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Autore: SonLinaChan    23/12/2015    3 recensioni
Post romanzi. Lina e Gourry rimangono imprigionati nella neve e Gourry cerca di capire come sbloccare la situazione... in più di un senso.
"Una volta ho intravisto un libro di leggende, fra le tue pergamene. Mi hai detto che include quella che da bambina era la tua storia preferita. La storia della regina di un regno fra le montagne, che al ballo di fine anno si innamora di un principe venuto da lontano. Lui è affascinante e intelligente, e lei per la fiducia che nasce dall’amore gli mostra il pendaglio magico con cui riesce a controllare la neve. Ma lui lo ruba, portando alla rovina il suo regno fra le montagne. E da allora, l’ultima notte dell’anno, lo spirito della Regina delle Nevi attira gli uomini incauti e li fa congelare. Cosa dice di te, il fatto che ti piaccia tanto una storia che parla dei rischi che si corrono per amore?"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pubblico questa storia con il permesso della persona a cui la ho regalata (ancora buon compleanno in ritardo, Raffy. :)).
A volte non scrivi per un'eternità, per tutta una serie di motivi, ma poi ascolti una canzone e l'ispirazione ti colpisce come un fulmine. Questa storia nasce da un momento del genere. 



La luce delle candele ci proietta all’esterno. Facce bianche, sedie, tavoli e il fuoco di un camino, contro uno scheletro di ragnatela congelato sul vetro. Oltre, fiocchi di neve danzano nel buio.
La mia testa è leggera.
“Non mi stai ascoltando.”
Ti guardo. Hai gli occhi lucidi e i capelli impazziti, e le lentiggini risaltano sulla tua fronte. Le tue guance sono così rosse che mi fanno sorridere.
“Non fingere di ridere alle mie battute, quando non mi stai nemmeno ascoltando.”
“Sei ubriaca.”
Tu sei ubriaco.”
 
È l’ultima notte dell’anno. Ci siamo fermati a mangiare in una locanda di campagna, e la neve la ha trasformata in una prigione.
Il locandiere, dietro il bancone, asciuga bicchieri e percorre a passi nervosi le assi scricchiolanti, decorate a festa. Forse, sta aspettando qualcuno che non potrà arrivare, o forse sta pensando che non potrà uscire a festeggiare, stanotte. Non c’è più nessuno, qui. Tutti sono a casa con le persone care, o nella città più vicina, ad assistere all’accensione dei fuochi votivi: la luce che persiste contro la lunga notte, la speranza che presto l’inverno finirà e il sole tornerà a brillare.
È colpa mia, se siamo bloccati qui. Sono io che ho insistito per trascinarti nella locanda, che ho continuato a riempire i nostri bicchieri senza far caso alle nubi che si addensavano sopra le nostre teste. Speravo che nel vino avrei trovato il coraggio di dire quello che ho un disperato bisogno di dire.
“La Regina delle Nevi sta piangendo, stanotte.” borbotti, seguendo il corso di pensieri annebbiati. Una volta ho intravisto un libro di leggende, fra le tue pergamene. Mi hai detto che include quella che da bambina era la tua storia preferita. La storia della regina di un regno fra le montagne, che al ballo di fine anno si innamora di un principe venuto da lontano. Lui è affascinante e intelligente, e lei per la fiducia che nasce dall’amore gli mostra il pendaglio magico con cui riesce a controllare la neve. Ma lui lo ruba, portando alla rovina il suo regno fra le montagne. E da allora, l’ultima notte dell’anno, lo spirito della Regina delle Nevi attira gli uomini incauti e li fa congelare.
Cosa dice di te, il fatto che ti piaccia tanto una storia che parla dei rischi che si corrono per amore?
“A Elmekia, la chiamavamo Dama delle Montagne.” Mia nonna mi raccontava di quella storia. Mi chiedo perché me ne ricordi solo ora.
“Non so come voi costruiate le vostre leggende a Elmekia, ma a Zephilia scegliamo i nomi con cognizione di causa.” Agiti il braccio verso la finestra. “Evidentemente.”
 “Tecnicamente, nella maggior parte di questo continente nevica solo sulle montagne.”
