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Autore: determamfidd    25/12/2015    0 recensioni
Suo zio è il suo eroe, e lo è sempre stato.
È solo che a volte è difficile. Sai, quando non c'è mai.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Fili, Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Appendici di Sansukh'
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La storia si svolge in vari momenti dalla nascita di Fili fino a quando Gimli va in missione, possibili spoiler per il capitolo 8 di Sansûkh. La storia originale può essere trovata qua.


Thorin non si avvicinò alla casa quel giorno, né per tutta la notte. Passò ogni ora nella sua fucina, cercando di non pensare alla sua sorellina, forte e con gli occhi scuri e sofferente.

Era per la protezione di Víli tanto quanto la sua se rimase alla larga. Se avesse visto gli occhi di suo cognato sopra al volto angosciato di sua sorella, non sapeva cosa avrebbe fatto.

L'acciaio non si riscaldava a dovere, e si piegava fino a diventare inutile. Thorin non riusciva a fare attenzione a ciò che le sue mani stavano facendo. Balin aveva fatto capolino dalla porta a un certo punto, ma qualche parola ringhiata l'avevano fatto scappare. Ora tutti stavano girando molto alla larga dal loro Re esiliato.

Aveva già perso suo fratello. Non avrebbe potuto seppellire anche sua sorella.

(Ah, ma in fondo, non avevano mai seppellito Frerin. Lui era bruciato)

Urla per i corridoi lo riscossero dai suoi pensieri oscuri, ma siccome nessuno venne a disturbarlo le lasciò presto tornare a essere rumore di sottofondo. Raffreddò l'acciaio, e poi se lo portò davanti agli occhi. Sì, si era piegato. No, non riusciva a importargliene nulla.

Avevano così poche Nane, e loro non concepivano né portavano a termine la gravidanza con facilità. Non era strano che molte famiglie fossero piccole. La famiglia di Thorin era stata considerata molto grande, con tre figli nella stessa generazione. Ora poteva solo pregare che la forza di loro madre fosse stata passata a Dís.

Non era raro che le Nane morissero nel dare alla luce i figli.

Si sedette e tenne l'acciaio in raffreddamento fra le mani. Il nucleo rosso incandescente irradiava l'esterno grigio, non ancora raffreddato dall'acqua o dalla frigida aria meridionale. Se Dís fosse stata ancora una principessa sarebbe stata curata dai medici migliori, pensò amaramente. Avrebbe avuto le cure migliori e i tagli di carne scelta, quelle che si sapevano aiutassero le Nane e dessero loro forza. Sarebbe stata in una stanza fatta apposta per la sua privacy e comodità, e le sarebbero state date ogni attenzione.

Qua a Ered Luin, Dís avrebbe dato alla luce la prossima generazione della Linea di Durin in baracche pulite alla meno peggio che mostravano ancora i segni del muschio sui muri, con balle di fieno coperte da una coperta come letto, e i suoi soli attendenti erano un vecchio guaritore e suo marito.

Qualcuno si schiarì la gola, e Thorin alzò lo sguardo. «Sta bene?» gracchiò.

Era Dwalin, e stava ghignando. «Direi bene, l'intera ala orientale l'ha sentita imprecare. Hai un nipote, cugino.»

Thorin lo fissò per un momento, e poi si alzò. «Un nipote» disse, e una sensazione strana iniziò a diffondersi attorno alla sua bocca «Sono uno zio.»

«Lo sei» disse Dwalin, dandogli una pacca sulla schiena. Poi il guerriero lo osservò da vicino. «Che ti sta succedendo alla bocca?»

«Non lo so» rispose onestamente Thorin.

«Palle di Durin» disse Dwalin, e lo fissò stupefatto «Stai... stai sorridendo?»

«Sciocchezze» sbuffò Thorin, ma alzò lo stesso una mano per toccarsi la bocca.

Le sue labbra si erano leggermente incurvate.


«Mio zio dice...»


«Mio zio ha detto...»


«Mio zio diceva...»


Mizim era esausta e non era ancora finita. Óin le asciugò la fronte, e poi asciugò la propria. «Fatti forza, ragazza» le disse distrattamente, e uscì per un momento dal suo campo visivo.

«PER COSA?» ringhiò lei «Óin, farai meglio a darmi delle buone notizie...»

«Le buone notizie sono che sei pronto a spingere» le disse, e le sorrise nel modo più rassicurante che poteva. Mizim non avrebbe mai dovuto sapere che suo cognato non aveva mai aiutato a dare alla luce un bambino prima.

«Oh, grazie a Mahal» gemette lei, e la sua testa ricadde all'indietro. Le sue mani si strinsero sui braccioli della sedia da parto, e lei ansimò pesantemente, la pelle coperta di sudore.

