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Autore: Chiccagraph    04/01/2016    3 recensioni
Come un tempo, i loro corpi si incastrarono perfettamente l’uno nell’altro. Stretta tra le sue braccia nulla sembrava essere cambiato, lei poteva essere ancora quella donna e lui poteva essere ancora quell’uomo.
Rimasero impigliati insieme per alcuni secondi. Era così difficile lasciarsi andare dopo essersi cercati così a lungo, o forse dopo non aver mai smesso di farlo.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Altri, Derek Sheperd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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In piedi sotto al vischio






Non riusciva ancora a credere di essersi lasciata convincere così facilmente, eppure era sicura che una distanza di più di millecinquecento chilometri fosse un motivo più che sufficiente per riuscire a rifiutare un invito a una festa alla quale lei sicuramente non avrebbe voluto partecipare.
Era ormai arrivata da una decina di minuti ma nonostante la sua opera di convincimento mentale e il suo essersi ripetuta più e più volte quanto fosse giusta la sua presenza a quest’evento, non riusciva proprio a convincere le sue gambe a muoversi.
Sedeva in uno stato di semicongelamento nel sedile posteriore del taxi che l’aveva portata davanti all’ospedale.
Un profondo sospiro uscì dalle sue labbra formando nell’ambiente circostante una nuvola di calore.
Nonostante si fosse trasferita da soli pochi mesi, non era più abituata a quelle temperature, sentiva il freddo scenderle fin dentro le ossa e sicuramente l’aver trovato l’unico taxi in tutta Seattle con l’impianto di riscaldamento rotto, non aiutava.
Doveva decidersi a scendere, ormai era arrivata e non poteva più tirarsi indietro.
Se non altro perché sarebbe morta congelata sul posto entro due minuti.
Incrociò per l’ultima volta lo sguardo del tassista che la fissava con impazienza dallo specchietto retrovisore, ricambiò il suo sorriso scocciato dalla lunga attesa e si voltò verso la maniglia della portiera.
Lentamente allungò il braccio lasciandolo appeso a mezz’aria, rimanendo a guardare quest’ultima come se fosse fatta di lava incandescente.
Il colpo di tosse del tassista la ridestò dai suoi pensieri e senza indugiare oltre affondò la mano sulla plastica e aprì la portiera in un unico fluido gesto.
Eccola qui, nel suo elegante abito scuro, pronta a fare il suo ingresso in sala.
Fece il suo ultimo passo prima di essere letta dalla fotocellula della porta scorrevole e in un batter d’occhio si ritrovò immersa in una miriade di luci colorate.
Addobbi e palle di Natale erano appese in ogni dove, un grosso albero torreggiava nell’ingresso proprio accanto alla stazione delle infermiere, le porte erano decorate con agrifoglio, vischio e rami d’albero; oltre duecento ghirlande adornavano le maniglie di quest’ultime, un presepe a grandezza naturale era situato in fondo alla hall e delle melodie di sottofondo completavano l’effetto fiabesco che evocava la sala. Non poteva mancare neanche Babbo Natale e le sue renne con una slitta di doni al suo seguito.
Ci avrebbe scommesso che in tutto questo c’era lo zampino di un’ex specializzanda di sua conoscenza.
Come fosse riuscita a convincere Richard a trasformare il Seattle Grace in una sorta di Christmas Town, era ancora un mistero fitto.
Come ogni newyorkese che si rispetti, Addison, in questo periodo dell’anno, amava girovagare per le sale addobbate a festa del Rockfeller Center. L’essere stata costretta ad allontanarsi da New York le aveva lasciato l’amaro in bocca, soprattutto per non poter vivere nella città del suo cuore durante il suo periodo dell’anno preferito… Grazie alla dottoressa Stevens, però, poteva respirare, anche se solo per un sera, l’aria natalizia che tanto amava anche a Seattle. La città che non avrebbe considerato mai e poi mai come la sua casa.
Si guardò intorno in cerca di un volto familiare in mezzo a quella miriade di persone, nessuno sembrava averla ancora notata.
Continuò a camminare verso la sala fino a che sentì una voce familiare alle sue spalle.

«Add-Dottoressa Montgomery?»

Addison si girò lentamente con un sorriso sulle labbra. Sapeva perfettamente a chi appartenesse quella voce.

