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Autore: Adeia Di Elferas    15/12/2015    3 recensioni
[Storia ambientata prima del Programma] Un episodio terribile e inconfessabile trasforma per sempre la giovanissima Mitsuko, rendendola profondamente diversa. In un mondo dove chiunque è pronto a vendere e sfruttare il prossimo - perfino la propria figlia - non è facile capire quanto si è disposti a perdere, pur di sopravvivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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~~“No, non puoi costringermi!” gridò Mitsuko, liberandosi dalla morsa della mano ossuta di sua madre.
 “Tu non capisci!” ringhiò di rimando la donna, gli occhi resi acquosi da tutto quello che aveva preso quel giorno: “Tu devi farlo! Ci servono soldi!”
 Mitsuko era così spaventata e così arrabbiata che le prime lacrime si fecero strada verso i suoi occhi, mentre cercava di scappare da sua madre.
 Corse nella stanza accanto, sbattendo contro lo stipite della porta, senza riuscire a credere che sua madre lo stesse facendo ancora... Non era possibile, non di nuovo...
 “Io con quei vecchi non ci vado più!” ululò Mitsuko, appena riuscì a barricarsi dietro alla porta, tenendola chiusa col peso del proprio corpo.
 Ma sua madre non era in sé, e, per quanto deperita e magrolina, in quei momenti era capace di qualunque cosa. Prese a calci la porta e alla fine riuscì a far cedere la figlia, che smise di opporre resistenza quasi subito, stremata dal groviglio di paura e rancore che le si agitava nel petto.
 “Vieni qui...!” disse piano la donna, agguantando il braccio della figlia, che nel frattempo era caduta in terra e piangeva silenziosamente.
 Mitsuko si lasciò trascinare in quel modo fino al bordo delle scale. Solo allora riuscì a trovare la forza di liberarsi dalla stretta.
 Scattò in piedi e mentre nella sua mente tornavano le immagini della prima volta in cui sua madre l'aveva venduta, altri ricordi le invadevano la testa, facendola quasi impazzire. Vedeva quell'insegnante e sentiva le chiacchiere messe in giro da chi doveva invece restare al suo fianco...
 Tutti la tradivano, continuamente, tutti si approfittavano di lei in qualche modo, tutti le facevano del male senza nessun valido motivo.
 Chi doveva esserle amico, chi doveva farle da insegnante e perfino colei che avrebbe dovuto amarla più di ogni altra persona al mondo. Sì, addirittura sua madre la disprezzava e la usava come un oggetto, senza curarsi di come ogni singola ferita e ogni singola umiliazione stessero diventando per Mitsuko una lenta morte...
 “Muoviti!” sbraitò ancora una volta la madre.
 Mitsuko improvvisamente si sentì calma. Non c'erano più le lacrime nei suoi occhi. Non c'era più la paura, non c'era più il panico. Non c'era più nulla.
 Quando la donna dal volto scavato e giallognolo, dal naso affilato e dai lunghi capelli unti e sfibrati tentò di nuovo di afferrarle il braccio, Mitsuko seppe di non aver davanti una madre, ma un nemico.
 Anticipò la sua mossa, bloccando la sua mano, e la prese per la spalla. Prima che la donna curva e scheletrica potesse anche solo dire qualcosa, Mitsuko la spinse con tutte le sue forze giù per la tromba delle scale.
 Come in quella stanza scalcinata di un sobborgo sporco e degradato una parte di lei si era spezzata per andarsene per sempre in mezzo al fumo delle sigarette di tre uomini di mezza età, così ora un altro frammento della sua anima l'aveva lasciata e stava precipitando giù da quei maledetti gradini, assieme alla donna che, mettendola al mondo, l'aveva costretta all'infelicità.
 Non ci furono urla, né altro. Solo un tonfo sordo e poi il silenzio.
 Con una tranquillità che sorprendeva Mitsuko per prima, la ragazzina cominciò a vagare per casa, mettendo tutto in disordine.
 In fin dei conti, sua madre era un tipaccio, che frequentava un sacco di delinquenti e che doveva soldi a tutti. Avrebbero pensato a un furto finito in tragedia, o a un regolamento di conti.
 Dopo aver sistemato tutto a dovere, Mitsuko scese al piano terra, stando attenta a non calpestare il sangue che cominciava a spargersi in terra sotto alla testa di quella donna che era stata da sempre il suo incubo peggiore.
 'Ecco – pensò Mitsuko, passando accanto al cadavere della madre – tu mi hai uccisa quando avevo nove anni, dandomi a quei tre schifosi in quella stanza piena di muffa e dai muri scrostati. Ti ho solo restituito il favore.'
 Appena uscì di casa, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nella stradina malfamata, ma spesso deserta a quell'ora, si diresse verso il parco.
 Quando la polizia la trovò, Mitsuko si stava dondolando sull'altalena e nel momento in cui le dissero che sua madre era stata trovata morta in casa, probabilmente uccisa durante un tentativo di furto, Mitsuko si finse disperata e affranta per l'accaduto.
 Non appena si accorse che i poliziotti le avevano creduto senza nessuna esitazione, Mitsuko si sentì più forte. Si era resa conto di essere in grado di mentire, e di farlo in modo credibile.
 Nessuno sarebbe più riuscito a distruggerla. Se era sopravvissuta a quel pomeriggio, nessuno sarebbe mai riuscito a farle più del male. Da quel momento, avrebbe rubato, invece di essere derubata. Nessuno avrebbe più strappato dei pezzi a Mitsuko Souma, nessuno le avrebbe più rubato nulla. Avrebbe fatto tutto il necessario, per impedirlo. Anche uccidere di nuovo. Tanto, ormai, che differenza poteva fare, per lei?
 Forse quel giorno aveva perso per sempre la sua anima, ma poco importava, nel mondo in cui viveva.
 In fondo, per sopravvivere, era necessario morire almeno un po'...
 
   
 
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