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Autore: La Nuit du Chasseur    23/12/2015    8 recensioni
Il colpo di fulmine esiste. E' vivo, capita, è reale. E' quell'attimo in cui la vita perde senso e al contempo ne acquista uno totalmente nuovo, totalmente diverso. E' quel secondo in cui due sguardi si scontrano e il mondo cambia verso, si ferma perché niente è più così importante. Il colpo di fulmine è quel momento in cui, all'unisono, si pensa: è arrivato.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Questa oneshot partecipa al contest natalizio "Under The Snow", per cui ringrazio le organizzatrici.
Chiunque volesse contattarmi, può farlo qui o sul mio gruppo Facebook

Vi auguro un sereno Natale e un felicissimo Anno Nuovo!

Silvia








 

 



 



 

La crema pasticcera era soffice e vellutata, ancora calda, col fumo che si alzava dalla pentola in cui era stata mescolata, con la consueta deliziosa passione. Charlotte sfidò la temperatura e immerse la punta dell'indice fino a sentire il calore per ritrarlo velocemente, lo infilò in bocca alzando lo sguardo al soffitto: perfetta, decisamente perfetta. Sorrise contenta e mise la pentola nella vasca del lavandino, piena a metà di acqua fredda, in modo che si freddasse più rapidamente, andando nel contempo a prendere gli scones, precedentemente preparati e riposti nel ripiano più alto del suo piccolo laboratorio. Li dispose con ordine sull'alzata preposta per il lavoro di guarnizione e tornò a mescolare la crema, saggiandone la consistenza ancora una volta, meticolosa come sempre, e osservandone la temperatura. Quando fu soddisfatta del risultato, prese una grossa spatola e iniziò il momento che preferiva: cosparse ogni pasticcino di una quantità moderata di crema, che si sparse con un movimento lento e invitante, cadendo nella vaschetta di raccoglimento posta al di sotto della griglia. Livellò bene la crema, così che fosse uniforme su ogni pasticcino e lasciò che il tempo lavorasse per lei, asciugando la guarnizione chiara e dolce. Nel frattempo preparò gli altri ingredienti: la saccapoche, da riempire di cioccolato fondente fluido e delle piccole bacche di zucchero rosse. Pose tutto sul piano di lavoro, poi tese le orecchie alla radio: la voce calda di Tom Smith si disperse nell'aria, in quel vecchio singolo di molti anni prima, quello che l'aveva fatta innamorare di quella band. Prese un mestolo al volo dalla sua collezione bizzarra e lo usò a mò di microfono, iniziando a cantare ad occhi chiusi, ballando nel bel mezzo del laboratorio, forte del fatto che la sua pasticceria fosse ancora chiusa e che le sue abitudini le imponessero, ormai da anni, ad alzarsi presto per poter lavorare in tranquillità, prima che l'orario della colazione arrivasse ad occuparla con la clientela.


Sfruttò tutto il tempo della canzone perché la crema si raffreddasse e solidificasse a sufficienza, e poi, con il fiato corto e il sorriso sulle labbra si mise di nuovo a lavoro: per ogni scones lavorò almeno una decina di minuti, così da rendere i pasticcini perfetti. Disegnò delle piccole bacchette con la saccapoche, poi due piccolissimi puntini e infine posizionò al centro una pallina di zucchero. Piegò la testa con un piccolo broncio e guardò critica l'effetto finale, ritenendosi soddisfatta e passando al secondo scones. Dopo un'ora circa, le sue renne erano pronte per essere disposte sul vassoio e poste al banco.
Aprì con la spalla la porta che divideva il locale e si ritrovò immersa nell'aria calda e confortevole che aveva lavorato per ottenere nella sua pasticceria. I divanetti colorati erano profumati, con i cuscini perfettamente sprimacciati, il caminetto già acceso dalle prime ore dell'alba, che scoppiettava e donava calore, la scritta luminosa a cui teneva molto era accesa al di sopra della grande lavagna su cui ogni mattina scriveva una frase che donasse buon umore, i dolcetti del giorno e le specialità del mese.
Accese i grandi lampadari d'altra epoca e subito dopo posizionò il vassoio di scones decorati accanto a quello già pronto di delizie al limone e cupcake natalizi: era il periodo dell'anno che più preferiva, e ci teneva a donare un'aria particolare a quelle giornate uggiose. Corse verso la porta, la aprì e girò il cartello decorato a mano che indicava che il negozio era aperto, poi ficcò fuori il naso: il freddo pungente di quel Dicembre era particolarmente intenso, ma a lei non interessava, perché amava il freddo e chiudendo gli occhi si prese la libertà di lasciarsi ghiacciare il viso, sorridendo beata.

Passò quell'ora a sistemare come meglio poteva: era il suo regno, quello in cui ogni giorno dedicava passione e amore, aveva messo tutto in quella pasticceria, regalandole giorno dopo giorno un tocco in più, qualcosa per cui essere felice. Le vetrate le regalavano una bella vista, la sua musica preferita aleggiava nell'aria e i suoi clienti abituali - per lo più abitanti del paese ormai affezionati a lei - iniziarono ad entrare sorridenti per godere delle sue delizie speciali.
Quel giorno, però qualcosa era destinato a cambiare. Era intenta a sistemare quel che rimaneva degli scones decorati, andati letteralmente a ruba in mezza mattinata, quando il campanello sopra la porta trillò, annunciando l'arrivo di un cliente. Sollevò lo sguardo sorridendo, perché il suo motto era che lì dentro chiunque avrebbe sempre trovato leggerezza e un pizzico di dolcezza, ma quando incontrò gli occhi del forestiero che aveva varcato la soglia della pasticceria, il sorriso le morì sul volto. Cosa poteva mai farci lui lì, in quel paesino sperduto?

