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Autore: sofismi    23/12/2015    2 recensioni
La linea sottile che c'è tra realtà e immaginazione è facile da oltrepassare, i problemi sorgono quando non si riesce più a tornare indietro. Ed é proprio qui che Oliver e Madeleine lottano: due caratteri forti, due pensieri contrastanti, smussati dall'amore reciproco e dalla voglia di tornare a vivere.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Esistere

 
 
 

 
A te
che custodisci la mia anima
e proteggi il mio cuore,
per salvarmi dal limbo.

 
 
 
 
 
 
1.
Sono sempre stata una persona malinconica e un po’ cattiva, ma non è questo ciò che mi ha portato a isolarmi. Con il passare del tempo ho creato un mondo mio, seguendo le mie regole, e mi ci sono chiusa dentro. A volte tutti ne abbiamo bisogno, l’unico problema è che se non si sta attenti si perde il contatto con la realtà, e una volta che succede, è difficile tornare indietro. Iniziamo a vivere nella nostra mente, e i casi sono due: o ci salva, o ci uccide. Entrambe le possibilità ci isolano, piano piano ci fanno scomparire fino ad annullarci del tutto, e senza nemmeno accorgercene non esistiamo più. Ed è proprio quello che è successo a me, senza rendermene conto sono diventata invisibile.
Sono scappata dal resto del mondo creando una prigione; credevo fosse libertà, ma libertà non era. Ho creato una prigione, pensando che mi avrebbe salvato, mi sentivo al sicuro: non sapevo che non esisteva posto più pericoloso. Lentamente quel mondo in bianco e nero che pensavo meraviglioso mi ha rapito, l’ho inventato secondo i miei gusti, e i miei desideri, e mentre me ne innamoravo, mi avvolgeva, finché non mi ha inghiottito. Il mio mondo sicuro è diventato un mondo infame. Inizio a rendermi conto di essere in una gabbia, crudele e bellissima, ma se non esco in fretta, se non torno alla realtà, allora sarò perduta. Nonostante io sappia che ormai il tempo sta scadendo continuo a vedere tutto in bianco e nero, cerco ancora le stelle, e le eccezioni, mi soffermo sui dettagli, e mi nutro di parole.
Le persone mi sembrano fantasmi, non ho nessun legame, nessuna connessione, con loro: ma nel profondo, io so. So che il fantasma sono io: io che non parlo, io che non partecipo, io che a momenti non respiro. E sono strana, dicono, sono diversa. Ciò che non sanno è che ormai i loro commenti, gli insulti, non mi toccano più. Sono diventata indifferente a quelle parole, prodotte da menti così chiuse. Di conseguenza, con quell’atteggiamento di rifiuto, mi hanno resa muta: non spreco più il mio tempo nel tentativo di far ragionare le persone, i miei pensieri li tengo per me, nel mio mondo. Però osservo tutto: ogni sfaccettatura, ogni dettaglio, o aspetto, e ogni sfumatura di chi mi circonda. E ciò che vedo non mi piace, questa realtà non fa per me. Non posso vivere nell’ipocrisia, nella falsità, e nell’ignoranza. Ormai il mondo reale è colmo d’immoralità e io non voglio essere come gli altri e agire in questo modo così sbagliato.
Questo bisogno di distinguermi dalla massa mi ha portata qua, all’inizio volevo qualcosa che mi stimolasse intellettualmente,
quindi mi sono dedicata alla lettura. E così, in poco tempo ho edificato la mia prigione di parole. L’ho sempre amata tanto, forse l’amo ancora adesso che ho aperto gli occhi, e sicuramente l’amerò per sempre. Mi fa stare così bene, anche se sono consapevole che non dovrei gioirne, perché quando ci crogioliamo nel nostro dolore, funziona così: scappiamo dai problemi in cui siamo immersi e ci lasciamo sopraffare tanto da credere di stare bene. La verità è che ci abituiamo a quel dolore, perché abbiamo paura di provarne uno più grande, quando invece basterebbe darci un taglio. Non importa a cosa: che sia una brutta abitudine, o una relazione malata, basterebbe solo darci un taglio, senza avere paura di soffrire, perché alla fine la sofferenza è momentanea. Ma noi siamo creature deboli e stolte, con un grande talento nel perseverare, e solo pochi riescono a capire questo semplice concetto. Io mi reputo appartenente a questa cerchia, ci ho messo del tempo ma spero ne varrà la pena. Soffrirò, ma solo per stare bene.
Sono chiusa nella mia mente da fin troppo, non ricordo nemmeno cosa voglia dire vivere insieme alla gente. Una parte di me non vuole andarsene, però; sono incatenata nella mia fantasia, dove sono amata, rispettata e talvolta anche ammirata. Non faccio altro che bearmi in parole mai pronunciare, da persone mai esistite, e ne sento il bisogno fisico, e psicologico. Ho il costante desiderio di sentirmi apprezzata per ciò che faccio, e non trovando soddisfazione nel mondo reale, ho creato il mio. Adesso vivo tra i personaggi dei libri che leggo, nelle loro città. Vivo i loro drammi e i loro amori. Rubo emozioni scritte su carta, perché non ho la possibilità di vivere le mie, anche se vorrei. Il mio unico desiderio è di scappare, ma mi sembra impossibile. Perfino adesso sono in questo mondo immaginario, dove pare che le parole salvino le persone. Avrei tanti validi motivi per piangere, o per rompere qualcosa, o