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Autore: ChiiCat92    23/12/2015    2 recensioni
"Loz si infila alla sinistra di Kadaj, i piedini che sono blocchi di ghiaccio dopo aver camminato sul pavimento gelato. Sospira di sollievo non appena appoggia al testa sulla sua schiena.
L'incubo non può sembrargli più lontano e più inverosimile in quel momento, tanto che arriva a pensare: “Chi mai può portarmi via i miei fratelli?”."
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kadaj, Loz, Reno, Sephiroth, Yazoo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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21/11/2015

 

Forgotten Children

 

Mani nel buio, appiccicose, artigli ad ogni dito. Mani invisibili, fatte di ombra e paura.

Li afferra, forte, troppo forte. Li sente urlare. Vede i loro occhi sgranati, spaventati, le labbra spalancate in un urlo.

Vorrebbe correre da loro, liberarli da quella presa, ma non può. Incollato sul pavimento come immerso in sabbie mobili fatte di tenebra, l'unica cosa che può fare è lottare per liberarsi, con le lacrime che gli rigano il volto e gli offuscano la vista.

Non portarli via, non portarli via!” sarebbe l'urlo, la preghiera, la supplica continua che uscirebbe dalla sua bocca se non avesse la gola occlusa dai propri singhiozzi.

E mentre lui è lì, immobile, inerme, gli portano via i suoi fratelli.

Si strapperebbe braccia, gambe, il cuore, per offrirli al loro posto, mercificando se stesso per la loro salvezza. Ringrazierebbe anche, se dopo essere stato fatto a pezzi, li lasciassero rimanere.

È inutile. Tutto inutile. Lui non ha niente da offrire.

Si tende ancora, nel disperato tentativo di poter almeno toccare un'ultima volta i suoi fratelli prima che spariscano nel buio, ma quelle mani, quegli artigli che gli squarciano la carne viva, lo afferrano, lo tirano indietro, gli chiudono la bocca, il naso, e all'improvviso non può più respirare.

Tutto quello che rimane è solo oscurità, e l'eco del suo stesso pianto.

 

Gli occhi si spalancano e quel che incontrano è buio, un buio denso, rotto solo dal suono di piccoli respiri tutto intorno a lui.

Singhiozza ancora così forte che gli manca il respiro, le coperte attutiscono le urla e il pianto.

Prova a divincolarsi, ma confuso com'è non si rende neanche conto di essere attorcigliato malamente nel lenzuolo e che, tra le tante cose, è finito a terra, con cuscino e tutto il resto. Impiega una manciata di minuti per riprendere coscienza e per capire che cosa è realmente successo.

Un incubo, solo un incubo, uno tra i tanti, uno di quelli che lo tormentano una notte sì e una no da quando gli hanno vietato di dormire con i suoi fratelli.

Gli occhi verdi, gonfi dal sonno e dalle lacrime, vagano tutto intorno quando finalmente riesce a tirare fuori la testolina dagli spettinati capelli argentei dall'ammasso di lenzuola in cui si era andato a cacciare.

Lentamente, visto il buio pesto che lo circonda, riesce a mettere a fuoco i dettagli del posto in cui si trova.

Una lunga camerata con lettini a castello sistemati l'uno accanto all'altro a distanza di un paio di metri; corpicini stesi, addormentati, alcuni in strane posizioni, tutti accucciati sotto le coperte per combattere il freddo che spira dai due finestroni a vetri che di giorno portano luce nello stanzone;

pareti alte, soffitto scrostato dall'umidità e dal tempo, pavimento a piastrelle fredde su cui poggiare i piedi nudi è una terribile agonia.

Il piccolo stropiccia gli occhi nel tentativo di togliere dal campo visivo le ultime, fastidiose lacrime.

I ricordi del brutto incubo sono impressi a fuoco nella mente, eppure riesce ad essere più tranquillo. D'altronde adesso che è sveglio può constatare da solo che tutto quello che ha visto non esiste, era solo frutto della sua spaventata immaginazione.

Con le gambe che tremano, un po' per il freddo, un po' per la caduta, un po' per la paura del buio che inonda la stanza, si alza. Non si preoccupa di mettere apposto le lenzuola, che si lascia dietro come fa la farfalla con il bozzolo, e si avvia verso il corridoio.

Nell'aria si condensa il respiro e il freddo che sale da terra gli fa venire i brividi. Con indosso solo il pigiamino di cotone non può fare altro che stringere le piccole braccia al petto alla ricerca di calore.

Al contrario dello stanzone dove dormono lui e gli altri bambini, i corridoi, l'androne, le scale che portano al piano di sotto e al piano di sopra non hanno termosifoni, cosa che rende l'aria gelida e il pavimento una lastra di ghiaccio su cui è davvero difficile camminare.

A piccoli passetti, guardandosi tutto intorno come se si aspettasse di vedere spuntare un mostro da dietro il prossimo angolo, il bambino percorre il corridoio e raggiunge le scale.

I bambini nell'“età della grazia” dormono tutti al piano di sotto. Sembra difficile capire cosa vogliano dire quelle parole, ma una volta gli era capitato di sentirne parlare a due maestre.

Sì, era origliare, ma i suoi fratelli erano stati così pressanti che alla fine si era nascosto in un angolo, come gli avevano detto di fare, e aveva ascoltato la conversazione.

L'“età della grazia” è quel periodo in cui i bambini appaiono teneri abbastanza agli occhi dei genitori interessati per poter avere una speranza di essere portati via di lì, prima di diventare troppo grandi.

L'“età della grazia” finisce in concomitanza con l'interesse dei genitori che, a quanto pare, di bambini con più di cinque o sei anni non vogliono proprio sentirne parlare. Troppo difficili da gestire, si dice.

Lui di anni ne ha otto, ed ha passato l'età della grazia da un pezzo, a sentir parlare le maestre. Ma i suoi fratelli no, non ancora almeno.

Anche se hanno sei e sette anni, non danno ancora modo di apparire come tali. Piccoli di costituzione, eterei nelle apparenze, dimostrano almeno due anni in meno di quanti effettivamente ne hanno, e tutto sommato togliergli uno o due anni su degli eventuali documenti di adozione non sarebbe così difficile. Un numero potrebbe separarli da una vita migliore, perché negargliela?

Per questo, entrambi dormono al primo piano, il piano dei bambini nell'età della grazia, quella che a lui è stata “negata” per via dell'evidente goffaggine, dell'altezza che comincia a superare la media della sua età, e della pinguedine infantile che in generale ai genitori affidatari non piace.

Ci sono degli standard di bellezza da rispettare.

Con le manine – ancora piccole, nonostante tutto – strette intorno al corrimano per evitare di cadere sugli scalini gelidi, scende in fretta l'ultima rampa di scale, e gli ultimi metri che lo separano dalla porta della seconda camerata li percorre correndo, affannato, sentendo le mani d'ombra del suo incubo che tentano di afferrargli le caviglie.

Voltandosi indietro dopo aver raggiunto la porta si rende conto che non c'è nulla che lo insegue davvero, ma la sensazione di terrore e panico e il cuore che gli batte furiosamente nelle tempie non gli danno comunque tregua.

Così, è ancora spaventato quando entra nella stanza, un po' più calda del corridoio, e il desiderio di potersi stringere ai suoi fratelli è così forte che quasi lo sente fisicamente come un nodo che gli stringe forte lo stomaco.

I bambini addormentati nei lettini sono tutti piccoli angioletti dalle dolci espressioni. Probabilmente la metà di loro verrà adottata entro la fine del mese, e l'altra metà entro la fine dell'anno.

I suoi occhi, verdi più che mai, la pupilla dilatata come quella di un gatto nel tentativo di venirgli incontro a vedere con quella poca luce, schizzano qua e là, da un letto all'altro, senza riuscire a trovare pace finché...

Finché non vede due testoline argentee spuntare a malapena da una coperta, vicine tra loro, perché i due bambini dormono abbracciati.

Il sollievo che prova è immediato, talmente forte che all'improvviso non sente più paura, non sente più freddo. Tutti i cattivi pensieri scivolano via, sciolti dal calore che gli riempie il petto alla sola vista dei suoi fratelli.

Trotterella contento, un sorrisetto sulle labbra pallide, verso di loro. Non si stupisce di vederli accucciati insieme. Quando ancora gli era consentito stare con loro dormivano tutti e tre appallottolati come gattini nello stesso letto, quindi non c'è da sorprendersi se i due piccoli abbiano mantenuto l'abitudine anche senza di lui. Anzi, probabilmente è ragione ancor più di conforto stringersi in quell'abbraccio ora che sono rimasti da soli.

Un po' lo fa sentire importante pensare che il loro abbraccio in qualche modo lo comprende, un po' è infantilmente geloso di non poter essere lì in mezzo.

Anche se sa che non potrebbe stare in quella stanza e che rischia di essere sgridato, non può non desiderare con tutto se stesso di accoccolarsi tra le braccia dei due fratelli minori, sentire i loro respiri, i battiti dei loro cuori, e avere così la certezza che il sogno che ha fatto era solamente un sogno.

Però non si muove. Rimane immobile al capezzale del letto, vegliando sul loro sonno per un lungo, lunghissimo minuto, beandosi solo della loro presenza.

Poi prende un respiro quasi rassegnato, e fa per andarsene. Gli interessava solo accertarsi che stessero bene, che fossero ancora nel loro letto, che non gli fosse successo niente di male.

Prima che possa fare anche solo un passo, però, una vocetta piccola e squillante, nonostante sia impastata dal sonno, lo ferma.

- Lozzie, dove vai? -

Sa che se dovesse voltarsi non sarebbe più in grado di andarsene ma...lo fa, si volta.

Tiratosi su a sedere, il pigiama tanto più grande di lui, si strofina con la manina l'unico occhio visibile sotto l'indomabile, e un po' spettinata, chioma di capelli argentei, mentre l'altro si nasconde dietro il ciuffo che non lascia toccare a nessuno che sia munito di forbici. Kadaj.

- Torno nel mio letto. -

Sbuffa Loz, ma a quel punto non ha davvero voglia di andare da nessuna parte. Non dopo che gli occhioni languidi del suo fratellino più piccolo si sono fissati su di lui. Grandi, verdi, resi lucidi e confusi dal sonno eppure così consapevolmente profondi: sono pozzi in cui è difficile non precipitare.

- Vieni a dormire con noi. -

Non è neanche una domanda, è una sorta di ordine indiretto, e già sente i suoi piedi muoversi verso di lui, il cuore colmo di una gioia difficilmente spiegabile anche per se stesso.

Però si blocca prima di alzare il ginocchio per salire sul materasso. Scuote piano piano la testolina...cercando di trattenere le lacrime che sente già affiorargli agli occhi.

Quante ne deve versare prima di non essere più in grado di piangere?

- Non piangere, Loz. -

“Non sto piangendo!” dovrebbe rispondere, ma ha paura che dalle labbra gli esca un qualche strano singhiozzo disperato, per cui tace.

Con gli occhi, però, osserva l'altro fratello mettersi seduto. Come possa rimanere sempre impeccabilmente pettinato è un vero mistero; i lunghi e sottili capelli argentei ricadono come una cascata sul viso etereo, come scolpito nel marmo da un abile artista. Un angelo, come nelle statue nelle cattedrali, con la stessa algida bellezza. È un colpo al cuore sapere che quel candido bambino un giorno dovrà crescere e abbandonare le fattezze delicate dell'infanzia per diventare un adulto. Yazoo.

- Lascialo stare Yaz. -

Lo riprende dolcemente Kadaj, ancora intento a togliersi il sonno dagli occhi, le manine quasi invisibili nelle maniche del pigiama.

Tutto piccolo, Kadaj sembra essere fatto per essere una miniatura di se stesso. Più piccolo dei tre non solo per età, ha la statura di un bambino di quattro anni. Ma come tutti i più bei fiori, nasconde spine appuntite lungo lo stelo. È pericoloso da maneggiare, ma gli piace non dare quell'impressione; ha fatto sua l'espressione “l'apparenza inganna” con tanta naturalezza da fare quasi paura.

- Devo tornare su, non posso stare qui. -

Mormora Loz che si ritrova a guardarsi intorno disperatamente. Non vuole essere portato via con la forza, non lo sopporterebbe. Preferisce tornare al piano di sopra con le sue gambe e il cuore spezzato piuttosto che in lacrime, urlando e scalciando facendo una scenata davanti a tutti.

- Lozzie... -

A Kadaj non serve aggiungere altro, basta il modo in cui piega di lato il capo facendo scivolare i capelli dal visetto rotondo. Gli occhi, così, sono visibili in tutto il loro verde fulgore. Le sopracciglia argentee corrugate gli danno un'espressione vagamente imbronciata, così come le labbra piegate verso il basso. Disappunto. Non si dovrebbe mai disattendere al volere Kadaj.

Come se gli avesse dato un ordine – e forse nel suo piccolo solo con quell'espressione e quell'atteggiamento l'ha fatto – Loz si arrampica sul letto, pronto a riempire il posto a lui affidato nella loro tacita gerarchia.

Kadaj scivola in mezzo. Tra uno sbadiglio e l'altro si accuccia su un fianco, tremando appena perché il cambio di temperatura tra fuori e dentro le coperte gli ha fatto prendere freddo. Yazoo si appallottola, senza aggiungere un'altra parola, alla sua destra, in modo che il piccolo possa tenere la testolina sul suo petto.

Loz si infila alla sinistra di Kadaj, i piedini che sono blocchi di ghiaccio dopo aver camminato sul pavimento gelato. Sospira di sollievo non appena appoggia al testa sulla sua schiena.