«Quindi, eh. Cerca di sopportare la prossima» aggiunse Óin, e cercò la sua bottiglietta d'acqua. Bevendo un sorso, desiderò avere avuto la prontezza di averla riempita di qualcosa di più forte.

«Dove nel nome di Durin è Glóin?» riuscì a dire lei, prima che la sua testa le cadesse in avanti quando iniziò la contrazione successiva. Óin fece cadere la fiaschetta e fece un passo avanti, tenendola per la schiena.

«Così» le disse, il più tranquillamente possibile «Spingi, ora.»

«Lo sto facendo, lo sto facendo!» ringhiò lei, e un suono strozzato le sfuggì prima che la contrazione la lasciasse «Oh, Valar, quanto ancora...»

«Non così a lungo, ora che puoi spingere» disse lui, e le asciugò di nuovo la fronte. Le guance di Mizim erano rosse e la sua pelle aveva un colorito cereo, i suoi occhi erano enormi e luminosi. La sua rinomata bellezza era al tempo stesso amplificata e completamente consumata dal dolore.

«Spingere è un sollievo, è bello poter fare qualcosa invece di rimanere lì e sopportare» ansimò, e rabbrividì per un momento «Oh no, non di nuovo...»

«Sei molto vicina ora» disse lui incoraggiante, e si piegò per guardare «Sì, questa o la prossima dovrebbe far uscire la testa! Mizim, metticela tutta!»

«Ce l'ho messa tutta sei ora fa, tu...!» ringhiò lei, e poi un gemito acuto le uscì dalla gola. Óin le tastò cautamente la pancia. Sì, il bambino si era girato nel modo giusto. Grazie a Mahal. Non voleva nemmeno pensare a come sarebbe potuta andare se avesse deciso di rendere le cose drammatiche.

Le porta si aprirono, e Glóin corse dentro, l'armatura messa male e le trecce spettinate. «Mizim, io...» iniziò, e poi guardò stupefatto sua moglie.

«Non stare lì e basta, cretino peloso!» ruggì Mizim «Fai qualcosa!»

Glóin rimase in piedi, a bocca aperta e più perso di quanto Óin non lo avesse mai visto. «Tienile la mano, sostienila» disse, alzandosi e guardando severamente suo fratello «Il bambino è quasi qui, nadad – muoviti!»

«Óin, d'ora in avanti sei... ah... il mio preferito» ansimò Mizim, e colpì Glóin al petto quando si avvicinò per aiutarla «Enorme idiota, di ronda adesso!»

«Ecco...» disse lui.

«Non ora» disse Óin, cercando di inserire tutta l'autorità di un Guaritore nella sua voce «Mizim, la testa è già visibile. La prossima spinta dovrebbe essere l'ultima.»

«Oh Mahal mi salvi» gemette, e poi lanciò un urlo strozzato quando la contrazione successiva iniziò a farsi sentire, la sua pancia dura come l'acciaio e le braccia tremanti «Decisamente... ah! Il tuo dannato figlio, con la tua grossa testa vuota... ah!!»

«Ecco!» disse Óin, e prese la testa bagnata il più delicatamente possibile «Ora, usa questa! Mizim, hai quasi fatto, è quasi finita! Spingi!»

«LO STO FACENDO!» strillò lei, e poi Glóin gemette quando le sue dita gli scavarono nel braccio. Sudando e imprecando, Mizim spinse ancora una volta, il corpo tremante di fatica. Un piccolo qualcosa in debole movimento atterrò nelle mani di Óin, e lui lo fissò per un attimo.

«Va tutto bene? Sta bene Mizim?» disse Glóin ansiosamente, tenendo la testa di Mizim contro il suo petto. Il suo volto era grigio e scavato per la stanchezza e il dolore.

«Bene» disse Óin distrattamente, e automaticamente fece i compiti che gli erano stati insegnati. Controlla bocca e naso del bambino, taglia il cordone, puliscilo (bambino! Un nipote!) e avvolgilo strettamente ma non troppo. Non appena il naso del bambino fu libero dal fluido i suoi occhietti si mossero, il suo petto si riempì, e un piccolo ruggito riempì la stanza.

«Cos'è?» gracchiò Mizim, alzando la testa.

«Un maschietto» disse Óin, e suo nipote aprì ancora gli occhi e fece un altro strillo dall'aria irritata «Un forte, pesante maschietto!»

«Un maschietto!» ripeté Glóin, e un'enorme gioia iniziò a riempirgli il volto «Ascolta quell'urlo!»

«Aye, un bel paio di polmoni» disse Óin, e sorrise al bambino «Ecco, Mizim, tieni tuo figlio. Hai lavorato molto per averlo, in fondo.»

Le mani di lei si alzarono e Óin vi mise il bambino. O almeno quello era lo scopo.

