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Autore: Sara Saliman    19/12/2015    10 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Tu dormi così lontano, come faccio a sapere se mi stai sentendo?
Emily Dickinson



Nonostante fossi tornata ormai da diversi giorni, mia madre era perennemente in apprensione. Ogni volta che si allontanava dalla nostra dimora mi proponeva di seguirla; se declinavo l’invito la vedevo torcersi le belle mani, combattuta tra i suoi doveri e il desiderio di restare. Quando lei non c’era, sei o sette driadi mi seguivano per i giardini, per i corridoi del palazzo e persino dentro le mie stanze. Si fermavano a contemplare le siepi in fiore se io mi fermavo, si sedevano sul bordo della fontana se io mi sedevo, rientravano nel palazzo se io rientravo. Non vedevo Leucippe da nessuna parte, nessuna di loro la nominava, e quando chiesi espressamente di lei, si guardarono le une con le altre in evidente imbarazzo, chiudendosi in un improvviso silenzio.
Qualunque gesto io compissi, dal raccogliere un frutto maturo dai rami più bassi di un albero all’intrecciare dei fiori, venivo subito interrotta da un “lascia fare a me, signora” o “non affaticarti, signora” o “ci penso io, signora”.
Quando mi tolsero di mano persino un pettine di corno e cominciarono a pettinarmi come se non fossi in grado di farlo da sola, sentii la calma sfuggirmi.
Eravamo sedute all’aperto, sotto lo sguardo benevole di Sole, e mia madre ci stava venendo incontro, avvolta in una veste d’oro e marrone. Aspettai che ci raggiungesse, poi allontanai le ninfe che mi circondavano.
-Lasciatemi sola con mia madre.- dissi.
Il mio tono sommesso gelò il loro chiacchiericcio, che si spense immediatamente. Si lanciarono occhiate apprensive tra loro, e poi verso mia madre.
Demetra annuì, sedendosi nell’erba accanto a me.
-Fate come dice.-
Osservammo le driadi correre via: dopo pochi passi la loro perplessità parve dissiparsi, perché iniziarono a ridere e spintonarsi allegramente tra loro, lanciando acuti gridolini.
-Perché mi tratti così?- le chiesi.
-Così come?-
-Perché mi stai sempre intorno, o chiedi alle ninfe di farlo al posto tuo?-
-Non gradisci la compagnia delle tue ancelle? Te ne troverò altre…-
-Sono le tue ancelle, mamma.-
Osservai le ninfe, in lontananza, abbracciarsi e improvvisare un canto, che si spense dopo poche strofe in una pioggia di risate. Erano bellissime sotto la luce di Sole, felicemente inconsapevoli del suolo che calpestavano, come io non sarei mai più stata. Si giurarono eterna amicizia, e so che erano sincere, ma sapevo anche avrebbero iniziato a farsi i dispetti al primo bel volto maschile che avessero incrociato.
-La mia ancella è un’Empusa dal volto ustionato.- raccontai.- Si chiama Alifto, ed è in grado di trasformarsi in un fuoco fatuo e di recarsi ovunque voglia. Mi manca molto.-
-Kore…- mia madre mi abbracciò e io mi lasciai stringere contro il suo seno, avvolta dalla sua dolcezza. Nel suo abbraccio ero cresciuta felice, ma era un mondo troppo piccolo per me adesso: contro il seno di mia madre sarei stata per sempre Kore, e mai Primavera né tantomeno Persefone.
Mi sciolsi delicatamente dall’ abbraccio e le rivolsi un sorriso.
Demetra mi scostò una ciocca dalla fronte. Vedeva il pallore della mia pelle, diafana dopo mesi e mesi lontana da Helios, e la ricchezza dei miei gioielli: orecchini d’oro, un bracciale di brillanti, le pieghe di una ricchissima collana che mi ricadeva in sottilissimi fili sul seno.
Mia madre mi guardava e non mi riconosceva.
-Sembri così diversa… fatico a riconoscere la mia bambina.-
-Madre, sono sempre io. La bambina è cresciuta, è fiorita. Non sarò mai più Kore, ma sarò sempre tua figlia, e tu sarai sempre mia Madre.-
Demetra mi prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo.
Notai per la priva volta le minuscole linee di espressione attorno ai suoi occhi azzurri e alla sua bocca: non sminuivano lo splendore divino del suo volto: lo rendevano solo più reale.
