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Autore: cioshes    28/12/2015    0 recensioni
Stanley aveva sempre immaginato vari scenari da affrontare eventualmente, al fine di evitare di rientrare tra le numerose vittime di incidenti sul lavoro – ma quello che si ritrovò, quando varcò la soglia degli uffici, era sicuramente il peggiore.
[Scusate il mio evidente ritardo mentale, ma ho messo Mrs. Garrison tra i pairing, e in questa OS di Mrs. Garrison non si vede neanche l'ombra. Poi, non riesco a cambiare i pairing, che sono Cartman/Kenny, Stan/Kyle, con una hint di Cartman/Kyle. That's it.]
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kenny McCormick, Kyle Broflovski, Stan Marsh, Wendy Testaburger | Coppie: Herbert/Janet Garrison
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Work hard, and then you die

E' più di un anno che non scrivo, già. E visto che sono un'amante del pericolo, ho deciso di cimentarmi in questo fandom con una challenge interamente su South Park tra me e mia cognata - chi me l'ha fatto fare?!
Dopo un lunghissimo blocco d'autore (durato un anno, can you tell), senza pratica, e inoltre senza mai aver letto una fanfiction su South Park in italiano, qui su Efp, mi cimento in questo orroroso fandom (in cui sono entrata anni fa, e che non si può mai davvero abbandonare, sob). Posso dire di essermi scavata la tomba.
P.S: scusa Biazur per non aver incluso la Stenny, ma anche se la Stenny è più-che-shippabile -- Kenman is megl. E poi il numero di fanworks Kenman è troppo esiguo, e devo rimediare.
Ringraziamenti: dedico questa OS alla parte razionale del mio cervello -- poverella, ne ho compassione, 'ché mi ha detto "no, non pubblicarla, sarà la tua rovina" per tutto questo tempo ed almeno è riuscita a fermarmi quando stavo intitolando questo testo "Soap Opera". Capirete il pun se avrete il coraggio di leggere questa roba.

Pace, amore, e morte ai Tenorman.
 

X X X

Dopo esser stato scoperto a urinare nel nuovo ficus di Mrs. Testaburger, e dopo esser stato sorpreso da alcuni manager a dormire con la testa sulla piccola tastiera del suo iMac – le sue guance avevano lasciato il segno di tante AAAAAAAAAAAAAAAA, e precisamente tante da riempirne ventiquattro pagine di file e documenti importanti  –, Stanley tornava dalla sua pausa pranzo con la minima speranza di trascorrere l’altra metà della sua giornata lavorativa in santa pace.
Certamente, aveva sempre immaginato il peggior scenario da affrontare eventualmente, al fine di evitare di rientrare tra le numerose vittime di incidenti sul lavoro – come Jim Lo Storpio o Kenneth, il figlio dei vecchi McCormick che abitavano nel ghetto – ma quello che si ritrovò, quando varcò la soglia degli uffici, era sicuramente il peggiore.