Un suono indignato giunse da vicino i loro piedi.

«Ops» esclamò Óin, e si piegò alla velocità del lampo e raccolse il bambino dal pavimento coperto di paglia «Nessuno l'ha visto, non è successo nulla.»

«Hai appena fatto cadere mio figlio?» disse Mizim in tono pericoloso, i suoi occhi stanchi improvvisamente accesi.

«No, hahaha» disse Óin, la voce troppo acuta e allegra «Eccolo, sta benissimo. Non cadono bambini qui, assolutamente no. Prendilo, devo occuparmi di te ora.»

Lei lo incenerì, ma presto si rasserenò quando suo figlio le fu infine messo in braccio al sicuro. Óin si occupò di pulire Mizim e prepararla per il post-parto, e a tratti guardava i neo-genitori. Glóin sembrava sul punto di volare, e Mizim aveva lacrima negli occhi.

«Ciao, preziosa gemma» disse dolcemente, e accarezzò i sottili capelli rossi «Glóin, ha i tuoi capelli!»

«I tuoi occhi» sussurrò lui «E quello è un naso Vastifascio.»

«È così bello» disse lei, e sorrise «Hai fatto una bella scenata, eh?»

«Aye, è una piccola stella, questo» disse Glóin, e toccò la guancia del bambino col suo enorme e ruvido indice.

Óin si fermò per un attimo per guardarli, sorridendo. «Zio Óin» disse fra sé e sé «Mi piace come suona.»


I suoi nipoti imparano in fretta. Fíli impara a essere vigile, e Kíli impara a essere allegro.

Thorin insegna loro tutto quello che può, e odia di non potergli mai dare ancora di più.


Fu Bombur a venire, zoppicante e ansimante, nel laboratorio di Gimli. «È iniziato!» fu tutto ciò che disse, e il cuore di Gimli fece un salto.

«Andiamo» disse, e fece cadere il cristallo che stava lavorando. Lo sentì colpire il pavimento, ma non vi prestò attenzione mentre seguiva suo cognato per i tunnel della ricostruita Erebor.

«Novità?» disse brusco.

«Non ancora» sbuffò Bombur, il bastone che schioccava contro la pietra «Il Guaritore Forin se ne sta occupando.»

«Vorrei che mio zio fosse ancora qui» sospirò Gimli, e si morse il labbro.

«Beh, Forin non è Óin, ma farà un buon lavoro» disse Bombur per rassicurarlo.

«Sono a casa di Bofur e Gimrís?»

«Sì» disse Bombur, e grugnì trascinando la sua gamba malata su uno scalino «Dannata cosa!»

Gimli, guardando, non disse nulla. Era sempre più ovvio che Bombur presto sarebbe stato confinato su una sedia per muoversi per distanze più lunghe di camera sua, ma il largo e allegro Nano non avrebbe apprezzato il commento.

«Quanto ci hanno messo i tuoi?» fu ciò che disse invece, e Bombur ci pensò un attimo.

«Beh, il più lungo è stato Barur, ma la più difficile è stata Barís. Il primo lo è sempre.»

«Zio Óin non mi ha mai detto se mia madre ebbe dei problemi» disse Gimli ansioso, e Bombur gli diede una pacca sulla spalla.

«Su, su. Gimrís è una ragazza forte. Se la caverà bene»

«Aye, non dirà mai di no a un'opportunità per deridermi ancora» disse Gimli, e ingoiò la gelida paura che provava per sua sorella.

«Non fare così» disse Bombur, e si appoggiò alla spalla di Gimli mentre giravano un angolo «Bofur e Bifur andavano anche loro sempre in ansia, e Alrís gli diceva sempre di rilassarsi e sorridere, non è fatta di vetro. Pensaci! Al tramonto, tua sorella sarà una madre, e mio fratello un padre, e io e te degli zii!»

Gimli alzò un sopracciglio. «Mia sorella è già abbastanza terrificante senza un istinto materno.»

«Dovresti vedere Alrís quando non ho pulito bene la cucina» Bombur annuì, e i due si sorrisero.

E poi la porta intarsiata di ottone che portava alle stanze di Bofur e Gimrís era davanti a loro, e Gimli si morse il labbro e bussò.

Sua madre aprì la porta, i capelli pallidi spettinati e la bocca stretta. «Entrate» disse Mizim bruscamente appena li vide «Aspettate in cucina.»

Gimli afferrò la manica di sua madre. «Come sta lei?»

«Come pensi che stia?» esclamò Mizim, ma accarezzò i capelli rossi di Gimli mentre lo diceva. Gimli avvolse le sue grosse braccia attorno a sua madre per un momento, e per una frazione di secondo Mizim parve vecchia, e spaventata. Uno strillo acuto giunse dalla stanza accanto, e lei sobbalzò nell'abbraccio di Gimli.