Aveva una ferita, in fondo allo sguardo, una crepa nell’anima che non avevo mai notato. Intuii che –al pari dei gioielli di Ade- anche la ferita di mia madre c’era sempre stata: semplicemente, Kore non era stata in grado di vederla.
-Ho sempre saputo che saresti cresciuta.-disse.- Ma il dolore e l’umiliazione... quelli avrei voluto risparmiarteli!-
-Mi hai protetta più che hai potuto, ma un certo tipo di dolore fa parte del Mondo. Quanto all’umiliazione, ti giuro che non ho subito alcun affronto. L’Averno è diverso da come temiamo.-
-Stai dicendo che Ade non è oscuro e spaventoso come sembra?-
Risi di cuore.
-Oh, sì che lo è! Ma è anche...-scossi il capo.- Oh, ho così tanto da raccontare e non so da dove iniziare!-
Ma non fu per niente facile.
Tanto per cominciare, le parole e i gesti che avevo portato con me dal Sottosuolo non erano adatti alla Superficie. Da Sotto a Sopra, le parole perdevano densità e cambiavano significato: bisognava usarne molte di più per dire la stessa cosa.
-Il Sottosuolo…-
Mia madre si accigliò, nello sforzo di capire a cosa mi riferissi.
-Intendi l’Averno? L’Orco? L’Oltretomba?-
-Giù lo chiamiamo semplicemente Sottosuolo, mamma.-
-Lo… chiamate?-
-Sì, lo chiamiamo: noi tutti. E ascolta…-
Mia madre ascoltava, ma non capiva, e più cercavo di spiegarle, più mi rendevo conto che non potevo biasimarla.
Demetra ragionava in termini di Causa ed Effetto, Passato, Presente, Futuro.
Per me, Ora poteva significare Sempre e Sempre poteva significare Ora, perché nel Sottosuolo tutto poteva tornare e ripetersi, sebbene in forme diverse.
Per mia madre il Divenire era una linea retta, per me una Spirale.
Come poteva capire, e come potevo spiegarle, che Ade non mi aveva scelta ma riconosciuta?
Che non mi aveva rapita, ma riportata a Casa?
Demetra tollerava appena il nome di suo fratello, e tratteneva un brivido ogni volta che lo chiamavo marito.
Cercai di tranquillizzarla: le dissi che le creature dell’Averno mi amavano molto, e che io amavo loro.
Le raccontai che avevo conosciuto Ipno e Thanatos: le dissi che Ipno mi faceva sempre sorridere, e Thanatos, invece, mi costringeva a riflettere.
Le spiegai che Ecate mi aveva affidata a una delle sue figlie perché divenisse mia ancella.
-Ma Ecate non ha figlie!- protestò Demetra.
-Figlie adottive, Madre.-
-Infatti! Quindi non sono davvero sue figlie: non le ha portate in grembo nè partorite!-
-Sono ugualmente sue figlie, e lei è ugualmente la loro Madre. Non c’è differenza.-
-Ecate mi ha aiutata.- disse mia madre, cercando un punto sul quale potessimo intenderci.
-Lo so.- sorrisi. -Ecate non era per niente d’accordo sulla condotta di Ade. È l’unica che si permette di contraddirlo.-
-Nessuno contraddirebbe mai Zeus. Lui è… Zeus, appunto. Il suo volere è legge.- Demetra mi guardò ansiosamente, cercando nel mio sguardo una ferita identica alla sua.
-Mio fratello ti ha… fatto male?-
Serrai la mia lingua tra i denti.
Sì, pensai: me ne ha fatto. Ha accartocciato le mie convinzioni su me stessa e sul Mondo, e questo fa male. E anche io ho fatto lo stesso con lui.
-Ade è lo sposo più premuroso che potessi desiderare.- sussurrai.-Non mi ha mai recato offesa.-
-Come lo hai convinto a lasciarti andare?-
-Nel modo più ovvio: gli ho promesso che tornerò.-
Demetra strinse le mie mani.
-Ti ha fatto giurare sullo Stige? Sono certa che potremo trovare un modo per annullare il patto!-
Scossi il capo.
- Madre, io voglio tornare. Ade mi manca! Anche mentre parliamo, lo desidero con la stessa forza con cui in questi mesi ho desiderato il tuo abbraccio!-
-Dici così per paura!-
Risi.
-Guardami: ti sembro spaventata?-
Demetra guardò il modo in cui mi brillavano gli occhi, il modo in cui accarezzavo i monili che avevo ai polsi, o la collana che Ade stesso mi aveva chiuso attorno alla gola.