Michael si guardò intorno, sfregandosi le mani nell'intento di scaldarle, e adocchiando subito il caminetto acceso, dal quale proveniva un calore invitante; quel luogo era incantevole, accogliente, curato nei minimi dettagli e a giudicare dall'ottimo profumo che aleggiava lì dentro, anche molto buono. Si avvicinò al banco togliendosi il cappello e allentando la sciarpa, rivolgendo un mezzo sorriso alla donna che, grembiule in grembo e cappellino natalizio rosso, lo guardava con una pinza in mano. “Salve” mormorò osservando i vassoi pieni di delizie. “Si può sorseggiare qualcosa?” chiese curioso cercando di capire che tipo di locale fosse.
“Certamente” sussurrò Charlotte, ritrovando per un pelo la facoltà di parola. “Cosa preferisce?”
Lo sconosciuto parve pensarci due minuti, poggiando una mano sul fianco e l'altra sul mento, poi sembrò essersi deciso. “Un caffè, grazie” disse serio. “E anche una fetta di torta di carote” aggiunse.
“Preferisce che gliela scaldi?” gli chiese gentile. L'avrebbe fatto per chiunque, ma non poté negare a se stessa che quegli occhi la stavano facendo vacillare non poco.
“Sì, grazie.” L'uomo era cortese, ma non molto espansivo, si guardava intorno svogliato, come se realmente nulla lo interessasse, aspettando pazientemente che la sua ordinazione fosse pronta.
“Ci vorrà qualche minuto, vada a sedersi dove preferisce nel frattempo” gli disse Charlotte, distogliendolo dai suoi pensieri. Michael annuì e prese a scrutare la sala, per cercare il posto che realmente preferiva. Scelse un angolo con una poltrona rossa, di velluto, che sembrava accogliente e riservata, si sedette togliendosi il soprabito, lasciando la sua sciarpa snodata sul collo e sospirando rumorosamente. Si stropicciò gli occhi, prima di guardare fuori dall'ampia vetrata a fianco del suo piccolo tavolino tondo e perdersi nel panorama di quel piccolo paese.
L'aveva scelto senza pensarci troppo, memore di una conversazione con suo padre qualche mese prima: “La Scozia è un fulcro di posti splendidi, Michael, dovresti andarci” gli aveva detto con la sua aria solenne, mentre parlavano del fatto che lui non prendesse un periodo di riposo da anni, ormai. Così, quando aveva sentito l'urgenza di sparire per un po’ dalla circolazione, aveva aperto Google Maps e puntato il cursore sulla Scozia, scorgendo questa perla incastonata nelle Highlands, piena di prati verdi, montagne e laghi. Ora si stava un po’ pentendo della scelta, non tanto per la bellezza naturale che quella landa desolata ma rigogliosa offrisse, quanto per la vita che sembrava scarseggiare del tutto, nonostante fosse arrivato da nemmeno mezza giornata. Scrutò la vita fatta interamente di ciottoli al di fuori del tepore della pasticceria, e tornò alla realtà solo sentendo il tintinnio di una tazza posata con gentilezza sul tavolo. “Mi scusi, non volevo disturbarla” si sentì dire, prima di alzare lo sguardo e vedere la donna con il cappellino rosso sorridergli, posando davanti a lui ciò che aveva ordinato qualche minuto prima. Aveva una bellezza particolare, quasi eterea, nonostante i capelli ramati e gli occhi nocciola; gli sorrideva calda, come se l'unico scopo della sua vita fosse donare mezz'ora di tranquillità a chi entrava in quella specie di bolla gioviale e tranquilla che era la sua pasticceria.
“Grazie” le rispose pacatamente, senza aggiungere molto altro. Ispirava fiducia, è vero, ma lui era lì per tutt'altro motivo, figurarsi se poteva mettersi a flirtare con la pasticcera del paese. Le sorride distrattamente, aspettando che lei andasse via per afferrare la tazza e mettersi a sorseggiare il suo caffè, amaro, ma terribilmente buono.
La vera rivelazione fu il dolcetto che aveva scelto: era delizioso. La pasta era soffice e dolcissima, la glassa risultava essere saporita, ma non smielata, era la perfezione. Lo analizzò a fondo, mentre morso dopo morso se ne beava sempre di più e non riuscì a non osservare quella donna dietro il banco: doveva scoprire se era farina del suo sacco o meno.

Charlotte si sedette allo sgabello dietro il suo banco, prendendo al volo il libro che teneva lì vicino e che amava leggere quando nella pasticceria si batteva la fiacca. Era una lettrice appassionata, divorava libri di tutti i generi, anche se nutriva una passione inconsulta per le sorelle Bronte, che aveva imparato ad amare fin dai tempi del liceo. Era assorta nella lettura, aveva dimenticato l'uomo che sedeva solitario e apparentemente senza un'occupazione degna, in quell'angolo riservato. Sapeva benissimo chi fosse, ma non voleva fare figure da pessima fan, così aveva lasciato che la sua professionalità e la dedizione al suo lavoro avessero il sopravvento, non disturbandolo con richieste inopportune. Tuttavia era davvero impossibile non guardarlo: la linea del suo profilo era di una perfezione senza pari, e nonostante non avesse propriamente l'aria di qualcuno pronto e felice di intavolare una conversazione piacevole, Charlotte non poté negarsi il lusso di imprimere nei suoi occhi la bellezza e l'elettricità di quell'uomo.
Era calata totalmente nella lettura, era riuscita a concentrarsi, quando con un tocco di mano tornò alla realtà. Michael era di fronte a lei, che attendeva la sua attenzione e che aveva tamburellato le dita sul piano per attirarla a sé. Si schiarì la voce e sorrise imbarazzato: “Non volevo disturbarla” disse, ripetendo esattamente le sue stesse parole, pronunciate poco prima. Si vedeva che la stava garbatamente prendendo per il naso, e Charlotte saltò in piedi in un baleno, chiudendo il libro e lasciandolo distrattamente, solo dopo aver rimesso il segnalibro al suo posto. “Charlotte Bronte” sussurrò Michael fugando la curiosità, “letture impegnate” continuò tornando a guardarla.
“Oh, non direi. Belle, più che altro” fu la risposta di Charlotte. Rimase a guardarlo qualche secondo, prima di accorgersi che Michael voleva solo pagarle la consumazione e sbrigarsi a fargli il conto, porgendogli un foglietto decorato sul quale era solita appuntare il compenso per le consumazioni. L'aveva sempre considerato molto più carino che un banale scontrino fiscale, che si preoccupava si battere solo dopo per finalità puramente contabili.
Michael lo prese fra le dita, si appurò di lasciare il dovuto e poi osservò il nome della pasticceria, appuntato in cima al cartoncino: “Complimenti per tutto, Charlotte” le disse gentile, non rendendosi conto di quanto quella banale frase potesse essere importante per lei. Era il complimento al suo lavoro a farla gioire, prima ancora che l'idea del proprietario di quelle parole.
Lo vide uscire dalla pasticceria così come era entrato: una folata di vento e un tintinnio di ceramica sopra la porta.
 

*   *   *   * 
“Buongiorno.” Era tornato! Charlotte esultò nel suo cuore e lo vide togliersi i guanti di pelle e scaldarsi le mani con il suo fiato. “Fa sempre così freddo da queste parti?” le chiese sconvolto. Sembrava più loquace del giorno prima, forse più riposato o magari solo di umore migliore.
“Siamo quasi a Natale, è fortunato a riuscire a vedere il sole, nonostante la neve” gli rispose cordiale, finendo di sistemare le torte appena sfornate. “Cosa desidera?”
“Un caffè e una fetta di torta, scelga lei quale” le rispose sorridendo e andando a sedersi al solito angolo. La osservò di più, stavolta: Charlotte prese un coltello da pasticceria e tagliò attentamente un dolce ancora intatto, mordendosi l'angolo destro del labbro inferiore, forse gesto dettato dalla concentrazione. Spostò rapidamente il pon pon bianco con cui terminava la coda del suo cappellino natalizio, che si era frapposta prepotente fra lei e la torta al cioccolato poggiata sul banco da lavoro. Quando risultò soddisfatta della porzione tagliata la trasferì su un piattino di ceramica bianca, correndo poi verso il retro del locale, il laboratorio pensò Michael. Doveva ancora scoprire chi era l'artefice di quelle meraviglie a base di zucchero e miele. Tornò saltellando con dei barattoli in mano e l'aria felice: era davvero terapeutico guardarla lavorare. Li poggiò entrambi accanto al piatto, poi prese a creare magia: cosparse qualcosa sulla fetta di torta, poi aprì il secondo barattolo e ne estrasse delle bacche viola scuro, che posizionò in cima alla torta, spolverò di zucchero a velo e la guardò critica, mordendosi di nuovo il labbro, prima di aprirsi in un sorriso genuino. Prese il piatto con entrambe le mani e glielo portò, poggiandolo sul tavolino e rimanendo ferma lì, in un angolo. “Ha fatto una scelta oculata?” chiese Michael osservando attento la composizione e sentendo già l'acquolina in bocca.
“La migliore che potessi fare” rispose sicura Charlotte, attendendo che lui la assaggiasse.
“E su cosa è ricaduta la scelta?”
“Sorpresa” gli rispose contenta. “Assaggiala e poi mi dirai” continuò sparendo per servire gli altri clienti in attesa. Non appena si girò si rese conto di avergli dato del tu, si fermò un istante, maledicendo la sua eterna sbadataggine, ma poi alzò le spalle e pensò che ormai era fatta, non sarebbe stato certo un problema, almeno per lei. Forse.

