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Autore: Lumos and Nox    31/12/2015    8 recensioni
"Al momento della presa della Bastiglia, all'interno del carcere erano rinchiusi soltanto sette detenuti: quattro falsari, un libertino, un rivoluzionario un po' folle e un irlandese pazzo che credeva di essere Giulio Cesare".
Una semplice frase di un documentario, una semplice idea: provare ad osservare la Storia attraverso un insolito punto di vista.
Genere: Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
- Questa storia fa parte della serie 'La storia con la esse minuscola'
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Caesar in Bastille



Era stata una mattinata tranquilla, quella. Si era svegliato alla solita ora, aveva indossato una delle sue vesti e aveva fatto colazione, rifiutando poi la consueta passeggiata che Antoine, la guardia davanti alla sua cella, gli aveva proposto.
Andare fuori quella mattina non avrebbe giocato alla sua strategia. Aveva osservato ogni giorno, nelle settimane precedenti, i dintorni del carcere in cui era stato rinchiuso, ma non aveva visto alcun luogo che recasse le grandi aquile del suo impero o i segni del passaggio di Marco Antonio e degli altri suoi generali, con il suo esercito.
Davanti ai suoi occhi, ogni mattina, passavano soltanto quei cittadini Galli, con le loro vesti particolari- nemmeno una tunica! Come potevano vivere senza una tunica?... D'altronde, al Senato li chiamavano barbari...
Il Senato! Da quanto non si recava lì, a fare personalmente rapporto? Aveva scritto una lettera per ogni giorno di soggiorno in quel carcere e le avrebbe consegnate ad Antoine, che dal nome doveva avere per forza di cose una discendenza o un rapporto con il popolo Romano, ma se le avesse consegnate ai suoi superiori? I Galli avrebbero potuto scoprire tutti i più profondi segreti di Roma e del suo più valente dittatore! No, non poteva permetterlo. E non poteva nemmeno permettere che Antoine sospettasse qualcosa, dato che lo seguiva sempre nelle sue passeggiate, osservando ciò che lui osservava...
E perciò, niente passeggiata con Antoine. Giulio Cesare- conosciuto da tutti come il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte- quella mattina si era seduto al suo scrittorio e aveva cominciato con un sospiro una nuova lettera da inviare al Senato- chissà quanto avrebbe gongolato Pompeo, a vederlo in quello stato. Aveva scritto l'impostazione della lettera (Caius Iulius Cesar saluit Senatum et patres conscriptos), ma poi si era fermato. All'improvviso, proprio con la penna in aria, in attesa di scivolare di nuovo sul foglio- di un materiale strano, non di pergamena come quelli che era solito usare a Roma.
Si era fermato improvvisamente ed era corso alla finestra della sua cella. Un sorriso gli aveva illuminato il volto: gli Dei avevano ascoltato le sue parole!
Una folla enorme si stava riversando verso il carcere, agitando torce e forconi ed urlando «Libérte!».
Rise, felice come non lo era da quando Julius, un'altra guardia, non gli aveva consegnato con le lacrime agli occhi (commozione, forse?) una lettera da sua moglie ed un'altra da Cleopatra. I suoi soldati, il grande esercito di Roma, era giunto fin lì per liberarlo!
Per liberare il miglior... il miglior dictator che la sua patria avesse mai visto!
Incapace di contenere la sua felicità, saltò sul posto, e si aggrappò alle sbarre della finestra per vedere meglio. Il suo entusiasmo a quella vista si smorzò un poco.
Certo, quello venuto a liberarlo era un esercito ben strano, composto addirittura da donne e bambini, e senza nemmeno l'ordine delle centurie, la suddivisione degli hastati o degli equites... Quale legione, poi, poteva recarsi in una missione tanto delicata senza nemmeno indossare l'armatura o portare con sé le Aquile, i simboli di Roma?
A meno che... a meno che quelli non fossero i Galli! Si, doveva essere proprio così! I Galli, forse guidati da qualche suo fedele, erano giunti a liberarlo per ottenere la grazia di Roma! Avrebbero spodestato il loro sovrano- un capo dal nome insolito, un Luix qualcosa, se non errava- e avrebbero accettato di porsi sotto di lui e sotto il suo esercito, sotto il dominio di Roma!
Gli era già capitato in precedenza con molte altre tribù, doveva essere così. E ciò spiegava anche il motivo di tutta quell'agitazione dei giorni precedenti, sia dei barbari che si aggiravano intorno al carcere, sia di Antoine e delle altre sentinelle. Con un sorriso, spiccò un altro salto ed iniziò a battere alla finestra, così che i Galli lo vedessero e si colmassero di speranza nel vedere che era vivo e che li avrebbe condotti alla vittoria.
Gli dei avevano prestato ascolto alle sue preghiere, avevano mantenuto le loro promesse, forse Venere in persona, progenitrice e protettrice della sua famiglia, aveva fatto in modo che tutto accadesse.
Sempre ridendo aggrappato alle sbarre, lanciò uno sguardo al cielo, lo stesso che Cleopatra, Marco Antonio e suo nipote Ottaviano stavano osservando. Presto sarebbe tornato a Roma.