«Buonasera, Dottor Karev»

Il ragazzo non poteva nascondere l’alone di sorpresa misto felicità dipinto sul suo volto.
Era da tanto tempo che non la vedeva, ma come ben ricordava, questa donna sapeva come non passare inosservata.
Lasciò scivolare il suo sguardo a percorrere la sua intera figura stretta in un vestito che lasciava ben poco all’immaginazione, fermandosi giusto un attimo sulla sua scollatura per poi tornare a incatenare i suoi occhi in quelli della donna.

E pensare che c’era stato un tempo in cui aveva avuto realmente la possibilità di averla.

«Karev» pronunciò con una punta di ironia nella sua voce.

Ovviamente il suo sguardo invadente non era passato inosservato.

«Sono felice di vederla qui, non pensavo che sarebbe venuta anche lei»

«Beh, in realtà non lo pensavo nemmeno io. Eppure eccomi qui» rispose sorridendo.

«Giusto» replicò lui.

Non erano mai stati davvero amici, c’era dell’incredibile alchimia tra loro e sicuramente una forte attrazione fisica da parte di entrambi, ma sicuramente non amicizia.
Finiti i convenevoli di rito nessuno dei due sapeva più cosa dire.

«Le auguro di passare una bella serata, dottoressa Montgomery»

«Grazie, Karev. Divertiti anche tu e... auguri di buon Natale» rispose lei, allontanandosi per sfuggire alla tensione sessuale che sentiva nell'aria con la sua sola presenza.

Non poteva far finta che non fosse successo nulla, e sicuramente quella punta di fastidio che si sentiva nascere sotto pelle era lì a ricordarle che quello era pur sempre lo stagista arrogante che l’aveva ferita e umiliata più volte in passato.
Nonostante i suoi slanci improvvisi di dolcezza rimaneva pur sempre Alex Karev.
Ma oggi era Natale, a Natale si è tutti più buoni… anche nei confronti di specializzandi sfrontati che avresti volentieri sbattuto al muro con in allegato una bella cinquina.
Dandogli un ultimo sorriso tirato si allontanò per dirigersi verso il tavolo degli alcolici.
Se questo era l’andazzo della serata, avrebbe avuto sicuramente bisogno di una grande quantità di alcool per uscirne indenne; ed era arrivata da poco più di cinque minuti, pensò sconsolata mentre faceva la sua ordinazione.
Fu proprio in quel momento, mentre si rigirava il bicchiere di martini tra le mani, che si rese conto delle due iridi di ghiaccio che la fissavano.



*

Più volte in quei giorni aveva pensato alla festa sempre più contrariato all’idea di presentarsi o meno, ma il capo era stato irremovibile. Il suo neurochirurgo di punta non poteva non partecipare a questo evento e questo lo aveva costretto a infilarsi dentro uno smoking, a sorridere e mostrarsi cordiale verso gli altri partecipanti.
Non era certamente nello stato di sentirsi “felice e contento”, la sua vita stava andando a rotoli e la sua carriera aveva preso una brutta piega da quando aveva deciso che le sue mani non erano più quelle di una volta. A tal punto dal rifiutarsi di entrare in una sala operatoria da mesi.
Proprio mentre rimuginava sulla sua vita scadente, i suoi occhi intercettarono un lampo rosso nella sala.
Non poteva essere, lei non poteva essere qui.
Come un pazzo iniziò a far scorrere il suo sguardo nella stanza alla ricerca del frutto della sua follia.
Anche se di spalle e coperta parzialmente dai rami dell’albero poteva riconoscere perfettamente la sua figura.
L’avrebbe riconosciuta ovunque.
I capelli rossi raccolti da un lato incorniciavano il suo viso di fata, la pelle leggermente abbronzata la contraddistingueva in mezzo a tutti gli altri volti, pallidi e sbiaditi dalla pioggia e dalle nuvole che costantemente ricoprivano Seattle. Inoltre, anni e anni di matrimonio gli avevano insegnato a riconoscere un vero paio di Manolo Blahnik e un vestito di prima sartoria con una sola occhiata.
Richard gli aveva tirato un altro tiro mancino, proprio quello di cui aveva bisogno per chiudere quest’anno in bellezza.
Seguiva da qualche passo di distanza la donna, cercando di trafiggerla in mezzo alle scapole fissandola intensamente.
Chissà se anche lei lo stava cercando tra la folla, chissà se anche lei sentiva il cuore accelerare leggermente alla sola idea di averla così vicina.