La giornata passò, Charlotte aveva lavorato molto, ma sempre con il sorriso sulle labbra e quando l'ora di chiusura arrivò, si rese conto che Michael era ancora lì, seduto al suo tavolo a leggere un libro che sembrava averlo davvero preso. Durante il pomeriggio non le aveva detto cosa pensava della sua torta e questo la fece rimanere un po’ male: era la migliore creazione della settimana, ricetta inventata da lei e considerata la torta del mese, come aveva potuto non degnarla neanche di un commento stupido!? Non se ne curò, ma decise di avvicinarsi cauta, tentando di non risultare invadente. Stava giusto togliendo il grembiule per mandare a casa il suo ultimo - è più affezionato, malgrado la recente conoscenza - cliente, quando Michael le si palesò davanti, cogliendola alla sprovvista e spaventandola quasi. “Non pensavo di fare questo effetto sulle donne” scherzò, calcando il suo sorriso più puro.
“No, mi scusi, ero sovrappensiero” si scusò lei evitando di guardarlo insistentemente.
“Scusami” disse distrattamente lui. Poi vide la sua espressione incredula e sorridendo appena, la guardò, spiegando le sue intenzioni: “Non mi scusi, ma scusami. Eravamo passati al tu, non ricordi?”
Allora l'aveva notato anche lui, ci aveva fatto caso, non era stata una cosa voluta, ma comunque era stata notata. Charlotte rimase senza parole, poi fece l'impensabile, torcendosi le mani in preda all'imbarazzo: “Ti andrebbe di fare due passi?” Azzardò la richiesta, sperò che dicesse di sì, non sapeva neanche lei perché aveva chiesto una cosa tanto stupida e mano a mano che i secondi passavano nel silenzio totale, si rese conto di quanto potesse essere sembrata stupida.
Michael la guardò nel suo imbarazzo, non capiva bene il motivo della sua richiesta, ma quella donna era quanto di più sincero e vero avesse incontrato negli ultimi anni della sua vita. Niente finzioni, nessuna impalcatura, nessun mezzuccio per raggiungere una finalità celata dietro mascara e fondotinta. Era vera, genuina, diretta, sincera. E lui sapeva di essere tornato lì, quel pomeriggio, perché il calore che aveva trovato gli aveva scaldato il cuore, e sapeva di non dover dire grazie ai dolci. La osservò aspettare una sua risposta e sapeva di dare l'idea di chi vuole rifiutare, ma non sa come farlo, tuttavia non capiva proprio perché fosse rimasto lì a fissarla, incapace di dire qualcosa. Di ringraziarla per avergli teso quella mano.
Lo distrasse di nuovo la sua voce: “Lascia perdere, è un'idea stupida, avrai senza dubbio di meglio da fare” gli disse. Non era offesa, arrabbiata, delusa: stava sorridendo, comprensiva e sicura. Era spiazzante.
Si girò per prendere le chiavi del locale e lo superò per andare a chiudere, sicura che lui l'avrebbe seguita e solo lì Michael si risvegliò: “Invece mi piacerebbe” disse solamente, rimanendo fermo sul posto e osservandole la schiena irrigidirsi di colpo.
Charlotte si girò e gli sorrise: “Guarda che fa freddo” lo prese in giro.
“Correremo questo rischio” fu la sua risposta pronta, mentre con pochi passi la superava e usciva in strada, aspettandola. “Allora, ti muovi?”