Dopo alcune ore, Giulio Cesare- conosciuto da tutti come il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte- si era dovuto ricredere. Due o tre uomini, forse i capi di quelle tribù, erano entrati nel carcere, probabilmente per trattare con il generale che lo custodiva la sua liberazione. La folla era rimasta a rumoreggiare lì fuori, lanciando di tanto in tanto qualche grido e muovendosi inquieta.
L'entusiasmo di Cesare- conosciuto da tutti come il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte- era svanito all'idea che ci fosse qualche intoppo, che qualcosa di tanto misero come la codardia del generale del carcere impedisse la sua libertà. Roma intera dipendeva da lui!
Passeggiava avanti e indietro nella sua cella da almeno un'ora, senza un'idea precisa su come agire. Un brontolio vago risalì dal suo stomaco, ricordandogli che presto gli sarebbe stato servito il pranzo- era inammissibile che fosse così in ritardo sul solito orario!- e... forse, quando glielo avrebbero portato avrebbe potuto sfruttare la situazione a suo favore...
Un bussare di tre colpi decisi e la porta si aprì con un lieve cigolio. Julius entrò con un vassoio e lo scaricò senza tanti complimenti sul suo scrittorio. Era nervoso, si capiva dal passo veloce, da come si torturava il pizzetto e dall'assenza dei soliti commenti sarcastici con cui cercava di fargli credere di essere pazzo.
«Buon appetito» scandì senza nemmeno guardarlo, mentre ritornava verso la porta. Ma Giulio Cesare- conosciuto da tutti come il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte- fu più veloce: si lanciò contro Julius, gli sferrò un pugno sullo stomaco- la sentinella crollò a terra, reggendoselo tra imprecazioni molto colorite- e corse fuori dalla cella, senza dimenticare di chiudere bene Julius dentro.
Corse fuori dalla torre e arrivò sul parapetto del carcere, verso la sua meta. Non degnò di uno sguardo la folla sotto di lui, sebbene la sentisse gridare, probabilmente acclamare.
Antoine ed altre due sentinelle erano nei pressi dell'altra torre, ad osservare nervosi tutto ciò che accadeva, stringendo a sé i fucili. Appena lo vide, il soldato ebbe un colpo. «Che fai qui? Che stai...?»
Prima che qualcuno potesse colpirlo, afferrò il povero Antoine, deciso ad usarlo come ostaggio. Le altre due sentinelle intervenirono e nella colluttazione un colpo partì da un fucile dei tre, andando a colpire proprio le principali catene che controllavano il ponte levatoio sotto di loro.
Le tre sentinelle, che ormai lo avevano bloccato, si fermarono di scatto, impietrite. Il ponte levatoio scattò in avanti, schiacciò qualcuno (almeno, a sentire le urla sembrava), e si fermò proprio davanti alla folla dei Galli, che urlando corsero dentro il carcere. Giulio Cesare- conosciuto da tutti come il maggiore Jacques-François-Xavier de Whyte- sorrise alle tre sentinelle paralizzate sul posto. «I miei legionari presto saranno qui e sarò finalmente libero!»
E prima che Antoine, livido, lo stendesse con un pugno, si liberò dalla presa degli altri due, troppo stupefatti per anche solo pensare di fare qualcosa, e corse via.

