Serie TV > Distretto di polizia
Segui la storia  |       
Autore: piccolo_uragano_    27/12/2015    2 recensioni
«Forse non siamo mai stati niente. Forse ci siamo presi in giro per sedici anni, Luca.»
«Forse ci siamo amati per sedici anni senza rendercene conto, invece.»
----
Se Luca avesse una migliore amica di nome Lara, che non ha paura del giudizio della gente e che per Luca è la sua famiglia da sedici anni? E se poi accadesse dell'altro?
Non so cosa mi passi per la testa, ma questa storia girava tra i miei neuroni da una vita.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Luca Benvenuto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Ogni canzone mi parla di te.
Capitolo quinto: principessa.
(o ‘il segreto è’, o ‘paura dell’aereo’)


Per Lara, trovarsi davanti a quella che una volta chiamava ‘zia’, solo quindici anni più vecchia, fu un vero colpo al cuore. Trovare quella donna così invecchiata, così sciupata e così spenta fu come bere una birra cattivissima o come comprare un vestito che in vetrina le sembrava bellissimo, ma poi era uno straccio.
Ovviamente, Veronica la abbracciò e la strinse a sé come se non aspettasse altro da secoli, mentre Lara si chiedeva quante volte si fosse spruzzata quell’orribile profumo prima di uscire di casa, il telefono le stava già suonando. Fu un sollievo che per tutto il viaggio in auto lei avesse parlato al telefono, pensò Lara, così avrebbe sviato domande imbarazzanti almeno per le prossime ore. Veronica la accompagnò davanti ad un condominio che sembrava sul punto di crollare, ma lei sorrise e ringraziò. Disse che l’appartamento che le spettava era al secondo piano, che non era granché ma che per tre settimane poteva andare bene.
Una volta entrata, Lara si trovò in un bilocale grande quanto il suo salotto, con una doccia che perdeva e un lavandino da sgrassare ad ogni costo, un divano che sembrava che stesse per cedere e l’idea di soffocare. Poco prima dell’ora di cena, si lasciò cadere sul letto, riuscendo solo a pentirsi di aver rifiutato l’idea di scappare lontano dal mondo intero senza dirlo a nessuno.
«Maledetta te, Lara Mancini.» si disse, guardandosi allo specchio. «E maledetto quell’idiota di Luca Benvenuto.» aggiunse, per quanto le costasse pronunciare quel nome.
Prese la borsa e uscì di casa.
Fece giusto qualche passo prima di trovare un bar che sembrava disposto a darle una cena – dopotutto, non mangiava da due giorni.
Veronica non lo aveva detto, ma Lara era sicura che anche suo padre vivesse in quella città. Probabilmente aveva anche avuto altri figli, altre mogli, e altre vite. Fondamentalmente, a lei non importava. Non le importava da quando avevano litigato quindici anni prima. Si pentì amaramente di essersi messa a pensare a quel momento, perché subito le venne in mente l’affetto dimostrato da Luca in quella giornata. L’aveva tenuta abbracciata tutta la notte, e senza dire una parola l’aveva ascoltata piangere, lasciando che gli bagnasse la felpa e che gridasse. Avevano dormito così, abbracciati, e quella fu la prima notte in cui dormirono insieme. La mattina dopo, lui le preparò la colazione chiacchierando con Silvia e Carlo,e poi le scelse i vestiti da indossare, mentre con uno sguardo colmo d’affetto le chiedeva silenziosamente di non lasciarsi spegnere da quanto successo.
Ordinò un panino e una Pepsi, e poi si perse a guardare una coppia di anziani ridere nel tavolo accanto al suo.
La donna, che avrà avuto circa sessant’anni, notò gli sguardi di Lara. «Ciao, cara.» disse. «Tu non sei di qui, vero?»
Lara sorrise. «In effetti, no.»
La donna le porse la mano. «Tanto piacere, allora. Io sono Maria e lui è mio marito Gennaro.» Lara le strinse la mano e si presentò, mentre il marito la scrutava con attenzione. «Cosa ti porta da queste parti, Lara?»