-Non ti ho mai vista così felice.- confessò. I suoi occhi si riempirono di lacrime e io pensai al dolore inevitabile che fa parte del Mondo e che a volte è inscindibile dalla gioia.
-Quanto tempo ti fermerai?- mi chiese.-Quanto tempo ti ha dato?-
Avrei voluto dire qualcosa che lenisse almeno un poco il suo dolore, ma sapevo che era impossibile.
-Tutto il tempo necessario: così ha detto. Tutto il tempo necessario.-
-E poi apparterrai a lui definitivamente?-
A quelle parole, ne sono certa, un bagliore d’oro attraversò i miei occhi.
-Io appartengo, definitivamente, solo a me stessa.-
§§§§

Ecate aveva ragione: non puoi comprendere la Superficie se non conosci il Sottosuolo. Adesso che ero stata in mezzo alle ombre, i miei occhi erano divenuti più acuti. Andai a trovare Era, perché benedicesse il mio matrimonio. Ci andai da sola, a piedi nudi e con una corona di primule sul capo, un manto color porpora attorno alle spalle.
La zia non era alta come la ricordavo, o forse ero io ad essere cresciuta. Non avevo il suo seno fiorente né i suoi fianchi morbidi, e sapevo che li avrei sempre un poco invidiati. Ma non invidiavo lei né la condannavo. Non potevo: se mio marito avesse guardato un’altra come Zeus guardava ogni donna che passava, io avrei desiderato far del male a quella donna (e probabilmente anche al mio sposo) con le mie stesse mani.
Era Persefone a provare un sentimento così oscuro e violento? O la delicata Primavera?
Persefone e Primavera sono entrambi miei Aspetti, ma io sono Una.
Mi fermai davanti a Era, e papaveri rossi come sangue fiorirono ai miei piedi. Mi chinai a raccoglierne uno e glielo porsi.
-Il papavero è tuo,- le dissi. -Tutti i papaveri saranno tuoi per sempre.-
-Da regina a regina, accetto il tuo dono.- disse Era, prendendo il fiore.
Poi fece qualcosa che non le avevo mai visto fare, nemmeno quand’ero bambina: mi prese il viso fra le mani e mi posò un bacio in fronte.
-Sei bellissima, come lo sono soltanto le spose felici. Dì a mio fratello che vi benedico entrambi.-
Mi posò le mani sul ventre e i nostri sguardi si incrociarono di nuovo.
Da lontano, Zeus ci guardava con aria magnanima, come se avesse sempre previsto una risoluzione così felice degli eventi. In quell’istante ebbi compassione di lui: vidi un sovrano talmente legato al proprio regno da non accorgersi nemmeno dell’ombra che proiettava mentre camminava.
§§§§

Maggio rotolò dolcemente sul dorso delle colline, coperte di soffice erba verde. Poi venne giugno, che profumava di pesche e di rose, e luglio, immerso nel canto pigro e avvolgente delle cicale. Di giorno correvo per i prati, andavo a far visita ai miei numerosi parenti, facevo il bagno nei laghi o nel mare.
Ma dopo il tramonto, quando ero da sola, spalancavo le finestre della mia stanza e contemplavo il manto stellato di Notte, pensando all’Averno.
Ade, mi ascolti? Se ti parlo, riesci a sentirmi?
Primavera gli scriveva lunghissime lettere, perlopiù raccontando cose divertenti e sciocche. Nella busta infilavo sempre un fiore, dei semi o dei fili d’erba profumata, e quello invece era il messaggio di Persefone. Ade non rispondeva mai, ma non mi aspettavo che lo facesse: mio marito non era tipo da comporre poesie sui miei occhi: la sola idea mi faceva ridere, e tanto.
No, se immaginavo Ade, lo vedevo chino sulle sua scartoffie, o intento a ignorare le occhiate fulminanti di Ecate, o seduto sul suo trono a svolgere il lavoro di entrambi. Il fatto che tollerasse la mia assenza era la sua lettera d’amore per me.
Una di queste notti passeggiavo per il giardino e pensavo a lui, quando un’ombra si staccò dalla parete di alberi e scivolò alle mie spalle. Una mano ferma mi tappò la bocca, attirando la mia schiena contro un petto sconosciuto.
-Non gridare, dolcezza. Che ci fa una dea carina come te in un posto come questo?-
Le piante risposero prima di me, e il mio aggressore ebbe giusto il tempo di lanciare un urlo che si ritrovò a terra, impastoiato dai rami come un salame. Mi voltai furente verso l’assalitore, che si contorceva come un lombrico, sbraitando contro i pampini che gli tappavano la bocca. Strappai i rametti che gli coprivano la faccia… e mi ritrovai a fissare due occhi scuri dall’aria molto familiare.