L'incubo non può sembrargli più lontano e più inverosimile in quel momento, tanto che arriva a pensare: “Chi mai può portarmi via i miei fratelli?”.

 

Dormire con la consapevolezza di essere nello stesso letto di Yazoo e Kadaj, sentire i loro respiri di tanto in tanto, aprire gli occhi perché uno dei due lo spinge verso il bordo o perché gli ha rubato la coperta, è tutta un'altra storia.

Non ci sono incubi, non ci sono sonni agitati, non ci sono brutti pensieri e mostri sotto il letto.

Per questo Loz riesce, nonostante la gomitata allo stomaco da parte di Kadaj ad un certo punto della notte, a dormire di filato e pesantemente fino all'indomani mattina. Anche se si era ripromesso di rimanere il tempo necessario per calmarsi e riprendersi dall'incubo, senza però passare con loro tutta notte.

Si è ripromesso di farlo così tante volte che ormai ha perso il conto, come la promessa ha perso il suo valore.

Solo che, come sempre, non ha fatto i conti con la maestra addetta alla sveglia mattutina.

Invece di aprire gli occhi e trovarsi davanti la spalla di Kadaj, o la nuca, o la sua schiena, quando Loz apre gli occhi quello che vede è lo sguardo arrabbiato della donna che lo fa scattare come fosse un guerriero addestrato a combattere.

Sebbene sia dei tre il fratello pigro, praticamente per antonomasia, quando se la deve dare a gambe per scappare da una punizione diventa anche troppo veloce.

- LOZ! -

È di certo l'urlo della donna, la sua voce, e sono anche le sue mani quelle che si allungano per prenderlo e tirarlo fuori dal letto ma lui, veloce come una lepre, è già saltato via dal letto, il freddo del primo mattino che gli artiglia il corpicino ancora intorpidito, gli occhi aperti solo per metà che quasi lo fanno andare a sbattere contro il letto a castello di fronte.

- LOZ VIENI SUBITO QUI! -

- Scappa Lozzie! -

Non si stupisce che le urla della maestra e il suo saltare fuori dal letto come un grillo abbia svegliato il suo fratellino. Anzi, in realtà è sicuro che anche Yazoo sia sveglio, ma solo meno entusiasta di partecipare all'inseguimento.

Loz si volta giusto un attimo per guardare e...sì, Kadaj sta davvero facendo il tifo per lui, i pugnetti stretti e lanciati verso l'alto, gli occhi già tanto grandi e sgranati che qualcuno avrebbe potuto insinuare che fosse sveglio già da un pezzo.

Solo uno sguardo complice tra i due fratelli, che se da una parte ricarica le pile di Loz, dall'altra gli costa caro.

Concentrato a guardare l'esultante Kadaj, non bada a dove sta andando e finisce con l'andare a sbattere il muso contro una pancia, probabilmente, grande e grossa abbastanza da farlo rimbalzare indietro.

Rotola a terra con uno strilletto sorpreso, ma non ha neanche il tempo di accasciarsi a terra perché viene afferrato per la collottola e tirato su in piedi.

Si ritrova faccia a faccia con la Madre Superiora, che è come dire che si trova faccia a faccia con i suoi incubi.

Il grasso grosso faccione della donna si pianta a due centimetri dal suo visetto pallido, le sopracciglia nere aggrottate in un'espressione infuriata e le labbra che tremano trattenendo le urla a stento. Non sarebbe la prima volta, ma è mattina, troppi faccini si sporgono dai letti a guardare la scena, e troppi ancora sono quelli addormentati affondati nei cuscini.

- Adesso vieni con me. -

Sono le uniche parole che escono dalle labbra della gigantesca donna e Loz trema appena, lanciando un disperato appello mentale ai suoi fratelli. Sa che se dovesse voltarsi adesso a guardarli, la Madre Superiora si arrabbierebbe talmente tanto che lo metterebbe in punizione per un mese. E non può stare un mese senza vedere Kadaj e Yazoo.

- Madre Superiora! - questa è la vocetta di Kadaj, Loz la riconoscerebbe ovunque, bendato, di spalle, in mezzo alla folla, al buio, persino se fosse sordo ne coglierebbe le adorabili vibrazioni nelle ossa. Il piccoletto, trotterellando verso di loro nel tentativo di tenersi su i pantaloni del pigiama tanto più grande di lui con una manina, si aggrappa disperatamente ad un braccio del fratello. Non lo guarda e Loz sa perché: Kadaj sta per usare il suo potere magico, non può distrarsi. - La prego, non punisca Lozzie. - gli occhi che si fanno languidi, le labbra che si piegano verso il basso in un'espressione triste, il tono di voce che sembra l'inizio di un pianto disperato. Se Loz non conoscesse meglio di chiunque altro suo fratello, ci cascherebbe anche lui, ma sente anche la risatina appena accennata e sussurrata di Yazoo, rimasto a letto, e questo basta a dargli la conferma che quella è tutta una messa in scena. - Gli ho chiesto io di venire a dormire con noi, mi mancava tanto. - un fintissimo singhiozzo gli sfugge dalle piccole labbra. Finto almeno per Loz, ma per la Madre Superiora è più che reale e già il bambino la vede sciogliersi come neve al sole. - Se proprio deve punire qualcuno...allora punisca me. -

La carta del “non punire mio fratello, punisci me” funziona sempre, e i tre fratelli lo sanno bene, tanto che Loz, con la testa bassa per nascondere un sorriso vincitore, sa già che la Madre Superiora è crollata ancora prima di sentirla sospirare.

- Va bene, per stavolta lascerò stare. - e tra le tante cose lascia andare anche Loz, che era rimasto nelle sue grinfie fino a quel momento - Però è l'ultima volta Kadaj, hai capito? -

- Certo. -

Lui corona la sua espressione angelica con il più dolce e ampio dei sorrisi, che fa scappare un singhiozzo di tenerezza alla donna. Fortuna che fa in fretta a riprendersi, drizzando la schiena e voltandosi.

- Loz, torna subito al piano di sopra per lavarti e cambiarti. -

Anche se dovrebbe essere una specie di ordine, la farsa di Kadaj deve aver scombussolato parecchio la donna perché dice il tutto in fretta, quasi sussurrandolo.

I due bambini si guardano, ridacchiando sotto i baffi, dopo di che Loz corre fuori. Ringrazierà il fratellino più tardi.

 

Loz prova a domare i corti capelli argentei davanti allo specchio. Prima li pettina da un lato, poi dall'altro, prova in avanti, come li porta Yazoo, ma niente. Non sono belli la metà di quelli dei suoi fratelli. Non sconsolato ma solo seccato, li pettina tutti all'indietro e poi osserva soddisfatto il suo lavoro. Gli occhi verde acceso del suo doppio allo specchio gli rimandano uno sguardo sbarazzino, infantile, nonostante il suo corpo non voglia proprio saperne di rallentare la crescita verso l'alto. Una delle sue tante paure è l'idea di svegliarsi talmente alto da non riuscire a rimanere in piedi.

Scaccia via il brutto pensiero e si colpisce le guanciotte con le manine. Non succederà, non prima di qualche anno almeno.

L'orfanotrofio non è un posto tanto brutto, una volta che ci si è abituati.

I primi anni sono stati terribili, più perché i suoi fratelli erano troppo piccoli e lui stesso lo era, che per l'idea di non avere una mamma e un papà o una casa in cui stare.

Sono sempre stati soli, soli in orfanotrofio o soli per strada, poco cambia.

Loz si è reso effettivamente conto di essere un bambino abbandonato a cinque anni quando, con gli spiccioli raccolti per strada, si era trascinato dietro i suoi fratelli in una panetteria per comprare qualcosa da mangiare.

“Dove sono i vostri genitori?” aveva chiesto il signore al bancone, e lui per qualche ragione aveva aveva provato il folle bisogno non di piangere ma di scappare prima che chiamasse la polizia.

Sì, è stato quello il momento, visto che ricorda molto poco della loro vita prima di allora.

Poi è venuto l'orfanotrofio, la promessa di una casa che non avevano chiesto. Ma continuare a dormire all'addiaccio pare che nuocesse alla salute di Yazoo, e Loz doveva prendersi cura dei suoi fratellini. Ad ogni costo.

In ogni caso, dopo tre anni, Loz non si può dire troppo insoddisfatto. Yazoo si è ripreso, e Kadaj è tornato a sorridere. Tutto sommato dormire da solo non è così male.

E sa benissimo che nessuno adotterà mai tre bambini tutti in una volta, quindi si sente al sicuro. Non lo sfiora neanche lontanamente il pensiero che uno di loro possa essere preso e portato via senza gli altri. È inammissibile.

Nel cortile interno dell'orfanotrofio essere o meno nell'età della grazia non importa. I bambini sono liberi di giocare insieme, di correre e scorrazzare come preferiscono.

Nel cielo il sole cerca come può di scaldare l'aria invernale, riuscendoci a malapena: l'alito si condensa comunque e le mani gelano all'istante. Non è ancora caduta la prima neve ma è questione di tempo: quando il sole abbandonerà la sua postazione per nascondersi dietro le nuvole, di certo comincerà a nevicare.

Loz saltella verso i suoi fratelli, appartati come sempre in un angolo del cortile. Anche senza avere un radar incorporato, come quello che ha Loz, sarebbe comunque possibile individuare i suoi due piccoli fratelli. I capelli argentei di entrambi splendono in maniera particolare sotto il sole, risultando quasi bianchi, e se Loz potesse guardarsi da fuori si accorgerebbe che lo stesso vale per i suoi.

Considera una sorta di privilegio il condividere quella particolarità con loro, così come gli occhi, di un pericoloso e bellissimo verde capace di ammaliare al primo sguardo...con il giusto atteggiamento.

Kadaj alza per primo lo sguardo verso Loz e agita forte la manina per salutarlo come se non si vedessero da anni.

- Ti stavamo aspettando, volevamo fare un gioco! -

Esordisce il minore, saltando in piedi per regalare al maggiore un abbraccio veloce.

Gonfio di soddisfazione, Loz si stampa in faccia un sorriso quasi ebete. Non solo Kadaj l'ha abbracciato, ma l'hanno anche aspettato per fare un gioco insieme!

- Che gioco? -

Si accomoda a terra accanto a Yazoo, perfettamente di fronte al piccolo Kadaj che tutto accovacciato con le gambine incrociate sembra ancor più minuscolo di quanto non sia.

- Nascondino. -

Risponde Yazoo, distrattamente come sempre, atono come sempre. Se Loz potesse dare una descrizione obbiettiva del fratello di mezzo, direbbe che non sembra interessato a nulla, che gli occhi, belli da far male, si concentrano altrove anche quando parla con qualcuno. Ovviamente, quando questo “qualcuno” che parla non è Kadaj, allora la sua attenzione è tutta per lui.

- Nascondino? -

Ripete Loz, passando lo sguardo da Yazoo – che tutto sembra tranne che disposto a giocare a nascondino – a Kadaj – che invece si trattiene dal saltellare sul posto per l'eccitazione –.

- Sì! - gli risponde il piccolo con un dolce sorriso entusiasta - Ovviamente conti tu per primo, Lozzie. -

Il bambino sta quasi per ribattere che no, non conterà lui, non stavolta. Ma non può contraddire Kadaj e i suoi grandi occhi da cucciolo affranto. Potrebbe fare qualsiasi cosa per quegli occhi.

- Va bene. - borbotta quindi Loz con un mezzo broncio - Ma se non vi trovo in un'ora venite fuori. -

Non come avevano fatto l'ultima volta. Si erano nascosti così bene che Loz aveva vagato per l'orfanotrofio senza trovarli per tutto il giorno. Tutto il giorno, sì, perché se all'inizio era questione di principio trovarli, poi era diventato un bisogno. Preda al panico, aveva cercato dappertutto, dappertutto, senza risultati, e alla fine, pateticamente, si era accasciato da una parte a piangere, pensando che non li avrebbe mai più rivisti. Invece, i due monelli gli erano andati dietro per tutto il tempo, cambiando di volta in volta il loro nascondiglio, ma fondamentalmente seguendolo di nascosto. Alla fine Loz aveva anche dimenticato che stavano giocando e quando erano saltati fuori li aveva solo stretti piangendo. Mai più.

Kadaj scambia uno sguardo con Yazoo, improvvisamente interessato a quello che sta succedendo, e il sorrisetto che nasce sul viso di entrambi fa venire un brivido a Loz che non ha niente a che fare con il freddo.

- Per favore. - piagnucola, senza poterselo impedire - Non gioco altrimenti. -

- Non piangere, Loz. -

Sbuffa Yazoo, con un movimento della manina in sua direzione come a voler scacciare una mosca molesta.

- Non sto piangendo...! -

Non ancora almeno.

- Non litigate. - li riprende il piccolo, le sopracciglia aggrottate in un'espressione sia ferita che arrabbiata - Va bene Lozzie, faremo come dici tu, solo stavolta però. -

- Visto che sei così scarso a nascondino... -

Aggiunge Yazoo, prontamente sgridato da uno sguardo imbronciato di Kadaj.

- Se non ci trovi in un'ora avrai perso e dovrai darci il tuo dolce per una settimana! -

Anche se l'idea di perdere il suo dolce non lo esalta particolarmente, avere la certezza che, vada come vada, comunque riavrà i suoi fratelli, lo fa annuire forte.

Kadaj scatta in piedi con un risolino, subito seguito da Yazoo, più pacatamente.