Charlotte non sapeva perché l'aveva fatto. Non sapeva perché l'aveva invitato ad uscire e fare due passi insieme. Vero era che doveva chiudere la pasticceria, quindi avrebbe dovuto gentilmente cacciare il suo ultimo ospite, stazionato su quella poltrona da ormai troppe ore, ma da questo a chiedergli di passare insieme del tempo ce ne passava. Chiuse la porta a vetri girando la chiave più volte, poi sospirò e chiuse gli occhi, conscia che ormai il danno era fatto e non poteva più tirarsi indietro. Si voltò sorridendo, cercando di racimolare tutta la calma di cui era proprietaria e ficcandosi le mani in tasca annusò il cielo: “A quanto pare il brutto tempo stenta ad arrivare, quest'anno” disse più a se stessa che al suo ospite silenzioso. Michael osservò l'aria, gli ricordava la sua Irlanda, ma non credeva che l'ipotesi vantata da Charlotte fosse possibile.
“Il cielo è minaccioso” le rispose cauto, ma convinto.
“Staremo a vedere” lo rimbeccò certa di aver ragione. “Da quanto sei qui?” Domanda indiscreta, si pentì subito, ma sembrava che lei non avesse filtri con quell'uomo. Iniziò a camminare, sentendo subito i suoi passi seguirla, quasi arrancando.
“Da ieri, veramente” rispose ermetico lui. Non si spiegava perché avesse accettato quell'invito inconsueto, non lo capiva; lui era lì esclusivamente per prendersi una vacanza, per allontanarsi dal gossip, per ritrovare un po’ di serenità. Qualcuno che passasse finte notizie di altrettanti improbabili flirt con la pasticcera del paese, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Eppure, guardandola con la coda dell'occhio, Michael si sorprese a sorridere: era una bellezza rara, di quelle che devi girarti ad osservarle perché ti rimangano dentro, di quelle che non stupiscono per strada, ma sanno impreziosirti l'anima, se hai la pazienza giusta. “E tu? Sei nata qui?” rilanciò per azzerare il silenzio.
Charlotte rise appena, poi lo guardò e tornò subito con lo sguardo alla strada davanti a loro, prima di decidersi a rispondergli. “No, ci vivo da qualche anno” gli disse altrettanto impenetrabile.
“Quindi sei originaria di qualche altro posto, ma vivi qui e hai una pasticceria. Immagine alquanto bislacca, non c'è che dire” commentò Michael ridendo fra sé e sé. Aveva un tono leggermente canzonatorio, non che volesse impicciarsi più di tanto, ma era davvero buffo che una giovane donna avesse deciso di limitare la sua vita a quella situazione, lui non riusciva a trovarvi una spiegazione plausibile. Incrociò le mani dietro la schiena, e annuì convinto, sentendo gli occhi di Charlotte incollati su di lui. Che l'avesse offesa?
“Mi prendi in giro?” gli chiese fintamente colpita da quell'invasione della propria privacy. Si fermò di colpo, le mani sui fianchi, la testa piegata e un'espressione torva in volto. Neanche se avesse voluto avrebbe potuto fingersi arrabbiata, non era nella sua natura, ma ci provò lo stesso, per tentare di darsi un tono con quello sconosciuto.
Michael si girò a guardarla: era comica, deliziosa, avrebbe aggiunto con un amico. Non accennava a fare un altro passo, non prima di aver ricevuto una risposta soddisfacente e lui non riuscì a trattenere una risata - una risata che rischiò di far crollare in mille pezzi non solo il cuore di Charlotte, ma anche la sua pantomima. “Come potrei?” le rispose seducente, sfoggiando uno sguardo intenso e allungando verso di lei la mano, in segno di pace.
Charlotte aggrottò le sopracciglia e serrò le labbra, non ancora pronta a lasciar andare quella scena: poteva davvero essere legale un atteggiamento del genere, si domandò tenendo ferme le sue intenzioni. Poteva sul serio il suo cuore fare capolino ad una sola risata? Si concentrò meglio e senza accorgersene quasi allungò la mano, sfiorando le dita di Michael. Per accettare le mai pronunciate scuse, si disse, mentendosi come mai prima.
Afferrò la sua mano e sorrise di nuovo, sentendosi a proprio agio con quella sconosciuta artista dello zucchero, la tirò per farle perdere l'equilibrio, ma suo malgrado si rese conto che Charlotte era più stabile di quanto sembrasse: non si lasciò ingannare, rimase in piedi e gli sorrise concreta e soddisfatta, scappandogli via. “Dove alloggi?” gli chiese poi, cambiando totalmente argomento.
“Vuoi per caso portarmi la colazione domani mattina?”
Charlotte lo fissò seria per un secondo: domanda con domanda. No, non era quello il problema, lo fissò ancora. Ci stava provando. Era provocante, lo sentiva, lo percepiva. E per quanto avrebbe solo voluto rispondergli a tono, arricciò solamente il naso: “No, veramente volevo essere carina e accompagnarti, ma credo che ora ti lascerò andare da solo” gli disse. “Buonanotte” aggiunse voltandosi e prendendo una stradina in discesa.
“Charlotte…” si sentì chiamare. Non si voltò, avvampò al suono del suo nome pronunciato da quella voce, ma non si voltò. Continuò a camminare, ancora e ancora.


*   *   *   *
La luna fece posto al sole. E come ogni mattina, Charlotte aprì la porta a vetri della sua pasticceria, lasciando che l'aria fredda entrasse a darle una sferzata di vita. Servì la colazione ai clienti abituali, salutò la signora Radshare, come sempre la prima ad entrare e la prima ad andare via, poi sistemò i dolcetti rimasti superstiti dall'ora più affollata della giornata e si mise ad aggiornare la grande lavagna, colorandola con i gessetti pastello e cambiando - come ogni giorno - la frase in cima. Era spalle alla porta, serena e tranquilla, una sola famiglia di turisti sedeva ad un tavolo, si era attardata a smangiucchiare leccornie mentre discutevano sulla gita da fare quel giorno. In quel momento, il campanello della porta: “Salve, arrivo subito” disse allegra Charlotte, finendo di scrivere la sua lavagna.
Il sorriso fu congelato dalla voce, che provocò anche un rossore improvviso. “Buongiorno, Charlotte” disse un uomo. Disse Michael.
Charlotte si prese i minuti necessari a calmarsi: non aveva dimenticato la sera prima, per quanto fosse stata sufficientemente insulsa da essere catalogata nella sua testa come mai esistita. Si girò sorridendo e passando entrambe le mani sul grembiule di lino rosa che indossava quella mattina: “Cosa posso offrirle?” chiese, tornando volutamente a prendere le distanze.
Michael smise di sorridere, notando quel particolare con cui Charlotte gli si era rivolta. Sospirò ficcando le mani in tasca e rivolgendo la sua attenzione al banco dei dolciumi, facendo finta di essere solo interessato a loro. “Queste cosa sono?”
“Pasticcini di mandorle tritate e nocciole tostate, con una glassa di amaretto e arancia” spiegò prontamente Charlotte, estraendone uno dal vassoio e mostrandolo in tutta la sua perfezione. Guardò quel dolcetto con ammirazione, soddisfatta, e Michael si perse in quel gesto così naturale. “Vuole provarne uno? Non se ne pentirà” disse ancora. 
“Ehm… sì, ne prendo giusto uno con la mia solita tazza di caffè” rispose, lasciando i suoi pensieri ad altri momenti. Si schiarì la voce e aspettò che Charlotte preparasse il suo vassoio di ceramica, non attendendola al tavolo, stavolta, ma preferendo vederla all'opera: era meticolosa e perfezionista. Poggiò sul vassoio decorato il pasticcino, poi lo spruzzò di aroma di arancia amara, creando un velo lucido; prese una manciata di nocciole e le buttò con apparente noncuranza ad un angolo del piatto e finì con delle scorze di arancia caramellate a forma di riccioli. Mise le mani sui fianchi e guardò critica la sua creazione, prima di sorridere e avviarsi verso la macchina del caffè.
Michael rimase a guardare il piatto, alternando lo sguardo alla schiena di Charlotte, che canticchiava qualcosa che aveva appena preso ad aleggiare nella pasticceria, proveniente da una radio che non riusciva a vedere. Non sapeva se ad attirarlo fosse lei o la sua incredibile tranquillità, ma quando Charlotte tornò davanti a lui, porgendogli la tazza fumante e subito dopo il vassoio di ceramica bianco, le parole gli si fermarono in gola. Sorrise impacciato e si maledì per non essere in grado di chiederle scusa per la sera prima, poi abbassò lo sguardo e andò verso il suo ormai solito tavolo ad angolo.