Mi scagli in faccia quel che resta del tuo vino. Quasi cado dalla sedia, colto di sorpresa. Hai quella espressione imbronciata sul volto, quella che mi stringe lo stomaco in un vortice peggiore della tormenta che ci imprigiona.
Com’è possibile che, quando litighiamo, io ti ami ancora di più?
E poi, scoppi a ridere.
“Ma guardati.”
Allunghi la mano e mi asciughi la faccia col tovagliolo. Stringo i bordi del tavolo, al tuo tocco, per costringermi a non alzarmi, a non compiere un gesto di cui potrei pentirmi.
Siamo di ritorno dalla capitale di Zephilia, da casa tua. Abbiamo assistito alla vendemmia, come mi avevi promesso. Siamo qui, dopo tutto quello che è successo, dopo aver incontrato i tuoi genitori, dopo Luke, dopo Millina, dopo che hai pianto fra le mie braccia per la morte dei nostri amici, e io non ho ancora avuto il coraggio di parlare.
Ci sono momenti, ormai, in cui sento che potrei aver perso per sempre la mia occasione. Ma il vino mi annebbia la mente, il vento ulula, tu ordini altri due bicchieri. E, per l’ennesima volta, scordo di dire ciò che ho bisogno di farti sentire.
 
Mancano dieci minuti alla mezzanotte. Da qualche parte, in lontananza, già suonano le campane.
L’oste ha chiuso la porta e se ne è andato a letto, lasciando il fuoco a morire. Noi abbiamo rinunciato a sperare che la tempesta si calmerà e ci lascerà andare da qualche parte. Aspettiamo la fine dell’anno, per salire nelle nostre stanze a dormire. 
Ciondoli sul piatto vuoto, arrotolandoti fra le dita una ciocca di capelli. Il fuoco nel camino ha perso forza, ma la candela al nostro tavolo basta ad accenderli come fiamme vive.
“Hai mai voglia di tornarci?” mi chiedi.
“Tornare dove?”
“A Elmekia.” 
Ci stai rimuginando sopra da quando la ho menzionata qualche ora fa? O, forse, continui a pensarci da quando ti ho proposto di tornare a Zephilia? Me ne sono reso conto da un po’, che hai paura di domandare, come io ho paura di dirti ciò che provo. Come mai le parole sono così capricciose?
“Non molta.” Rispondo, non riuscendo più a guardarti in viso.
Vorrei avere il coraggio di parlare. Vorrei avere il coraggio di dirti tutto quello che Elmekia rappresenta per me, ma è proprio a Elmekia che quel coraggio mi è venuto a mancare. Perché è a Elmekia che ho imparato che quasi a nessuno importa davvero se stai male. A volte la gente trova conforto nel tuo dolore, ma per lo più la disturba sentirne parlare. E quindi tanto vale sorridere, e far finta che non ci sia niente da raccontare. A volte, lo spettacolo è tanto convincente che ti persuadi tu stesso che sotto la maschera non ci sia nessun dolore.
Fino a che qualcosa non urta contro la facciata e non la infrange. Proprio come è successo a Luke.
“Perché no?”
Lo so perché insisti.  Perché per quanto mi faccia comodo fingere che non è così, tu non sei come le altre persone. Perché non hai paura di confrontarti con l’oscurità, perché ti ci sei tuffata dentro, più di una volta, e sei stata in grado di tornare.
“Perché sono un codardo.” 
“Vorrei avere altro vino da lanciarti in faccia.”  
 Torno a guardarti, stupito. Sei di nuovo imbronciata, ma non è più un broncio che nasconde una risata.
“Continui a farlo.” Mi accusi. “È da quanto Luke è morto che continui a farlo. A comportarti come se dovessi portare da solo il peso del mondo sulle spalle. Mi giudichi così debole?”
Luke. Lo evochi, dalla mia mente. È la prima volta che ne parli così apertamente, dalla notte in cui ti ho detto che non dovevi avere paura di piangere.
Devo davvero stupirmi ancora, del fatto che tu mi legga nel pensiero? Forse è normale, quando le vite di due persone diventano così inestricabilmente legate. Forse la verità è che a te non posso mentire.