- Conta fino a cento e poi vienici a cercare! -

Il piccolo si aggrappa al braccio del mezzano e lo trascina via prima che Loz possa anche solo dire “ma non so contare fino a cento!”.

Troppo tardi. I suoi due fratelli sono come furetti: piccoli, agili, veloci. Spariscono alla vista del maggiore così rapidamente che quasi sembra che non siano mai stati lì.

Loz ingoia il groppo che gli ha stretto all'improvviso la gola e prende un profondo respiro.

- È solo un gioco. - si dice, mettendosi le manine sugli occhi – superfluo, visto che anche se tenesse gli occhi scoperti non vedrebbe comunque dove si stanno nascondendo i suoi fratelli - Se in un'ora non li trovo verranno loro da me. -

Dunque comincia a contare.

Non che sia analfabeta o ignorante, è semplicemente solo un bambino che non ha conosciuto scuola al di fuori di quello che gli insegnano le suore e le maestre dell'orfanotrofio, per questo contare fino a cento gli viene tanto difficile.

Probabilmente ci mette più tempo del necessario, cosa che di certo va a favore dei suoi fratelli, e quando apre gli occhi, tanto a lungo nascosti dalle mani messe a coppa sul viso, gli sembra che il mondo sia troppo brillante e acceso e il fastidio della luce glieli riempie di lacrime.

Non piangere, Loz!” gli risuona nella testa con la voce di Yazoo, cosa che lo fa sbuffare come un treno e mormorare tra sé e sé un “Non sto piangendo!” piuttosto stizzito.

Mentre Loz percorre il cortile con gli occhi verdi che schizzano da un lato all'altro, si rende conto di quanto passi inosservato in mezzo agli altri bambini che giocano.

Che sia una sua peculiarità essere insignificante non lo mette in dubbio, non da di certo l'impatto visivo di Kadaj e Yazoo. Ma non invidia i suoi fratelli, anzi, pensa spesso che se qualcosa di buono doveva essere dato ad uno di loro tre, la scelta doveva ricadere tra Kadaj e Yazoo: loro avrebbero saputo sfruttare la meglio qualsiasi dono.

Supera un gruppetto di bambine che giocano ad acchiapparella, evita per pura fortuna una pallonata vagante, ignora lo scivolo – ed è una gran tentazione – e arriva ad una semplice quanto mai ovvia conclusione: i suoi fratelli non si sono nascosti in cortile.

Alzando gli occhi sul palazzone grigio dell'orfanotrofio sente lentamente scivolare in gola una sensazione che associa in automatico alla paura, o ad un attacco di panico imminente, o ad un capriccio, o un piagnisteo in grande stile.

Ci sono migliaia di posti in cui quei due potrebbero essersi ficcati, e Loz lo sa, non ha mica passato una giornata cercandoli per niente.

Avrebbe dovuto mettere come regola che non si dovevano nascondere all'interno. Troppo tardi.

Con un mugolio di frustrazione molto simile ad un principio di pianto, Loz spinge la porta ed è dentro.

Il freddo del corridoio, dopo essere stato al lieve tepore del sole, lo fa tremare violentemente e stringere le braccia intorno al piccolo busto per cercare calore.

L'enormità degli spazi che lo circondano lo fa sentire piccolo, invisibile, e fa scendere a zero ogni probabilità di vittoria sui suoi fratelli.

Sente quasi addosso l'inevitabilità del tempo che scorre, e non gli riesce difficile immaginare la soddisfazione con la quale Yazoo mangerà il suo dolce a pranzo.

Pensa Loz, pensa.” dice a se stesso “Dove non possono essersi nascosti?”

In cucina, ad esempio, lì non è permesso andare a nessun bambino. La dispensa, la stanza della Madre Superiora, il dormitorio delle bambine nell'ala destra del secondo piano, i bagni degli insegnanti.

Sono un bel po' di posti dove non andare, no?”

Un piccolo, misero slancio di speranza gli riempie il petto e gli fa drizzare la schiena.

Sì” pensa, riempito di ottimismo “Posso trovarli.”

Trotterellando per il corridoio si avvia al primo piano. Dubita che si siano nascosti in una delle aule del piano terra e le altre stanze sono per lo più uffici-vietato-l'accesso.

Sale le scale con rinnovato entusiasmo, tanto che dimentica persino di avere freddo.

Guardingo come un animale a caccia, si affaccia dietro l'angolo per sbirciare nel corridoio del primo piano, convinto quasi di poter cogliere i suoi fratelli mentre ancora si nascondono. Il corridoio, però, è deserto. Sbuffando leggermente corre verso la porta del dormitorio che apre piano piano, infilando prima il naso, poi il resto della testa.

Ancora nessuno. I lettini sono stati rifatti, i pigiami sono tutti ripiegati sopra i cuscini, un asciugamani pulito è poggiato su ogni materasso.

Per andare sul sicuro, Loz si abbassa carponi sul pavimento, la guancia schiacciata contro il marmo: controlla sotto i letti, nel caso Kadaj e Yazoo fossero nascosti lì.

Tentativo inutile, a Yazoo non piace la polvere e, per quanto possano pulire c'è sempre qualche batuffolo animato che rotola qua e là soffiato da uno spiffero d'aria.

Nella sua mente, Loz segna con una grossa X il dormitorio, ma nonostante questo quando esce si guarda alla spalle, spaventato dall'idea che possano fargli un agguato quando meno se lo aspetta.

Sbuffando indispettito dalla mancanza di “BUH!” aspettati o meno, corre lungo il corridoio e sale le scale verso il secondo piano. C'è un altro dormitorio da controllare, quello dei bambini grandi.

Ma anche lì, una volta controllato sotto i letti, non trova null'altro che polvere. Anche se quel mucchietto di ciuffetti grigi potrebbe ricordare i capelli di Yazoo.

Il pensiero lo fa sorridere a tal punto che quasi dimentica di essere solo a vagare nella vastità di quei locali vuoti alla ricerca di quelle piccole pulci dispettose.

Lascia il secondo dormitorio e stavolta percorre il corridoio più mestamente. Cerca di fare mente locale dei posti dove ancora potrebbe cercarli e si blocca quando realizza che...che i suoi fratelli potrebbero non rispettare le regole dell'orfanotrofio e infilarsi in stanze in cui in teoria non hanno il permesso di entrare.

L'idea gli stringe tanto il cuore che gli sfugge un singhiozzo.

Non piangere, non piangere!”

Sconsolato e convinto che non potrà mai vincere quel gioco e già dandosi dello stupido per aver accettato, si avvicina ad una finestra aperta da cui coglie i versi divertiti dei bambini che giocano in cortile. Stando sulle punte arriva ad affacciarsi, senza sporgersi troppo – anche perché le vertigini lo assalgono subito e rischia quasi di cadere all'indietro – e può dare un'occhiata giù.

È allora che un flash argenteo attira la sua attenzione e gli occhi verdi saettano in quella direzione come calamitati da un'invisibile magnete.

Kadaj!

Il piccolo è seguito a ruota da Yazoo, corrono a perdifiato tenendosi per mano. Anche da lì, Loz può sentirli sghignazzare alle sue spalle.

Che stupido!

Di certo si erano nascosti al piano terra e non appena l'avevano sentito entrare e poi salire le scale erano schizzati fuori dal nascondiglio in modo da far perdere le loro tracce. Così lui avrebbe perso tutta la sua ora di tempo a cercarli dentro mentre loro, magari, giocavano tranquilli sullo scivolo.

Loz non può non farsi venire il broncio...broncio che viene subito sostituito da un sorrisetto: adesso è lui quello in vantaggio!

Con una risatina che riesce a stento a trattenere, il bambino schizza verso le scale. Scende i gradini a due a due, a quattro a quattro, più veloce che può senza cadere e ruzzolare giù rischiando di farsi un gran male.

Arrivato al primo piano è già pronto ad uscire in cortile come se fosse uno scattista sui cento metri ma...viene afferrato dalla collottola con tanta violenza che squittisce di sorpresa, e viene tirato indietro.

- Loz! -

Gli strilla qualcuno all'orecchio, qualcuno che riesce a mettere a fuoco solo dopo che ha finito di scuoterlo.

I suoi occhioni verdi incontrano quelli marrone smorto di una delle burbere insegnanti, la peggiore, quella che Kadaj ha definito “zitella acida”, anche se nessuno dei tre ha idea di cosa “zitella” possa voler dire.

- Non si corre nei corridoi. -

Strilla ancora la donna, tanto che a Loz fischiano le orecchie. Che voce fastidiosamente acuta!

- M-mi dispiace! -

Piagnucola lui, gli occhi che gli si riempiono già di lacrime.

Sei un frignone Loz.

- Ti dispiace? - ovviamente la maestra non è di buon umore, non è mai di buon umore - Adesso vai subito dalla Madre Superiora. In punizione. -

- Ma... -

Prova debolmente a ribattere ma riceve solo una brutta occhiataccia, una di quelle che zittiscono i bambini all'istante. E Loz è un bambino, di conseguenza chiude la bocca.

Non emette un suono mentre la donna lo spinge verso l'ufficio della Madre Superiora, anche se piagnucola tra sé e sé, tirando su col naso.

Se la Madre Superiora l'ha risparmiato quella mattina solo grazie all'intervento di Kadaj, stavolta non ha nessuno a proteggerlo.

Si lascia guidare fino alla porta dell'ufficio e poi si lascia spingere su una delle sedie lì davanti.

- Stai buono qui finché la Madre Superiora non ti fa entrare, hai capito? - Loz può solo annuire, le sopracciglia argentee strette tra loro e le labbra piegate all'ingiù - Così vedremo se avrai ancora voglia di correre. -

Sicuramente a Kadaj e Yazoo sarebbe venuta in mente una risposta a tono per quelle parole, corredata di sorriso e occhi languidi. Però Loz non è Kadaj e non è neanche Yazoo, quindi il massimo che può fare è stringere le braccia al petto come per abbracciarsi e fissarsi le punta delle scarpe per non incrociare lo sguardo della maestra.

La donna si allontana con passo marziale, volgendogli la schiena, e solo in quel momento Loz trova una risposta adeguata: le rivolge una linguaccia che non potrà mai vedere e che, in realtà, spera che non veda mai.

Se ne sta imbronciato sulla sedia, le braccia strette strette a sé, le gambe immobili, il pensiero fisso ai suoi fratelli. Vinceranno anche se stavolta avrebbe potuto batterli! Chissà che risate si faranno alle sue spalle.

Sta quasi per lasciarsi andare ad un pianto poco dignitoso e disperato che magari gli avrebbe fatto guadagnare punti con la Madre Superiora, quando sente una voce pronunciare il nome di Kadaj. Benché la voce sia attutita dalla porta chiusa dell'ufficio, non è difficile cogliere per lui quelle due sillabe, d'altronde è una delle due parole che più usa e ha usato in tutta la sua vita.

Subito dopo “Kadaj” sente “Yazoo” e allora il suo orecchio si tende, non per curiosità ma per...terrore.

Chi sta parlando dei suoi fratelli con la Madre Superiora?

Sa che non dovrebbe origliare perché è una di quelle cose che non si deve fare mai, però non riesce a trovare nessuna buona motivazione per non farlo.

Gli occhi di Loz percorrono lentamente il corridoio alla ricerca di qualcuno che possa coglierlo sul fatto e, non trovando nessuno, si alza pian piano per poggiare l'orecchio sulla porta.

All'inizio l'unica cosa che riesce a sentire è il proprio battito cardiaco, tanto accelerato da riempirgli la testa e impedirgli non solo di sentire ma anche di pensare.

Tum tum tum tum tum tum tum tum.

Il rombo continuo di un tamburo.

Si obbliga a calmarsi la seconda volta che il nome del suo fratello più piccolo risuona al di là della porta.

È la voce di una donna, indubbiamente, e non è quella della Madre Superiora.

- ...ci piacerebbe adottare Kadaj. - ovattato eppur chiaro. Loz sente il respiro congelarsi nei polmoni, la spina dorsale inviargli un segnale di doloroso pericolo - Non ci interessano gli altri bambini. -

- Vedete, è molto affezionato a Yazoo. -

La Madre Superiora, di certo, Loz distingue la sua voce nonostante ci sia una porta a separarli.

- E il terzo? Com'è che si chiama? -

- Loz. -

- Quanti anni ha? -

- Otto. -

Imbarazzante silenzio all'improvviso, silenzio in cui, per qualche ragione, Loz si sente così sbagliato e fuori posto da aver solo voglia di sparire, essere inghiottito dal pavimento e non tornare mai più, così da liberare il mondo dalla sua indesiderata presenza.

- È un po' grande. -

Commenta la terza voce nella stanza, quella di un uomo.

Una coppia.” suggerisce una vocina all'orecchio di Loz “Una mamma e un papà che vogliono Kadaj.”

- Posso capire. - di nuovo la Madre Superiora - Purtroppo è sempre un salto nel vuoto prendere un bambino così grande, vi invitavo solo a valutare l'opzione. -

- Non ci interessa. - di nuovo la donna per cui Loz prova d'un tratto un rigetto simile solo a quello di un organismo con un organo trapiantato - Ripeto, siamo interessati ad adottare Kadaj. -

- Capite che separarlo dai suoi fratelli potrebbe essere traumatico per lui. - forse la Madre Superiora vuole convincerli? Che non sia così cattiva come Loz aveva sempre pensato? - Potrebbe essere difficile gestirlo i primi tempi, ma vi offriremo tutto il supporto necessario se doveste avere problemi. -

- Quindi possiamo prenderlo? - l'uomo, speranzoso.