«Andiamo» disse Bombur, e iniziò a zoppicare verso la cucina «Siamo solo in mezzo qui. Aspetteremo qui che arrivino, è tutto quello che possiamo fare.»

Gimli lo seguì, la testa vuota e un orribile sensazione di vuoto nel petto.

Le ore che seguirono non gli furono mai molto chiare quando cercò di ricordarle in seguito. Si ricordava di aver bevuto una tazza di un tè speziato, e di aver iniziato a intagliare del legno (anche se non era mai stato bravo a farlo) per passare il tempo mentre le strilla e urla di sua sorella risuonavano nella buona, dolce roccia di Erebor. A un certo punto lei imprecò forte e ci fu il suono di vetro che si rompe, e lui alzò lo sguardo per vedere Bofur alla porta della cucina. Il suo volto era molto pallido e c'erano cerchi scuri attorno ai suoi occhi.

«Gimrís?» disse, alzandosi.

Bofur si strofinò la bocca, spettinandosi i baffi. Poi deglutì. «Non va bene» disse in voce a malapena udibile «Il bambino è sottosopra.»

Bombur imprecò e si alzò in piedi, andando da suo fratello e afferrandogli le spalle. «Adesso, sai che non è la fine del mondo» disse fermamente «Due dei miei erano al contrario, e Alrís sta benone e anche loro.»

«Non erano il primo, però» disse Bofur, e appoggiò la testa contro la fronte di Bombur, serrando gli occhi «Nadad, sono così preoccupato. Si sta indebolendo.»

L'intero corpo di Gimli parve immerso in acqua gelida, ma lui si costrinse a sbuffare forte. «Gimrís? Debole?» disse, il più allegramente possibile «Mia sorella è fatta di acciaio e vecchia quercia! Riuscirebbe a far cadere le trecce di Durin a maledizioni! So che starà bene, e anche il piccoletto. Lei sputerebbe nell'occhio di chiunque osasse dire il contrario!»

La bocca di Bofur si incurvò in un sorriso, come se stesse cercando di fermarlo. «Aye, suppongo.»

La paura era così fredda, ma Gimli alzò la testa con orgoglio. «Dille che sto pensando di aggiungere delle nuove decorazioni ai suoi coltelli. Una testa d'asino su ogni manico, le si addicerebbe. Vai!»

Bofur rise, e poi sparì. Qualche secondo dopo ci fu uno strillo infuriato, e una sfilza di imprecazioni che fecero ridere Gimli nella sua barba.

«Potrebbe aver funzionato» mormorò Bombur.

«Speriamo» disse Gimli, e si obbligò a sorridere «Non lascerà che questo commento passi senza vendicarsi!»

I secondi passarono, e poi i minuti, e poi passò un'altra ora. Bombur si appisolò, Gimli intagliò legno, e poi i due vennero raggiunti in cucina da Glóin. Lui accarezzò affettuosamente la testa di Gimli, le grandi mani gli scivolarono fra le trecce. «Hai un aspetto orribile» disse, il volto distratto e preoccupato.

«Tu non sembri esattamente una miniera di diamanti, Papà» disse Gimli «Sono passate quattordici ore, ci dicono.»

«Ah» disse Glóin, e sospirò, un lungo, stanco respiro pieno di ansia «Beh, suppongo noi stiamo facendo tutto ciò che possiamo, inùdoy.»

«Vieni, c'è del tè» disse Bombur, cercando per la cucina.

«Prenderei volentieri qualcosa di più forte, ad essere onesti» borbottò Glóin, ma si sedette e accettò la tazza calda.

Il giorno divenne notte, e il silenzio cadde su di loro. Gimli sedeva e cercava di non ascoltare le urla di sua sorella che diventavano sempre più deboli. La voce di Bofur e le parole del guaritore intervallavano i suoi singhiozzi.

Poi le sue urla si alzarono fin quasi a uno stridio, e tutti e tre i Nani si alzarono, occhi sbarrati e bianchi. Il silenzio cadde di nuovo, soffocante come un mantello.

«Gimrís» sussurrò Glóin. Gimli cercò la mano di suo padre, e avendola trovata la strinse forte.

Dei passi risuonarono per il corridoio, e il respiro di Gimli si mozzò. Il suo cuore martellava.

La porta si aprì lentamente, e Bofur entrò con un mucchietto di coperte fra le mani, un sorriso più luminoso del sole. «Gimrís ti ucciderà quando riuscirà ad alzarsi di nuovo» disse a Gimli.

«Un piccolo prezzo da pagare» disse, guardando il ciuffo di capelli rossi che usciva dalla coperta «Sta...?»