Magari è per questo che non riusciamo a smuoverci dalla posizione sicura in cui ci siamo adagiati. Quando ci siamo conosciuti, eravamo due persone ferite. Lo so, adesso, anche se allora nessuno dei due lo dava a vedere – anche se io lo mascheravo dietro la mia noncuranza e tu dietro la tua sfrontatezza. Eravamo due persone ferite perché eravamo due persone sole, per la consapevolezza del male che gli esseri umani sanno fare. Credo sia stato quando abbiamo capito che, qualunque cosa fosse accaduta, non avremmo abbandonato l’altro, che abbiamo guarito le nostre reciproche ferite. Ma ora è come se le nostre ossa si fossero fuse, come se avessero dato vita a un essere che solo unito riesce a funzionare. E abbiamo paura di sapere cosa succederebbe se l’equilibrio che abbiamo creato si venisse a spezzare.
Il suono delle campane riempie l’aria. È mezzanotte. Ti alzi, e il vuoto che lasci sulla sedia davanti a me pare scavare anche nel mio cuore.
“Vado a dormire,” annunci, e avanzi verso il piano di sopra. Inciampi, forse ancora stordita dal vino, e faccio appena in tempo ad afferrarti, a fermare la tua caduta contro la parete delle scale.
“Stai bene?” ti chiedo. Sento il calore del tuo corpo fra me e le assi di legno. I tuoi capelli hanno l’odore di un fuoco che arde.
“Sto invecchiando.” Mi guardi, e, tuo malgrado, mi rivolgi un sorriso.
Stiamo invecchiando. Ti ho conosciuta che ai miei occhi eri poco più di una ragazzina. Ora, nessuno potrebbe negare che tu sia una donna. Non tanto perché la tua figura è cambiata, ma per quei dettagli nei tuoi gesti, per la sicurezza e quel fondo di tristezza, che sono il prezzo da pagare per una vita in cui non ci si è risparmiati.
Quanto tempo ho lasciato passare? Quante volte ci ha sfiorati la morte, in questi anni, quante volte abbiamo rischiato di perderci l’un l’altra e di restare sepolti nel limbo di ciò che avrebbe potuto essere ma non si è mai lasciato accadere?
Me lo ricordo, ora. Ricordo quello che ho bisogno di dire.
“Non sono come il principe della Regina delle Nevi.” mormoro, senza lasciarti andare.
Mi guardi. I tuoi occhi, grandi e un po’ lucidi e limpidi per me come uno specchio, fingono incomprensione. Ma lo so che in fondo hai capito. Perché a te non posso mentire.
“Sono stupido e ubriaco e non so niente, ma non mi interessa del pendaglio magico. Non mi interessa dei fuochi votivi, non mi interessa di festeggiare.” Le mie labbra sono così vicine alle tue, ora. “Sono felice che la tempesta mi abbia intrappolato qui, con te. Perché non c’è altro posto in cui vorrei stare.”
Sei tu a colmare l’ultimo vuoto. Quando le nostre labbra si toccano, la mia bocca è invasa dal sapore del vino. Ti aggrappi al mio colletto, mi attiri a te, con violenza, e io mi faccio catturare. I tuoi capelli sono morbidi sotto le mie dita, la pelle calda, mentre mi lascio divorare.
Ansimi, quando ti allontani da me. Il vuoto mi invade di nuovo. Ho il terrore che fingeremo ancora, che non significherà niente, in un cerchio senza fine. O peggio. Che ora desidererai fuggire.
“È perché siamo ubriachi?” Domandi, senza lasciarmi andare. Il timore nascosto nella tua voce spezza anche me. Forse le nostre ossa sono davvero fuse.