- Certamente. Dobbiamo preparare i documenti relativi all'adozione, ci vorrà almeno una settimana. Nel frattempo vi consiglio di cominciare ad instaurare un rapporto con il bambino. -

- Non è bellissimo? - cinguetta la donna, felice tanto da far attorcigliare lo stomaco di Loz - Finalmente quel bambino sfortunato avrà una famiglia. -

Loz allontana l'orecchio dalla porta, un singhiozzo gli occlude per un attimo la gola e gli impedisce di respirare. Gli occhi straripano ma le gambe non tremano. Prima un passo, poi un altro, e sta già correndo.

Kadaj ha già una famiglia. E non glielo porteranno via.

Nella sua corsa disperata investe una bambina che cade a terra e comincia a piangere, ma lo sente solo marginalmente, tutta la sua attenzione è concentrata a cercare i suoi fratelli.

Il cuore gli batte tanto forte in gola che non riesce quasi a respirare, ma non si ferma, non si permette di fermarsi.

Nelle orecchie risuonano le voci della donna, dell'uomo e della madre Superiora. Il dolore quasi lo sopraffà ma resiste.

- KADAJ! - chiama, la voce resa stridula dall'isteria, dalla paura, dal pianto - YAZOO! -

Dove sono? Dove sono?!

Non riesce più a vedere nulla, il panico gli riempie gli occhi e piange, piange senza ritegno, come il bambino che è.

- IL GIOCO È FINITO, PER FAVORE, USCITE! -

- Loz sei il solito guastafeste. -

La voce, svogliata e leggermente arrabbiata di Yazoo, suona alle orecchie di Loz come la cosa più dolce e meravigliosa di quell'universo.

Lo vede spuntare da dietro un albero del cortile, con Kadaj subito dietro di lui.

Loz deve apparire tanto disperato che il fratellino minore appoggia una mano sul braccio di Yazoo come per impedirgli di continuare a parlare, non ha neanche bisogno di guardarlo negli occhi per zittirlo e fargli cambiare atteggiamento.

- Lozzie? Che è successo? Perché piangi? -

- K-K-K-KA-A-A-A-DAJ! -

Singhiozza Loz e si lancia verso di lui, lo stringe tra le braccia di slancio, con tanto impeto che quasi cadono entrambi a terra mentre Yazoo si ritrae giusto in tempo per non essere travolto.

Il pianto disperato del maggiore riempie le orecchie di Kadaj e le sue lacrime finiscono con il bagnargli la spalla e i capelli. La sua piccola manina gli accarezza la testa con dolcezza.

- Lozzie, calmati. - gli sussurra alle orecchie, con una voce tanto gentile e convincente che Loz smette di singhiozzare, anche se le lacrime continuano a sgorgare dagli occhioni verdi - Basta piangere, è tutto okay. Ti sei spaventato perché non ci trovavi? -

- No! - quasi strilla in risposta, e può benissimo immaginare Yazoo alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa, scocciato dal suo comportamento - Adottare! Ti vogliono adottare, Kadaj! -

Il cambiamento è visibile, tangibile.

Kadaj diventa come un piccolo blocco di ghiaccio tra le braccia di Loz, mentre Yazoo lo afferra per la collottola e lo tira via, privandolo di quell'abbraccio solo per mettergli le mani sulle spalle e scuoterlo.

- Che stai dicendo? -

Yazoo non si arrabbia mai, non urla mai, non si scompone. Quindi vedere una qualsiasi traccia di turbamento nel suo volto fa abbastanza paura da far sfuggire un singhiozzo in Loz.

Kadaj affianca i fratelli, sia per calmare il pianto di Loz, sia per placare la paura di Yazoo. Perché l'enorme mostro nero sul fondo degli occhi verdi di Yazoo è paura, senza alcun dubbio.

- Dove l'hai sentito? -

Mormora il piccolo, l'espressione confusa, un tremore appena accennato del labbro inferiore. Non piangerà. Se lo impedisce.

A singhiozzi e cercando di essere il più chiaro possibile, Loz racconta ai fratelli quello che ha sentito, e quando si è liberato di quel peso...si rende conto di aver finito le lacrime e di stare piangendo “a secco”: solo singhiozzi e piccoli, rapidi respiri.

Un terribile istante di silenzio segue le sue parole, un istante in cui Yazoo percorre il corpo di Kadaj dalla punta delle scarpe troppo grandi a quelle dei capelli che gli coprono quasi metà del viso, un istante in cui Loz prova a mettere a fuoco entrambi i suoi fratelli con quegli occhi gonfi e rossi.

Poi un sorriso, un ampio, tranquillo, abbagliante sorriso. Kadaj sorride, così genuinamente ma anche così improvvisamente da essere bellissimo e fuori luogo al tempo stesso.

- Va bene. - dice, la vocetta serena così come il sorriso che si espande agli occhi facendoli brillare - Se è vero quello che hai sentito, li convincerò a prendere anche voi, andremo con loro tutti e tre insieme. -

- Non puoi. - piagnucola Loz che si sente convinto solo in parte dalla serenità del minore - Hanno detto che non ne vogliono sapere niente di altri bambini! Vogliono solo te! -

Kadaj scuota la testa lentamente e con decisione. È chiaro che ha quell'idea in testa e niente, niente, potrà convincerlo a desistere, che stia sbagliando o meno.

- Gli farò cambiare idea. -

- E se non funziona? -

Sentire Yazoo andare contro una decisione di Kadaj non è mai un buon segno. Nessuno dovrebbe andare contro il volere del loro più capriccioso quanto affascinante fratello, e vedere Yazoo farlo è anche più difficile di vederlo sorridere.

Lo sguardo sbigottito di Kadaj dura solo un secondo, poi viene sostituito da uno più deciso e intenso.

- Funzionerà. - e da come lo dice ci crede tanto quanto non ci credono i suoi fratelli - E se non funziona...sarò talmente odioso che non mi vorranno e mi rimanderanno indietro.- Loz avrebbe qualcosa da ridire al riguardo e così anche Yazoo, ma il piccolo abbraccia entrambi, uno con un braccio, uno con l'altro, forte, tanto forte che non si direbbe che un esserino così piccolo sia in possesso di tanta forza. - Nessuno mi porterà via da voi. -

 

A pranzo né Yazoo né Kadaj rivendica il possesso del dolce di Loz. Ma in ogni caso lui non ha fame e la piccola fetta di crostata alla marmellata rimane nel piatto senza essere toccata.

Nessuno dei tre ha mangiato molto, e se per i due più piccoli è anche normale – non hanno la nomea di essere dei gran mangioni – vedere Loz lasciare cibo nel piatto da pensiero.

Sta ancora giocando con la forchetta, infilzandola dentro e fuori la fetta di crostata quando la Madre Superiora arriva per Kadaj.

Anche se dal suo incedere e dalla sua espressione non si direbbe che è qui per quello, i tre fratelli lo sanno benissimo, tanto che si scambiano una rapida occhiata e ognuno sa cosa deve fare.

In mezzo al trambusto della mensa, il vociare dei bambini, il piagnucolio di quelli più piccoli, i rimproveri isterici delle maestre quando qualcuno prova a cominciare una guerra del cibo, il piccolo microcosmo di Kadaj, Yazoo e Loz trova sufficiente stabilità da farli sentire al sicuro.

“Funzionerà” si dicono con gli occhi “Funzionerà.”

- Kadaj, tesoro. - esordisce la Madre Superiora quando ormai è abbastanza vicina al bambino da appoggiargli una mano sulla spalla - Ci sono dei signori che vogliono conoscerti. Hai finito di mangiare? -

Il piccolo annuisce, docile, come se non avesse aspettato altro in tutta la sua vita che quel momento, quell'unico momento.

Sotto il tavolo, per bisogno più che per istinto, Yazoo e Loz si stringono la mano.

- Puoi venire con me, allora? Non ci vorrà molto. -

Che bugiarda.” è il pensiero sibilante di Yazoo.

Calma.” ricambia Kadaj, neanche fosse stato in grado di leggergli nella mente, solo lanciandogli una languida occhiata con l'unico occhio visibile sotto il ciuffo di capelli argentei.

Fai attenzione Kaddie.” è invece il piagnucolante pensiero di Loz.

Il piccolo si alza, il cuore che è una bomba ad orologeria dentro il minuscolo petto. La manina va a infilarsi in quella che la Madre Superiora gli porge, ma non la stringe. Il solo pensiero gli fa salire la nausea.

- I miei fratelli possono venire? -

Meglio buttare subito le basi per quella che sarà la sua più grande vittoria. Ne è così sicuro che riesce persino a sorridere alla donna.

- No tesoro, i signori vogliono vedere solo te. -

Occhiatina triste a Yazoo e Loz, così pallidi che sembrano quasi fantasmi. Il terrore negli occhi di Loz è palpabile tanto che quasi vorrebbe urlargli di distogliere lo sguardo: così fa spaventare anche lui, e lo deconcentra. Deve essere al massimo della forma per poter usare il suo “potete”.

- Poi posso tornare subito? - mormora, con una vocina da pulcino appena uscito dall'uovo, e d'altronde è in quell'età in cui è ancora definibile come un pulcino uscito dall'uovo - Non posso stare senza di loro. -

Se Kadaj avesse un udito sovrannaturale potrebbe sentire il “crack” del cuore della Madre Superiora, in compenso però con gli occhi ci vede abbastanza bene da vedere la sua smorfia di dolore. L'ha colpita in un punto sensibile, e questo è già un buon segno.

- Certo tesoro, certo. Puoi tornare subito. -

La voce della donna è più calda, più gentile, più...convinta. Kadaj sa di avere la situazione in mano.

Mentre si allontana fianco a fianco con lei, si volta appena per rivolgere un sorriso tranquillo ai suoi fratelli. Tornerà subito, e sicuramente con delle buone notizie per loro.

Cammina mano con mano con la Superiora, ripetendosi come una filastrocca nella mente quello che deve fare. I nomi dei suoi fratelli ricorrono diverse volte e in modo così insistente che quando si rende conto che la donna gli ha rivolto la parola è già stato chiamato diverse volte. Non si scusa, bastano i suoi grandi occhioni verdi a far sciogliere lei, come sempre.

- Kadaj. - ripete per quella che deve essere di certo la decima volta - Hai sentito che cosa ti ho detto? -

- No signora, chiedo scusa. -

Una vocina così teneramente addolcita da un'espressione contrita che la Madre Superiora non ha più neanche una traccia di rabbia nei suoi occhi, come se neanche si ricordasse di cosa gli stava dicendo.

- I signori che ti porto a conoscere - un sorriso. Falso, Kadaj può vederlo. Capisce benissimo quando gli adulti gli mentono, quando gli sorridono tanto per farlo stare tranquillo come se fosse troppo stupido per capire. Ma capisce, anche troppo, anche più di quanto loro immaginino, ed è quello su cui punta tutte le sue carte. - sono genitori, una mamma e un papà. -

- Una mamma e un papà per Loz, Yazoo e me? -

Di nuovo con la vocina più tenera, più dolce, più infantile che riesce a tirare fuori, mentre nelle tempie il cuore gli batte così forte che potrebbe scoppiargli la testa.

Paura, da qualche parte prova paura, ma non vuole ammetterlo neanche con se stesso. Non può permettersi di avere paura, altrimenti i suoi fratelli...

- No tesoro. - altrettanto dolcemente risponde la donna, la presa sulla sua manina si fa un po' più forte - Questi mamma e papà vogliono un solo bimbo, e hanno scelto da te. -

Kadaj deve trattenersi dal ridere in faccia alla donna. Che stupida! Come può pensare che a lui vada bene essere portato via da una mamma e un papà che vogliono un solo bimbo? Non è la famiglia adatta a lui, ovvio!

Però sospira e mette su un'espressione quasi dubbiosa, incredula, una di quelle confuse che hanno i bambini quando non capiscono. Anche se Kadaj ha ben capito.

- Ma...Madre Superiora...se vogliono un solo bimbo non va bene, io ho due fratelli. -

La donna quindi si ferma all'improvviso, tanto che Kadaj continua ad andare avanti e rischia di inciampare per come lei lo tira all'indietro.

La guarda abbassarsi, mettersi quasi in ginocchio per essere alla sua altezza, e poggiargli le mani sulle spalle.

- Ascoltami bene, tesoro. - la sua espressione quasi gelida manda su per la schiena dorsale di Kadaj un brivido poco piacevole - Tu vuoi avere una mamma e un papà? Una bella casa in cui stare? Una stanzetta tutta per te? -

- Sì, ma i miei fratelli... -

Chiaramente l'occhiata arrabbiata che gli rivolge basta per fargli morire in gola ogni forma di protesta. Sembra che il suo potere stia perdendo efficacia.

- È davvero molto difficile che una mamma e un papà possano portare via tre bambini tutti insieme, già è difficile che ne prendano uno certe volte, vero? - cerca la conferma di Kadaj che deve, per forza di cose, annuire come se stesse seguendo il suo discorso. Ma sinceramente per lui non ha alcun senso. - Per questo motivo è una buona cosa che tu conosca queste persone, perché ti daranno tutto quello che vorrai. -

- Io voglio i miei fratelli. -

Rigido e con le lacrime che cominciano ad affiorargli agli angoli degli occhi. Perché sembra tutto così inevitabilmente già deciso?

Sii forte Kadaj, devi esserlo. I tuoi fratelli contano su di te.

