-Lo
so, caro, lo so bene… Ma tutta
questa mia sbadataggine mi fa salire quasi sempre il cuore in gola.
Temo
costantemente di poter perdere da un momento all'altro la creatura che
porto in
grembo e di compiere i medesimi errori del passato.-
L'uomo
comprese in un batter d'occhio i
riferimenti impliciti della moglie a una persona assai speciale, la cui
memoria
era stata e sarebbe per sempre rimasta impressa nei cuori dei due
coniugi e che
per le sue contagiose risate e per la sua inaudita dolcezza sarebbe
stato
sempre ricordato dagli altri parenti e amici della famiglia Mori.
Lei
tuttavia continuò a parlare,
rattristata.
-Continuo
per giunta a pensare di
essere la principale responsabile della…-
Ryouichi,
già consapevole di quale
piega avrebbe preso il discorso auto-colpevolizzante della moglie,
sentì di
voler intervenire tempestivamente, anche a costo di interromperla.
-Ne
abbiamo già parlato tempo fa, Ako!
Sai bene che non è stata colpa tua, né di
nessun’altro! Tutti in verità lo
sappiamo, ma cosa avremmo potuto fare? La causa della sua morte
è stata solo ed
esclusivamente quella maledetta valanga…-
Era
evidente che l’uomo continuasse
inesorabilmente a soffrire per la mancanza del giovane, ma
ciò non gli impediva
di analizzare razionalmente su quanto fosse accaduto realmente quel
maledetto
giorno, ovvero che si fosse trattata di una mera disgrazia che nessuno
avrebbe
potuto prevedere e che a prescindere da come fossero andate le cose,
nulla
avrebbe impedito a quel mastodontico ammasso di neve di staccarsi dalla
parete
montuosa e di scendere a grande velocità giù da
essa, precipitare di sotto e
sotterrando con veemenza il corpo magrolino del ragazzo, allora
arrabbiato e
tremendamente amareggiato dopo un tremendo litigio avvenuto poco tempo
prima
con la madre.
-Posso
capire, marito mio, però…-
-Niente
“però”. Tu non hai fatto nulla
di male e mettiti bene in testa che una madre e una moglie migliore di
te non
potrebbe sostituirla nessuno per nulla al mondo. Poi, voglio
dire… Hai fatto
sempre tanto per la tua famiglia e per le persone che ami. Di cosa
dovresti
essere biasimata, se posso saperlo?-
La donna, nell'udire l'ultima retorica
domanda pronunciata dal marito, abbassò lo sguardo con
evidente turbamento e si
affacciò alla finestra del salone.
-Beh,
ecco io… A volte penso che con il
mio carattere possa essere una calamità per chi mi
circonda.-
-Ma
Ako… la smetti di dire scemenze?-
la rimproverò lui amorevolmente e abbracciandola teneramente
da dietro.
A
quel punto ella ricambiò il gesto sfiorando
le braccia del marito (tenute sempre più saldamente strette
attorno al suo
petto) con le proprie, tornando poi a contemplare il loro magnifico
giardino,
sempre pronto a rinvigorire, a cambiare colore a ogni cambio di
stagione e a
trasformarsi in un’area di sublime raffinatezza da cui era
sempre difficile
distogliere lo sguardo.
Di
fianco alla coppia di sposi c'era
inoltre un bellissimo mobiletto di legno d’acero intagliato.
Sopra di esso era
posata la fotografia di Kirihito all’età di
tredici anni, allora già un
grazioso ragazzo sempre lieto, pieno di vita e sempre pronto a tuffarsi
in
nuove sfide, tra cui quella che purtroppo gli aveva fatto rimettere la
vita.
Ako
rivolse perciò lo sguardo sul volto
del figlio e con un quieto movimento accarezzò i bordi della
foto, facendo in
particolar modo pressione sulla semplice cornice di plastica argentata
che la ricopriva.