Affondo il viso fra i tuoi capelli. “Sono ubriaco da quando ti ho conosciuta.” Lo sono da quando ti ho vista combattere contro Shabranigdu la prima volta; da quando ti sei stesa a terra, dopo il combattimento, e osservando i tuoi capelli argentei e il tuo volto sollevato mi sono sentito in colpa, nel provare verso di te una intensa fitta di desiderio. Lo sono da quando la copia di Rezo ti ha ferita, e ho deciso che per il mio bene, per il tuo bene, dovevo smettere di fingere con me stesso e accettare quello che eri diventata per me. Lo sono da quando quell’essere dorato ti ha portata via e io ti ripresa, ti ho ripresa, perché un universo senza di te è un universo in cui io non ho ragione di stare.  
“Domani.” Mormori, di rimando. “Domani, se ricorderai ancora tutto questo, se lo vorrai ancora, allora io sarò qui.”
Stai offrendo a me, o a te stessa, la possibilità di scappare?
È il primo pensiero che mi passa per la testa. Ma sono un codardo, e ti lascio comunque andare.
 
La tua schiena è scomparsa da tempo nel buio delle scale e io sono ancora qui, seduto, ad ascoltare le assi del tetto che gemono sotto il peso della neve. Riuscirai a dormire, stanotte? Io dubito che ce la farò.
Appoggio la testa alla parete e di legno e chiudo gli occhi, continuando a ricordare a me stesso quello che devo fare.
 
Sei un po’ pallida, stamattina, quando rispondi al mio bussare. Ma i tuoi occhi sono ben svegli, e apri la porta troppo in fretta per esserti appena alzata.
Non è così presto, ma è la prima mattina dell’anno e in giro non c’è quasi nessuno. La tormenta si è calmata nella notte, e fuori tutto è coperto da una coltre di neve.
“Buongiorno.” Mi saluti, con voce incerta. “Dove te ne sei andato, così di prima mattina?”
Ho ancora addosso il mantello e gli stivali, umidi di neve. Li scrollo nel corridoio, prima di entrare.
“L’oste non è ancora in piedi. Sono andato a prendere la colazione.” Appoggio il sacchetto di carta sul tavolo di fianco al camino e lo apro per mostrarti cosa ho comprato: focacce all’arancia e cannella, arance fresche, pane alla zucca, uova e salsicce da cuocere sul fuoco e tè al miele da bere, in un recipiente sigillato.
Mi guardi, stupita. Io ti sorrido, mi sfilo il mantello e mi avvicino per ravvivare le fiamme, recuperando da sotto il tavolo la borsa in cui conserviamo le pentole per le nostre serate all’addiaccio.
“Dove lo hai trovato questo banchetto, la prima mattina dell’anno?”
“Al mercato inaugurale.”
“In città? Ma fra andata e ritorno saranno due ore di cammino.”
Sono partito che era ancora buio. Appena appurato che la tormenta era finita, le nuvole volate via, e che non sarei rimasto bloccato per strada. L’aria mordeva e si affondava nella neve fresca, ma sono andato comunque, perché c’era qualcosa che dovevo assolutamente trovare.
Ti siedi e mi guardi stranita mentre ti preparo la colazione. Spezzo una focaccia scaldata sul fuoco, fragrante e morbida sotto le mie dita, e tu ne accetti metà dalla mia mano. Movimenti naturali, automatici, di un meccanismo ben ingranato. Sarebbe facile, stamattina, continuare con questo silenzio confortevole, continuare con le abitudini di sempre e far finta che niente sia successo.
Sospiri. “Possiamo tornarci con più calma più tardi, al mercato, se non riprende a nevicare.” Mi proponi. "Tanto per fingere almeno di festeggiare questo nuovo anno senza rischiare di finire di nuovo sotto al tavolo per il vino.” Ti blocchi, all’improvviso, e arrossisci. Mi viene da sorridere, mentre fissi lo sguardo su tutto, tranne che su di me.
Ma è anche di me stesso, che sto ridendo. Anche io sto prendendo tempo, con questa colazione che all’inizio non avevo nemmeno intenzione di comprare. Che creature complicate siamo, noi esseri umani.
Mi siedo al tuo fianco e ti prendo la mano. È calda, sotto le mie dita ancora fredde per la neve.
Sussulti, ti volti a guardarmi, ma non ti do il tempo di reagire. Allontano le dita dalle tue, lasciandovi dentro quello che volevo farti avere.