Charlotte non lo degnò di uno sguardo, nonostante lui rimase lì per tutto il giorno, osservandola da dietro il libro che aveva portato con sé, e di cui lesse sì e no tre pagine. Era bello rimanere lì dentro a farle compagnia, anche se lei non mostrava il minimo interesse per lui. Coccolava i clienti come meglio poteva, rivolgeva sorrisi pieni di dolcezza e regalava sempre qualche caramella ai bambini, era un vero toccasana, un infuso di ottimismo ed energia e Michael si rese conto che in soli due giorni era riuscito ad accantonare tutta la rabbia che lo aveva portato ad isolarsi in quel paese scozzese.
Doveva agire. Si schiarì la voce, avvicinandosi al bancone in un momento in cui c'era quiete e lei ne aveva approfittato per tirare fuori il suo libro. Mise una mano davanti le labbra e tentò di attirare di nuovo l'attenzione, solo quando la vide alzare lo sguardo su di lui le sorrise disarmato e tentò di dire quello che per ore si era formulato in mente. “D'accordo, sono stato un vero cretino ieri sera, mi dispiace.”
“Temo di non capire” si scusò lei scuotendo la testa. A quanto pare il gioco non sarebbe stato facile.
Michael distolse lo sguardo e poi tornò a guardarla. “Diciamo che di solito non mi comporto così con le persone che tentano di essere gentili” attaccò di nuovo, sperando che lei aprisse uno spiraglio. Charlotte chiuse il libro, lasciando un dito fra le pagine a tenere il segno e inclinando la testa aspettò che lui continuasse. “Non mi stai rendendo le cose semplici” sbottò lui in imbarazzo, grattandosi la nuca. “Posso invitarti a cena, per farmi perdonare?”
Charlotte fu presa alla sprovvista, aprì la bocca senza fiato, poi la richiuse sentendosi una stupida, ma sicuramente lo sguardo implorante che Michael le stava rivolgendo non la aiutava a ragionare. A cena. L'aveva invitata a cena. Il campanello della porta trillò, e una signora entrò come un uragano, impedendole di rispondere, di dire qualsiasi cosa. Si alzò dallo sgabello istintivamente, ma continuò a guardare Michael, anche quando la signora Margaret le rivolse la parola. “Cara, vorrei degli scones natalizi, ne hai ancora?”
Michael si spostò leggermente, infilando le mani nelle tasche e rimanendo in silenzio. Lasciò che lei svolgesse al meglio il suo lavoro, continuando ad osservarla e sperando che la sua risposta fosse solamente un sì.
“Oh sì, li ho nel laboratorio, te li prendo” riuscì a dire con un fil di voce, sparendo dietro la porticina di legno scuro. Si poggiò con le spalle al muro riprendendo fiato: a cena. Chiuse gli occhi mordendosi un labbro, poi fu chiamata dalla voce della signora Margaret e ricordò la sua missione: gli scones. Ne prese una manciata, li infilò velocemente in una scatolina di cartone rosato e uscì di nuovo porgendo la confezione al di là del banco. Sbrigò velocemente le pratiche fiscali e poi, asciugando le mani sul grembiule rivolse un sorriso a Michael. “Scusami” disse timidamente.
“Tranquilla, gli scones natalizi prima di tutto” scherzò lui azzerandole i pensieri con un sorriso.
“Non c'è bisogno di una cena, davvero, non è successo nulla” tentò di dire alzando le mani in aria.
“Mi sono comportato male” si intestardì lui, non capendo più se l'invito era reale cortesia o più banalmente aveva preso la scusa di un comportamento sbagliato per passare del tempo con lei. Il confine era così labile.
“Ma non è vero” rispose di nuovo Charlotte, scuotendo la testa vigorosamente.
“Vieni a cena con me lo stesso” gli propose lui con un fil di voce, avendo centrato la questione. La voleva con lui.
Charlotte abbassò lo sguardo e torcendosi una ciocca di capelli tentò la sua ultima chance: “Vuoi davvero farti vedere in un ristorante con una sconosciuta?” Impeccabile.
“Quindi…” disse confuso Michael.
“Vivo in un paese e faccio dolci per vivere, non sono totalmente al di fuori del mondo” lo rimbeccò Charlotte ridacchiando e sentendo di aver guadagnato terreno. Prima di accorgersi di essere in realtà sprofondata.
“Va bene, allora ti invito a casa mia, cioè in quella che momentaneamente è casa mia” decise sicuro Michael, lasciandola di stucco. “Domani sera, per te va bene?”
Charlotte arricciò le labbra prima di rispondere, poi colpì basso: “Dovrai dirmi dove abiti.”
“Colpito e affondato” fu la sola, divertita risposta di Michael.


*   *   *   * 
L'aveva invitata a cena e aveva accettato di cucinare per lei. Ristoranti delivery in quel posto manco a parlarne, senza contare la pessima figura che avrebbe fatto. Aveva stilato un menù abbastanza banale, ma preferiva andare sul sicuro e non avvelenare nessuno, men che meno Charlotte. Quando chiuse il forno, dopo aver controllato il tacchino, si sfilò il guanto protettivo e sorrise fra sé e sé: per tutto il giorno non aveva pensato a nulla, se non alla felicità di poter passare una serata con quella donna. Rimase sovrappensiero per qualche minuto, fino a quando il timer del forno non lo riportò alla realtà e contestualmente il campanello prese a suonare. Si tolse il grembiule, osservando che i jeans e la maglia che aveva scelto - casual, ma non trasandato - non avessero avuto brutti incidenti con la sua pessima dote in cucina. Corse verso la porta e sospirò, prima di aprire, allargandosi in un sorriso smagliante. “Ciao” le disse lasciandola passare, notando che lei comunque era titubante. “Accomodati pure, fuori si gela” continuò spingendola quasi dentro e chiudendosi dietro la porta. Le prese elegantemente il cappotto, che chiuse nell'anta all'ingresso, prima di tornare ad occuparsi della sua ospite.
“Ho portato un piccolo dono” disse elegantemente Charlotte, tendendo le mani verso Michael, perché prendesse il pacchetto incartato con maniacale attenzione.
“Devo immaginare sia un dolce?”
“Intuitivo, non c'è che dire” rispose Charlotte scimmiottandolo; iniziò a camminare piano, per carpire i particolari di quella casa che, ai confini del paese, era un vero gioiello. Il legno si mescolava perfettamente con la pietra, ogni angolo era impreziosito da un particolare apparentemente senza senso, ma in realtà inserito molto bene nell'ambiente. In un angolo, subito accanto alla scala tondeggiante che portava ad un soppalco, torreggiava l'imponente camino in pietra, con accanto gli strumenti del mestiere e un albero di Natale sufficientemente grande da chiedersi come avessero fatto a farlo passare dalla porta d'ingresso. L'aria era calda, confortevole, si stava bene, non c'era nulla che stonasse o sembrasse animato da freddezza, Charlotte sorrise continuando ad osservare l'ambiente, quando improvvisamente le cadde l'occhio sul banco della cucina e sul forno leggermente aperto. “Ma hai cucinato tu?” gli chiese voltandosi a guardarlo esterrefatta.
“Certo” si vantò Michael superandola e arrivando all'angolo cottura. “Avevi dubbi?” le chiese subito dopo guardandola accigliato.
Charlotte si trovò leggermente in difficoltà, non voleva certo offenderlo. “No, no per carità. Solo che…”
“Solo che pensavi che un uomo come me non sapesse fare neanche un uovo fritto, un classico” finì la frase lui, ridacchiando e tornando ad occuparsi della loro cena.
“Cosa hai preparato?”
”Arrosto di tacchino caramellato, patate in crosta ed insalata mista” elencò dettagliato e soddisfatto, estraendo la teglia dal forno e poggiandola sui fornelli. “Spero ti piaccia tutto” disse poi, leggermente preoccupato. Forse avrebbe dovuto chiederle informazioni su gusti o allergie.
“Mangio tutto, sono un'ottima forchetta e ho già l'acquolina in bocca” rispose allegra Charlotte. Allungò il collo per annusare l'ottimo profumo che la teglia di arrosto aveva sprigionato e chiuse gli occhi in estasi: che meraviglia!
“Vieni, accomodati” le disse arrivandole vicino e facendole strada verso il tavolo finemente apparecchiato, accanto al camino. Le scostò la sedia e attese che lei fosse seduta per versarle un calice di vino rosso, per poi alzare in aria il suo bicchiere pieno e proporre un brindisi.
“Non ti porterò mai la colazione a casa, sappilo” lo precedette Charlotte, che stava faticando per tenere seria la sua espressione.
Michael scoppiò a ridere e pensò che se lo era meritato, ma anche che quella ragazza lo faceva sentire come mai nessuno era riuscito: imbranato e a disagio. Ed era una sensazione divina. “Verrò a prendermela tutte le mattina direttamente nella tua pasticceria” le rispose facendole l'occhiolino e tintinnando il vetro dei due bicchieri.