*


Era arrivato il momento.
Proprio quel momento che aveva cercato di rimandare il più possibile.
E non aveva calcolato, nei due giorni trascorsi a pensare, l’effetto che rivederlo avrebbe avuto su di lei.
Una morsa allo stomaco, la gola che si faceva più stretta, le mani che perdevano sensibilità, una sensazione di affanno.
Deglutì, una, due, tre volte. Non aveva più niente da mandare giù.
Cercò di mantenere la calma, ripetendosi mentalmente che era inutile farsi prendere dal panico, che doveva conservare abbastanza lucidità per affrontare la situazione.
Come aveva potuto anche solo pensare che il rivederlo non avrebbe mandato in corto circuito il suo sistema?
Pazza, era stata una pazza a voler correre contro il fuoco.
Era una falena, lo era sempre stata, ma questa volta rischiava di bruciarsi davvero. Dopo questa sera una scottatura indelebile avrebbe percorso la sua anima per chissà quanto altro tempo.
Buttò fuori tutta l’aria che fino a quel momento aveva trattenuto inconsciamente nei polmoni.
Nel brusio della sala distingueva il suo passo cadenzato, era sicura di averlo visto scendere le scale e dirigersi verso di lei, non le serviva girarsi per accertarsene. Lei lo sentiva.
Strinse nel pugno il bicchiere, specchiandosi nel suo contenuto, cercando invano di affogare le sue paure nel suo fondo.
Portò il calice alle labbra e con quell’unico semplice gesto annegò le sue paure e i suoi dubbi al suo interno.
Era o non era una Forbes Montgomery?
Un qualsiasi neurochirurgo, neo amante dei boschi e delle camicie di flanella, non avrebbe infranto la sua facciata perfetta.
Con questa nuova consapevolezza, altezzosa e fiera, si girò su se stessa puntando nella sua direzione per incrociare il suo sguardo.
Bisognava fare sempre la prima mossa, questa era una delle poche cose che Bizzy le aveva insegnato, accerchiare il nemico e colpire per prima.
Era consapevole che lui avrebbe potuto mangiarla in un sol boccone se avesse voluto, per questo doveva giocare in attacco, anche perché in difesa non se l’era mai cavata un granché.
Quello che però non aveva calcolato era la sensazione di claustrofobia e tachicardia che aveva seguito i suoi movimenti apparentemente fluidi e spensierati.

Erano ora a meno di quindici passi.
Da quanto tempo non erano stati così vicini da poter sentire nell’aria il suo incredibile odore?
Era il profumo del suo dopobarba quello che sentiva?
Questo pensiero le balenò nella mente, giusto un attimo, prima di ritornare in quell’angolino buio della sua memoria dove aveva deciso di seppellire tutto quello che riguardava quest’uomo; anche il profumo della sua Acqua di Colonia.
Un piccolo spazio in cui aveva incasellato la loro vita insieme, un atrio nel suo cervello relegato solo a Derek e il loro bagaglio di quasi quindici anni.

Si fermò davanti a lei e le sembrò che esattamente in quell’istante in cui potevano respirare la stessa aria, il mondo si fosse improvvisamente fermato.
Non erano più al Seattle Grace, non erano più alla festa di natale.
C’erano solo lui e il suo sorriso sghembo. Quel sorriso che senza volerlo riusciva ancora a farle tremare le ginocchia.

«Addison»

«Derek»

Rimasero così: bloccati e muti.

«Non sapevo che avresti partecipato anche tu alla festa, come al solito Richard si diverte a non avvertimi del tuo arrivo» le disse.

«Richard ama questo genere di cose, lo sai. E comunque non ho avuto scelta. Lo conosci, quando si impunta non c’è niente da fare… così... eccomi qui, Satana è tornata!»