“Non ci scambiamo mai regali per il primo dell’anno.” Ti dico. “Ho pensato che fosse venuto il momento di cambiare.”
Sollevi le dita, da cui emerge un ciondolo. Un braccialetto, con una pietra verde. Mi ci è voluta un’ora buona, in città, per trovare quello giusto. Il mercante assonnato che me lo ha venduto mi ha detto che la pietra è usata come amplificatore per gli incantesimi. Spero non mi abbia raccontato bugie. Avrebbe potuto farlo, vedendo quanto ero ansioso.
Mi guardi. “Ma io non ti ho preso nulla.”
“Non ce n’è bisogno. Ne ho comprato uno uguale anche per me. Il venditore ha detto che può assorbire incantesimi di comunicazione, quindi se siamo a distanza dovrebbe servirci per parlare. Piuttosto comodo, no?” Inclino la testa. “Perché quella faccia? Non dirmi che non ti piace.”
“Che cosa significa, Gourry?” mi chiedi.
Sorrido, di nuovo. Suppongo che questo sia il tuo permesso a parlare.
“Quello che ieri sera cercavo di dire, prima che il vino impastasse le mie parole, è che so di non essere perfetto. So di non essere affatto un principe delle fiabe.” Torno a stringerti la mano. “So che non siamo perfetti, che siamo tutto quello che non avviene nelle storie, che bisticciamo, e rimaniamo bloccati nella neve e continuiamo ad arrancare, ma so anche che quello che noi abbiamo, quello che non avevano la regina e il principe della tua storia, sono due ciondoli magici, che funzionano perfettamente solo quando sono insieme.”
Rimani in silenzio. La tua mano rimane nella mia, il tuo pollice gioca col dorso delle mie dita.
“Questi ciondoli non sono in grado di assorbire nessun incantesimo.” dichiari, alla fine, con un mezzo sospiro. Ma alzi lo sguardo, prima che io possa replicare, e hai di nuovo quel broncio che mi piace, quello sotto cui si maschera un sorriso. “Ti ricordi di ieri sera.” aggiungi, non una domanda ma un’affermazione. 
“Lina, ci sono cose che persino io non posso dimenticare.”
Annuisci. “Sì.”
“Sì a cosa?”
“Sì.” ripeti, con convinzione.
Le tue dita stringono le mie. Non so chi sia di noi due ad avvicinarsi, stavolta, ma so che sento di nuovo il tuo sapore.
Anche quando le nostre labbra si allontanano continuo a tenerti stretta a me, la fronte premuta contro la tua. Il tuo fiato caldo si mischia al mio.
“Credo che in fondo anche a me piaccia essere imprigionata dalla neve.” mormori, e io sorrido. Ci sarebbero tante cose da dire, ma c’è anche tutto il tempo del mondo per farlo. O forse non ce n’è bisogno. Forse non c’è mai stata una formula, un tempo giusto o sbagliato, solo un tempo nostro, che a modo suo si è dipanato. Perché ora come ora, nonostante le mie esitazioni e i miei sbagli, non c’è nulla che per me non sia al suo posto.
“Però, non riesco a credere di essermi fatto imbrogliare da quel mercante.” Non mi preoccupo di ricostruire il corso dei miei pensieri per te, perché so che saprai intuirlo. “E dopo essermi preparato tutto quel discorso, per giunta.”
Ridi, e quelle fossette che adoro ti si disegnano sulle guance. “Io riesco a crederlo benissimo, invece, cervello di medusa.” Baci l’angolo della mia bocca. “Ma lo amo lo stesso, quel braccialetto. E in fondo dubito che avremo mai bisogno di strumenti magici per parlarci da lontano, tu e io.”
Sorrido contro la tua pelle. “La prendi con molta più filosofia di quanto avrei pensato.”
“Mi hai forse sentito dire che oggi pomeriggio non andremo al mercato per fargliela pagare?”
“Oggi pomeriggio?” Le tue labbra hanno raggiunto il lobo della mia orecchia sinistra. Un velo di pelle d’oca si stende sul mio collo
“Oggi pomeriggio.” mormori. “Questa mattina abbiamo di meglio da fare.”
  
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