Si sedette di fronte a lei, porgendole un piatto fumante ripieno di leccornie e posizionando la ciotola dell'insalata in un angolo del tavolo. Le sorrise per l'espressione estasiata, e incrociò le braccia sul tavolo, prendendo il bicchiere e sorseggiando il vino: lei era lo spettacolo più bello che avesse mai visto.
Charlotte prese istintivamente la forchetta e spezzò un pezzetto di arrosto, per poi portandoselo alla bocca vorace, togliendo con la lingua quella goccia di salsa che era sfuggita al controllo. “Mmm!” mugolò senza riuscire a controllarsi. “E' squisito” disse subito dopo guardando Michael estasiata.
“E tu che dubitavi delle mie doti culinarie” si prese la rivincita lui, finalmente addentando il suo arrosto e saggiandone la perfetta cottura. Il ricettario di suo padre aveva vinto ancora, anche se, pensò, lui era molto più bravo nel cucinarlo.
“Scusa ho iniziato senza neanche aspettarti” disse impacciata Charlotte, mordendosi il labbro inferiore. “E' che io davanti al cibo non so resistere, è più forte di me, è una specie di droga” continuò infervorata, scoppiando poi a ridere. “Ti sembro una cretina? Lo sono, lo giuro!”
Michael non seppe resistere all'impulso di ridere e poi ingoiando il suo boccone, le chiese: “Altri vizi da dichiarare?”
“Ho una passione per i dolci” disse convinta Charlotte.
“L'avevo sospettato e comunque i dolci sono annoverati nel cibo” la corresse Michael.
“Sempre così puntiglioso?”
“Sempre” dichiarò, mano sul cuore e sorriso smagliante. “Allora, altri vizi?”
“Non sono rossa naturale” disse senza pensarci Charlotte, aggrottando poi le sopracciglia. Cosa poteva importare a lui, esattamente?
“Davvero?”
“Eh già” annuì lei, portando la sua chioma sulla spalla perché lui la osservasse meglio. “Ho iniziato a tingerli qualche mese fa, qui” spiegò.
“Colore naturale?”
“Castano” disse accarezzando le punte dei suoi capelli. “Ma sono rossa dentro, l'ho sempre saputo” continuò come se fosse una frase perfettamente normale. “E se ora te ne uscirai con una pessima battuta, la incasserò non dicendo assolutamente nulla.”
“Sono un gentiluomo e questa cena è per dimostrartelo” rispose Michael, sorridendole appena.
“E tu che tipo sei, invece?”
“Ah no, i miei capelli sono rossicci di natura, mi dispiace” le disse convinto.
Charlotte scoppiò a ridere e per un momento non capì se era per la sua battuta o per la normalità di quella serata. “Raccontami di te” gli disse semplicemente, guardandolo negli occhi.
“Credo che Londra sia la città più bella del mondo” le disse serio annuendo al suo sconcerto. “Ci vivo da anni e ancora sa stupirmi” continuò. “E se ora mi contraddici, vuol dire che non ci sei mai stata” la punzecchiò indicandola minaccioso con la forchetta.
“L'ho vista una volta, per ventiquattro ore, diciamo che mi piacerebbe vederla davvero” gli rispose vaga.
“Quindi non sei inglese” rifletté a voce alta lui.
“Chi l'ha detto” gli fece notare. “Il Regno Unito ha milioni di città. Potrei essere inglese, ma non di Londra.”
“E lo sei?”
“No” rivelò lei, abbassando lo sguardo sul piatto. Non sapeva fino a che punto voleva raccontargli la sua vita per filo e per segno.
“In effetti, quale inglese non ha mai visto la capitale, è inverosimile” ribatté testardo Michael.
“Com'è Londra?” gli chiese interessata, poggiando la forchetta sul piatto e guardandolo. Era bellissimo, ma era ancora più interessante scoprire il modo in cui si poneva, con cui rideva equilibrato e rispondeva centellinando notizie. Non sapeva quasi nulla di lui, lo conosceva da quarantotto ore, ma - avrebbe giurato - quella era la serata più emozionante della sua vita.

Michael si pulì la bocca col tovagliolo che aveva educatamente steso sulle gambe ad inizio cena, poi prese il bicchiere, bevve un sorso di vino e solo dopo averlo gustato bene le rispose: “E' la mia città” disse sereno. All'espressione sorpresa di Charlotte sorrise e tentò di spiegarsi meglio. “Mettiamola così, ognuno di noi ha una casa, quella in cui torni, in cui hai le tue cose, quelle più importanti e quelle che non vorresti proprio. E la tua casa può essere sporca, incasinata o terribilmente malandata, ma resterà per sempre casa. Londra per me è questo: sicuramente ha tantissimi difetti, insieme ai suoi innegabili pregi, ma la verità è che io non li vedo, perché mi ha dato così tanto che potrei semplicemente amarla e basta. E non è detto che tutti capiscano questa cosa, questo tuo senso di appartenenza cieca e assoluta ad un posto.”
Usava le mani in maniera quasi singolare, sicuramente in maniera molto diversa da un tipico uomo del nord Europa, e aveva una luce negli occhi che l'aveva colpita, ancora. Era affamato, di vita, di amore, di emozioni, dell'idea di volerle far capire davvero il fulcro della questione, per quanto la sua domanda potesse essere classificata come abbastanza di cortesia, una pure curiosità per fare conversazione, insomma. Eppure per Michael era importante che lei capisse, che lei sapesse. Ci aveva messo l'anima nel dirle quelle cose e Charlotte era colpita da come lui si ponesse, da come cercasse di arrivare a lei. Percepiva un legame, una voglia di arrivare a lei e istintivamente allungò una mano attraverso il tavolo, toccando le sue dita. Non disse nulla, non rispose nonostante avesse capito quel discorso, nonostante lo sentisse molto più suo di quel che voleva fargli capire: casa per lei era quel paese, quella pasticceria, la vita che si era scelta e che le era costata rapporti e molto altro. Accarezzò la sua mano con la punta delle dita, delicata e a disagio, come se qualcuno l'avesse spinta ad agire, mentre con gli occhi era ferma su quel contatto così repentino, caldo e difficile.

