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Autore: Niglia    01/01/2016    0 recensioni
[Caledon/Rose]
Il destino di Rose e Cal, se un uomo di nome Jack Dawson non fosse mai esistito.
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caledon Hockley, Rosalinda Dewitt Bukater
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 27 / 30 DICEMBRE 2015

Titolo: A woman's heart is a deep ocean of secrets
Personaggi: Caledon/Rose
Prompt ©Harlequin Valentine: AU Se Jack non fosse mai esistito.
Generi: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale, Slice of Life
Note: What if?
Il titolo della oneshot è, ovviamente, la famosa frase pronunciata dall'anziana Rose: "Il cuore di una donna è un profondo oceano di segreti."


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A woman's heart is a deep ocean of secrets





Rose si svegliò di soprassalto, ansimante – le gambe attorcigliate nelle lenzuola e ciocche scarmigliate di capelli che le ricadevano sul viso, umido di lacrime e sudore. Per un attimo, un terribile momento in cui la sua mente inseguiva i rimasugli dell’incubo, temette di essere ancora nella sua cabina, l’elegante e sfarzosa suite B-52 accuratamente scelta da Caledon mesi prima della partenza: lenzuola candide tra le quali nessuno aveva mai dormito, suppellettili e ceramiche nuove di zecca, il profumo del legno fresco di vernice delle pareti, ogni minuscolo dettaglio che era sicura di non poter mai dimenticare le invadeva i sensi, accecandola e soffocandola.
Ma poi il sogno si dileguò lentamente, l’eco delle urla nelle sue orecchie tacque e Rose sbatté le palpebre – ed era a casa, nella sua quieta camera da letto, con le luci dei lampioni provenienti dalla strada che si infilavano tra le tende e si allungavano sul parquet del pavimento. Il petto le si sollevò in un ampio respiro, e una mano salì ad asciugare le lacrime che non volevano saperne di cessare.
Stringendo le lenzuola tra le dita, Rose volse lo sguardo verso sinistra; accanto a lei, sotto le medesime coperte, dormiva l’uomo che infine aveva sposato – non era più Rose DeWitt Bukater, ora, ma la signora Rose Hockley, rispettabile sposa di un magnate dell’acciaio di Pittsburgh. Il lento respiro che proveniva dalle sue labbra socchiuse, stranamente, la rincuorò: non lo avrebbe mai creduto possibile, un tempo.
In silenzio, per non svegliarlo, scivolò giù dal letto; si avvolse la vestaglia intorno al corpo, cercando di scacciare il ricordo di acque ghiacciate e corpi congelati, e si avvicinò con passo tremulo alla finestra, desiderosa di accertarsi di essere sulla terraferma e non su una qualche maledetta nave nel cuore dell’oceano. Il solido pavimento immobile sotto i suoi piedi l’aiutò a entrare in contatto con la realtà.
Lei e Cal si erano sposati qualche mese dopo l’arrivo a New York, posticipando di poco la data originale per dare modo a entrambi di riprendersi dallo shock della tragedia a cui avevano assistito. Sua madre aveva insistito affinché nulla si frapponesse tra lei e la vita che le aveva scelto – definendo la catastrofe dell’affondamento del Titanic un “semplice incidente” che non avrebbe dovuto impedirle di andare avanti – così, non appena avevano rimesso in sesto i loro pochi averi tramite le connessioni di Caledon, il matrimonio aveva definitivamente eliminato ogni minima speranza di poter sfuggire a una gabbia che non desiderava.
Eppure, una volta sposati, Rose si era accorta che qualcosa era cambiato in suo marito.
Forse neppure lui aveva completamente digerito il trauma di quanto accaduto sull’imponente transatlantico – se chiudeva gli occhi, poteva ancora vederlo mentre camminava confusamente sul ponte, la mano stretta intorno al suo polso per tenerla vicina e impedire che si perdesse in mezzo al caos, il volto pallido e la fronte aggrottata, furia e terrore che si alternavano rapidi nella sua espressione davanti alla propria impotenza. Le aveva dato il suo cappotto per riscaldarla – erano fuggiti talmente in fretta dalla loro cabina che Rose non aveva neppure avuto il tempo di vestirsi in grazia di Dio, e in ogni caso la sua cameriera non si trovava da nessuna parte – e le aveva sussurrato «Me lo restituirai quando sarà tutto finito», prima di spingerla sulla prima scialuppa disponibile.
Rose aveva pianto, e per la prima volta in tutta la sua vita sua madre aveva dovuto staccarla a forza dalle mani del suo fidanzato.
Si erano rivisti molte ore dopo, sul Carpathia [1] – fu lui a vederla per primo, dicendole di averla riconosciuta per via del fiammante rosso dei suoi capelli che non avrebbe mai potuto confondere. E Rose era talmente spaventata, stravolta e scossa da quanto era appena accaduto – i vestiti ancora bagnati e la pelle gelida come unico ricordo delle ore che aveva trascorso ad aspettare i soccorsi, su quella maledetta scialuppa – che non ci aveva pensato due volte ad annullare la distanza tra loro e lasciare che lui la stringesse a sé.
Se non fosse stata ancora sotto shock, Rose avrebbe notato sin da allora il drastico cambiamento di Cal – ma la situazione era tale che soltanto dopo il matrimonio, quando avevano iniziato ad abitare e dormire insieme, aveva davvero osservato ciò che di diverso c’era in lui.