«Cosa?! », urlava Kyle. Era sudato, i capelli gli si erano appiccicati sulla fronte, le guance rosse come il cardigan che portava – era da donna, osservò Stan.
«Non è possibile! », poi, rivolgeva lo sguardo a Mrs. Testaburger. Odio? Supplica? Stan non capiva.
«Wendy! », l’ammoniva.
«Mrs. Testaburger, prego. » lo correggeva. Non permetteva a nessuno di chiamarla Wendy, a lavoro. Era rimasta impassibile; le labbra strette e il suo noto sguardo di materno rimprovero.
«Broflovski, » diceva. «Ho scelto. »
«A Cartman non è mai importato un cazzo di questo lavoro! »
( Neanche a Kyle importava qualcosa del suo lavoro, ma Stan non disse niente).
«Eric Cartman ha sempre lavorato con impegno per adempiere ai risultati raggiunti.»
«Testaburger, io mi spacco il culo da dieci anni in questi uffici, adesso arriva questo idiota, ti porta a letto, e mi fotte il posto! »
«Kyle! Pare il caso…?»
«Niente Kyle!», le fece il verso. «Mr. Broflovski, prego! »
Wendy si alzò dalla poltrona, aggiustandosi la gonna. Poi, si avviò verso l’uscita. «Non vedevo l’ora di andare via, da questo manicomio
Prima di voltargli le spalle, lanciò a Stanley un’occhiata, un’espressione di rimorso e di genuino dispiacere. Gli parve di sentire buona fortuna dalle sue labbra, come un sospiro – ma probabilmente era solo la coscienza che gli giocava brutti scherzi.
Distrutta anche l’ultima speranza – il sogno utopico di una giornata in ufficio che non finisse con urla, tirate di capelli, pianti, umiliazioni, o con Kenneth e uno dei suoi arti rotti o lussati, o senza un molare – Stanley cercò di prendere in mano le redini della situazione.
«Cosa succede qui?»
Troppo concentrato su Kyle e Wendy, non si era accorto di Eric Cartman, che per tutta la scena era rimasto appoggiato alla scrivania, braccia conserte, e un sorriso ebete che voluttuosamente gli stava pigro sulle guance.
«Succede che quella milfona della Testaburger mi ha ceduto il posto,» disse. Normalmente Stan non avrebbe permesso a qualcuno – men che meno a Eric Cartman! – di chiamare un’amica e una professionista così valida come Wendy Testaburger milfona, ma la situazione era tanto assurda che non riusciva ad aprir bocca. Era convinto che se avesse provato a parlare, la sua gola avrebbe prodotto un suono tanto disumano quanto imbarazzante – quindi, superfluo. Comunque, Eric continuò: «e pare che la bella Principessina Ebrea sia invidiosa. Hai mai pensato di portargli un pacco di assorbenti al posto del caffè, Marsh?»
«Tu avrai bisogno di assorbenti, quando ti spaccherò il naso, cazzone!», Kyle era così su di giri che a Stanley venne voglia di prenderlo dolcemente, portarlo fuori a fare una passeggiata, e fargli riconsiderare le sue priorità – ad esempio, lasciar perdere i ciccioni che gli rubano il lavoro e dar retta a un giovane lavoratore sfortunato e cinico, e farci l’amore.
Quello certamente era lui, ma dato il suo cinismo – per l’appunto – si limitava a porre questa tra le remote situazioni ideali e a tirarla fuori nella sua mente solo ogni tanto, come per ricordarsi che comunque, Kyle Broflovski – un trentenne laureato che indossa i cardigan di sua zia e riesce lo stesso ad essere grazioso – ha standard troppo alti per uno che piscia nelle piante del suo ex datore di lavoro. Magari prendergli il misuratore di pressione sarebbe stato più efficace.
A questo punto Cartman avrebbe potuto spararne una delle sue riguardo il naso di Kyle, che invece pareva rotto fin dalla nascita, ed era così aquilino che gli ricordava la località sciistica di Aspen dopo una valanga – invece, si limitò a guardare altrove, come se l’idea di essere ammazzato brutalmente da uno dei suoi colleghi – no, da uno dei suoi dipendenti – non lo sfiorasse minimamente: «Token, Token Williams. Dov’è Token?»
Poi: «Marsh,» Stan sobbalzò nell’udire il proprio nome. «va’ a chiamare Token immediatamente. E anche Kenny.»
Ma Kyle: «Non ti azzardare. Non dargli ragione, Stanley! Non ti permettere! »
E che poteva fare, Stanley, se non eseguire gli ordini del suo datore di lavoro? Cosa avrebbe dovuto contestare, dopotutto? Cosa pretendeva Broflovski?
 Decidendo di evitare un licenziamento, più che essere evitato da Kyle per il resto della sua vita, si precipitò fuori dagli uffici.
 
X X X


Kenneth è sempre stato un dipendente della casa di produzione Testaburger, e ha sempre avuto l’onore di operare nella sua sede a Denver.
Era l’orgoglio della famiglia McCormick, famiglia di contadini o proletari che si tramandavano anche le mutande pur di far economia. Anche se, quando qualcuno riusciva a racimolare qualche dollaro, l’alcolista di famiglia sperperava il ricavato il primo venerdì sera.