Michael non aveva ritirato la mano, aveva smesso di parlare, forse di respirare, perché un calore si era irradiato nel suo petto quando Charlotte aveva annullato le distanze, perché lui era un uomo razionale e adulto e ai colpi di fulmine, no, proprio non ci credeva. Eppure aveva incollato gli occhi sulle loro mani che si cercavano, che piano entravano in contatto, imparavano a conoscersi, pelle contro pelle, e nonostante lui non stesse muovendo un muscolo, non riusciva a respingere la mano di Charlotte, forte del fatto che lei non se ne sarebbe andata.
Le sorrise dopo qualche minuto, sperando di non spaventarla e quando la vide alzare lo sguardo su di lui, tenendo lì ferma la mano, quel calore avvampò di nuovo, fino a costringerlo quasi a fare la sua parte, a muovere le dita per sentire di avere voce in capitolo in quel piccolo momento. Le prese la mano, costringendola ad alzarla leggermente, poi giocò con le sue dita, intrecciandole alle sue, sentendole forti e delicate, calde e morbide. Osservò quella mano, che tutti i giorni creava meraviglie e la scoprì incredibilmente perfetta e curata, come in fin dei conti appariva Charlotte.
“La cena era buonissima” gli disse in un fil di voce, la mano ancora imprigionata nella sua e le guance rosse.
“Grazie, riferirò a mio padre” le rispose con voce roca, costretto a schiarirsela subito dopo per riprendere rapporti con la realtà che li circondava.
“Tuo padre?” chiese non capendo. Ritirò istintivamente la mano, non sapendo bene perché, e sistemandosi nervosamente i capelli, si pentì di quel gesto intimo e senza senso.
“I miei genitori hanno un ristorante, in Irlanda. Tutto quello che cucino, che so fare, me l'ha insegnato mio padre e potrei giurare che a lui verrà sempre più buono” spiegò tornando in sé. Non aveva dimenticato quell'attimo di perfezione, ma non voleva esagerare, non capiva ancora neanche lui come muoversi.
“Quindi di tuo c'è ben poco qui” lo scimmiottò indicando il tavolo e finendo il vino nel suo calice, vedendo Michael prontamente riempirlo ancora.
“Beh ho preso la ricetta, ma poi ho saputo ricrearla” si difese, quasi offeso, salvo poi ridacchiare sul finale.
“Mmm…” sembrò titubante lei. “Va bene, posso concedertelo” annuì in maniera supponente.
“E allora vediamo com'è il dolce, ti sfido” le disse alzando improvvisamente e adocchiandola severo. Era sul piede di guerra, ormai era chiaro e a Charlotte venne da ridere, mentre finiva di mangiare un pezzetto di panino alle olive, deliziosamente soffice.
“Non ti conviene, Fassbender” alzò la voce lei per raggiungerlo, mentre lo sentiva armeggiare col frigo. Si alzò pigramente, raccogliendo i piatti sporchi con l'idea di portarglieli al lavello, ma mentre era di spalle e si stava apprestando a prendere la pila che aveva appena formato, si sentì avvolgere e intuì un calore mai sentito addosso.

Michael era dietro di lei, la stava imprigionando fra le sue braccia, e aveva il viso pericolosamente vicino al suo orecchio, nel quale poteva sentire il suo respiro. Si irrigidì, non voleva correre, anche se era ormai chiaro che fra loro scorresse qualcosa al quale dare un nome risultava sempre più difficile. “Sei ospite, lascia fare a me” le sussurrò piano, facendole temere di riuscire a tenersi saldamente in piedi. Poi agì di nuovo d'istinto: alzò entrambe la mani e le poggiò sugli avambracci di Michael, tesi sul tavolo di fronte a lei. Rimase ferma un istante, cogliendo la sua reazione, e poi prese di nuovo l'iniziativa, lasciando che le sue dita lo accarezzassero, sentendo i muscoli tesi sotto la pelle, lasciando che i suoi polpastrelli si facessero solletico con i suoi peli, arrivando fino alle mani, di nuovo, per poi correre più su, fino ai gomiti, là dove la stoffa della sua maglia non le concedeva altri lussi. Lo sentì respirare sul suo collo e si voltò appena, fino ad arrivare a guardarlo, seppur solo con la coda dell'occhio. Rimase seria, le labbra semiaperte a cercare aria e il cuore in tumulto. “Il dolce si rovinerà fuori dal frigo” gli disse tentando di trovare un appiglio che potesse salvarla da quella situazione, in cui si era ficcata da sola e nella quale - non riuscì a mentirsi - avrebbe voluto rimanere ancora per molto tempo.
Michael le sorrise e prese la pila di piatti dal tavolo, lasciandola orfana del suo calore, di quel senso di protezione che aveva sentito su di sé non appena lui l'aveva imprigionata in quell'angolo da cui non poteva, né voleva, scappare. Tornò alla cucina, poi portò a tavola il dolce. “Di cosa si tratta?” le chiese ammirando la torta e iniziando a porzionarla.
“L'ho inventata per l'occasione” suggerì sedendosi di nuovo e confermando che era lei l'artista della pasticceria, se ancora avesse avuto qualche dubbio. Si guadagnò uno sguardo ammirato, prima di decantare la sua creazione. “Una base di croccantino di noci, con una doppia crema al caffè e al cioccolato e pistacchi.”
“Come si inventa un dolce?”
“Si prendono gli ingredienti che si vogliono utilizzare e si libera la fantasia” disse leggera. Prese il piattino che Michael le stava porgendo e lo posizionò davanti a lei, ma prima di assaggiarla, volle scoprire il gusto della sua torta attraverso la reazione di Michael.
Lui prese il cucchiaino, ne spezzò un piccolo pezzo e la assaggiò voracemente. Gustava ogni singolo sapore, cercando di dare la sua più completa ed onesta opinione. Ne prese un secondo pezzo come se non fosse convinto, poi la guardò: “Assolutamente devi rifarla” le disse sincero e stupito dalla bontà di quella torta.
“Allora la inserirò in pasticceria” gli rispose assaggiandola finalmente e sentendo un'esplosione di sapori divina in bocca. Si era davvero superata, pensò senza dirlo ad alta voce.
“Potrei avere l'esclusiva?” Il suo tono era affabile, quasi impacciato, tuttavia sicuro, ma non invadente. Cosa intendesse realmente dirle non era chiaro a nessuno dei due.
“Potrei pensarci” gli disse Charlotte abbassando lo sguardo, lusingata.