«Ci vorrà del tempo» disse Bofur, e il suo sorriso divenne preoccupato «C'è stato qualche problema, ma Forin dice che guarirà. È ancora giovane.»

Gimli si rilassò, e poi con la coda dell'occhio vide suo padre, che si muoveva verso il fagottino con un'aria stupidamente dolce negli occhi. Bofur si sistemò il bambino fra le braccia. «Vieni, Glóin. Vieni a incontrare tuo nipote.»

«Ah!» Glóin sospirò di meraviglia quando prese il neonato nelle sue enormi mani «Questo qua è uno solido! Oh, guarda, ancora quei capelli – ma Bofur, quello è il tuo naso, direi!»

Mizim apparve dietro a Bofur, pulendosi le mani con un asciugamano. «Sembra identico a com'era Gimli, forse un po' più scuro» disse con affetto «Ci hai fatto proprio preoccupare per un momento, non è così, piccoletto? Mi aspetto che sia estremamente riluttante ad alzarsi la mattina, dopo quello spettacolo.»

«Sarà quello che vuole» disse Bofur, guardando suo figlio con occhi che brillavano come stelle «Abbiamo un futuro, e lui ne sarà parte.»

«Vieni, Gimli» disse Glóin, e si girò cautamente per porgergli il fagotto «Tieni tuo nipote.»

Le mani di Gimli si alzarono automaticamente, e lui si ritrovò a guardare una piccola faccia leggermente schiacciata con occhi addormentati e un intenso rossore sulle guance. Il bambino era più pesante di quanto non avesse pensato, e solido, col caldo peso di una creatura vivente. «Ciao» disse stupidamente, in mancanza di altre cose da dire.

Il neonato sbadigliò e poi si girò, prima che un braccino uscisse dalle coperte e si agitasse. Poi trovò la barba di Gimli e i minuscoli ditini si fermarono lì.

E improvvisamente, quei ditini si allungarono e catturarono completamente il cuore di Gimli.


Suo nipote impara in fretta. Gimli è intelligente e impulsivo e forte e coraggioso.

Óin gli insegna ciò che sa, e spera che sarà abbastanza.


«Zio! Zio!»

Thorin alzò lo sguardo dagli ultimi rapporti sulle riserve di viveri. Non ne avevano abbastanza per passare l'inverno. Aveva mandato ogni Nano abile nelle terre degli Uomini per racimolare ciò che potevano lavorando, ma molti li guardavano con sospetto e sfiducia. Dwalin era stato cacciato dalla città (anche se quello avrebbe potuto avere più a che fare con i tatuaggi e le armi affilate che con la generale paura dei Nani).

Lui detestava tutto ciò. Non avrebbero dovuto pregare per avere gli avanzi che gli Uomini gli gettavano. Non avrebbero dovuto scavare futilmente in miniere esaurite e cercare gemme senza valore. Non avrebbero dovuto essere obbligati a sistemare recinzioni e tubature e falci fatte di acciaio di pessima qualità.

Lui detestava tutto ciò.

Un piccolo corpo si schiantò contro il suo, e le sue mani si alzarono per toccare la morbida testolina bionda di suo nipote. «Fíli, cosa ti ho detto sul correre qui» iniziò a dire, ma la voce eccitata di Fíli superò la sua.

«Babbo mi ha portato fuori, e sai cosa abbiamo visto? Era grosso come una montagna, zio Thorin, anche più grosso!»

Lui si sistemò nella sedia, Fíli inginocchiato sulle sue gambe. «Cosa avete visto?»

«Era un cervo» disse Fíli deliziato «Aveva delle punte sulla testa, e Babbo ha detto che lo potevamo mangiare ma io ho pianto e detto che non dovevamo.»

Thorin aggrottò le sopracciglia, le labbra strette. «Fíli, non possiamo dire di no a qualsiasi genere di cibo. I viveri potrebbero...»

«Era proprio grosso» continuò Fíli, e esaminò i pesanti fermagli alla fine della treccia di Thorin con occhi curiosi «Anche tanto veloce. Voglio essere un cervo e correre veloce. Posso correre veloce come un cervo, zio Thorin?»

«No» disse Thorin, e sospirò «Fíli, unday, dovresti sapere che ci serve tutto il cibo che possiamo trovare, e lasciare andare un cervo perché pensi che sia... impressionante non darà da mangiare a tua madre o tuo fratello.»

Fíli lo guardò, gli occhioni blu lucidi e fiduciosi. «Ma mi faceva pensare a te.»

Thorin rimase senza parole.

«Non posso mangiare un cervo che mi fa pensare a te» continuò Fíli, e seppellì il suo piccolo, morbido, caldo corpicino contro Thorin, la testa bionda sotto il mento di Thorin. Aveva lo stesso odore che ogni bambino ha: di terra e sudore e cose immenzionabili, e decisamente aveva bisogno di un bagno. Thorin lo strinse a sé. «Era alto e grosso e sembrava arrabbiato, ma era anche nodoso e tutto.»

