Dedicato a chi ha apprezzato il primo capitolo.
Capitolo 2.
Cling.
Cling... cling.
Porca vacca.
I proiettili erano
caduti al suolo, producendo quell'inconfondibile rumore metallico.
7.62 mm NATO.
Piotr, il mio
fornitore di fiducia, li chiamava anche “supposte per il
culo”.
Dovevo chinarmi
dalla sedia e rischiare di capottarmi per dei fottutissimi
proiettili? Due li avevo visti, lì davanti ai miei occhi, a
fianco
del comodino. L'altro chissà dove era finito. Presi quelli a
vista. La mano sinistra a reggersi sulla gamba del tavolo. Il terzo
era probabilmente rotolato sotto al letto.
Cazzi suoi, pensai,
mentre inserivo le supposte dentro la scatola, che prima sbadatamente
avevo urtato.
Di fronte a me la
mia donna. Il Fucile più bello del mondo, il mio fiorellino.
Lo
pulivo, ad ogni uso. Lo smontavo, pulendo ogni pezzo, con una cura
maniacale. E poi mi divertivo a rimontarlo, come se fossi stato un
ragazzino.
A fianco la custodia
rigida che mi portavo da quando l'avevo fregata a quel trafficante.
Era una valigetta per l'esplosivo, simile a una ventiquattr'ore, solo
un po' più grande, ma dentro ci stava benissimo il mio M40,
e così
non dava neanche nell'occhio.
A sinistra la
finestra che dava al municipio. E prima un piccolo parco, dove
solitamente vedevo bambini giocare, con le madri nei pressi, a
spettegolare come al solito.
Erano le 7.
A quest'ora sarà
uscito di casa, pensai, mentre guardavo l'ora sul mio orologio russo
al polso.
Le 7.01 in
quest'istante, pardon. A quest'ora sarà in macchina.
Staccai il mirino
telescopico Unerlt dal fucile, e lo usai a mo' di cannocchiale. Mi
affacciai alla finestra. Bambini, strade, alberi, altre persone,
macchine, altre macchine.
Erano le 7 e due
minuti, ma c'era già movimento fuori.
Dovevo ancora fare
colazione, ma volevo aspettarlo. Capire quanto ci metteva ad arrivare
al lavoro.
Abbassai le
veneziane, e un buio imperversò nella camera. Amavo stare al
buio.
Solo dei piccoli raggi di luce entravano nella stanza, dalle fessure
delle veneziane.
Rimasi a guardare
fuori, protetto dalle veneziane, cui facevo uscire appena appena il
mirino.
Alle 7.23 arrivò la
macchina. Sempre la solita fottuta giacca del cazzo. Blu come anche
la giacca dei bodyguard. Se non mi avessero dato la Sua descrizione,
probabilmente avrei potuto colpire gli energumeni che lo scortavano.
E lui sarebbe rimasto illeso, già al sicuro. E io fottuto,
come un
coglione.
Basta, ho fame.
Riattaccai il mirino
all'M40. Smontai in due parti il fucile, per farlo entrare nella
valigetta. La chiusi con la combinazione, e la riposi dentro
l'armadio.
Uscii.
Per le strade, la
città era come se fosse nell'orario di punta.
Gente che a passi
svelti, sbucava da dietro gli angoli, probabilmente per recarsi in
tempo al lavoro. Macchine che nel traffico cittadino clacsonavano
all'impazzata, imbottigliate negli incroci, con i semafori impazziti.
Diamine, neanche a New York c'è un casino così.
Alzai gli occhi al
cielo. Era sereno, c'era solo qualche nuvola bianca, appena
accennata, appena dipinta su quel blu che stonava con il grigio della
città.
Riabbassai gli
occhi. Era verde. Attraversai le strisce pedonali, assieme ad altra
gente. Gente d'affari, semplici cittadini, qualche barbone che la
gente evitava con buffi slalom.
Davanti a me un bar.
Varcai la soglia della porta, mentre un campanellino annunciava il
mio ingresso, al tocco con quest'ultima.