A ogni cena di famiglia Kenneth affermava di collaborare con la brillante Wendy e le ricche aziende dei suoi avi – ma senza menzionare il suo reale impiego all’interno della Testaburger’s Co.: era addetto ai servizi igienici.
Fu quindi sorpreso di apprendere da Stanley Marsh che il capo lo stesse aspettando; fu ancora più sorpreso quando, spalancando la porta dell’ufficio di Wendy Testaburger, trovò la donna sul punto di andarsene.
«Non sono io il capo, qui, », gli rivolse un sorriso amaro, passandogli accanto. «Ti aspetta negli uffici.»
 Il tailleur nero le conferiva un’aria severa e fatale, quasi attraente – un simbolo del rampantismo delle donne in carriera, avrebbe detto Stanley Marsh, perché a lui quelle parole non sarebbero mai saltate in testa.
Quasi Kenny considerò l’idea di darle una pacca sul fondoschiena – poi, abbassò le mani.

Passando di là per recarsi agli uffici, notò che su una poltroncina blu nella sala d’attesa, c’era Mr. Broflovski in preda a un crollo nervoso: «Non è possibile, non è possibile, Dio mio, non è possibile…»
(Quell’uomo era intrattabile; Kenneth affrettò il passo).
Quando finalmente gli occhi si abituarono alla luce che entrava dalle vetrate, Kenny riuscì a distinguere Eric Cartman – la sua aria baldanzosa lo rendeva ancora più grosso, in qualche modo – che parlava con Token Williams. Poco più in là sedeva Stanley Marsh con un’aria sconsolata – non che si trattasse di una novità.
«Williams, da domani in poi prenderai il mio posto, » stava dicendo Cartman.
«Andiamo! », Token agitava il pugno in aria, soddisfatto.
«E non parlare come un negro del cazzo, Williams! »

«Io vado da Kyle.» annunciò Marsh in un sospiro.
«Ah, adesso il Principe Azzurro corre dalla fidanzatina? Resta qui, Marsh. O ti licenzio!»
«E’ assurdo, Eric, davvero.» Marsh era rassegnato. Si alzò dalla sua sedia ergonomica, trascinandosi verso il corridoio. «Io vado da Kyle.» , ripeté.
Aveva un’aria particolarmente stanca, quella mattina. Quando il suo interminabile esodo dagli uffici pareva volgere al termine, Stanley parve ripensarci. Alla fine si girò, e con le sopracciglia aggrottate, disse: «Oh, Mr. Cartman, perdoni la mia irriverenza, ma a tutti noi è ormai chiaro che Mr. Broflovski ve lo scopereste con piacere, in tutte le posizioni, anche durante una notte sola. » E camminò via.
Kenneth fu costretto a distogliere lo sguardo e a cercare una sedia su cui sedersi per non scoppiare a ridere a crepapelle.
«Neanche se mi pagassero!» urlò Eric. Era rosso in volto, le labbra contratte in un’espressione arcigna.
«Hey, ragazzo, » rideva Token. «Guardi Broflovski come si guarda un pasticcino.»
«Williams, non ti ci mettere anche tu! E smettila di parlare come un negro del cazzo!»
«Eric, io sono un negro del cazzo, » Token affondava nella poltrona. «E poi, è chiaro come il sole che…»
«Token, cazzarola, se non ci dai un taglio ti assicuro che sarà lo stesso più chiaro del tuo futuro alla Testaburger’s!»
Black ammutolì, e alzò le mani, sorridendo.
«Bella questa,» Kenneth si lasciò scappare una risatina.
«Ah. E’ vero,» Eric si ricompose. «C’è anche McCormick.»
La sua aria improvvisamente annoiata infastidì Kenneth – per tutta la discussione nessuno l’aveva guardato in faccia.
Era sempre stato uno zerbino su cui pulirsi i piedi dopo un giorno di pioggia. O un fantasma.
Era come se fosse morto da sempre, come se avessero fatto le condoglianze alla sua famiglia trent’anni prima, e quindi chi se ne frega più! Era solo un mucchio di ossa in una fossa comune.
Ma c’era, era vivo, ed era un fedele dipendente della Testaburger’s.
«Che c’è, Eric?»
«Adesso sono Mr. Cartman,» ghignò. «Il capo sono io.»
«Sì, sì. L’ho capito.» Cambiava umore come si cambiano le mutande, pensò. Non era sicuro se si riferisse a Eric o a se stesso. «Ma che c’è?» sbuffò.
Cartman sembrò ignorarlo.
«Token, per favore, assicurati che la Principessina Ebrea e il suo Principe Azzurro non stiano tentando il suicidio» prese delle monetine dalla tasca interna della giacca e gliele lanciò. «E già che ci sei, vai al bar qui sotto. Due cortado per me e McCormick. Prenditi qualcosa.»
(A Kenny non piaceva il cortado, né che Cartman scegliesse il caffè al posto suo, ma non disse niente).
Anche Token uscì, senza dire una parola.