- Devi decidere. - riprende la donna, la mani artigliate adesso sulle sue piccole spalle - Devi decidere come un bimbo grande. Se rimarrai qui con i tuoi fratelli, nessuno ti adotterà mai, nessuno ti verrà mai a prendere, e quando avrete diciotto anni e non potremo più tenervi qui con noi finirete di nuovo sulla strada. Questa è la tua possibilità per avere una vita diversa, non vuoi vivere per strada come quando vi abbiamo accolti, mh? -

- No...ma... -

Non gli da modo di continuare a parlare dato che lo scuote appena tanto che la voce gli muore di nuovo in gola.

- Anche i tuoi fratelli troveranno un posto dove andare, ma dovete essere pronti ad andarci da soli. Quando sarete più grandi potrete tornare insieme, è solo temporaneo, va bene? -

Avrebbe di che ribattere, anche perché tutte quelle parole gli hanno all'improvviso fatto venire una gran voglia di piangere, tanto forte e impellente che deve ripetersi più volte in mente “Non piangere, Kadaj” capendo alla perfezione cosa prova il fratello maggiore.

Prima che la lingua possa sciogliersi in ulteriori domande senza risposta, la donna si rialza, torna a prendergli la manina e adesso lo trascina verso il suo ufficio, perché non è quasi più in grado di muoversi da solo.

Persa tutta la sua naturale sfrontatezza, rimane solo il piccolo involucro di un bambino di sei anni che ne dimostra molti di meno. Timido, con le braccine strette al petto, i capelli che gli coprono metà del viso: Kadaj non appare come l'esuberante e sempre allegro bimbo di cui la Madre Superiora aveva tessuto le lodi. Ma non per questo i due signori si sentono offesi o delusi o presi in giro: è comunque la cosina più delicata e deliziosa che abbiano mai visto.

La Superiora obbliga Kadaj a salutare come gli hanno insegnato, e dalle piccole labbra esce così un sussurrato “buongiorno” che fa squittire di tenerezza la donna. Così, gli occhi del bambino si alzano piano verso di lei.

“Mamma” non è esattamente la prima parola che assocerebbe a lei. È abituato a vedere signore molto più vecchie di lei venire in orfanotrofio per cercare un bambino da adottare, in quel disperato tentativo di “colmare il vuoto” come dicono alcune maestre. E la sua, di madre, non la ricorda affatto, quindi non ha alcun termine di paragone.

La donna in questione è poco più di una ragazza, anche se Kadaj non saprebbe in alcun modo dire quanti anni ha; di certo agli occhi di un adulto risulterebbe appena sulla trentina. Lunghi capelli castani sono legati a treccia e le scendono sulla schiena ordinatamente, lasciando il viso angelico scoperto in modo che i suoi grandi, e all'apparenza dolci, occhi verdi possano essere in bella vista. Vestita con un semplice tubino abbottonato sul davanti di un bel rosa pastello con un giacchino rosso abbinato con il fiocco annodato in cima alla sua treccia.

Una mamma così, si ritrova a pensare per un attimo – davvero un attimo – Kadaj, gli piacerebbe averla. Riesce ad immaginare la dolcezza con cui gli rimboccherebbe le coperte, gli canterebbe la ninna nanna, e gli porterebbe un bicchiere d'acqua durante la notte se avesse sete. Quel che non riesce a immaginare è avere tutto quello senza i suoi fratelli.

- Ciao. -

La donna ha calamitato tanto la sua attenzione che quando Kadaj sente il saluto, da parte di una voce maschile, quasi sobbalza, spaventato da quella sorpresa inaspettata.

Ma su Kadaj, la Madre Superiora aveva detto “una mamma e un papà” e quello deve essere appunto il papà.

Gli occhioni del bambino si spostano a malincuore dalla donna per individuare la fonte di quel saluto.

Un ragazzo, anche lui, appena sulla trentina, una chioma indomabile di capelli nero inchiostro con sfumature blu che risaltano alla luce, vestito sobriamente con tonalità sul grigio e il blu, come a voler lasciare spazio per il suo luminoso sguardo azzurro ghiaccio, ma un ghiaccio che non gela e non fa male. Un ghiaccio caldo.

Kadaj e i suoi fratelli, quando ancora potevano dormire insieme, hanno passato tante e tante notti parlando di come potevano essere i loro genitori, di cosa poteva essergli successo. E quelle erano le poche volte in cui Loz poteva divertirsi a fare il fratello grande, fingendo di saperne molto più di quanto in realtà sapeva.

Nessuno dei tre ricorda nulla sulla loro famiglia, ma fantasticare al riguardo è un gioco che li diverte.

Il loro papà, a quanto ricorda Kadaj – è un po' che non giocano a quel gioco insieme – dovrebbe essere un guerriero. Valoroso, alto, splendido, forte, con i capelli argentei come quelli che hanno loro. Un guerriero con una grande spada – questo l'ha deciso Kadaj, perché le spade gli piacciono tanto – che è ancora impegnato a combattere i cattivi e che per questo non può tornare a prendersi cura dei suoi bambini.

L'uomo che ha adesso davanti non assomiglia per nulla all'uomo che Kadaj e i suoi fratelli hanno immaginato, anzi, è quasi mingherlino, troppo basso, e brutto, sì, il bambino si dice che è proprio brutto rispetto all'angelico padre immaginario che ha ben dipinto nella mente.

- Come stai campione? -

Sorride l'uomo, il papà, che non sembra essere molto a suo agio, seppur i suoi occhi tanto azzurri brillino di qualcosa che Kadaj non riesce a capire.

Il bambino, in ogni caso, gli rivolgerebbe una smorfia, ma si trattiene.

- Sto bene, grazie. -

Risponde, con la voce un po' più sicura. Un gran bel miglioramento rispetto al “buongiorno” bisbigliato di poco prima, questo perché sta lentamente facendo l'abitudine alla presenza di quei due estranei. Quei due estranei che vogliono separarlo dai suoi fratelli.

- Come ti chiami? -

Come se non lo sapesse già. Il bambino torna a rivolgere lo sguardo alla donna, piegando appena la testina di lato in modo che i capelli scivolino a scoprire l'occhio normalmente coperto dal ciuffo.

- Kadaj. -

La donna cinguetta qualcosa come “oh, ma è adorabile!”, mentre l'uomo gli rivolge un sorrisone.

Li ha già ammaliati.

- Io sono Aerith. - si presenta la donna, una mano sul cuore, neanche avesse a che fare con un animale selvatico e a cui deve far in qualche modo capire che non c'è alcun pericolo - Mentre lui è mio marito Zack. -

L'uomo annuisce, un altro sorriso sulle labbra. Ha una cicatrice a forma di croce sulla guancia, chissà come se l'è fatta. La curiosità di Kadaj lo porterebbe a chiedere, ma rimane immobile come se non fosse interessato a nulla, anche se gli occhi potrebbero tradire l'eccitazione nascosta.

- Quanti anni hai, Kadaj? -

Continua a chiedergli la donna e lui scorge in quella domanda una sorta di piccola, infinitesimale speranza.

I bambini troppo grandi non vengono adottati, no?

- Quattro, ne ha quattro. -

Si intromette la Madre Superiora, poggiando le mani sulle spalle del bambino come a volergli dire tacitamente non emettere un fiato.

Ma raramente Kadaj fa quello che gli si dice di fare.

- Ne ho sei, signora. -

La Superiora gli stringe le spalle tanto da fargli quasi male ma lui non perde in alcun modo la sua espressione tranquilla.

- È solo un bambino, è confuso. È Yazoo ad averne sei, tesoro. -

- No, Yazoo ne ha sette. -

Probabilmente la donna arrossisce e il piccolo sorride nel suo intimo sentendola balbettare non sapendo che cosa dire in risposta.

Kadaj può già immaginare come andrà a finire quella conversazione: la donna – Aerith ha detto di chiamarsi? – guarderà scioccata prima suo marito, poi la Madre Superiora e le dirà qualcosa di indignato come “ci ha preso in giro” che li farà alzare e uscire da quella stanza, e non ne sentiranno più parlare.

- Non importa. - invece dice la mamma, con un sorriso gentile sul bel viso - O quattro o sei rimane comunque un bambino adorabile. -

Se Kadaj non fosse già abbastanza pallido, impallidirebbe maggiormente. Il suo piano non ha funzionato!

Sente come se la prima linea di difesa fosse stata sfondata e lui si trovasse ad un tratto nel bel mezzo della battaglia.

- Allora Kadaj, ci vuoi parlare un po' di te? -

Sembra che la donna sia l'unica a volere effettivamente rivolgergli la parola e che l'uomo sia solo lì per rivolgergli sorrisi, cenni del capo, e brevi monosillabi.

- Ho due fratelli. - dice subito il bambino. È bene mettere le cose in chiaro. - Si chiamano Yazoo e Loz, e io li amo molto. -

- Oh li ami molto. - commenta con un sorriso Aerith, un sorriso che la mente di Kadaj classifica subito come “falso”. Non gli importa nulla di quello che ha appena detto, nulla. - Sicuramente potrai tornare a vederli fin quando rimarremo a vivere in questa città. -

Kadaj gela all'improvviso, sente proprio fisicamente la sensazione di avere muscoli, tendini, ossa e organi ghiacciati. Un freddo così intenso non l'ha mai provato prima, tanto che si chiede se potrà mai tornare a muoversi come prima: ormai le sue braccia e le sue gambe sono congelate in quella posizione. E il cuore, poi, fa così male ad ogni battito, oppresso e schiacciato da quel gelido involucro di ghiaccio.

- Signora, io non voglio andarmene. E non voglio lasciare i miei fratelli. -

Sussurra, così piano che non è neanche sicuro che la donna l'abbia sentito. Ma a giudicare dal suo sorrisetto falso, sì, l'ha sentito eccome.

- Non ti preoccupare, avrai tutto quello che desideri, non ti mancherà niente. -

- Mi mancheranno i miei fratelli. Io voglio i miei fratelli! -

Ora sembra più un piagnucolio e il cuore accelera, accelera, lo sente di nuovo nelle tempie così forte da fare male.

- Non ne sentirai la mancanza, avrai giocattoli, e un cagnolino se ti sentirai solo. Sarai felice! -

- Non posso essere felice senza di loro! -

Stridula, sottile, la sua voce vorrebbe essere un urlo isterico, ma si risolve in un sussurro disperato e strozzato come se gli avessero stretto una mano intorno alla gola.

- Quando possiamo firmare i documenti? -

L'uomo, rivolto alla Madre Superiora.

- Non prima di una settimana, come vi dicevo. -

- Benissimo, ci piace davvero tanto. Andremo d'accordo! -

La donna, che guarda il marito, che gli sorride, che torna a sorridere a Kadaj.

Non ti chiamerò mai mamma” urla nella sua mente, visto che ormai non ha più voce, visto che trema tutto tanto forte da avere paura di mordersi la lingua nel qual caso dovesse aprire la bocca “Non sarai mai la mia mamma!”

Ma gli adulti non ascoltano la sua voce, non sentono i suoi pensieri, non vedono neanche le sue lacrime quando comincia a piangere, in silenzio, singhiozzando tutto stretto in se stesso.

 

- Perché non torna ancora? -

Per il momento, nessuno sgrida Loz perché è nella stanza dei bambini nell'età della grazia, visto che non è ancora ora di andare a dormire e che non devono seguire alcuna lezione.

I letti sono quasi tutti vuoti, i più piccoli tra loro sono quelli che passano più tempo al nido, a cantare canzoncine su quanto è bello essere scelti da una famiglia e quanto sono fortunati ad aver avuto una seconda possibilità.

Yazoo sbuffa dal naso, ma non perché lo scocci la domanda di Loz, ma solo perché ha dei nodi ai capelli che non riesce a sciogliere in alcun modo ed è fastidioso: i suoi capelli devono essere perfetti, impeccabili, stupendi. Continua a pettinarli con le dita in assenza di una spazzola – cosa che non può che farlo infastidire di più – e fissa un punto sul muro di fronte a lui, fingendo che non sia preoccupato quanto lo è il fratello maggiore.

- Allora? Yazzie? Perché non torna ancora? -

A quel punto, Yazoo deve distogliere la sua attenzione dai capelli per fissarla sul fratello, pigramente, lentamente, una calma che tradisce in realtà il tumulto nei suoi grandi e limpidi occhi verdi.

Vorrebbe dirgli, come sempre, “Non piangere Loz”, ma comincia ad avere voglia di piangere anche lui, e non vuole di certo fare quella brutta figura con lui.

- Non lo so. - si stringe nelle spalle il piccolo, le dita che continuano a cercare di districare i nodi nei capelli. Nodi che ormai, tra l'altro, ha quasi del tutto sciolto - Staranno parlando, no? -
Loz finisce con l'abbassare lo sguardo sulle proprie manine, intrecciate l'una all'altra come per darsi conforto. Vorrebbe tanto stringere quella di Yazoo, ma sa che il fratello non lo sopporterebbe, quini non glielo chiede neanche. Si limita a stringere le proprie stesse mani, e immaginare che quella stretta venga da qualcun altro.

- Stanno parlando, sì. - mormora in risposta alle sue parole - Stanno solo parlando, non vuol dire niente se ci stanno mettendo tanto tempo. -

Ma ha un limite di tolleranza.

Conto fino a cento” si dice “Come per il nascondino. Se non è ancora tornato quando ho finito di contare, lo vado a cercare.”

L'idea di avere un punto di partenza, un punto di fine, e qualcosa da fare che lo distolga dai brutti pensieri, placa il suo animo abbastanza da far scomparire temporaneamente il bisogno di piangere.

Quindi comincia a contare, lentamente, perché vuole essere sicuro di non sbagliare i numeri e di contarli proprio tutti. Si ripete per bene quale numero viene dopo e quale dopo ancora prima di considerarlo come “contato”.