Alcune facce mi
guardarono per qualche istante, d'istinto mosse dalla
curiosità di
sapere chi entrava. Non ero tra le loro conoscenze: tornarono a
quello che facevano prima. Mi avvicinai al
bancone.
Caffè e un
tramezzino al formaggio. Il menu meno costoso, e quello più preso dai clienti di quel bar.
Sapevo di aver fatto
la scelta più giusta, nonostante odiassi il formaggio, per
giunta
dentro al tramezzino. Ma sapevo quello che facevo, e sapevo che mi
avrebbe aiutato, nel futuro.
Il proprietario si apprestò a servirmi, senza obiettare. Mi
diede quello che ordinai, e mi guardò,
aspettando di essere pagato. Tirai fuori qualche moneta dal
portafoglio, e gliela posi sul bancone, senza dire niente.
La mano destra a
reggere il caffè, contenuto in un bicchiere della Coca, la
sinistra a reggere il tramezzino. Con la punta
del piede aprii la porta, infilandola in una piccola fessura. Poi,
con un colpo di muscoli, tirai la porta verso di me, e questa si aprii quanto
basta per farmi passare, e poi richiudersi immediatamente.
Alternavo il bere e
il mangiare, mentre facevo qualche giro per la città, a
guardar le
vetrine dei negozi, attratto dai manichini femminili, che erano
sempre vestiti con un bikini e un reggiseno.
Nessuno che si
curava di me, che mi guardasse, anche per qualche secondo, o qualche
istante. Ognuno era preso dai suoi pensieri, dai problemi al lavoro,
ai problemi in famiglia, al marito, alla moglie, ai figli, allo
strozzino a cui dare i soldi, al regalo da fare all'amante.
Li guardavo quasi
dall'alto in basso. Io, che stavo con una che era come me, assassina
e spietata. Ci sentivamo solo quando non avevamo niente da fare,
cioè
mai. Quando avevo qualche lavoretto da fare, lei era a riposo; e
viceversa.
Nessuno di noi portava niente dell'altro. Né una foto, una
lettera,
un rossetto, un capo di biancheria come ricordo. Per chiunque fosse
interessato a noi, io e lei non stavamo assieme, e non lavoravamo per
la
stessa Agenzia.
Si chiamava Emily. Ma per l'Agenzia era Agente 34E. Ed E
non stava per Emily.
Io invece ero
l'Agente 12C.
E C non stava per l' iniziale del mio nome, ma per
Cazzone.
Finii di mangiare il
mio tramezzino in fretta, trattenendo una smorfia di disgusto, appena
sentii la sottiletta di formaggio tra i denti, e il caffè
che era
rimasto lo ingurgitai in un colpo solo.
Le 9.56. Avevo tutta
la mattinata per me. Potevo comprarmi qualche vestito, andare al
parco e guardare la gente che passava. Ero sicuro di essere coperto
dal perfetto anonimato. Nessuno in questa città mi avrebbe
riconosciuto, in qualche foto segnaletica, o in qualche mio identikit
sul giornale. Forse il barista? No, avevo preso il menu più
in voga.
Quasi tutti lo prendevano, e di certo non si sarebbe ricordato di me.
Avevo pagato in contanti ovunque. Non potevano rintracciarmi.
Mi guardai attorno, per decidere sul da farsi, ma preferii
tornare in albergo.
Nessuno alla
reception. Salii le scale che portavano alla mia stanza. La 34. Era
un caso?
Il letto sfatto, la
stanza nel completo buio. Avevo dato disposizioni precise, come tutti
dell'albergo del resto. Che nessuno faccia niente in camera mia. Ero
capitato nel posto giusto, perché quasi tutti i clienti
della topaia
non volevano inservienti a rovistar nella loro stanza.
Difatti la figa che
doveva pulire le camere, se ne stava a spazzar polvere nei corridoi,
minacciata dallo stesso proprietario di non azzardarsi ad entrare in nessuna camera dei clienti.
Pensai a lei, e
pensai subito a Emily.
Mi distesi sul
letto.
Mi addormentai.