«Sono di passaggio per lavoro.» rispose lei, mentre il cameriere le porgeva il panino.
«E sei sola?»
Perché tutti fanno sempre questa domanda?
«Così pare.»
«Che lavoro fai?»
«Sono ispettore di Polizia.»
La donna sembrò spaventarsi. «Ed è un ruolo pericoloso?»
Lara sorrise e scosse la testa. «La maggior parte delle volte no.»
«Hai mai sparato?»
«Non con l’intenzione di uccidere.»
«Io si
Lara guardò l’anziana signora che aveva davanti. No, si disse, avrei giurato che questa non avesse nemmeno il coraggio di uccidere una mosca.
«Ho fatto la guerra, sai? È per quello, per salvarmi, che ho sparato.»
Lara annuì, senza sapere cosa dire. Non voleva chiedere i particolari della sua vita difficile a quella donna, anche le se sembrava simpatica. Così si limitò ad indicare con la testa l’uomo seduto accanto a lei. «Da quanto state insieme?» domandò con aria curiosa.
La donna accarezzò la mano a suo marito. «Il mese prossimo facciamo cinquant’anni di matrimonio.»
Lara sorrise. «Il mese prossimo sarò già tornata a Roma, ma vi porgo ugualmente i miei più cari auguri.» La donna sorrise, e Lara si sentì autorizzata a fare la domanda che più le premeva. «Posso chiedervi quale è il vostro segreto? Voglio dire, come … come si fa a stare accanto ad una persona per così tanto tempo?»
Per la prima volta, fu l’uomo a parlare. Aveva una voce profonda e rassicurante. «Il segreto, mia cara? Il segreto è che ho sposato la mia migliore amica
Di nuovo, fu come uno schiaffo. Lara salutò, si alzò e tornò a casa.


Era il crepuscolo, di nuovo. Un altro giorno che finiva. Lara era appoggiata al cornicione del condominio, in mezzo ai panni stesi. Guardava il sole tramontare nel mare, dando luce a mille colori magici. Tirava con la sigaretta: quello era il solo momento della giornata in cui si concedeva di pensare a Luca. E, guarda caso, era anche il momento più piacevole. La divertiva immaginarlo che sistemava le ultime carte della giornata al Commissariato e poi saliva in auto. Immaginava che se ne andasse a casa loro, perché quella era davvero casa loro. Anche se lui viveva con Adriano da qualche mese, quella sarebbe sempre stata la loro casa. Anche se lui aveva fatto l’amore con Valeria. Se lo immaginava rincasare con aria stanca, lasciare la borsa sul divano (cosa che lei odiava), prendere la tuta da casa e farsi la doccia. Era bello pensare a lui, perché voleva sperare che lui, in qualche modo, pensasse a lei.
Erano lontani, in quel momento, ma quello stesso tramonto poteva guardarlo anche lui.
Era passata una settimana, e aveva parlato al telefono solo con Ludovica e con Germana, il sabato mattina. Era stato piacevole parlare con lei, raccontarle le piccole cose che le stavano succedendo, e aveva gradito che lei non le avesse nominato Luca nemmeno per sbaglio, ma era quasi sicura che avesse riferito tutto a Mauro.
Sorrise all’idea di Mauro che andava da Luca a riferirle che Lara stava bene, che aveva una casa poco lontano dal commissariato, che sua zia non aveva nominato suo padre per ora, che c’era stato un caso di stupro e due casi di corruzione nel quartiere. Luca probabilmente aveva corrugato la fronte e si era passato una mano nei capelli, e se le voleva davvero bene avrebbe composto il suo numero una paio di volte ma poi avrebbe riattaccato subito, perché l’orgoglio lo stava soffocando.
Le telefonate con Ludo erano diverse. Quotidianamente, la sorella la chiamava all’ora di cena per chiederle come stessero andando le cose, e quando Lara rispondeva ‘bene’, la secondogenita si sentiva autorizzata a vomitarle addosso tutto quello che accadeva a Roma, ogni cosa, ogni particolare, dal professore stronzo al tempo schifoso, dal locale che aveva chiuso all’incidente stradale  poco lontano da casa loro. Lara aveva l’impressione che Ludo avesse paura che sua sorella si dimenticasse di loro e si innamorasse della Sicilia, ma non aveva capito che Lara voleva solo tornare indietro.