È arrivato a sessanta quando Kadaj viene spinto gentilmente dalla Madre Superiora dentro la stanza.

I due fratelli si mantengono calmi in presenza della donna, ma la prima cosa che entrambi notano sono le lacrime che rigano le guance del più piccolo.

Già solo pensare che abbia pianto in loro assenza, che gli abbiano fatto male e che non siano stati lì a difenderlo fa sentire entrambi come se avessero fallito nel compito più grande che gli è stato affidato: proteggere Kadaj, a costo della vita.

Non un fremito, anche se Loz può sentire il cuore farsi in frantumi ad ogni singhiozzo che Kadaj cerca di trattenere, mentre gli occhi di Yazoo sono tanto gonfi di rabbia che gli basterebbe una parola per esplodere: chi ha osato toccare il suo angioletto?

La Madre Superiora non rivolge loro neanche una parola, e i fratelli per conto loro non sarebbero comunque stati lì a sentirla, anzi. Si limita a poggiare una mano sulla testa di Kadaj come consolazione e poi lascia la stanza.

Rimasti soli, il primo a saltare al collo del più piccolo e Yazoo, seguito a ruota da Loz che trattiene a stento il pianto che gli opprime la gola.

Sono forte.” si dice il piccolo Kadaj “Non piangerò, sono forte.”

Non ha neanche finito di pensare quelle parole che esplode in un pianto disperato, appendendosi come se non ci fosse altro di più saldo al mondo della vita di Yazoo. Affonda la testolina nel suo petto e piange, piange come non ha mai fatto nella sua giovane e breve esistenza, o quanto meno, come non ricorda di avere mai fatto.

- Kaddie? Che cosa è successo? -

Mormora Yazoo. Tutto d'un pezzo come una bellissima e fredda statua, e orribile vedergli tremare il labbro con gli occhi pieni di lacrime pronte a traboccare. È troppo per Loz, che pur silenziosamente...piange.

Il piccolo non riesce ad emettere un suono diverso da un singhiozzo e un lamento impastato di lacrime, impossibile capire anche solo una parola.

Gli occhi di Yazoo si puntano su Loz, una tacita quanto accorata richiesta di aiuto.

Anche attraverso il velo di lacrime che gli impedisce di capire cosa gli stia attorno, il più grande annuisce e si avvicina per sollevare tra le braccia il piccolo Kadaj.

Trema come un pulcino, e tanto rannicchiato in se stesso sembra ancora più piccolo.

Dopo la disperazione e le lacrime, quel che prova Loz è una sorda e orribile rabbia. L'oppressione al petto vorrebbe esplodere come una bomba, un urlo vorrebbe raschiargli la gola finché non gli rimane più voce.

E non è solo rabbia nei confronti di chi ha fatto tanto male a Kadaj da ridurlo in quello stato, ma anche rabbia con se stesso per non essere stato lì per impedire che accadesse.

Lentamente deposita il corpicino tremante del fratello sul letto, Yazoo si accoccola subito alla sua destra, mentre Loz lo abbraccia da sinistra, appoggiandogli delicatamente la testolina sul proprio petto.

Una mano ciascuno, i due più grandi cercano di tranquillizzarlo. Inutile chiedergli di parlare quando ancora è scosso dai singhiozzi. Hanno aspettato tanto, quanto meno adesso sanno che è lì, tra le loro braccia.

Dover sopportare il suo pianto in silenzio non fa che far montare la rabbia, e la paura. Le domande che si inseguono nella mente di Loz trovano risposta in quella di Yazoo, come se potessero leggersi nel pensiero, come se bastasse quel silenzio per capire. Ma finché Kadaj non parla, non potranno avere conferme.

Passa un tempo indefinito, Loz è arrivato a contare, a modo suo, fino a cento, mentre Yazoo è arrivato a mille.

Finalmente il piccolo prende un profondo respiro, singhiozzi e lacrime cessano, i suoi occhi verdi, grandi e arrossati dal pianto si alzano per cercare quelli dei fratelli, come per avere una conferma, come per accertarsi che loro siano ancora lì e non lontani, spariti, strappati dalle sue braccia come in un orribile incubo.

Stringe le loro mani come loro stanno facendo con le sue.

- Vogliono portarmi via. -

Sono le flebili parole che escono dalle labbra di Kadaj. E non c'è bisogno che aggiunga altro: Yazoo e Loz hanno già capito.

Loz stringe più forte il piccolo al petto, il cuore che all'improvviso invece di accelerare i battiti si placa, come se non potesse più provare paura, come se non fosse neanche più in grado di piangere. Forse forse ha finalmente finito le lacrime.

- Dobbiamo andarcene. - i suoi fratelli lo guardano con un cipiglio incuriosito. Nello sguardo di Yazoo c'è più incredulità che altro. - Dobbiamo andarcene. Non ti porteranno via se ce ne andiamo prima. -

Loz si morde il labbro inferiore, pronto a ricevere le rimostranze di Yazoo, ma è Kadaj a impedire che accada.

- Stanotte. - con la voce roca di chi ha pianto anche troppo - Andiamocene stanotte. Troveremo una famiglia che ci voglia tutti e tre. - le sue piccole braccia cercano di stringere entrambi i suoi fratelli come per farseli aderire al corpo in modo da diventare un'unica persona, un'unica entità. Nella sua mente torna l'immagine di quella finta madre, di quella donna che avrebbe voluto prenderlo e strapparlo da tutto ciò che ha di più caro, Aerith. E subito gli è chiaro cosa devono fare, chi devono cercare. - Non ci fermeremo finché non avremo trovato una mamma che ci prenda tutti. -

E la parola di Kadaj è legge.

*

 

Freddo. Il fiato che si condensa in nuvolette ad ogni respiro. Il battito ritmico del cuore che accompagna i passi lungo il corridoio. Ombre che si muovono negli angoli create per lo più dalla paura dell'ignoto.

Loz scivola silenziosamente dentro il dormitorio, lo zainetto sulle spalle pieno di tutto ciò che crede possa essere utile per la loro fuga: biscotti, acqua, una coperta, con l'innocenza della sua età si sente immortale, indistruttibile. Erroneamente ottimista.

Nella sua immaginazione vede chiaramente se stesso e i suoi fratelli bussare ad una porta e trovare una famiglia pronta ad accoglierli. Pensa che basti semplicemente chiedere aiuto per riceverlo, pensa che nessuno possa voltargli le spalle. Pensa che basti rimanere insieme, uniti.

Kadaj e Yazoo sono già svegli, anche loro pronti per la fuga, gli stessi zaini carichi di speranze e una coperta per combattere il freddo.

Non hanno bisogno di parole quando si scambiano uno sguardo complice e deciso.

Sono pronti, forse lo sono sempre stati. Hanno già affrontato la strada e sono sopravvissuti, perché dovrebbe essere diverso adesso?

Quante volte erano scappati da luoghi che credevano essere sicuri? Tante che Loz non riesce a contarle, tante che si perdono nella memoria.

Fin dalla nascita nessun posto è mai stato realmente sicuro per loro.

Un cenno di assenso dal piccolo Kadaj è il loro “via!”.

In punta di piedi percorrono il dormitorio, sapendo che non è l'ostacolo più difficile da superare. L'adrenalina che muove i loro passi li rendono quasi impermeabili al freddo e al buon senso, niente conta più in quel momento come la fuga. Devono lasciarsi l'orfanotrofio alle spalle, deve essere il più lontano possibile sulla linea dell'orizzonte prima che sorga il sole.

Il corridoio deserto, abitato solo da sporadiche ombre, lo percorrono in fretta, quasi correndo, i passi felpati di chi è fin troppo abituato alla fuga, di chi non ha mai provato fiducia.

Appiattiti contro il muro, tre figure che sono l'una il ricalco dell'altra, scendono le scale, senza bisogno di guardarsi per sapere cosa fare, dove andare, dove mettere i piedi.

Il portone d'ingresso è ad un battito di ciglia da loro. Il portinaio nella guardiola dorme della grossa, come sempre, fa quasi pena. Ringrazieranno la sua scarsa professionalità quando tutto quello sarà finito.

Loz si trattiene dal fermarsi per rivolgergli una boccaccia, non vorrebbe perdere di vista i suoi fratelli, né tantomeno rischiare di svegliarlo. Benché l'istinto sia difficile da opprimere, allontana il pensiero e si limita a guardare l'uomo con la coda dell'occhio mentre Kadaj, con le manine che non tremano neanche per un attimo, gira e tira il chiavistello per aprire il portone.

Un lieve cigolio interrompe il silenzio della notte e i tre fratelli trattengono il fiato all'unisono. Yazoo si porta alla destra di Kadaj quasi automaticamente, così come Loz alla sua sinistra, neanche si aspettino che creature oscure o nemici armati sbuchino dalle ombre per quel loro minuscolo passo falso.

Niente. Il portinaio dorme ancora, le ombre sono ombre, e il portone adesso è aperto.

L'aria della notte, frizzante sulla pelle, colpisce in pieno il visetto accaldato di Kadaj.

Libertà, a pochi passi, lungo la strada, tra le case, nel cielo trapunto di stelle. Libertà per sé, per Yazoo e Loz.

- Andiamo a cercare la Mamma. -

Mormora Kadaj, e muove un passo nella notte, poi un secondo, poi un terzo, seguito dall'eco dei passi dei suoi fratelli.

 

Per quanto siano decisi ad allontanarsi il più possibile, sono pur sempre gambe di bambini quelle che li sorreggono, per questo, dopo due lunghissime ore di camminata, è Loz il primo a lamentare i segni della stanchezza. Anche se non emette un gemito, si può vedere sul suo volto, continuamente teso in piccole smorfiette insofferenti, e nel modo in cui barcolla ad ogni passo.

Ma nonostante questo non vuole essere il primo a cedere, non sapendo di essere il più grande, quello con più responsabilità. Se non è lui il sostegno dei suoi fratelli minori, a cosa si appenderanno quando avranno bisogno? Deve essere la colonna, il pilastro, l'appoggio che gli serve quando gli serve.

La notte gelida rende irrespirabile l'aria, e le dita delle mani cominciano a ghiacciare, così come l'asfalto sotto i suoi piedi, che scricchiola pericolosamente, coperto da un sottile strato di ghiaccio.

La temperatura deve essere sotto lo zero. Nessuno osa avventurarsi fuori casa a quell'ora e con quel freddo. È una città fantasma quella in cui i tre bambini si muovono, come se una calamità vi si fosse abbattuta prima del loro arrivo, lasciando solo gli scheletri delle abitazioni e i fantasmi di chi vi ha abitato.

L'orfanotrofio non è ancora abbastanza lontano, nonostante i loro sforzi. Loz, in coda ai tre, girando la testa è ancora in grado di vederlo. Questo vuol dire che non possono fermarsi.

In lontananza risuonano i rintocchi di un orologio, così espansi e dilatati che è impossibile capire da quale direzione provengono.

Le tre, le tre di notte.

Kadaj si volta solo un attimo per controllare che Yazoo e Loz stiano bene, ma capisce subito quanto sono stanchi, lo è anche lui. Potrebbe passare delle ore a lamentarsi dei piedi gelati, del naso che non sente più, delle gambe rigide per il freddo, delle mani dalle dite insensibili, del sonno che comincia a chiudergli occhi e incollargli le ciglia. E sa che è lo stesso per loro.

- Fermiamoci. -

Squittisce, con la vocina resa piccola dalla stanchezza e dal freddo.

Nessuno dei due ribatte, anzi, sono ben lieti di obbedire.

A quel punto, gli occhi dei due più piccoli si rivolgono al maggiore. Si sono nascosti tante volte, sono scappati tante volte, sono sopravvissuti tante volte, solo perché Loz ha detto loro come fare, solo perché li ha nascosti negli anfratti più bui.

Il bambino si guarda intorno, squadrando la notte come se potesse ricavare da ogni angolo un rifugio sicuro dove potersi abbandonare al sonno.

Con la testa indica un vicolo, stretto e dimesso, di certo cieco. Chi dovrebbe andarsi a ficcare in quel budello di strada?

Con passetti sicuri, i bambini seguono l'indicazione del più grande e imboccano il vicolo.

Il cassonetto vuoto della spazzatura addossato contro il muro offre loro un posto dietro il quale accoccolarsi.

In silenzio, come se stessero officiando un qualche rituale, Yazoo tira fuori la coperta dal suo zainetto. Kadaj è il primo ad accoccolarcisi dentro, seguito da Loz e Yazoo da un lato e dall'altro che si stringono addosso a lui con la coperta a coprirli.

Il caldo del loro corpi è sufficiente per farli subito sbadigliare per il sonno. Schiacciati contro il fianco del cassonetto, stretti come se fossero una persona sola, si addormentano, fingendo di non sentire il freddo, fingendo di non avere paura, fingendo di sperare che andrà tutto bene. Come sempre.

 

Non è il gomito di Yazoo conficcato tra le costole a svegliare Loz. Ma è l'odore di qualcosa di preoccupante nell'aria che gli fa spalancare gli occhi.

Metallico, secco, denso e caldo, un odore che non aveva mai sentito prima ma che riconosce quasi per istinto.

Si accerta che i due fratelli stiano ancora dormendo prima di affacciarsi dal nascondiglio per controllare che tutto, nel vicolo, sia come l'hanno lasciato quando si sono addormentati.

Le prime luci dell'alba colorano il cielo di un velo color pesca, in lontananza comincia a svegliarsi anche la città, i rumori di saracinesche che si alzano è il segno che i lavoratori più mattinieri sono già all'opera.