«Forse intendi nobile» disse Thorin debolmente.

«Forse? Ma era nodoso. Aveva un sacco di spine sulla testa»

«Sì» Thorin guardò i rapporti «L'hai detto.»

«Oh, vero» Fíli sbadigliò e si strinse a lui «Comunque, Babbo ha tirato fuori l'arco e io ho iniziato a piangere. Anche lui era triste – il cervo dico. Penso non ci sia tanto da mangiare per i cervi o i Nani o tutti e due.»

Thorin alzò una mano e fece passare le dita fra i capelli di Fíli, pettinandoli gentilmente. «No, penso di no, namadul.»

«Poi è corso via quando mi ha sentito piangere. Voglio correre anche io tanto veloce. Potrei prendere tutto il cibo che c'è, se corro veloce come un cervo, e non saresti più triste» sbadigliando di nuovo, gli arti di Fíli si rilassarono e in due secondi o meno, il Nanetto era addormentato.

Thorin si sedette e lo strinse forte, e si odiò per desiderare lo stesso che Víli avesse preso quel dannato cervo.


Suo nipote impara in fretta. Gimizh è pieno di fuoco e immaginazione e grandi, audaci piani per il futuro.

Gimli gli dice che gli vuole bene, e lascia che Gimizh in cambio gli insegni.


«Ora, ripeti quello che ti ho appena detto»

Gimli si fece il più alto possibile (che non era molto, a dire la verità) e iniziò a recitare: «non ti allontanare. Non toccare gli attrezzi dei minatori. Non... eh...»

«Andare vicino agli accessi delle miniere» disse Óin severamente, e tirò le trecce del ragazzino «Cos'altro?»

«Starti vicino?» Gimli lo guardò speranzoso.

«Aye, e fai esattamente quello che ti dico senza domande. Le miniere sono pericolose, ragazzo, e tua Mamma e tuo Papà mi scuoierebbero se ti succedesse qualcosa»

Gimli ghignò maliziosamente. «Papà ti farà un'urlata.»

«Aye, lo farebbe, e per una volta avrei paura di mio fratello minore» Óin alzò le sopracciglia «Ora, seguimi, akhûnîth. Sei eccitato?»

«Sì!» Gimli saltellò un poco, ma aspettò ubbidientemente mentre Óin sistemava la sua borsa e i suoi strumenti «Non sono mai andato nelle miniere, ma Fíli e Kíli sì e dicono che è infestata!»

Óin sbuffò. «Infestata? Da chi?»

«Tutti quei vecchi Vastifasci che sono caduti nel mare» disse Gimli, i suoi piedi risuonavano sul pavimento mentre seguiva suo zio per i tunnel di Ered Luin «Kíli dice che riescono a uscire e toccarti ed è questo che fa cadere i minatori dalle loro scale.»

Óin scosse la testa. «I ragazzi e la loro immaginazione» mormorò.

«Io però non ho paura di un vecchio stupido fantasma» dichiarò Gimli orgogliosamente, gonfiando il piccolo petto «Posso lottarci. Ti proteggerò, Zio Óin!»

Óin si morse il labbro, forte. «Lo apprezzo molto, mio piccolo guerriero. Ora vieni, qua c'è l'entrata. Attento a dove cammini! A volte è facile scivolare sui detriti.»

Gimli immediatamente guardò giù, controllando i suoi piccoli stivali con espressione concentrata. Óin si permise di sorridere guardando il faccino serio per un momento, prima di afferrare la spalla di Gimli. «Ecco, ragazzo» disse dolcemente «Tieniti a me.»

La manina forte di Gimli si alzò e strinse strettamente quella di Óin. «Sì, Zio» mormorò, anche se stava ancora guardando i suoi piedi che si muovevano.

«Di qua» disse Óin, e girarono in un passaggio meridionale verso dove i minatori picconavano e scavavano le miniere esaurite. A volte scoprivano uno smeraldo o una vena di ferro decente, ma casi simili stavano diventando sempre più rari. I giacimenti portavano in genere verso il mare, e nessun Nano avrebbe continuato a scavare col pericolo di essere inondati da un momento all'altro.

«Zio Óin?» disse Gimli infine.

«Eh?»

«Tu credi nei fantasmi?»

Óin guardò Gimli. La faccia del ragazzo era ancora tirata in uno sguardo serio, ma c'era un tremito di paura nella sua voce. «Non lo so bene, ragazzo mio» disse «Ma so che nessun Nano, fantasma o meno, farebbe del male a un ragazzino come te.»