Voleva solo tornare indietro per guardare negli occhi Luca.
Scacciò il pensiero di una dichiarazione strappalacrime buttando fuori il fumo. Sarebbe tornata a Roma e lei e Luca si sarebbero ignorati. Aveva vinto Valeria. Era stata lei a sedurlo, ottenendo ciò che lei non aveva avuto in sedici anni.
Forse solo perché lei non si era mai resa conto di amarlo.
Il telefonino squillò, e Lara lesse con piacere il nome di Roberto Ardenzi sul display. «Robe’.» esordì, sorridendo.
«Lara!» rispose lui con entusiasmo. «Stavo per denunciarti tra i dispersi.»
Lara sorrise e scosse la testa. Roberto aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto. «No, non ti darò questa soddisfazione.» replicò, ridendo.
Forse un buon motivo per tornare a Roma ce l’aveva. Dei nuovi amici.
 
Lara se ne stava seduta sul divano con un pacchetto di Pringles e una lattina di Coca-Cola, mentre in tv davano il cartone animato di Anastasia.
Lo aveva sempre adorato, quel cartone. Da piccola,  costringeva sua madre a guardarlo con lei. Quando Ludovica era diventata abbastanza grande, glielo aveva imposto ogni sabato pomeriggio. E ogni quanto riusciva, imponeva ancora a lei o a Luca di cantare ‘quando viene dicembre’ insieme a lei. Non aveva mai davvero creduto nell’amore, ma il legame tra Anastasia e Demetri si avvicinava a quello che per lei era l’apice della tenerezza: capirsi con uno sguardo e ridere insieme.
Aggrottò il naso, perché, inevitabilmente, pensò a Luca, quando avrebbe voluto solo concentrarsi su ciò che Rasputin aveva in mente – anche se sapeva a memoria cosa sarebbe successo.
Il telefonino, abbandonato sul posto vuoto accanto a lei sul divano, iniziò a suonare in modo fastidioso. Lei lo aprì senza nemmeno preoccuparsi di finire di masticare.
«Si?»
«Ehi, sorella, finalmente mi rispondi.»
Ludovica sembrava più allegra del solito.
«Si, scusa se non ti ho risposto stamattina, stavo litigando con quella troia di Veronica.»
«Perché?»
Lara scosse la testa, mentre il vagone bagagli del treno diretto a Parigi si staccava dal resto del mondo. «Perché vuole che veda mio padre, ma se lo scorda. Non sono venuta qui per lui, sono venuta qui per convincermi di non essere innamorata di Luca.»
Non fece in tempo a bloccarsi. Ormai, lo aveva detto. Lo aveva ammesso. Non aveva ancora detto apertamene del perché fosse lì – in una casa che cadeva in pezzi, nel territorio della mafia, a guardare un cartone animato.
«Certo, lo so. Piuttosto, che fai? Sei a casa?»
«Danno Anastasia, certo che sono a casa.»
Ludovica rise. «Su che canale?»
«Sei.»
«Okay, me lo guardo con te, come quando eravamo piccole.»
Lara sorrise. «Come sta la mamma?»
«Bene, bene, sai? Ieri ha cucinato la pizza, e ora prepara le cotolette.»
«Mi fa piacere.»
«C’è solo un problema, però.»
Ecco, pensò, era troppo bello per essere vero. «E quale sarebbe?»
«Apparecchia per quattro. A volte per cinque, chiedendo quando tu e Luca tornerete da scuola.»
Lara distrusse la lattina di Coca-Cola con la mano libera. «Ah.» riuscì solo a dire. Il nome di Luca e la malattia degenerativa che stava mangiando il cervello di sua madre le chiusero lo stomaco in una morsa. In quel momento, qualcuno bussò alla porta. «Scusa, bella, bussano alla porta. Ci sentiamo dopo.» attaccò a sua sorella e si diresse con passo stanco verso la porta.