Un
limpido e malinconico sorriso si
dipinse sul suo volto e poi mormorò: -Scusami tanto caro, il
fatto è che… Lui mi
manca così tanto.-.
Anche
Ryouichi aveva rivolto la sua
attenzione all’oggetto da lei tenuto in mano e, senza mollare
la presa sul suo
fragile corpo, tracciò perfettamente il contorno delle
guance di Kirihito con
l’indice sinistro.
-Anche
a me. Ora che ci penso vorrei
però confessarti una cosa, mia cara.- ammise lui puntando
stavolta gli occhi
verso le sfavillanti e meravigliose stelle nel cielo.
-Ti
ascolto.- disse lei facendo
illuminare gli occhi per la curiosità e cercando di tenere
stretti a sé sia il
braccio del marito che la foto.
-Se
ci pensi bene, è pur vero che ciò
che gli è accaduto è stato assolutamente
imprevedibile e che quindi non poteva
essere coinvolto nessuno direttamente, ma in un certo senso mi sento
anch’io
abbastanza in colpa delle volte, sai? Voglio dire, alla fine sono
sempre così
distante da casa e costantemente stanco per via del lavoro che molto
probabilmente nostro figlio avrà sentito pure la mia
mancanza, a tal punto da
sentirsi bisognoso di trovare dei mezzi per distrarsi. Non bastava che
ci fossi
solo tu…-
A
quel punto, Ako sentì il bisogno di
intervenire in difesa del marito e il suo volto assunse un'espressione
sconcertata.
-Ma,
amore mio... Non è affatto vero
ciò che dici!-
-Cosa
te lo fa pensare, Ako?-
-Tesoro,
il nostro Kirihito era
orgoglioso di te più di qualunque altra persona al mondo.
E’ solo che… Beh, lui
non praticava lo snowboard soltanto per passione, ma lo reputava una
sana valvola
di sfogo ogni qualvolta io e lui avevamo qualcosa di cui rimproverarci
a
vicenda. Capisci perché ritengo di essere io la principale
colpevole di quanto
gli è successo?-
Ryouichi
era rimasto momentaneamente in
silenzio per ascoltare con attenzione Ako durante le sue umili
argomentazioni,
poi proseguì con le sue difese nei confronti della donna e
con le sue ipotesi.
-Ako,
come ho già detto… Basta gettare
tutte le colpe su di te, ti prego. E’ innegabile che parte
della responsabilità
sia anche mia. Sento infatti che in fondo lui abbia voluto anche
ricevere il
mio affetto, che sfortunatamente ho dato in minima parte visti gli
impegni che
sono sempre stato costretto a portare a termine. Ecco perché
non riesco davvero
a capire come mai continui a far ricadere delle colpe infondate sulla
tua
persona su cui nessuno avrebbe nulla da ridire, dato il tuo animo buono
e
gentile. D’altronde non sei forse la madre migliore che si
possa avere?-
Ryouichi
concluse il suo discorso
stringendo ancora di più la moglie contro il suo petto e
accarezzandole
delicatamente le spalle minute.
Lei
ricambiò quel gesto affettuoso e
successivamente gli toccò una guancia con dolcezza con le
lacrime agli occhi.
-Sei
sempre tanto dolce a consolarmi,
Ryouichi.-
Detto
ciò, Ako avvolse le braccia
attorno ai fianchi di lui, finendo con l’inzuppare la sua
giacca con le sue lacrime
copiose.
-Sapessi
quanto ti amo, amore mio…-
mormorò con il volto ancora incollato al petto del marito.
Lui
la lasciò fare intenerito e senza
un attimo di esitazione ricambiò il suo intenso abbraccio.
-Anch’io
cara. Da morire.- si limitò a
dire lui vicino all’orecchio di lei.
Dopo
essere rimasti in quella posizione
per alcuni interminabili istanti ed Ako ebbe smesso di piangere, i due
coniugi
si separarono e si guardarono per qualche istante restando in silenzio.