perfino per urlare e perdere la voce, ma qualcosa me lo impedisce. Non riesco a sfogarmi, a lasciarmi andare, soprattutto in questo periodo. Ultimamente le cose nel mondo reale peggiorano, di conseguenza nemmeno le cose nell’altro mondo vanno tanto bene. Il solito panorama in bianco e nero comincia a diventare più cupo, anche le stelle stanno scomparendo, tanto che mi è difficile riconoscere le costellazioni, e con l’oscurità che c’è adesso, è difficile anche notare tutti i dettagli che prima scorgevo così facilmente. Forse sono tutti questi cambiamenti che mi hanno fatto capire che non è qui che devo stare, sembra che il mio subconscio stia distruggendo la mia prigione, come se volesse salvarsi, e magari dovrei soltanto lasciarglielo fare. Questo, però, significherebbe autodistruggermi; se restano soltanto macerie, io poi che cosa faccio? Devo per forza avere un piano secondario, una via di fuga. Se dovessi riuscire a demolire ciò che m’imprigiona, rischierei di perdermi in un limbo, impossibile da abbandonare. E ogni mio sforzo risulterebbe vano.
Tutti questi pensieri mi fanno impazzire, vorrei soltanto mettermi nel letto e smettere. Smettere di disperarmi, di consumarmi. Smettere, e avere una vita normale: camminare in mezzo alla gente, entrare in un bar, magari con qualcuno e forse potrei persino ridere, e scherzare. Mi accorgo che la mia lista finisce qui: io non so che cosa fanno di solito le persone cosiddette “normali”. Di cosa parlano? Come camminano, e come si comportano sui mezzi pubblici? Nonostante l’età, ancora non so queste cose, un po’ me ne vergogno: lo ritengo abbastanza misero, d’altra parte invece vorrei non doverlo mai scoprire sulla mia pelle. Non sono in grado di intavolare una conversazione, se vogliamo essere precisi, non potrei nemmeno rivolgere la parola a uno sconosciuto.
Comincio a credere di essere senza speranza, ma dentro di me si insinua un altro pensiero:
“Forse penso troppo, è per questo che mi perdo.”
Nella mia mente sto ancora camminando nel vuoto, in quella che sembrerebbe una nebbia scura, e le mie gambe non accennano a volersi fermare.
I troppi dubbi mi offuscano la vista, ormai cammino in una landa desolata: nera e infinita. Ho paura di essere già finita nel limbo, senza aver nemmeno provato a salvarmi. Oltre ai dubbi, nella mia mente ora si instaurano anche i sensi di colpa, per non essere riuscita a trovare un modo per salvarmi. E immediatamente il paesaggio cambia: la nebbia ora non c’è più, ma l’oscurità si, solo che adesso sono a casa mia, nel mio soggiorno. C’è lui sul divano, che guarda la televisione. Arriva anche la malinconia. Non riesco a parlargli, ma non ho bisogno di sciogliere il nodo che ho in gola, non con lui. Lui capisce. Mi avvicino, e mi metto sul divano anch’io, restando a debita distanza. Il peso che sento sul petto, però, è opprimente: non voglio più stare da sola. Senza guardarlo faccio per appoggiarmi a lui, e tiro su le gambe. Istintivamente lui alza il braccio e io appoggio la testa sul suo torace. Rimaniamo così, abbracciati.  Poi lui mi bacia la testa, e io chiudo gli occhi.
Non può essere limbo questo, riesco a provare ancora un sentimento, è l’unica mia certezza. Perché so che se adesso mi addormento, lui sarà ancora qui al mio risveglio. Perché so che nonostante il mio dolore, lui sarà sempre al mio fianco. E se dovessi ammalarmi, lui sarebbe accanto a me sul letto. Se dovessi avere fame, lui mi porterebbe qualcosa da mangiare, qualcosa di dolce, e se dovessi beccare un momento buono, magari mi preparerebbe anche una tazza di tè, che lui sa che mi piace. Fermo subito questo treno di pensieri. Non riesco a capire se mi sono appena inventata tutto, oppure se è ciò che farebbe davvero. Sono fatti reali, o immaginari? Mi dispero, perché non so come capirlo, non vorrei fosse solo uno scherzo della mia mente. Mi sveglio triste, ma la risposta è lì ad attendermi, nelle sue mani: una tazza di tè fumante.
˗ Ai frutti rossi, oggi c’è bisogno di tanta dolcezza. ˗
Prendo la tazza tra le mani: ha ragione, l’infuso di frutti rossi è davvero tanto dolce, esattamente quello di cui avevo bisogno. Oli torna accanto a me, e io evado un po’ dalla mia prigione. Riesco a starne lontana per qualche ora, è lui a tenermi lontana da quel posto: mi fa ridere, giochiamo come due bambini. In queste tre ore, prima di coricarci, parliamo tanto. Sono futilità, ma ne sentiamo il bisogno entrambi, perché come io sono imprigionata nel mio mondo, anche lui è rinchiuso nel suo.



Angolo autrice:
Salve a tutti, mi chiamo Ann-marie. Innanzitutto volevo dire che questo è il primo racconto serio che provo a scrivere. Di solito abbandono le cose a metà, ma stavolta sono motivata a portare a termine questa storia, dato che per me è molto importante. Mi prendo anche l'impegno di pubblicare ogni mercoledì, salvo imprevisti. Chiedo anche preventivamente scusa per eventuali errori, non si è mai troppo sicuri!
Detto questo, spero vi sia piaciuta, fatemi sapere che cosa ne pensate. Le critiche costruttive sono assai gradite.
  
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