*   *   *   * 
“Così davvero vuoi farmi credere che vivi nello stesso appartamento di vent'anni fa?” gli chiese sconcertata. Si erano spostati sul divano, beandosi del calore con cui il camino riusciva ad avvolgere l'aria. Al vino era stato preferito un cognac servito nei classici e panciuti bicchieri, che Charlotte stava centellinando per gustarlo al meglio. Sentiva la testa leggera, ma non era brilla, stava solo bene, era solo tranquilla.
“Perché non dovrei?”
“Niente ville ad Hollywood?”
“Troppo sfarzose e poi il caldo mi annoia” le rispose superficiale, con quel suo modo così sensuale e divertente.
“Attici a New York?” tentò di nuovo Charlotte, sentendo di aver fatto centro.
“Troppo modaioli, troppi paparazzi” minimizzò ancora.
“Sì, ma almeno un trasferimento a Mayfair, Michael!”
Michael rise della sua irruenza che l'aveva costretta a sporgersi verso di lui per non far cadere il cognac sul divano, dal momento che alzando le braccia aveva lasciato che il liquido sbalzasse fuori dal bicchiere, sfidando tutte le forze che la fisica poteva aver imposto. La guardò così vicina a lui, così pura e semplice, una donna come tante, ma come lui non ne aveva più conosciute da anni, una che non le importava se le occhiaie erano leggermente visibili, che il rossetto sbavato era da togliere leccandolo, che la normalità è la bellezza più grande. Che l'eleganza è innata e lei l'aveva ereditata da chissà chi, ma non sapeva di esserne in possesso. La guardò in silenzio, beandosi del suo profumo, con la voglia di oltrepassare il limite, ma non sapendo come avrebbe reagito: rovinare tutto per aver corso troppo. Era questo che temeva. Attese che lei tornasse nel suo angolo per parlare di nuovo, cercando di regolarizzare il respiro perché il tono della conversazione non cambiasse. “Ho molti vantaggi nel mio quartiere, non ultimo quello di conoscerlo bene, di avere amici e locali che amo e comodità che dovrei ritrovare andando altrove. Sono molto pigro, fondamentalmente e forse non ho ancora trovato il motivo giusto per andarmene da lì” le disse sorseggiando il cognac, pensando che forse dell'acqua fresca sarebbe stata una scelta più saggia.
“Sei pigro anche per un'avventura notturna?” gli chiese maliziosa adocchiando il cielo dalla finestra dietro di loro. Michael la guardò perplesso, non sapendo come interpretare quella sua frase, mentre la osservava attendere una risposta mordendosi il labbro. Poi la vide alzarsi di scatto, saltellando quasi, gli prese la mano e lo trascinò verso l'ingresso: “Vieni con me” gli disse fermandosi di colpo e andando così a scontrarsi col il suo petto.
Le accarezzò i capelli che le erano finiti sugli occhi, li sistemò e ne approfittò per lasciare la mano sulla sua testa qualche secondo di troppo. L'aveva, ancora, vicina, lei non si stava spostando, era come se ad ogni passo prendesse confidenza e intuisse che quella confidenza le stesse animando il cuore e per questo non voleva perderla, ma anzi averne sempre di più. Charlotte si beò del tocco di Michael, rimanendo ferma sul suo petto, osservandolo con gli occhi alzati, non sapendo come ancora arginare quella sensazione. “Andiamo, prendo il cappotto” le disse solamente allungando la mano per arrivare al guardaroba. Le passò il piumino e subito dopo indossò il suo, prendendo anche sciarpa e cappello. Poi sospirò e vedendola già sul portico al di fuori del portone, la seguì, non sapendo in che situazione stava per cacciarsi.

Charlotte continuava a camminare in silenzio, girandosi di tanto in tanto per vedere se lui la stava seguendo. Erano su un sentiero pieno di neve, il tracciato illuminato solamente dalla torcia dei loro cellulari accesi, il vento che li colpiva sul viso e che li costringeva a tenere lo sguardo basso. All'improvviso, dopo aver scalato l'ultimo sentiero in salita, Charlotte si fermò sorridendo. “Quindi?” le chiese leggermente adirato dalla faticaccia che aveva fatto, al freddo, di notte e al buio, per essere solo su una montagnetta piena di neve.
“Ora ci sediamo e attendiamo” gli disse semplicemente, cadendo quasi e guardandolo dal basso.
“Ci sediamo?” le chiese sempre più alterato.
“Dai, fidati di me.” Allungò una mano verso l'alto, esortandolo a prenderla, e quando lui seguì quel muto consiglio lei tirò così forte da vederselo cadere addosso, lasciandosi atterrare sulla neve e scoppiando in una fragorosa risata.
“Tu sei matta” la additò Michael ridendo con lei. “Ti ho fatto male?” si informò poi togliendo il suo peso dal corpo di Charlotte, che rimase sdraiata.
“No” sussurrò con le lacrime agli occhi. “Sono felice” disse poi, più a se stessa che a lui.
“Mi spieghi che ci facciamo qui?”
“Osserviamo il cielo” disse semplicemente Charlotte, con gli occhi puntati alle stelle.
“Char, è mezzanotte, fa un freddo cane, siamo in cima ad una montagna. È molto romantico, ma possiamo tornare al calduccio?”
“Per apprezzare il mondo bisogna sacrificarsi” gli disse rilassandosi e sentendo la neve soffice sotto di lei.
Michael seguì il suo esempio, guardò il cielo, poggiando le mani dietro di lui, sulla neve fresca e ringraziando di essersi adeguatamente coperto. Di tanto in tanto si voltava ad osservarla in silenzio, senza aver il coraggio di rompere quell'alone di silenzio e mistero che li avvolgeva, ma che in fin dei conti era appagante per entrambi. Poi d'un tratto, la magia: il cielo iniziò a ballare, colorandosi di verde e blu smeraldo, accendendosi secondo dopo secondo, in una danza veloce e sconvolgente.
Charlotte sorrise, lo sapeva che il suo cielo non l'avrebbe delusa. Cercò sulla neve la mano di Michael, senza guardarlo, affidandosi solo al suo istinto e quando la trovò la strinse senza chiedersi più nulla, sentendo che lui ricambiava quel contatto, che lui a sua volte lo intensificava.
Michael rimase di sasso, l'aurora boreale era pazzesca, lui non l'aveva mai vista e si chiedeva come facesse Charlotte ad essere stata così certa che quella fosse la notte giusta. “Come sapevi che l'avremmo vista?”
“L'avevo sentito oggi in radio, c'era una piccola speranza, qui siamo già troppo a Sud, è un miracolo avere l'opportunità di vederla” gli rispose. Poi si alzò a sedere e lo guardò, vedendo il suo volto illuminato dei colori del cielo, a scatti, a lampi che lo rendevano perfettamente identico a ciò che, inconsapevolmente, aveva sempre sognato. “E poi esistono le notti perfette” sussurrò.
“Le notti perfette” ripeté Michael, accarezzandole il viso e vedendola chiudere gli occhi e avvicinare la guancia alla sua mano. Tornò a guardare il cielo, passando un braccio attorno alle spalle di Charlotte. La attirò a sé senza più indugi, lasciando che lei si stringesse alla sua vita, sentendo il suo respiro sul collo e provando l'incredibile sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto. Con la persona giusta. 
 
 
  
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