Gli occhietti impastati dal sonno di Loz scrutano curiosi la strada e per un momento non è il freddo a farlo rimanere di ghiaccio, ma la paura.

Sgranati e grandi per la sorpresa, le pupille si fanno piccole come spilli mentre il cuore prende a martellargli forte in petto. La mente gli suggerisce un'unica, soffocante parola: pericolo.

L'uomo in piedi nel vicolo tiene in mano una pistola, mentre quello riverso ai suoi piedi, legato e imbavagliato, si dibatte ferocemente nel tentativo di liberarsi. L'odore che impregna l'aria è ora riconoscibile e riconducibile a quello che Loz vede come brillante e intenso, come se avesse luce propria: sangue.

Sangue sulle mani dell'uomo armato, sui suoi vestiti, sulla canna della pistola. Sangue anche sull'uomo legato, in corrispondenza dei legacci che gli tengono stretti polsi e caviglie, e sul viso, anche se il bambino può vederne solo una parte, tumefatto da chissà quali e quanti colpi.

- Mi dispiace che debba finire così. Ma non ci sei più utile. -

Cinguetta l'uomo con la pistola. Ora Loz può vederlo, sfocato dalla paura ma con lineamenti ben definiti. Un giovane uomo stretto in una divisa nera, scarpe nere, pantaloni neri, giacca nera, camicia bianca appena sbottonata sul petto, sporca di minuscole goccioline di sangue che sembrano quasi decorazioni floreali. Un fisico asciutto e un viso troppo gentile per non cozzare con il contesto. Occhi verde smeraldo, brillanti, due segni orizzontali rossicci sugli zigomi, una zazzera di capelli rosso fuoco incolti, lunghi, tenuti insieme da un codino sottile.

Click, l'uomo carica l'arma. Una voce nella testa di Loz urla di tirarsi indietro, di tornare a stringersi ai suoi fratelli, di nascondere la testa e stringere gli occhi così da non vedere quello spettacolo. Ma il corpo non reagisce, immobile, non può che essere spettatore innocente.

L'uomo imbavagliato prova ad urlare, ma contro il bavaglio le sue urla risultano attutite e sconnesse, qualsiasi cosa voglia dire, non riuscirà mai a dirla in modo chiaro e distinto, perché il rosso gli punta alla testa la pistola e spara, dritto tra gli occhi.

Il colpo risuona nel vicolo come il colpo di un cannone, l'uomo non ha ancora smesso di dibattersi quando la paura tradisce Loz e gli fa emettere un urlo spaventato.

I due bambini si svegliano di soprassalto, più per l'urlo che per lo sparo. Yazoo ha già pronto un rimprovero indelicato nel confronti del fratello maggiore, convinto che non ci sia ragione per Loz di fare tutto quel baccano. Kadaj rinviene dal sonno con un piccolo pigolio assonnato, la manina che cerca quella di Loz come per confortarlo. Magari ha fatto un brutto sogno ed è per questo che ha urlato.

Il maggiore non ha neanche il tempo di realizzare tutto quello che si sente afferrato per la collottola e sbalzato indietro.

Sbattuto al muro, gli si mozza il fiato e la vista si annebbia per un momento. Un altro click e sente un freddo metallico proveniente da qualcosa appoggiato contro la sua tempia.

- LOZ! -

Lo strillo spaventato di Kadaj gli arriva da molto, molto lontano, tanto lontano che, intontito dalla botta, non riesce neanche a dirgli di scappare, di portare con sé Yazoo e correre, correre più velocemente che possono.

- Bene, bene, bene. - canticchia la voce del rosso. L'oggetto metallico, che chiaramente Loz adesso identifica come la pistola, si stacca dalla sua tempia per puntarsi nell'angolino dove si trovano i due bambini. Loz emette un mugolio di disperazione mentre gli occhi tornano a vedere e realizza che i suoi fratelli sono in pericolo. - Cosa abbiamo qui? Bambini dimenticati? -

- Lascialo andare! -

Tremula, la voce di Kadaj.

Quando Loz sente il secondo sparo il cuore gli si ferma per un attimo. È già pronto a vedere il corpo del fratello minore accasciarsi senza vita sull'asfalto, gli occhi spalancati e spaventati, non consapevoli della morte. Il pianto inevitabile che ne segue lo scuote tutto e non riesce a non tenere gli occhi strizzati. Finché non guarda, niente sarà reale.

Però, in seguito allo sparo, Loz non sente il tonfo di un corpo che cade a terra, anzi, sente il sommesso singhiozzare della voce di Kadaj. Allora si arrischia ad aprire gli occhi.

Il rosso ha sparato, ma non ha colpito nessuno dei due fratelli, ha mirato a qualche centimetro sopra le loro teste: il segno lasciato dal proiettile è visibile anche ad occhio nudo.

- Silenzio, moccioso. - continua il rosso. Non può aver sbagliato, non ad una distanza tanto ravvicinata. Il suo errore è stato voluto. Forse non vuole ucciderli. Forse hanno una speranza. Gli occhi verdi dell'uomo si puntano in quelli di Loz, mentre la canna della pistola, di nuovo carica, torna ad essere rivolta verso i due bambini. Tacitamente gli ordina di non muoversi. - Che cosa hai visto? -

Soffia sul volto di Loz, tanto vicino che può sentire il puzzo del sangue sui suoi vestiti, che può vedere nei suoi occhi che non c'è pietà se non la meritano.

- Niente. - risponde immediatamente il bambino, non un balbettio - Niente signore, non ho visto niente. -

Nei lunghissimi secondi che seguono, Loz è costretto a valutare le sue opzioni. Potrebbe tentare di sferrare una ginocchiata allo stomaco del rosso e sperare che sia sufficiente perché molli la presa dal bavero della sua giacca e gli consenta di scappare. Potrebbe rimanere immobile e aspettare la sua reazione, sperando che lo lasci andare senza conseguenze.

Oppure, potrebbe pregare che lo uccida per primo, rapidamente, così da non dover essere costretto a vedere anche i suoi fratelli morire.

- Niente. - ride il rosso, scuotendo appena la testa - Sei un bambino intelligente, mh. - Loz non osa, non osa staccare gli occhi da quelli di lui per lanciare uno sguardo ai suoi fratelli. Non osa, perché ha paura che abbandonare quello sguardo adesso possa fare la differenza tra la morte e la salvezza. - Eppure ti ho visto, stavi spiando. -

- No signore. - tenta il bambino, la voce sempre più stretta, sempre più sottile - Non ho visto nulla, glielo giuro. -

- Mh... - commenta solo il rosso, con lo sguardo pieno di qualcosa di indecifrabile. Loz vorrebbe vederci pietà, vorrebbe vederci un assenso...ma non riesce a scorgere niente di buono, niente per cui valga la pena sperare. - Sei un piccolo bugiardo. - sorride lui, scuotendo la testa - Dovrei ucciderti, sai. - il cuore del bambino manca un battito e il suo visetto impallidisce di colpo, tanto che sembra sul punto di svenire - Ma poi dovrei uccidere anche quei due. - con la canna della pistola indica i due bambini più piccoli, stretti l'uno all'altro come per farsi più grandi di quello che sono, come se bastasse per difendersi e farsi scudo dai proiettili - Ed è una gran seccatura per me, sai? -

Dondola la pistola su e giù, passando da Yazoo a Kadaj lentamente.

- NO TI PREGO. - strilla Loz, attirando nuovamente l'attenzione del rosso - Per favore, per favore. Loro dormivano, non sanno che cosa è successo, io ho visto tutto! Io ho visto che sparavi a quell'uomo e lo uccidevi, per favore, lascia stare loro, per favore, per favore... -

Dopo di che le lacrime gli ostruiscono la gola con violenza e i singhiozzi lo scuotano a tal punto che non riesce ad emettere nessun altro suono.

Tremante tra le mani di quell'uomo, non può neanche proteggere i suoi fratelli, non può fare nulla che non sia rimanere lì, immobile, in lacrime. Che razza di fratello maggiore è?

- Quanti anni hai, ragazzino? -

- O-otto. -

Mormora, quando riesce a calmare i singhiozzi abbastanza da potergli rispondere.

- E quelli? Sono tuoi amici? -

Di nuovo, il rosso indica i due bambini con la canna della pistola, e nella sua mente Loz riesce a vedere il momento in cui premerà il grilletto, uccidendoli entrambi davanti ai suoi occhi.

- I...m-miei fratelli. Sono i miei fratelli. -

Un po' più sicuro, cercando di trattenersi il più possibile, anche se le lacrime scendono inesorabili dagli occhi.

- I tuoi fratelli, mh. E da dov'è che venite? Dove sono i vostri genitori? -

- Siamo orfani. Non abbiamo nessuno. -

Un miracolo, per Loz si tratta di un miracolo. Il rosso abbassa la pistola, inserisce la sicura, e la infila nella fondina alla cintura. Con un sorriso sottile sulle labbra, lascia andare il bambino, che si accascia a terra, le gambe che tremano troppo per tenerlo in piedi.

Considerando la minaccia scampata, Kadaj non riesce a trattenersi al correre al fianco del fratello, seguito a ruota da Yazoo. I due bambini lo abbracciano, protettivi, il più piccolo gli afferra il viso per accertarsi che stia davvero bene, che non ci siano danni invisibili su di lui.

- Potreste essere utili per la Shinra. - commenta, di nuovo sorridendo, il rosso, flettendosi sulle ginocchia per essere all'altezza dei loro occhi - Che ne dici, ragazzino. Tu e i tuoi fratelli volete una casa? Potrei risparmiare le vostre vite se lavoraste per noi. -

Benché Loz voglia chiedere chi siano questi “noi”, cosa vogliano e perché, l'istinto di sopravvivenza gli dice che devono accettare, che se dirà di no sia lui che Yazoo che Kadaj verranno uccisi in quel vicolo.

Non ha bisogno di cercare lo sguardo dei fratelli per rispondere, gli basta annuire per accettare l'offerta dell'uomo.

- Bene, io sono Reno. Benvenuti nella Shinra. -

 

*

 

Loz tiene strette le mani dei suoi fratelli mentre cammina, consapevole del fatto che se dovesse lasciarli non sarebbe più grado di reggersi in piedi. Quella piccola, intensa stretta intorno alle manine di Yazoo e Kadaj gli da la forza per continuare ad avanzare.

La presenza di Reno alle loro spalle, è tanto pressante e pesante che Loz riesce a sentirla senza neanche voltarsi. E d'altronde, la pistola che gli tiene incollata tra le scapole basta e avanza per fargli capire che è ancora lì, e che non ha intenzione di lasciarli andare.

Basta una leggera pressione della canna della pistola verso destra, e Loz si costringe a muovere i piedi verso destra.

Anche se incontra più volte gli occhi di Kadaj, imploranti e spaventati, che lo fissano come se potesse dargli tutti le risposte che cerca, il maggiore obbliga se stesso a non soffermarcisi troppo, a non guardarlo troppo, a non perdersi troppo in quei pozzi verdi intenso. Altrimenti scoppierebbe a piangere, si scioglierebbe in lacrime che non saprebbe in alcun modo controllare o fermare, e dubita del fatto che Reno possa essere tollerante con i capricci di un bambino.

Una pressione a sinistra, a Loz da bravo guida i suoi fratelli a sinistra.

Camminano ormai da un'ora buona e a giudicare dalla frenesia nelle strade la città si sta svegliando. Eppure, nessuno nota i tre bambini scortati a vista dal rosso e losco figuro, tanto vicino e stretto nella sua giacca nera da dover per forza sembrare ambiguo. Sta nascondendo una pistola dannazione!

Gli occhi di Loz cercano di continuo quelli degli adulti intorno a lui, quelli che li incontrano per caso, quelli che passano anche solo per sbaglio e si accorgono della loro presenza. Ma nessuno, nessuno sente il suo tacito richiamo d'aiuto, nessuno si rende conto di quanta paura abbia, di quanto stia tremando, di quanto abbia bisogno dell'attenzione di un adulto in questo momento.

Ma, come aveva detto Reno, loro sono bambini dimenticati, abbandonati, lasciati al mondo con la sola colpa di essere nati senza essere voluti.

Che siano vivi o morti non fa alcuna differenza.

Inghiottendo le lacrime e stringendo più forte le mani dei fratelli, Loz segue le indicazioni minacciose di Reno e cammina, cammina, cammina tanto che non sente più i piedi, con l'aria gelida del mattino all'apparenza refrattaria al calore del sole nascente.

Più proseguono, più è chiaro che si stanno avvicinando alla parte industriale della città, meno trafficata.

Yazoo sussurra qualcosa tra sé e sé e anche se Loz non può sentirlo è chiaro che ha detto di essere stanco. Lo capisce, neanche lui riesce più a muovere un passo, ha le gambe rigide che non rispondono ai suoi comandi.

Ma cosa succederebbe se si fermasse? È quello che prova a dire a Yazoo guardandolo, una supplica silente negli occhi: continua a camminare!

E così fanno, tutti e tre, sapendo di avere la morte alle spalle.

Quando arrivano davanti ad un vecchio palazzo industriale, mal ridotto – forse semplicemente mai terminato e mai stato “ben ridotto” – finalmente Reno si ferma e loro con lui.

- Siamo arrivati bambini, casa dolce casa. -

Se solo fossi più grande.” pensa tra sé e sé Loz, le lacrime a stento trattenute da uno slancio di forza di volontà “Se solo fossi più alto, più forte.”