Un
sorriso malinconico si dipinse sui
loro volti ormai dominati dai segni del tempo e, più
innamorati che mai, si
presero per mano e si voltarono per tornare a guardare il magnifico
panorama
che si presentava di fronte alla loro casa.
Fu
allora che lui ebbe un lampo di
genio e si ricordò repentinamente del ramoscello di fiori di
ciliegio
regalatogli dalla signora Michiko e della nuova arrivata nella loro
famiglia, la
quale non era solita farsi vedere da sguardi indiscreti.
-Ako,
a proposito! Come sta la nostra
giovanotta dai capelli rossi? E’ da tanto che non la
vedo…-.
La donna lanciò una rapida
occhiata alla stanza da letto vicina, che un tempo apparteneva al suo
primogenito e rispose: -Sta bene, per fortuna. E’ sempre
tanto esuberante e testarda
e delle volte non torna a casa nemmeno se la implorassi. Sembra che
nonostante
tutto non cessi mai ad ostentare il proprio stile di vita basato in
tutto e per
tutto sulla libertà e sul decidere di voler fare
ciò che si desidera senza
richiedere il consenso di nessuno. Però di una cosa sono
certa: non mi pentirò
mai di aver deciso di accoglierla in casa con noi, perché in
fondo so bene che
è sempre stato cresciuta dominata da un grandissimo senso di
solitudine.
Ritengo quindi che meriti il meglio, sebbene in passato si sia
appropriata del
corpo di nostro figlio e abbia vissuto sotto le sue mentite spoglie nel
tentativo di riottenere ciò che voleva.-
-Le
vuoi bene come una figlia, non è
vero?- domandò il signor Mori, sempre più
orgoglioso della benevolenza e del
buon cuore della sua compagna.
-Sì,
io amo Kirara sopra ogni altra
cosa e penso che se Kirihito fosse vivo, sarebbe felice di sapere che
ora più
che mai la nostra famiglia si è allargata e che ben presto
arriverà qualcuno di
speciale.-
Detto
ciò, la coppia richiuse la
finestra e istantaneamente, Ako avvertì qualcosa impigliarsi
tra i suoi capelli
castani.
-Ehi!
Cos'è?- domandò, toccandosi il
punto preciso della testa sul quale era stato collocato quel
"qualcosa" e sollevando le pupille nella medesima direzione.
-Guarda
tu stessa- si limitò a esortare
lui, dirigendo delicatamente la moglie davanti ad uno specchio.
Ako
notò quindi con immensa sorpresa
che quel particolare oggetto sulla sua capigliatura altri non era che
un
piccolo ramo preso da uno dei tanti alberi su cui sbocciavano ogni anno
dei
fiori di ciliegio profumatissimi.
Non
fece neppure in tempo a raggiungere
l'apice dello stupore che il marito le disse: -E’ da parte
della signora
Michiko. Ho pensato a te quando me lo ha dato e quindi ho deciso di
trasformarlo nel mio regalo da dedicarti per questa magnifica
stagione.-.
Inutile
dire quanto grande fosse la
meraviglia che si poteva decifrare specchiandosi nei grandi occhi della
donna,
la quale non esitò a dare al gentile marito un sonoro bacio
sulla guancia e a
ringraziarlo per tutte le attenzioni che le stava dedicando nonostante
fosse
sempre così poco presente in casa con lei.
All’uomo era per giunta passata da
poco la stanchezza che si era portato dietro per tutto il viaggio di
ritorno a
Kamakura e fu così che la coppia si spostò dal
luogo in cui si trovava fino a
quel momento per dirigersi placidamente verso la porta
d’ingresso e raggiungere
a sua volta il tempio più vicino per condividere la propria
gioia con il resto
del vicinato e di passare una serata della quale difficilmente si
sarebbero
dimenticati.