All’improvviso: «Chiudi la porta a chiave.»
«Come, scusa? »
«Cazzo Kenny, è semplice: chiudi quella fottuta porta. »
«La devi smettere di…», cominciò – decise di tacere, e chiuse la porta a chiave.
Nonostante il grasso di troppo, Eric era un bell’uomo, indubbiamente. Tutto di lui era virile, dalla sua mascella quadrata al suo atteggiamento. Nessuno aveva biasimato Wendy Testaburger – donna seria e felicemente sposata – quando si diffuse la voce secondo cui avesse passato la notte tra le lenzuola di casa Cartman.
Eric somigliava a sua madre, tutti lo dicevano.
Mrs. Cartman era una delle signore più belle di South Park, forse del Colorado. Aveva degli occhi grandi, cigliati, di un colore che nessuno mai era riuscito a definire, e compassionevoli – anche Eric aveva gli stessi occhi, tanto grandi e carichi che parevano pendere dalle sue guance, sul punto di cadere giù. Ma non c’era compassione nel suo sguardo, né dolcezza. C’era solo lussuria, prepotenza.
«Avvicinati, mica ti mangio!», Kenneth sentiva il peso dei suoi occhi su di lui.
Eric era seduto dietro la scrivania – nell’abitacolo in cui lavorava, adiacente a tutti gli altri.
Si avvicinò velocemente.
«Da oggi in poi, » afferrò il suo braccio sinistro. «Sarai il mio segretario.»
 Kenny si sentiva in pericolo. Non gli piaceva quell’uomo, dopotutto. Lo faceva sentire come una preda, disorientato, vulnerabile. Non voleva apparire così.
«Cartman, io pulisco i cessi.»
«Taci. Non ci vuole una laurea per rispondere al telefono e portare il caffè.»
La presa era salda, soffocante – Kenny aveva voglia di dargli un pugno in faccia, ma non lo fece.
«Cazzo, Cartman, io a malapena so scrivere.»
«Ho detto di tacere, McCormick! Ti pagherò molto di più e avrai il pranzo gratis ogni mercoledì, così la tua famiglia avrà una bocca in meno da sfamare. Ma ora, chiudi quella cazzo di bocca
Kenneth fece subito per ribattere, strattonando quel braccio che aveva liberato dal gesso una settimana addietro e che ora era dolorosamente stritolato dalla salda presa di Eric, ed Eric anche lo strattonò, avvicinandolo a sé.