La testa di Gimli si alzò di scatto. «Non sono piccolo! Sono un Nano grande ora, l'ha detto Mamma! È per questo che Gimrís si prende tutte le mie cose!»

«Oh, sciocchezze» disse Óin, e lo punzecchiò con un dito «Chi ha ricevuto un'ascia giocattolo l'altro giorno? So che non era Gimrís.»

Gimli sorrise. «Ho preso Papà sulla gamba con quella, e lui ha detto ogni tipo di parolacce! È stato fantastico!»

Óin dovette guardare in alto per impedirsi di ridere. «Non osare andare in giro a ripeterle. E non dovresti colpire la gente, Gimli.»

«Ma mi ha detto di farlo!» si lamentò Gimli, e diede un calcio a un sasso «Non vedo perché dare la colpa a me quando Papà mi ha detto di attaccarlo con la mia ascia. L'ho sorpreso!»

«Ne sono sicuro» Óin ghignò nell'oscurità. Suo nipote stava già mostrando i segni di quello che era di certo un talento straordinario, e Óin era così orgoglioso che sarebbe potuto esplodere. «Ah, eccoci qua!»

Il piccolo gruppo di minatori alzò lo sguardo, i loro elmi brillavano alla luce delle lampade ad olio che dondolavano sulla trave centrale. «Óin!» disse uno, e tossì forte «Bello vederti. Grer si è fatto male alla schiena, e Hrekar si è tagliato una gamba.»

«Coem sta quel tuo polmone, Birin?» disse Óin severamente. Il minatore fece spallucce.

«Ancora nero, direi. Non smetto di tossire, comunque. Ciao, chi sei?»

Gimli si era stretto alla gamba di Óin, ma si fece avanti quando il minatore lo guardò curioso. «Gimli figlio di Glóin, al vostro servizio» disse, e poi alzò la testa per guardare Óin «L'ho detto bene?»

«Assolutamente perfetto» disse Óin, e spettinò i capelli infuocati di Gimli «Ora, ricorda cosa ti ho detto!»

«Sì, Zio Óin» disse Gimli ubbidientemente, e immediatamente si sedette contro un muro iniziò a guardarsi attorno con enormi occhi castani, osservando tutto.

Óin si prese cura dei minatori, alcuni dei quali iniziavano a mostrare segni dello stesso polmone nero di cui soffriva Birin. La polvere entrava nei loro polmoni e faceva infezione, ma la maggior parte dei minatori non si fermavano dato che non avevano altro modo di nutrire le loro famiglie. Faceva stringere i denti a Óin e ringraziare Mahal per quell'intelligenza per i soldi di Glóin che aveva lentamente trascinato la loro famiglia fuori da tale povertà.

«Gamba infetta» disse a Hrekar «So che non è facile tenerla pulita qua sotto, ma bendala bene e provaci lo stesso. Sono abbastanza sicuro tu non voglia perderla.»

Hrekar sbiancò. «Sicuro.»

Grer dovette smettere di lavorare, dato che non poteva sollevare pesi né arrampicarsi con la schiena in quelle condizioni. Il Nano aveva le lacrime agli occhi quando Óin glielo disse, e chinò la testa.

Poi il rumore di piccoli stivali disse a Óin che Gimli si era avvicinato. «Tieni» disse, alzando una mano. Dentro teneva la sua amata ascia giocattolo.

Grer guardò il ragazzo con confusione, e poi si girò verso Óin. «Cosa» iniziò.

«Tieni» insistette Gimli, e ficcò l'ascia nello stomaco del minatore «Magari puoi venderla?»

Le mani di Grer si chiusero attorno all'ascia, e lui parve perso. «Grazie, ragazzo» disse debolmente.

Gimli gli sorrise, e i suoi occhi brillavano nel buio. «Mi piace qui sotto. Magari mi puoi far vedere qualcosa quando sono più grande, e sarò anch'io un minatore? Così non devi sentirti triste perché ti ho dato la mia ascia.»

Grer batté le palpebre, e sorrise al ragazzino. «Aye, potrei farlo. Grazie molte, Gimli figlio di Glóin.»

Il minatore zoppicò via, la schiena curva e l'ascia giocattolo fra le mani. Óin guardò Gimli. «Hai appena fatto una cosa molto gentile» disse piano.

«Ha paura di avere fame» disse Gimli, alzando le spalle «A me non serve davvero la mia ascia. Papà può farmi vedere come farne un'altra – se non è più arrabbiato con me per avergli fatto male alle gambe.»

Óin si piegò e prese in braccio il ragazzino. «Che dici se io ti faccio vedere come farne una, azaghîth?» disse «Possiamo sempre farla insieme, che ne dici?»

Le braccia di Gimli si strinsero attorno al collo di Óin. «Sì, per piacere!»