La risata soffice che seguì le sue parole innescò una scossa elettrica talmente forte che Derek poteva sentirne ancora il suo passaggio sulla pelle.
A quella risposta il sorriso ricomparve sul suo volto, Addison non sarebbe mai cambiata, il suo fare schietto e diretto era stato una delle cose che aveva amato fin da subito in lei.
Nessun giro di parole, dritta al punto, affilata e tagliente come la lama di un coltello.

«Credevo che preferissi essere chiamata la sovrana di tutti gli inferi» le rispose sorridendole dolcemente.
Ecco di nuovo quel sorriso

«Sì beh, diciamo che non mi dispiace nemmeno Satana, il diavolo ha sempre il suo fascino. Inoltre, vista la mia presenza qui a questa festa di Natale, non c’è figura migliore che potrebbe impersonarmi» gli rispose con noncuranza quando invece avrebbe voluto dire ben altro.

Spostò lo sguardo verso il basso, perdendo il contatto visivo con gli occhi dell’uomo. La sovrana, certo... so solo che penso al tuo sorriso e mi tremano le mani, pensò, ma questo avrebbe dovuto tenerlo per se.



«Beh cosa aspetti, vieni qui e fatti abbracciare.» allargò le braccia sporgendosi verso di lei.

Si avvicinò e la strinse al suo petto.
Come un tempo, i loro corpi si incastrarono perfettamente l’uno nell’altro. Stretta tra le sue braccia nulla sembrava essere cambiato, lei poteva essere ancora quella donna e lui poteva essere ancora quell’uomo.
Rimasero impigliati insieme per alcuni secondi. Era così difficile lasciarsi andare dopo essersi cercati così a lungo, o forse dopo non aver mai smesso di farlo.
Dopo un tempo che sembrava essersi protratto all'infinito, si ritrasse indietro cercando nella loro distanza fisica la forza per non cadere nuovamente in quel circolo vizioso che era da sempre Derek Shepherd per lei.

«Allora, dimmi di te. Come va la vita a Los Angeles? Ora lavori con Sam e Naomi, giusto?»

Posò il bicchiere sul tavolo alla sua destra cercando con quel gesto di prendere il tempo necessario per riportare i suoi battiti cardiaci a un valore normale.
Solo lo sfiorarla l’aveva portata a rischio infarto e non serviva sentirle la frequenza cardiaca per verificarlo.
Affondò i denti nel suo labbro inferiore, imprigionando quel cuscinetto di carne tra il canino e gli incisivi.
Questo gesto non passò inosservato a Derek che dovette imporsi di spostare lo sguardo per smettere di fissare le sue labbra.

«LA è fantastica, davvero bellissima. C’è sempre il sole, fa caldo, non piove mai e… c’è il mare e il surf»

«Tu fai surf?» chiese Derek interdetto.

«Oh, no. Certo che no» rispose, dandosi mentalmente della stupida per non essere riuscita a controllare le emozioni e parlare a ruota libera come al suo solito.

Il canale di collegamento tra bocca e testa era momentaneamente fuori uso e Addison ne stava pagando le conseguenze.

«Mi piacerebbe venire qualche volta».

«Co-cosa? Tu non puoi venire»

Neanche il tempo di finire la frase che si rese conto di aver parlato a sproposito ancora una volta.
Doveva tirarsi fuori da questa conversazione il più in fretta possibile.
Il sorriso che Derek continuava a ostentare la stava mandando fuori di testa e non era il caso di ridicolizzarsi in questo modo ancora un volta.

«Con Sam e Naomi va tutto bene. Ovviamente come può andare “bene” considerando sempre il divorzio»

«Il divorzio?» domandò stupito.

«Sì, è quello che ho detto. Sembra che riescano a convivere civilmente nonostante tutto» rispose con una punta di acidità nella voce.

La sua frecciatina non era certo sfuggita a Derek che ricordava perfettamente i mesi di fuoco che seguirono la loro separazione.