-Ipno?!? Che cosa ti salta in mente?-
Il genio mi fissò sollevando un sopracciglio, e io mi inginocchiai accanto a lui, strappando i tralci che lo imbavagliavano.
-Ok, dolcezza, io sarò un po’ imprudente, ma tu ci stai prendendo gusto!- borbottò sputacchiando foglie e fiori.
Scoppiai a ridere, continuando a liberargli le spalle e le braccia.
-Ah-ah. Molto divertente, sì.- sibilò Sonno, sciogliendosi dai rami che gli cingevano i fianchi e scalciando per liberare le gambe.
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi forte, senza tra l’altro riuscire a smettere di ridere.
-Sonno, io ti adoro!-
-E meno male: pensa se ti stessi sulle scatole!-
-Ti adoro davvero: sei troppo scemo!-
-Lo prendo come un complimento, però se continui a stringere così finirò per rimpiangere i rami!-
A malincuore lo lasciai andare e dominai la mia ilarità.
-Che ci fai qui? Ti manda Ade?-
Sonno si levò in piedi, affondando le mani nei ricci e scrollandosi di dosso rami, rametti e foglioline.
-Non proprio, ma gli manchi terribilmente.-
-Te lo ha detto lui? Ti ha detto proprio così?-
-Chi, Ade? Ma figurati! Lo sai com’è fatto: tutto silenzi pregni di significato e occhiate oblique. Usa giusto uno o due monosillabi quando non può farne a meno. Per ora che non ci sei lavora come un matto: più gli manchi, più lavora!-
Sonno mi porse una mano e io la strinsi, tirandomi in piedi.
-Tu hai un gran bell’aspetto, invece. Sembri ingrassata.-
Inarcai un biondo sopracciglio.
-Ingrassata, eh?-
Sonno si grattò nervosamente il capo.
-Sì, insomma… si può dire ingrassata alla tua regina senza che questa decida di legarti e appenderti a testa in giù come un salame, vero?-
-Ingrassata.-ripetei con un lento sorriso.-Guarda meglio!-
Ipno guadò la mia pancia. Poi di nuovo il mio viso. Poi di nuovo la mia pancia.
-Oh!-
-Esattamente.-
-Io, ehm, devo dirglielo? O preferisci che mi limiti a lanciargli dei messaggi, tipo dicendogli che all’improvviso ami le noccioline sgusciate e vomiti l’anima ogni tre per due?-
-Thanatos mantiene il segreto da prima che io risalissi, sono certa che puoi farlo anche tu.-
Sonno tese la mano verso il mio ventre, poggiandovi contro un unico dito. Mi venne in mente, in quell’istante, che anche lui aveva un figlio.
-Sta dormendo,- sussurrò. -E riesco a sentire il brusio dei suoi sogni. Devi assolutamente dirlo ad Ade.-
-Lo so, ma voglio farlo di persona.-
-Quanto manca al tuo ritorno?-
Mi accarezzai la pancia, protettiva.
-Manca poco.-
§§§§

Ci sono Aspetti della Superficie che puoi capire soltanto dopo essere stato nel Sottosuolo. Tuttavia, ciò non significa che sia facile accettarli.
Quando mi recai da Estia era ormai agosto. Le stelle sfavillavano nel cielo, e attraverso la sua porta di casa, spalancata sulla Notte, potevo vedere il chiarore confortevole delle fiamme.
La zia mi abbracciò con calore, ma senza enfasi, come ci fossimo salutate appena il giorno prima e il mio diritto a bussare a casa sua all’ora di cena fosse un fatto indiscutibile e indiscusso.
Scrollò una sedia per far scendere il gatto e mi fece cenno di accomodarmi.
-Bentornata, tesoro. Ti aspettavo.-
Mi sedetti alla sua tavola, senza sapere bene cosa dire.
Estia stava rimestando una pentola che bolliva sul fuoco, e dalla quale proveniva un profumo di verdura, cipolla e aromi.
-Zia, sono stata nell’Averno e mi sono innamorata di Ade.-
Mi aspettavo una gran quantità di domande, ma la zia ne pose soltanto una.
-Lui ti rende felice?-
-Moltissimo!-
La zia annuì, soddisfatta.