«Chi è?» chiese. Tanto per cambiare, l’occhiello della porta blindata non funzionava.
«Luca.»
A quel punto, il suo stomaco si mise a ballare la macarena. Aprì la porta senza nemmeno pensarci, trovandosi davanti il suo migliore amico in tutto il suo splendore.
Sorrise, sorridendo veramente per la prima volta dopo settimane, e lui ricambiò il sorriso, facendole girare la testa come se avesse bevuto.
«Posso entrare o vogliamo rimanere qui così?»
Lara scosse la testa e si spostò da davanti alla porta, ricordandosi che era arrabbiata con lui e maledicendosi, perché, diamine, ne era davvero innamorata – e grazie tante.
Notò che Luca aveva uno zaino, gli occhiali da sole sopra la testa e la maglietta che aveva lasciato da lavare a casa, quindi era passato a casa, aveva parlato con Ludo e quella cretina le aveva chiesto apposta se fosse a casa.
Devo ricordarmi di ucciderla, quando torno.
«Non mi dire che passavi di qui, Benvenuto.» gli disse, mentre lui appoggiava liberamente lo zaino sul tavolo.
«Immagino di non poterla usare come scusa.»
Lara scosse la testa, mentre lui notava il cartone animato nella televisione. «Ho interrotto qualcosa?»
«No, stavo cercando di ricordare quando ci bastava quel film e una birra per rimettere le cose a posto.»
Luca abbassò la testa come per assimilare il colpo.
Erano meno di due settimane che non lo vedeva, e aveva dimenticato quanto potessero essere intensi i suoi occhi e quanto potesse essere accecante quel sorriso.
«Dobbiamo parlare, Lara.»
«Avresti potuto telefonarmi.» rispose lei, riposizionandosi sul divano.
«L’ho fatto, almeno tre volte al giorno, ma eviti le mie chiamate.»
Lara si morse il labbro: era sicura di non averne evitate tante, di telefonate. «Sono stata impegnata.»
Bugiarda.
«A sederti sul divano a guardare cartoni animati?»
Lo sentiva dietro di lei, sentiva la sua mano sullo schienale del divano, eppure combatteva contro se stessa per non girarsi a guardarlo.
Lara prese il pacchetto di Pringles e ricominciò a mangiare in modo nervoso. «Sono qui per lavoro, Luca.»
«Io sono qui per amore.» replicò prontamente lui con tono dolce.
Lei si ingozzò con una patatina alla parola ‘amore’. Si alzò di scatto, mandando all’aria tutti gli sforzi di non guardarlo, e lo fissò come se avesse appena detto ‘ehi, Lara, ci sono gli Ufo che bussano alla porta’.
«Lara io … io non lo so se siamo qualcosa di più, io e te. Non lo so. Ci siamo sempre dati per scontati, non ce lo siamo mai chiesti. Ma non siamo migliori amici. Siamo una cosa sola, lo sai anche tu. Non diciamoci cazzate come ‘siamo come fratelli’, perché con Ludovica siamo come fratelli, con Mauro siamo come fratelli, ma io e te no
«Forse non siamo mai stati niente. Forse ci siamo presi in giro per sedici anni, Luca.»
«Forse ci siamo amati per sedici anni senza rendercene conto, invece.»
Lara si passò una mano tra i capelli con aria nervosa, mentre spalancava la portafinestra perché si sentiva mancare l’aria. «Tu ti senti solo in colpa per la storia di Valeria, Luca, non sai quello che stai dicendo.»
«So benissimo quello che sto dicendo, invece.»
Lara continuò a scuotere la testa. «No
«Sono innamorato di te, Lara Mancini. Lo sono dal momento in cui mi sono seduto al banco accanto al tuo, dal momento in cui hai preso a pugni quei bulli per proteggermi, dal momento in cui ti ho vista piangere per la prima volta. Per qualche motivo ero convinto che mi piacessero solo gli uomini, forse perché ero convinto che non mi avresti amato come ti amo io, perché credevo che non sarei stato in grado di stare assieme ad una donna, ma ti giuro Lara, ti giuro che se anche solo dieci anni fa mi avessero chiesto di scegliere una persona da avere accanto fino alla fine dei miei giorni, avrei scelto te senza battere ciglio. Come fai a non accorgertene? È sempre stato amore, sempre. Solo che lo abbiamo sempre negato.»