«E quindi, ora questa specie di lettiga mi condurrà a Roma?» chiese ancora all'uomo seduto davanti a lui.
«Esattamente» lo rassicurò, dopo avergli sorriso con fare accondiscente.
Giulio Cesare annuì, tranquillizzandosi. Lasciò vagare lo sguardo fuori dalla carrozza, dove gruppetti di Galli passeggiavano allegri, mentre altri raccoglievano corpi o spegnevano piccoli fuochi. Era stato in quella stessa strada che, solo il giorno prima, era stato portato in trionfo fino alla piazza principale, insieme ad altri due prigionieri (forse erano anche loro importanti generali rinchiusi?)... «Spero che Antoine stia bene, è stato un buon carceriere per me. Sempre molto rispettoso del mio rango».
«Vi assicuro che sta perfettamente, da quanto ne so è tornato a casa da sua moglie».
«Tutte stronzate!» gridò all'improvviso l'altro uomo, quello alla sua destra, che fino ad allora Cesare aveva cercato di ignorare.
Aveva il viso stravolto, gli occhi vuoti, e si torturava i capelli lunghi e disordinati. «In quel carcere mi hanno torturato! Mi hanno brutalmente torturato! E Antoine era tra i miei aguzzini, mi hanno tagliato via un braccio e lacerato il fegato e mi hanno reso cieeeeeco... Mi hanno brutalmente torturato!»
«Avete entrambe le braccia» osservò Giulio Cesare, mentre l'uomo di fronte a loro sospirava rassegnato. «Lasciate perdere, non ne vale la pena... Monsieur Tavernier è un po' particolare in queste situazioni. Sono certo che verrete trattato meglio nel luogo dove ci stiamo recando, monsieur».
«Verrò anche lì brutalmente torturato!» si disperò l'uomo in questione, cominciando a dondolarsi sul posto. «Brut-almente tort-urato!»
Nessuno gli badò e per un po' regnò il silenzio, prima che l'uomo che li stava accompagnando parlasse di nuovo. «Ecco, siamo quasi giunti alla nostra meta».
«Davvero?» domandò Giulio Cesare incuriosito, sporgendosi ad osservare fuori (un edificio di un bianco candido li osservava da sopra una collina) mentre Tavernier scoppiava in un pianto dirotto. «Non mi sembra Roma...»
«Oh, no, certo che no» spiegò l'uomo gentilmente. «Si tratta di una breve sosta prima di riprendere il viaggio, per... conoscere i capi che si sottometteranno alla potenza della vostra città».
Giulio Cesare annuì, con un sorriso soddisfatto, mentre la carrozza si inerspicava lungo la strada che portava all'ospizio di Charenton, uno dei manicomi più illustri di Parigi.



N.d.A.
È da un bel po' che non ritorno in questo genere e lo faccio con una shot come questa. Credo di poter essere rinchiusa anche io nell'ospizio di Charenton.
Perciò, tenterò di giustificare le mie inique azioni: tempo fa, durante quell'orribile periodo chiamato "scuola", ero ad una lezione di storia, precisamente sulla Rivoluzione Francese e stavamo guardando un documentario sulla presa della Bastiglia.
Il caro Piero Angela ha raccontato del fatto che la Bastiglia fosse un carcere abbastanza moderato: i criminali che vi erano rinchiusi erano molto particolari (Voltaire vi soggiornò due o tre volte) e avevano molti privilegi, tra cui chiacchierare con le guardie, passeggiare quasi liberamente ed arredare la propria cella come si desiderava. Tipo un hotel, ma con le sbarre. Mi aveva incuriosito l'accenno all'irlandese pazzo, e, facendo le dovute ricerche, ho scoperto che era mezzo irlandese e mezzo francese, di rango nobile (e questo spiega perché nella storia qui sopra aveva una conoscenza abbastanza precisa della storia romana) e portava una lunga barba bianca, a causa della quale si è sviluppata intorno a lui una leggenda secondo cui una sorta di Babbo Natale rivoluzionario sarebbe stato imprigionato nella Bastiglia.
Comunque, tutti gli avvenimenti riportati sono veri: il ponte levatoio si è attivato davvero per errore, permettendo alla folla di entrare, i prigionieri sono stati veramente portati in trionfo per la città e, si, alla fine i due pazzi (anche il rivolotoso fissato con la tortura è reale) sono stati rinchiusi in quel manicomio- i falsari e l'assassino sono misteriosamente fuggiti.
Bene, chiudo qui. Ho voluto provare qualcosa di nuovo, che fosse anche collegato alla pazzia. Nonostante la comicità che possono avere certi avvenimenti, bisogna considerare che i pazzi li avvertono in modo diverso: il maggiore Whyte credeva davvero di essere Giulio Cesare, e, anche se, per la sua interpretazione della presa della Bastiglia, ammetto di aver dato libero sfogo alla fantasia, volevo sottolineare questo punto. Per ogni storia divertente c'è qualcuno che magari l'ha presa più... seriamente, ecco.
Quasi dimenticavo, il titolo è ispirato a quello del film "Shakespeare in love", anche se effettivamente non c'è un vero e proprio motivo logico... Ho seguito i suggerimenti del Whyte che c'è in me.
Ed ora è tutto davvero, gente! Se vorrete lasciarmi una recensione, ne sarei felice :) comunque vi ringrazio per essere giunti fino a qui.
Auguro a tutti voi un felice anno nuovo!
Baci e a presto,
Nox
  
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