Non si trattava di chissà quale tremenda metamorfosi: per gli estranei, per chi lo conosceva solo per lavoro o per comuni conoscenze in società, Caledon era lo stesso di sempre, forse solo un poco più impettito per via della nuova vita matrimoniale che conduceva. Ma per lei, per lei che lo vedeva giorno dopo giorno, che lo sentiva rigirarsi nel talamo come un’anima in pena, che lo vedeva seduto per delle ore nel suo studio, dopo cena, a fissare senza vederlo il bicchiere di brandy che stringeva tra le mani, ebbene, per lei che era la moglie il cambiamento era notevole.
E quando poi lo raggiungeva, per togliergli il bicchiere dalle mani e aiutarlo ad alzarsi, conducendolo gentilmente nella loro camera da letto – e lui che la seguiva come in trance, la mano ruvida stretta intorno alla sua come quella notte sul ponte del Titanic – allora Rose comprendeva che cosa l’aveva spinta a cessare di lottare con le unghie e con i denti contro quel matrimonio.
L’espressione che ormai aleggiava come una seconda pelle sul viso di Caledon era la stessa che aveva visto lei tutte le mattine guardandosi allo specchio, da quando suo padre era morto lasciando lei e la madre in un mare di debiti e lei aveva scoperto che si sarebbe dovuta vendere come carne al macello per evitare la disgrazia completa. Era l’espressione dei sopravvissuti, e Rose la conosceva bene.
Non lo amava, ovviamente; non ancora. Ma adesso, in un certo senso, si preoccupava per lui – si preoccupava che non scivolasse nel baratro dell’alcolismo, o del gioco, perché neppure la disgrazia che avevano vissuto le avrebbe fatto provare compassione per un marito ubriaco; inoltre, prendersi cura di lui di conseguenza aiutava lei, la distraeva dai suoi incubi e dalle sue pene, e pian piano il desiderio che aveva coltivato all’inizio di fuggire da quella vita o liberarsene definitivamente era svanito, trasformandosi in una piccola ombra cupa nelle profondità della sua mente. Era sopravvissuta al Titanic, non si sarebbe lasciata sconfiggere dalla vita semplicemente perché non era quella che avrebbe voluto.
Il lieve frusciare delle lenzuola l’avvisò che non era più la sola ad essere sveglia. Non si voltò, continuando a fissare il paesaggio fuori dalla finestra e a contare i lampioni lungo il marciapiede: sapeva che lui l’avrebbe raggiunta.
Un braccio infatti scivolò gentilmente intorno al suo ventre appena ricurvo, e una mano le scostò la lunga treccia dal collo. «Un altro incubo?» Sussurrò soltanto, posandole le labbra nell’incavo della spalla.
Rose sospirò, annuendo appena. «Sono peggiorati negli ultimi mesi.»
«Mh», concesse lui. «È lo stress, mia cara.»
(Ecco, quelle piccole tenerezze seminate qua e là, spontaneamente, alleviavano il peso che aveva sul cuore – il dubbio che si sarebbe portata appresso fino alla sua morte: avrà fatto bene a sposarlo, alla fine?)
«Torna a letto, Cal», gli disse lei, senza astio. «Domani devi alzarti presto.»
«Vieni anche tu», replicò subito, posandole un bacio sulle tempie.
(Quei baci erano così diversi da quello che le aveva dato quando le aveva regalato quell’osceno diamante, in un’epoca in cui ancora credeva che simili tesori gli avrebbero fatto vincere il suo affetto; questi Rose li tollerava, li accoglieva con un mezzo sorriso, li desiderava quasi.)
E quindi lo seguì quando la riaccompagnò a letto, lasciò che l’aiutasse a farle scivolare la vestaglia dalle spalle e si infilò prima di lui sotto le coperte, osservandolo mentre prendeva posto accanto a lei. Un braccio l’attirò verso il calore del suo corpo, impedendole sogni futuri di iceberg e profonde acque nere; labbra altrettanto bollenti si posarono sulle sue, con una tenerezza che lei trovava ancora estranea in lui e a cui non si era del tutto abituata; e una mano si posò infine sul suo grembo, con una gentile possessività che nulla aveva a che vedere con le scenate a cui aveva assistito quando erano ancora fidanzati, e ogni suo passo falso veniva da lui registrato e rimproverato aspramente.
Rose si ritrovò a riflettere che i suoi sogni di ribellioni e libertà erano affondati insieme al Titanic quel 15 aprile di tre anni prima – seppellendo metaforicamente nelle profondità dell’oceano ciò che erano state le sue ingenuità infantili, e che non avevano ora che lo stesso peso dei capricci di una bambina. La sua vita sarebbe potuta essere di certo diversa se avesse preso altre decisioni; ma d’altra parte, nulla le assicurava che sarebbe stata anche migliore.
Chiuse le palpebre, e sognò ancora – non immagini di navi o morti, ma un sogno che non faceva da tempo.
Si trovava sull’orlo di un precipizio: intorno a lei, una moltitudine infinita di uomini e donne elegantemente vestiti – passeggeri del Titanic della prima classe che si mischiavano agli invitati del suo matrimonio, o ai conoscenti che incontrava nei vari salotti di tanto in tanto, un insieme di abiti pregiati, gioielli, profumi, risate, puzza di sigaro. Nessuno faceva caso a lei. Spalancava la bocca, urlava, piangeva, ma essi continuavano con le loro chiacchiere grette e vane, le loro risate false, i loro sorrisi tirati; allora Rose faceva un passo avanti, decisa a fuggire, farla finita – si accorse di essere vestita con l’abito rosso dai lustrini neri che sua madre le aveva fatto confezionare apposta per il viaggio sul Titanic, e ciò la fece impazzire ancora di più – ma, proprio quando stava per mettere il piede in fallo, quando stava per precipitare da quella che era improvvisamente diventata la poppa della nave –
– una mano familiare si chiuse intorno al suo polso, con fermezza, attirandola indietro. Braccia si avvolsero intorno a lei, la folla sparì ed era da sola, sul ponte del Titanic, stretta nell’abbraccio di suo marito. [2]
E Rose lo amò un po’ per quello.