Lara fece del suo meglio per non piangere. «Tu mi ami?» chiese, con un filo di voce.
«Io ti amo.» rispose lui con tono sicuro.
«E quindi? Se ti dicessi che sono innamorata di te più o meno da quando ti ho guardato negli occhi per la prima volta, cambierebbe qualcosa? Non credo. Tu hai un compagno, io sto trecento chilometri lontana da casa e probabilmente sto sognando, e …» si bloccò, mentre un mostro le divorava lo stomaco e non riuscì a fare più niente per imporsi di non piangere.
«Non è un sogno.»
«Allora è un incubo!»strillò lei, liberandosi dalla presa ferrea che lui aveva applicato sul suo braccio.
Lui si avvicinò a lei e le baciò lo zigomo, per bloccare quella lacrima salata. Lei ebbe i brividi lungo la schiena per il sapore nuovo di quel bacio, mentre lui, con gesti lenti come se avesse paura di spezzare qualcosa, avvicinò le sue labbra a quelle di Lara e la baciò piano. «Non è un sogno. E non è un incubo. Siamo noi, sempre noi, Lara.»
Lei tirò su col naso. «Non devi baciarmi solo perché sto piangendo.»
Lui sorrise, posandole le mani sulle spalle. «Non ti sto baciando perché piangi, ti sto baciando perché ho voglia di baciarti
Lei sorrise e lo baciò di nuovo, con più sicurezza e trasporto, rimanendo convinta di stare sognando. «Ripetimelo.»
«Ti bacio perché ho voglia di baciarti.»
«No, che mi ami.»
«Ti amo.» ripeté, e poi si perse di nuovo nei suoi baci, sedendosi sul divano e facendola sdraiare sopra di lui, come i due liceali che erano stati.

Lara si svegliò la mattina dopo che ancora non ci poteva credere. Luca era lì. Luca la amava. Luca aveva fatto l’amore con lei, per tutta la casa, per tutta la notte, staccando le labbra da lei solo per sorriderle o sussurrare il suo nome. La luce del sole invadeva la stanza senza ritegno, illuminando la schiena muscolosa di Luca e i suoi capelli castani. Lara, senza nemmeno pensarci, si alzò e andò di là, senza nulla addosso. Prese una canotta azzurra e dei pantaloni di una vecchia tuta che trovò in giro, e si mise a scaldare il caffè. Luca meritava di dormire (non sapeva nemmeno come fosse effettivamente arrivato lì) ma lei sarebbe dovuta andare a lavorare, almeno fino a pranzo.
Lo sentì alzarsi e strisciare i piedi qualche metro, giusto per arrivare in cucina indossando solo i boxer. Lei gli sorrise, e lui le baciò dolcemente le labbra. «Buongiorno.» le sussurrò, con tono dolce.
Lei sorrise di nuovo. «Che bel buongiorno, Benvenuto.»
Lui le pizzicò il fianco. «Fino a che ora lavori?» domandò, sedendosi al tavolo mentre lei serviva il caffè.
«Almeno fino a mezzogiorno.» si sedette davanti a lui. «Levami una curiosità.»
«Ho chiesto alla Corsi.» rispose subito lui. «Ludo si è presentata in Commissariato a strigliarmi come un bambino che ha rubato la Nutella. Germana era venuta a prendere Mauro e l’ha sentita darmi dell’idiota, si è avvicinata e ha detto ‘ho parlato con Lara, stamattina, ti conviene rimediare al più presto’. Ovviamente anche Mauro e Roberto erano dell’idea, così sono andato dalla Corsi e l’ho implorata di dirmi esattamente dove fossi e dove potessi trovarti. Ho prenotato il volo per l’ora di pranzo del giorno dopo. Sono andato da Adriano, gli ho detto che era inutile fingere, perché tra noi era finita, e lui, senza che io dicessi niente, mi ha detto ‘finalmente ti sei accorto di amare quella ragazza, eh?’. L’ho ringraziato, sono andato a cena da tua madre, e la mattina dopo Roberto mi ha portato in aeroporto. Altre domande, ispettore?»