«Mi dispiace, non sapevo che avessero divorziato. Cavolo, non riesco a immaginarmi Sam e Naomi come singoli individui e non più come una coppia»

«Le cose cambiano, Derek. Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro»

Abbassò lo sguardo fissando le mattonelle ai suoi piedi affondando contemporaneamente i denti nelle labbra, questa conversazione l’aveva resa esausta. Non aveva più voglia di parlare con lui, non aveva più la forza di farlo.
Derek notò la tristezza nella sua voce, il guardarla così triste e ancora così vulnerabile gli faceva male al cuore.
Non sapeva perché, ma nonostante non fossero più marito e moglie da molto tempo ormai, e sapesse perfettamente di non aver più il diritto di sentirsi responsabile dei suoi stati d’animo, non riusciva a reprimere il suo desiderio di abbracciarla e stringerla al suo petto ancora una volta.
Proprio lì, immersi in quella miriade di lucine colorate che si infrangevano sulla sua pelle dorata, rivedeva la sua Addison, quella parte di lei che teneva attentamente nascosta e che solo a pochi aveva dato modo di vedere.
L’istinto parlò per lui e allungando le braccia la imprigionò al suo fianco per la seconda volta quella sera.
Rimasero a cullarsi per alcuni secondi prima che lei interrompesse di nuovo il contatto.

«Credo che sia meglio che vada ora, non ho ancora salutato Richard e Adele, mi staranno cercando. E poi...» disse, sfogliando nelle pieghe della sua mente per trovare una scusa plausibile per allontanarsi da lui «Meredith ti starà cercando.»

Lui e Meredith erano una coppia ormai, questa era l’unica cosa che doveva tener ben a mente.
Un post-it inciso in alto nella sua bacheca mentale non faceva altro che ricordarglielo.

«Sì, lo credo anche io» rispose lui tristemente.

Cosa era quel suono che aveva sentito nella sua voce?
Rimpianto di doversi allontanare da lei o per aver mancato di rispetto alla sua pseudo fidanzata?
Doveva allontanarsi da lui, ora.
Come un automa le sue gambe inserirono il pilota automatico e si allontanò.
Dieci metri sarebbero stati una distanza di sicurezza accettabile.
Attraversò la sala alla ricerca del suo vecchio mentore, aveva davvero bisogno di distrarsi e di cancellare dalla mente la sua ultima conversazione con il suo ex-marito.
Il tavolo degli alcolici aveva un aspetto davvero invitante ma voleva conservare ancora una parvenza di decenza, e ubriacarsi e ridicolizzarsi davanti a tutto lo staff del Seattle Grace, non le sembrava la scelta più intelligente.
Finalmente intercettò Richard, stava parlando con Miranda mentre teneva stretta in un abbraccio sua moglie Adele.
Appena la vide sorrise caldamente al suo indirizzo invitandola ad avvicinarsi a loro.
Addison si girò ancora una volta prima di proseguire, guardandosi alle spalle per vedere se Derek fosse ancora lì.
Era sparito dalla sua vista, probabilmente si era rintanato in qualche stanza con lei, in fin dei conti l’averla a pochi passi di distanza non l’aveva mai fermato prima.

Un pensiero le si impigliò nella mente mentre riprendeva a camminare; come al solito, lui era riuscito ad andare avanti mentre lei aveva ancora il suo ultimo abbraccio inciso sulla pelle.



*

«La stai fissando».

«Ugh?» Derek si riscosse dal suo stato di torpore per vedere Mark in piedi al suo fianco sorridergli compiaciuto.

«Addison» gli disse con nonchalance. «La stai fissando. Di nuovo.»

«No, ti sbagli. Non è vero» protestò immediatamente punto sul vivo.

Mark sorrise al suo inutile tentativo di nascondere l’ovvio. «La stai fissando da quando è entrata».

«Non so di cosa stai parlando».

Mark alzò gli occhi al cielo arricciando contemporaneamente le labbra.

«Derek non negarlo, è davvero inutile.» Si mosse verso di lui avvicinandosi al suo orecchio per essere sicuro che l’amico sentisse perfettamente il seguito della sua frase. «Dovevi cercare di essere più discreto se non volevi essere scoperto».

«Te lo stai sognando».

«Derek…»

Perché doveva sempre comportarsi come un bambino di tre anni?

«Davvero Mark, è solo frutto della tua immaginazione e poi… e poi non ha senso, ecco» rispose, puntando lo sguardo al pavimento.
La punta delle sue scarpe aveva sempre un certo fascino quando la situazione si faceva difficile.

«Quanto vi piace fare i difficili a voi due» rispose sbuffando l’aria fuori dal naso. «Non riesco a capirvi, ci sto provando amico mio, ma davvero non ci riesco».