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One-shot: 1660 parole.

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[1] L’RMS Carpathia era un transatlantico inglese della compagnia navale Cunard Line. Divenne particolarmente famoso nel 1912 per aver tratto in salvo i naufraghi dell'RMS Titanic.
[2] Rose, da anziana, racconta: «Avevo davanti agli occhi tutta la mia vita, come se l'avessi già vissuta. Un'infinita processione di feste, balli di società, yacht, partite di polo... Sempre la stessa gente gretta, lo stesso stupido cicaleccio. Mi sentivo sempre come sull'orlo di un precipizio, e non c'era nessuno a trattenermi, nessuno a cui la cosa importasse o che se ne rendesse almeno conto.» Ho pensato fosse interessante vedere la stessa immagine ma con un finale diverso – ossia con Cal che la “salva” dal precipizio.
[N.A.] Non c’è scritto da nessuna parte che Rose odiasse Caledon, all’inizio. Semplicemente, non era molto contenta di doverlo sposare, a questo aggiungiamoci pure il fatto che fosse un ricco snob arrogante… e fin qui è tutto Canon. Ma Caledon è diventato un personaggio davvero odioso, bastardo direi, solo con la comparsa di Jack; per cui ho supposto che, in un universo dove Jack non esiste, Cal non si sarebbe trasformato in quella brutta persona che schiaffeggia Rose, la insulta e la insegue su e giù per il Titanic sparando colpi all’impazzata mentre la nave va a fondo. No. Non l’avrebbe fatto. Quindi, considerati questi presupposti, e considerato il fatto che nel 1912 i matrimoni combinati erano all’ordine del giorno e le donne accettavano senza troppe storie il loro destino, decise pure a far funzionare i rapporti più improponibili, suppongo che il loro matrimonio non sarebbe poi stato tanto male. In fondo, lui è onestamente attratto da lei, e rapporti storici e duraturi sono iniziati con basi assai meno solide.


   
 
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