-Bene.-
-Tornando da laggiù, ho capito molte cose. Cose che sono sempre state sotto i miei occhi. Adesso c’è una domanda che devo farti. Potrei farla a mia madre, forse, ma non mi sembra il caso.-
Estia aggiunse un po’ di sale alla pentola e finalmente si voltò a guardarmi. Sotto il suo sguardo verde e profondo, ebbi la netta sensazione che conoscesse già la mia domanda.
-Ti ascolto.-
-Ho sempre creduto che mio padre fosse Zeus. Perché nessuno mi ha mai detto che in realtà mio padre è Poseidone?-
Estia scostò una sedia dal tavolo e si sedette proprio di fronte a me.
-Perché tua madre non voleva parlarne, non voleva nemmeno ricordare. Forse pensava che, sostenendo una versione diversa, avrebbe cancellato ciò che era accaduto.-
-Così io, la figlia che Demetra ama più di se stessa, sono in realtà il frutto di una violenza?-
Estia ebbe un sorriso gentile.
-Questo è un Aspetto della vicenda, quello che tua madre ha inutilmente cercato di cancellare. Ma c’è un altro Aspetto in questa storia: Demetra ti ha amata dal primo istante in cui ha saputo di te, indipendentemente dalle circostanze del tuo concepimento.-
La mia fronte si spianò per lo stupore.
-Tu parli di Aspetti: sei stata nel Sottosuolo?-
Estia mi lanciò uno sguardo divertito.
-Ci sono stata e ci sono ancora. Io sono il focolare e la casa. Non mi pare che nel Sottosuolo scarseggino i legami familiari e sinceri.-
Mi sporsi verso di lei, emozionata.
-Dunque hai mangiato anche tu il melograno?-
-Molto tempo fa. E anche tu, vedo.-
-Sì, l’ho mangiato.- confermai. Riflettei un istante: -Finalmente capisco cosa significhi.-
§§§§

A Settembre, cominciai a sentire il cambiamento.
Primavera era profondamente appagata, la sentivo sbadigliare e ritirarsi dentro le mie ossa, come una bambina sazia di giochi e di latte che volesse soltanto riposare. Persefone, invece, si risvegliava, reclamando un po’ di solitudine e di quiete, sempre più insofferente al chiasso, alla compagnia e alle feste.
Sempre più spesso, la notte, mi ritrovavo a contemplare l’oscurità fuori dalle finestre, in attesa di qualcosa che non potevo né vedere né udire, ma sentivo sempre più vicino.
Una notte, sotto la mia finestra, scorsi il volto opalino e gli occhi dorati di Ecate, e seppi che l’attesa era finita.
Mia madre mi abbracciò sulla soglia.
-Salutami… lui.- disse piano.
-Lo farò.-
-Sei felice?-
-Molto.-
-Sarai sempre mia figlia?-
-Sempre.-
Poi mi sciolsi dal suo abbraccio e presi la mano che Ecate mi porgeva.
Dopo tanti mesi in Superficie, all’inizio fui come cieca: Ecate guidò i miei passi lungo i gradini di marmo che sprofondavano nell’oscurità della terra. Passo dopo passo, i miei occhi ripresero a orientarsi in quel buio familiare, i miei piedi ritrovarono memoria di ogni singolo gradino: allora fui io stessa, sempre più emozionata, a precedere Ecate nella discesa.
Dapprima flebile, quasi un fruscio, poi sempre più definito, cominciai a sentirlo: il battito del cuore di Ade che riverberava nel mio.
Nonostante le mie condizioni, scesi gli ultimi gradini quasi correndo.
-Ade!- gridai.-Ade! Sono tornata!-
Mi guardai intorno, cercando le sue braccia in cui rifugiarmi, le sue labbra da reclamare.
I miei occhi si posarono su quelli dorati e impenetrabili di Thanatos e su quelli scuri e imbarazzati di Ipno.
Ma Ade… Ade non c’era.
§§§§

Questo capitolo ha giocato parecchio con le diverse versioni del mito riguardanti l'identità del padre di Persefone e le circostanze del concepimento. Tra l'altro, secondo me questo aspetto dà anche una ulteriore sfumatura di significato alla protettività di Demetra nei confronti della figlia, sfumatura che non mi pare di aver colto in altre storie che ho letto.
Lo ammetto: il calo di recensioni ha smorzato parecchio il mio interesse per questa storia e la mia buona volontà nell'offrirvi un editing decente, ma conto comunque di concluderla entro l'anno.
Auguro a tutti voi un buon Natale, perchè non credo proprio di riuscire a postare entro quella data.
Un caro saluto,
Saliman
   
 
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