Kenny avrebbe voluto tanto dire di non aspettarselo, davvero. Avrebbe voluto dire che successe all’improvviso, sorprendendolo, ma non fu così – anzi, la prevedibilità di Cartman risultò tanto patetica quanto drammatica: con uno slancio immediato, fece cozzare le proprie labbra contro quelle di Kenny.
Istintivamente, Kenny cercò di allontanarlo.
«Non è Broflovski, quello che guardi come un pasticcino?»
«McCormick, non farmi annoiare.»
«E cosa pensi di fare con… quella?», indicò i pantaloni di Cartman, che sghignazzò.
«Lo sai perfettamente, McCormick.»
No, non lo sapeva perfettamente – ne era terribilmente dubbioso. Eric Cartman era un uomo pericoloso – tutti lo dicevano. E’ un uomo potente, in qualche modo – ma anche miserabile. E Kenneth avrebbe dovuto stare alla larga da lui.
Ma aveva quegli occhi spaventosi che lo inchiodavano con una forza tale da fermare anche il tempo attorno a loro –  e quale altro miserabile, se non Kenneth, avrebbe mai intuito la sua profonda solitudine? Eric aveva bisogno di qualcuno.
(In termini pratici, francamente, Kenny aveva bisogno di liberarsi di quella cosa che aveva nelle mutande).
«Ma non abbiamo neanche lub…»
«Kenny, smettila di lamentarti! Va’ a prendere del sapone nel bagno, che ne so!»
Una parte di Kenneth avrebbe voluto ribattere, spaccargli la faccia con la stampante che brontolava davanti a loro – ma, ancora una volta, non fece niente. E corse ad aprire la porta.
Prima di uscire, Cartman si alzò e lo raggiunse – uno spreco inutile di energie.
«Cazzo, sei ancora più bello quando sei accigliato,» sussurrò. Inutile dirlo: Kenny sentì le mutande strapparsi. L’idea lo faceva quasi ridere.
«Corri.»
E così fece.
Il bagno più vicino era una stanza minuscola, grande quanto uno sgabuzzino, e quando una persona si sedeva sul gabinetto, toccava la parete con le ginocchia.
Era quasi a portata di mano, separato dagli uffici solo da uno stretto corridoio, ma il tempo impiegato per raggiungerlo sembrò un’eternità.
Girò il pomello senza pensare, senza fare caso ai rumori che lo circondavano – se ne pentì presto: schiacciati tra il lavandino e la parete c’erano, avvinghiati, Marsh e Broflovski.

 
X X X
 
Era stato così facile consolare Kyle Broflovski. Era come un bambino pretenzioso che, battendo i piedi per terra, proclamava solennemente di non voler più parlare a nessuno se non in cambio di quel gelato.
Stanley aveva persino considerato quel piccolo successo un premio dopo la sua faticosa e imbarazzante giornata lavorativa.
Aveva trovato Kyle seduto sulla poltrona blu della sala d’attesa, la sua faccia sepolta tra le dita affusolate – che comunque non riuscivano a coprire la sua immensa melodrammaticità.
Aveva provato col formale – o meglio, col normale – offrendo Xanax, caffè e misuratore di pressione, poi aveva continuato con la pacca sulla spalla da giocatore di football che tenta di celare la sua omosessualità sotto strati e strati di virilità.
Infine Stanley si era rassegnato – era impossibile far ragionare Kyle Broflovski, o far cessare le sue lamentele e le sue lacrime – e aveva deciso di limitarsi ad annuire vigorosamente alla cantilenante voce del collega.
Evidentemente, era quello di cui aveva bisogno, perché senza neanche essersi accorto di star continuando ad annuire dopo che Kyle ebbe smesso di parlare, Stanley si ritrovò capelli rossi negli occhi e i denti di Broflovski sulle labbra.
In un lasso di tempo di cui Stanley non riuscì a tenere il conto – tre secondi?, tre secoli? – Broflovski l’aveva trascinato nel bagno più vicino, aveva cercato di sbottonargli la camicia – rinunciando al quarto bottone, la sua concentrazione si era focalizzò sui pantaloni – e aveva scoperto l’imbarazzante figurina da collezione di John Elway  che Stanley portava sempre con sé, e che Kyle aveva commentato con un sorpreso mh, Denver Broncos… – in cambio, Stan notò i ridicoli calzini dei New Jersey Devils che indossava Kyle, con la faccia di Mel Bridgman cucita a punto e croce.
Ecco come arrivarono a quel punto – mezzi nudi, ansimanti, schiacciati tra il lavandino e la fredda parete del bagno,e con la faccia da pesce lesso di McCormick che li fissava imbambolato con un’evidente erezione.
«Mi serve, um, il sapone.»
Kyle, con i reni contro il bordo del lavabo, pronunciava imprecazioni soffocate dagli ansimi – o dalla ceramica.
«Sì…» tagliò corto Stanley. «Anche a noi.»
Fu sorpreso di notare che Kenneth si sentisse molto più a disagio di Kyle, che si limitava a guardare altrove – prese una manciata di sapone liquido, e passò il contenitore all’intruso.
«Scusate ragazzi, io…», ma Stanley chiuse la porta – stavolta, a chiave.

 
   
 
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