«Perché non c’è niente da capire. Mi fa solo piacere averla rivista, ecco tutto.»

«Ah, quindi è per questo che ti comporti come un timido adolescente al ballo di fine anno?» chiese sorridendo al suo indirizzo.

«Sei fastidioso, te l’ha mai detto nessuno?»

«Sì, tu. E almeno un’infinità di volte quella rossa che stai praticamente mangiando con gli occhi».

«La vuoi finire o no?» chiese quest’ultimo esasperato.

«Dovresti baciarla.»

«Cosa? Tu sei pazzo» rispose, passandosi una mano tra i capelli come a voler spostare quel pensiero che seppur per un breve istante gli aveva attraversato la mente.

«Baciala, Derek. Baciala o ti giuro che lo faccio io».

«Non ti azzardare. Non era finito il tempo in cui eri: Mark Sloan lo stronzo che cerca di sedurmi la moglie?»

«Sì, certo. Infatti, lei non è più tua moglie» rispose tranquillamente, quasi a sottolineare l’ovvio della sua affermazione.

Derek gli lanciò uno sguardo di avvertimento, come a dirgli: prova a farlo e sei un uomo morto.

«Tranquillo Dottor Shepherd, non serve mettere su quello sguardo aggressivo, ho capito da tempo che Addison è off limits. Comunque ribadisco che dovresti baciarla, prima che lo faccia qualcun altro» si guardò intorno fermando il suo sguardo sulla donna rossa in mezzo alla sala. «Presenti esclusi, ovviamente».

«Mark, io non posso. Lei è Addison. Addison Adrianne Forbes Montgomery. Mi viene la pelle d’oca solo a pronunciarlo il suo nome per intero. Non posso semplicemente avvicinarmi e baciarla. Davvero, non posso. E' passato troppo tempo ormai».

Mark aggrottò la fronte per un attimo mentre guardava Addison, poi un sorriso sornione comparve sul suo volto.

«Invece ti dico che è ora».

«Ah, sì? E come mai?» chiese scettico Derek.

Mark indicò con lo sguardo dove si trovava Addison in questo momento, invitando l’amico a fare lo stesso.

«Guarda dove sta in piedi».


*

Addison amava il Natale, ma questo era stato prima di aver dormito con Mark. Prima che Derek l’avesse lasciata. Prima che lui si fosse innamorato di Meredith Grey. E ovviamente, prima del divorzio.
Questo era il suo primo Natale come solo Addison. Non sapeva come affrontare questa cosa, non sapeva come sarebbe riuscita a stare da sola e al tempo stesso bene con se stessa in un periodo che si suppone di dover passare in compagnia delle persone che ami.
Non voleva essere a Seattle per Natale, non voleva passare il suo primo Natale in territorio nemico. Avrebbe di gran lunga preferito sedersi nella sua veranda con vista panoramica sulla spiaggia della California, mangiare cinese, bere una quantità spropositata di alcol e provare compassione per se stessa; ma il capo aveva insisto e lei non aveva mai saputo dir di no a Richard.
Così eccola qui, mangiucchiando biscotti, sorseggiando champagne e sentendosi infinitamente miserabile.
Sentiva tutti gli occhi puntati su di lei, come se un riflettore fosse puntato sulla sua testa.
Ovunque si girava poteva vedere le infermiere parlottare tra di loro, fissandola, senza curarsi minimamente del fatto che potesse vederle.
Aver parlato con Miranda e Callie non aveva di certo aiutato la sua situazione.
Nel momento esatto in cui le due donne le si erano avvicinate, intorno a lei era piombato il silenzio, nessuno voleva perdersi una sola battuta del loro scambio di parole.
Addison era sempre stata al centro del ciclone mediatico del Seattle Grace e la consapevolezza che la sua presenza alla festa avrebbe generato mesi e mesi di chiacchiere da quattro soldi alla mensa dell’ospedale, aveva solo acuito il suo senso di inadeguatezza.
Non voleva far compassione a nessuno e proprio per questo aveva bisogno di un uomo al suo fianco, avrebbe fatto di tutto pur di fermare questo mormorio fastidioso che accompagnava ogni suo movimento. Bisognava solo trovare la preda giusta, non potava certo permettersi di peggiorare la sua situazione.
Guardandosi intorno nella stanza vide innumerevoli coppie felici, la consapevolezza di essere l’unica a essere venuta senza un cavaliere, se possibile, la fece deprimere ancora di più.
Senza volerlo si era gettata da sola nella fossa dei leoni.
Continuando a guardarsi intorno nella stanza un breve sorriso le attraversò il volto quando si rese conto che il suo vecchio stagista, appoggiato al muro con un bicchiere di vino in mano, la stava fissando dall’altra parte della stanza.
Alex Karev aveva dipinto in volto uno sguardo di ammirazione e stima, neanche un’ombra di compassione velava il suo sguardo.
Questo era quello di cui aveva bisogno, la consapevolezza di aver anche solo una persona dalla sua parte le aveva alleggerito il cuore da un peso.
Lo fissò intensamente negli occhi, come a ringraziarlo di esserle vicino nonostante la distanza.
Addison si costrinse a distogliere lo sguardo dal giovane uomo, non poteva davvero ricadere nella tela dello stagista.
Guardò l’orologio, chiedendosi per quanto tempo ancora avrebbe dovuto sopportare tutto questo.
Dio, da quando aveva iniziato a odiare questa festa?