Nessuno potrebbe fargli del male, nessuno toccherebbe i suoi fratelli. E Reno non li spingerebbe ad entrare nel palazzo, la pistola ben in vista come a dirgli che non sono ancora fuori pericolo.

Percorrono il breve tratto di strada sterrata fino all'ingresso, e non appena oltrepassano l'ingresso è l'aria che cambia, come se tutto d'un tratto fosse impregnata di qualcosa di orribile, un presentimento forse, o sangue, esattamente come nel vicolo.

Più di un paio d'occhi si puntano sui tre bambini e su Reno, che si porta davanti a loro.

Loz lancia giusto uno sguardo indietro e valuta l'idea di scappare, di trascinare i suoi fratelli in una corsa disperata verso quello spiraglio lasciato aperto, ma gli basta realizzare che tutti i presenti sono armati per decidere di non muovere un passo, e lo stesso comunica a Yazoo e Kadaj, stringendogli forte le mani.

- Dov'è il capo? Gli ho portato carne fresca! -

Cinguetta Reno, con quel suo fare baldanzoso che sembra sempre troppo sicuro di sé, troppo spavaldo, troppo fiero. Ha ancora le mani sporche di sangue, puzza ancora di morte. Ha lasciato il corpo di quell'uomo nel vicolo senza voltarsi indietro neanche una volta.

Al solo pensiero che sarebbe potuto accadere anche ai suoi fratelli, Loz trema tanto che quasi gli battono i denti. Fortuna che tiene stretta la mascella, così neanche un singhiozzo può superare la barriera.

- Tu ci hai portato delle palle al piede. -

La voce dell'uomo proviene dalla loro destra e i bambini non possono fare altro che voltare la testa in quella direzione.

L'uomo in questione, seduto sulla sedie a rotella, sembra essere quasi sul punto di morte visto com'è pieno di fasciature. Solo un occhio è visibile, quello destro, azzurro ghiaccio, che si fissa immediatamente sui tre. È quasi automatico il gesto di stringersi a Loz di Yazoo e Kadaj, come se potessero ricevere da lui conforto e sicurezza. Ma Loz trema di paura.

- Andiamo Boss. - Reno giocherella con la pistola, bloccando e sbloccando la sicura - Il più grande lì - e indica Loz con la canna dell'arma - ha l'età giusta per cominciare a lavorare per noi. Può essere un buon corriere, e gli altri due possono imparare. Abbiamo bisogno di qualche faccia nuova. -

- Sarò io a decidere se avremo bisogno di facce nuove, Reno. - pacato, l'uomo neanche si avvicina ai tre bambini, come se fossero qualcosa di orridamente sporco e nauseante e volesse toglierseli dai piedi il più presto possibile - Uccidili. Non me ne faccio niente. -

- Ma capo...! -

Prova a ribattere Reno. Il suo, però, è tutto tranne che dispiacere, visto che voleva ucciderli anche prima di portarli fin lì.

- Niente ma. - freddo, gelido, l'uomo fa un gesto della mano come l'atto di scacciare via una mosca. Perché questo sono per lui: mosche, degli insetti, inutili. - Uccidili e disfatene, e spera che nessuno li venga a cercare sennò sarai tu a pagarne le conseguenze. -

- Sì signore, come vuole lei. -

Click.

La pistola di nuovo puntata contro di loro.

Loz sente le manine di Kadaj stringersi intorno al suo braccio con tanta forza da fare male e, per una volta, sente che anche Yazoo gli si aggrappa addosso disperatamente.

Reno carica l'arma e poggia l'indice sul grilletto, pronto a fare fuoco contro la testa di Kadaj. Loz dubita che lo mancherà questa volta.

È il suo corpo che si muove ancora prima di aver anche solo pensato di farlo, è il suo istinto, il suo cuore, che gli urla di farlo.

Scatta, corre, vola sui piedi che gli fanno male per il freddo e il troppo camminare. Si avventa su Reno con tale ferocia che lui barcolla all'indietro per un momento, preso alla sprovvista da quell'attacco improvviso.

Le sue piccole mani si stringono intorno al polso del rosso, cercando di disarmarlo.

Piange, ma per una volta non si lascia fermare da quelle lacrime.

Se avesse voce per farlo urlerebbe qualcosa, se avesse la stazza giusta per incutere timore, lo farebbe. Ma non ha niente di tutto ciò se non la sua disperazione e la sua determinata voglia di sopravvivere.

Non vuole perdere i suoi fratelli, non permetterà che glieli portino via.

Hanno una missione, uno scopo, devono trovare la Mamma, quella Mamma che vorrà prendersi cura di loro, tutti e tre insieme, devono trovare una famiglia che li accolga e che li ami. Devono vivere.

Quando la pistola fa fuoco il rumore è tanto forte e tanto vicino che gli fischiano subito le orecchie e stringe gli occhi in automatico come se servisse in qualche modo per proteggerlo.

È Kadaj ad urlare?

Loz si volta appena, terrorizzato. E se stavolta dovesse vederlo ferito e sanguinante come aveva immaginato nel vicolo?

O se dovesse essere Yazoo? Se fosse lui quello a terra, esanime?

Ma quando incontra i loro sguardi e percorre su e giù i loro corpi alla ricerca di fori di proiettili quello che trova è il nulla e si tranquillizza.

Poi crolla a terra, le gambe che all'improvviso non lo reggono più.

Un'ondata di sangue gli inonda la bocca e non può fare altro che tossire per sputarlo, quel gusto orribile gli fa venire la nausea.

Solo in quel momento si accorge del dolore. Sordo, pulsante, concentrato nell'addome. Con una mano tremante si tasta pian piano e quando si porta le dita all'altezza degli occhi le trova sporche di sangue.

Reno non ha sparato a Kadaj.

Reno non ha sparato a Yazoo.

Ha sparato a lui.

Riesce a sentire qualcosa di molto simile al sollievo quando i due bambini corrono per accucciarsi al suo fianco. Il più piccolo lo scuote, gli ordina di alzarsi. Piange. Fanno così male le sue lacrime, ma mai come quelle di Yazoo. Silenziose e preziose rigano il suo volto pallido e lo abbelliscono come gocce di rugiada sulle ragnatele, piccole perle brillanti nell'incarnato niveo.

Click.

Reno carica di nuovo la pistola.

Loz tenta di rialzarsi, dolorosamente. Dovesse anche scaricargli addosso tutta la cartuccia della pistola, non gli permetterà di colpirli.

Anche se il dolore è accecante, non si permette di cedere, e le gambe anche se tremano lo reggono.

Il rosso ha già una battuta pronta sulle labbra.

Loz stringe forte gli occhi e apre le braccia, ponendosi a protezione dei suoi fratelli.

Quando sente il rumore dello sparo si aspetta che altro dolore si aggiunga a quello che già sta provando.

Ma il dolore che aspetta non arriva mai.

Riapre gli occhi e quel che vede sono gli occhi vitrei di Reno, la pistola che gli cade dalle mani, e il foto di proiettile sul petto che imporpora la camicia bianca. Il sangue che ne fuoriesce sembra sbocciare come un fiore.

Il rosso crolla a terra con un tonfo e non è il solo a cadere.

Intorno a loro altri uomini all'improvviso crollano a terra, come spinti da una forza sovrannaturale, subito preceduti da uno sparo.

- La polizia! Sono qui! -

Grida qualcuno.

- Portate via il signor Shinra! -

Risponde qualcun altro.

Caos in un istante.

Uomini imbracciano fucili e pistole e danno il via ad una vera e propria sparatoria.

L'uomo in sedia a rotelle sparisce alla vista ancora prima che il quinto dei suoi uomini cada sotto il fuoco invisibile.

Chissà come, Loz sa che adesso può lasciarsi andare.

Anche lui, come tanti colpiti, scivola sul pavimento, teso nel dolore, per una volta asciutto di lacrime.

- Loz, Lozzie! - la piccola voce di Kadaj è un spillo di sofferenza conficcato direttamente nel suo cuore, fa quasi più male del foro di proiettile nello stomaco. Il piccolo si appoggia gentilmente la sua testa sulle ginocchia, accarezzandogli i capelli. Vede con la coda dell'occhio Yazoo prendergli una mano e inginocchiarsi al suo fianco. Per una volta si sente il centro dell'amore e dell'attenzione dei suoi fratelli. Cosa avrebbe dato altre volte per poterlo essere! Non avrebbe mai pensato di dover dare addirittura la vita. - Lozzie che cosa hai fatto, che cosa hai fatto. -

Piange ancora, il suo piccolo Kadaj piange, mentre il mondo intorno a loro, confuso e cattivo come lo è sempre stato, combatte la sua guerra, suo fratello piange per lui, senza avere alcun interesse a ciò che succede al di fuori di loro.

- Sono stato coraggioso, Kadaj. - riesce a mormorare Loz con un sottile sorriso sulle labbra pallide - Non ho pianto. Non piangere neanche tu adesso... -

Sonno, un sonno incredibile, che lo trascina in un posticino scuro e caldo dove sarebbe una delizia accoccolarsi. È quasi più caldo e piacevole delle braccia dei suoi fratelli che ora lo stringono con forza, come a volerlo convincere a rimanere.

Ma ha sonno, così sonno, riesce a stento a tenere gli occhi aperti.

- Loz, rimani sveglio! - strilla quasi Yazoo, scuotendolo. Quando lui riapre gli occhi non gliene fa una colpa per averlo scosso con così poca delicatezza, anzi, probabilmente avrebbe fatto anche lui lo stesso. - Non fare lo stupido, rimani sveglio! -

- Posso dormire con voi? - le palpebre di Loz, pesante, si chiudono sui suoi begli occhi verdi - Ho sempre gli incubi quando dormo da solo... -

- Puoi dormire con noi. -

- KADAJ! -

Il piccolo scuote la testa verso Yazoo, piangendo tutte le lacrime che gli è consentito di piangere e stringendo forte al petto il fratello.

- Puoi dormire con noi Lozzie, non avrai gli incubi stanotte. -

Glielo sussurra quasi alle orecchie mentre gli accarezza i capelli con la mano libera.

Loz sorride e annuisce, lentamente.

- Vi voglio bene fratelli, buonanotte. Ci vediamo...domani mattina... -

La voce sfuma sulle ultime sillabe e il suo corpo si rilassa.

La polizia irrompe nell'edificio, ci sono urla e spari e corpi che si accasciano.

Yazoo e Kadaj rimangono lì dove sono, stringendo Loz per proteggerlo da quel marasma di eventi che li ha sommersi come un'onda distruttiva e distruttrice.

Kadaj sente l'ennesimo click, vede l'ennesima pistola puntarsi alla propria testa, e sta quasi per implorare l'uomo di fare in fretta, di sparargli in fretta. Non vuole più stare in quel mondo.

Ma l'uomo è un poliziotto. Abbassa subito la pistola, rinfoderandola, e si lancia verso di loro inginocchiandosi per essere alla loro altezza.

Tolto il caschetto e il passamontagna che li nascondeva il viso, Kadaj riconosce in quei lineamenti l'immagine del padre che avrebbe sempre voluto avere.

Il guerriero, il soldato. Non poteva non essere un poliziotto.

La cascata di capelli argentei sottili come la seta incornicia quel viso ovale e perfetto, gli zigomi alti. Ma gli occhi sono quanto di più intenso Kadaj abbia mai visto, tanto che non riesce a smettere di guardarli.

- Dobbiamo andare via. -

Mormora, la voce calda e profonda, adatta ad un padre.

E quegli occhi.

Quegli occhi verdi.

- Non possiamo andarcene senza Loz. -

È la minuscola rimostranza di Yazoo che stringe più che può il fratello a sé come prima, forse, non ha mai fatto.

- Non ce ne andremo senza di lui. - risponde l'uomo. Non sorride, ma Kadaj coglie la gentilezza nel suo sguardo e nei suoi gesti mentre accoglie tra le braccia tutti e tre loro. - Non lasciamo nessuno indietro. -

Il poliziotto stringe a sé tutti e tre i fratelli, come se fossero leggeri non più di bambole di stoffa. Ma sente solo due cuori battere contro il proprio petto quando i bambini si stringono a lui.

- Papà. - mormora Kadaj, gli occhi che si chiudono, incollati dalle lacrime e dal dolore - Loz dorme...non disturbarlo. -

- Non preoccuparti. - dolcemente, gli passa una mano sul viso per asciugargli le lacrime, mentre con l'altra accarezza la testa di Yazoo per placare i singhiozzi - Nessuno disturberà più il suo sonno. -

L'uomo porta tutti e tre fuori di lì, lontano dalla sparatoria che ancora infuria all'interno.

Stretto nel suo abbraccio, tenuto forte da Kadaj e Yazoo, Loz finalmente riesce a dormire il sonno più dolce, senza incubi, senza paura. Senza lacrime. 


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The Corner 

Ho ancora dei ripensamenti su questa storia, 
nonostante ci abbia lavorato per tanto tempo 
e ci abbia sofferto per tanto tempo.
Forse volevo solo dare il massimo perché questa, per me, non è la solita storia.
Non solo "inaugura" quella che temo essere una lunga stagione a tema Advent Children 
ma anche perché è dedicata al mio personale, piccolo Kadaj.
Spero di non aver deluso le tue aspettative come penso di aver invece fatto 
- la mia autostima tocca i suoi minimi storici in questo momento - 
E spero che nel profondo troverai comunque qualche parolina carina da rivolgermi 
quando avrai finito di leggere.
Ti voglio bene 
 
p.s. Se sono riuscita a metterlo, il tuo disegno dovrebbe essere proprio qui sotto, 
grazie per aver perso tanto tempo per <3

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