Lara lo guardava senza riuscire a credere alle ultime parole. «Tu hai paura dell’aereo, Luca Benvenuto!»
Lui alzò le spalle. «Ho preso due piccioni con una fava.»
«Come ti è venuto in mente di prendere un dannatissimo aereo?»
Lui sorrise. «Sono venuto qui e ho detto che ti amo, Lara Mancini: l’aereo non era niente in confronto.»

Lara entrò in commissariato con aria raggiante. Aveva lasciato Luca a casa, promettendogli che sarebbe tornata quanto prima, mentre lui le annunciava che avrebbe avuto delle telefonate da fare, e lei gli aveva rubato la maglietta della sera prima, per tenere il suo odore addosso.
«Oggi sei radiosa, Lara!»
Per la prima volta, l’atteggiamento viscido di Veronica Russo non le diede fastidio: le sorrise e si sedette al tavolo dove lavorava sempre, contando le ore che la separavano dalla pausa pranzo. Fece per estrarre dal cassetto le foto segnaletiche su cui avevano lavorato anche il giorno prima, quando uno degli agenti bussò alla porta del piccolo ufficio. «Scusi, ispettore Mancini, ma il commissario Russo vorrebbe parlare con lei.»
Lara guardò il commissario Veronica Russo, davanti a lei, con aria sospetta. «Avevo detto di no.»
«Oh, Lara, ti prego!» esclamò l’altra. «Solo cinque minuti!»
Ma Lara scosse la testa, e, indignata, afferrò nuovamente la sua borsa. «Sono venuta qui per scappare da un problema personale che aveva a Roma, che si è risolto ieri sera. Quindi, non ho nessun motivo per rimanere qui.» Afferrò il suo cappotto. «E non voglio parlare con Davide, perché per me lui è morto. È abbastanza chiaro?»
La voce che le rispose non fu quella di Veronica, ma una voce profonda alle spalle di Lara. «Sei identica a tua madre, Lara.»
Lara, lentamente, si voltò. Davide Russo era davanti a lei, invecchiato di quindici anni, con i capelli grigi e i suoi stessi occhi azzurri. Si sorprese di trovare Lara così adulta e matura, e non nascose il suo stupore quando la trovò restia ad ogni contatto.
«Me ne torno a Roma.» disse la donna, con gli occhi persi in quelli del padre.
«Ho bisogno di parlarti.» replicò lui.
«E io ho bisogno di fumare una sigaretta, urlare e abbracciare il mio uomo.»
«Hai un compagno?» domandò lui curioso.
«E che t’importa?»
«Sono tuo padre, Lara. Dimmi, hai dei bambini?»
«Tu per me sei morto, Davide.» replicò lei, con una voce tremendamente fredda, che non aveva mai usato con nessuno.
Uscì dalla stanza, salì in auto e accese la radio. Si sforzò di non piangere, mentre immaginava Luca che l’aspettava a casa, e che l’avrebbe consolata e riportata a Roma, cercando contemporaneamente di non sbandare e di fermarsi ai semafori rossi. Parcheggiò di fortuna e salì le scale di corsa, con il fiato a pezzi per via dei polmoni corrosi dal fumo. Quando spalancò la porta di casa, trovò Luca che cercava di sistemare il lavandino che perdeva, mentre canticchiava la canzone che passava in radio. Si accorse immediatamente di lei, correndole incontro come se stesse per crollare, e abbracciandola senza chiederle niente. Solo tra le sue braccia lei si concesse di scoppiare in lacrime, facendo caso alla canzone che passava in radio.
Vieni principessa, ti porto via con me, tra le stelle di un altro pianeta c’è una rosa rossa da cogliere per te, e domeniche, e sogni di vita.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Distretto di polizia / Vai alla pagina dell'autore: piccolo_uragano_