Un leggero colpetto sulla spalla la distolse dai suoi pensieri di spiagge californiane e una pratica piena di amici con cui avrebbe preferito passare questi giorni di festa.
Si girò su se stessa per ritrovarsi Derek in piedi di fronte a lei.
Possibile che non aveva meglio da fare che continuare a importunarla per tutta la sera?
Quando lui non disse nulla alzò un sopracciglio guardandolo fisso negli occhi.

«C’è qualcosa in cui posso aiutarti, Derek?»

Senza dire una parola Derek si sporse in avanti e piantò un dolce bacio sulle sue labbra.
Addison sbatté le palpebre per la sorpresa incapace di muoversi. Alzò una mano sfiorando con la punta delle dita le sue labbra.

«Cosa... cosa è stato?» chiese con una nota di confusione nella sua voce.

«Tu sei in piedi sotto al vischio e ho pensato che non sia il caso di generare le ire funeste della dea Freya, con i suoi dardi potrebbe fare parecchi danni qui dentro». Le disse, alzando lo sguardo per indicarle il vischio che scendeva perpendicolarmente sulla sua testa.

Lei rimase congelata nella sua posizione con ancora una mano sulle labbra e lo sguardo fisso al soffitto.
Era sotto shock.
Derek si pentì del suo gesto sfrontato, Addison non era quel tipo di donna. Come gli fosse venuto in mente di prendere come scusa la storiella della dea Freya per poterla baciare ancora non se ne capacitava.
Tutta colpa di Mark e del suo ciarlare.
Con una punta di delusione nello sguardo le sorrise, senza coinvolgere gli occhi, e si girò; pronto ad allontanarsi il più velocemente possibile dalla donna.

«Dottor Shepherd?»

«Sì?» chiese Derek, ripercorrendo quei pochi passi che li separavano.

Addison afferrò i risvolti del suo smoking e lo trascinò più vicino a lei.

«Sono ancora in piedi sotto al vischio, Dottor Shepherd» sussurrò nel suo orecchio.

Vide il suo petto sussultare e capì che anche lei lo voleva, almeno quanto lui.
Si sporse verso di lei, in cerca di una conferma della buona riuscita dei suoi propositi. E questa non tardò ad arrivare quando le labbra di Addison si fusero nuovamente con le sue in un tiepido e dolce contatto.
Passò una mano dietro la sua schiena cingendole la vita per avvicinarla ancora di più al suo corpo e lasciò navigare l’altra mano fino a impigliarla nella sua morbida chioma ramata.
Lei mosse le sue braccia fermandole dietro al suo collo, nel loro posto preferito.
Ma questo non poteva bastargli, non questa sera e il bacio in un attimo si approfondì in un alternanza di respiri, sospiri e contatto, come se la bocca dell’altro fosse un nettare divino da gustare completamente e con avidità, come se al mondo non esistesse altro.
Infine, si separarono, entrambi respirando a fatica.
Si fissarono, sorpresi per quello che era appena accaduto.
Potevano sentire tutti gli occhi dei partecipanti alla festa puntati su di loro, ma questo non aveva importanza.
Niente aveva importanza in questo momento.
Entrambi si sorrisero nervosamente, una volta risvegliati da questo sogno che, anche se per un breve istante, li aveva avvolti.