«Mio zio...»

...spesso non c'è, sopraffatto dalla rabbia impotente e dalle preoccupazioni del suo popolo.

...se n'è andato per venticinque anni inseguendo un sogno pericoloso, senza lettere, senza messaggi, non sappiamo nulla.

...è partito per una missione terrificante verso il cuore dell'oscurità, e potrebbe non rivedere mai più suo nipote.

«...è lo zio migliore di tutto il mondo!»


«Roar! Sono un terribile troll feroce venuto a mangiarti!»

Gimizh strillò e scappò via mentre Gimli correva lungo il corridoio, picchiando i piedi e ringhiando. «Ai troll piace mangiare i piccoli Nanetti, lo sai» ruggì, e aprì una credenza per rivelare la ridacchiante, vivace forma di sua nipote accucciato fra le lenzuola ordinatamente piegate di sua sorella «Questo sembra un'ottima merenda!»

«Noooooo!» disse Gimizh, ridendo e urlando allo stesso tempo. Colpì le mani di Gimli quando lui fece per afferrarlo, e poi strillò di nuovo quando Gimli prese in braccio il ragazzino e finse di mordergli il collo. «Zio Gimli, nooooo! Ah, fa il solletico, piantala!»

«Temo i troll non ascoltino i piccoli Nanetti» disse solennemente Gimli al bambino «Soprattutto quando sono cena. Ah, ma questa cena puzza come il didietro di un Mannaro! Non vorrei mai che mi facesse star male, vero?»

Gimizh rise e tirò le trecce di Gimli. «Farei star male un troll, lo farei, lo farei!»

«Non ne dubito» disse Gimli, e strofinò la guancia sbarbata del ragazzino contro la propria barbuta «Ebbene, c'è solo una cosa che si possa fare. Questa cena deve essere lavata. Forse la potrei mettere in una pentola di zuppa?»

Gli occhi di Gimizh si allargarono. «No! Non voglio fare il bagno!»

«Ma in quel caso non potrei mangiarti, cenetta» disse Gimli, toccando la pancia del bambino «Non vorrai che rimanga affamato?»

Gimizh annuì con entusiasmo.

«Beh, è molto maleducato» disse Gimli, e ghignò. Poi si mise il Nanetto su una spalla e ignorò i suoi squittii. «Per fortuna sono un terribile troll, e posso fare ciò che voglio con la mia cena indipendentemente da cosa ne pensi. È il bello di essere un troll, vedi.»

Gimizh urlò e ululò per tutto il corridoio. Gimrís tirò fuori la testa dalla sua sala per lavorare, ma vedendoli alzò gli occhi al cielo. «Pensavo qualcuno stesse scannando un maiale» disse asciutta.

«Io sono un troll» disse lui allegramente «E questa è la mia cena. La laverò prima di mangiarla.»

«Sono decenni che te lo ripeto che sei un troll» disse Gimrís, sorridendo «Dopo che ti sei lavato la cena, preparala per andare a dormire già che si sei?»

«Suppongo di poterla mangiare domani» disse Gimli, facendo scorrere le dita verso le costole di Gimizh e facendogli il solletico. Il bambino rise e si contorse sulla sua spalla, colpendo la schiena di Gimli. «Non è molto grosso, dopotutto. Dovrei decisamente aspettare finché non sarà un po' più grande.»

«Io sono, io sono grosso!» disse Gimizh senza fiato «Sono più grosso di Balin, comunque, e suo Papà e davveeeeeero grosso.»

«Lo è» disse Gimli, girandosi verso la stanza da bagno «Forse non dovrei mangiarti. Forse dovrei andare a mangiare Balin?»

«Noooo» disse Gimizh, e avvolse le braccia attorno al braccio di Gimli e lo strinse forte «No, io sono la tua cena, tu sei il mio troll. Non mangiare Balin!»

Gimli spostò il bambino per farlo sedere fra le sue braccia, togliendogli una ciocca di capelli rosso scuro dalle guancette lisce. «Non lo farei mai» disse «Ora, muoviamoci, cena, dobbiamo pulirti.»

Gimizh parve diviso fra soddisfazione per il fatto che Gimli non sarebbe andato a giocare con Balin, e disgusto per l'idea di un bagno. «Oh, va bene» disse con voce molto offesa, e storse il naso «Ma tu devi rimanere qui con me, Zio Gimli.»

Gimli diede un bacio sulla guancia morbida. «Non mi sognerei mai di andare da un'altra parte, mio nidoyel.»


Fíli e Kíli morirono proteggendolo, seguendolo come sempre con cieca lealtà.

Gimli aspettò uno zio che non sarebbe mai tornato.

Gimizh guarda l'orizzonte.

FINE

P.S. Buone feste!

   
 
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