«Bene…» Addison disse infine, giocando ancora una volta con il suo labbro inferiore. «Buon Natale, Derek».

«Buon Natale, Addie».

«Credo che dovrei proprio andare ora» gli disse, slacciando le sue mani da quelle dell’uomo, che senza rendersene conto si era ritrovata a stringere.

«Sì,» annuì Derek «credo che dovrei andare anch'io».

«Sì».

«Sì».

Con un altro paio di sorrisi nervosi i due si voltarono e si separarono.
Addison non riusciva a contenere il sorriso sul suo volto, come mosse i primi passi per uscire dall’edificio, consapevole del fatto che quasi tutti gli occhi nella stanza fossero puntati su di lei.
Le sue mani sfiorarono di nuovo le sue labbra, ricordando la sensazione bellissima del bacio di Derek.

Dio, lei amava il Natale.






Nota dell’autrice
Sono tornata nuovamente tra queste pagine e posso dire per la prima volta in vita mia di essere riuscita a scrivere una storia “in tema” rispetto al periodo della pubblicazione. Per i miei standard, dal momento che sono affetta da paranoia compulsiva da pubblicazione, sarebbe finita più o meno per Pasqua ma a quel punto non ne sarebbe più valsa la pena, quindi mi sono rimboccata le maniche e mi sono data da fare.
A dir la verità la storia l’ho scritta interamente la notte a cavallo tra il 25 e il 26, avevo appena finito di leggere Home For Christmas (che per chi non l’avesse ancora fatto consiglio vivamente di leggere) e non ho potuto fare a meno di immaginarmeli sotto quel vischio.
Un’immagine che non potevo togliermi dalla mente.
Nel giro di un ora avevo tirato giù almeno una decina di pagine di word e questo era sicuramente un buon segno.
Ho iniziato dalla fine, mi sono immaginata il loro scambio di battute e da lì sono andata a ritroso.
Lo so, non sono tanto normale nemmeno quando scrivo!

Ci tengo a fare alcune precisazioni:
  • Il vischio è la pianta associata alla dea anglosassone Freya (o Frigga), sposa del dio Odino e protettrice dell'amore e degli innamorati. La leggenda narra che Freya aveva due figli, Balder e Loki. Il secondo, cattivo e invidioso, voleva uccidere il primo, buono e amato da tutti.
    Venuta a conoscenza di ciò Freya cercò di proteggere Balder e chiese a Fuoco, Acqua, Terra, Aria e a tutti gli animali e le piante di giurare la loro protezione per l'incolumità del figlio, e così fecero.
    Loki però scoprì che la madre non si era rivolta ad una pianta, che non viveva né sopra né sotto terra: il vischio. Intrecciando i rami di questa pianta fece così un dardo appuntito, lo diede al dio cieco dell'inverno, che lo tirò dal suo arco e colpì, uccidendolo, Balder.
    Tutti gli elementi della Terra e del Cielo si rattristarono per la morte dell'amato Balder e per tre giorni e tre notti cercano con tutte le loro forze di riportarlo in vita, ma non riuscirono. Freya, rassegnata e disperata, pianse tutto il suo dolore sul corpo del figlio. Magicamente, le lacrime sincere della madre, a contatto con il dardo di vischio, diventarono le bacche perlate della pianta e Balder riprese vita. Così Freya, colma di felicità, ringraziò chiunque passasse sotto l'albero su cui cresceva il vischio con un bacio.
    Da lì in poi la dea vuole che chi sta sotto il vischio si baci, per avere la sua protezione eterna, simbolo della vita e dell'amore che sconfigge anche la morte.

Dovevo trovare una scusa per permettere a Derek di baciare Addison e cose banali o frasi diabetiche di ogni tipo non si adattavano al mio dottore, per questo ho tirato in ballo questa bella divinità e la sua leggenda.
(Ho una vera e proprio passione per questo genere di cose.)
All’inizio, per circa dieci secondi, avevo pensato di unire Addison ad Alex visto che con il telefilm lui era l’ultimo uomo con cui aveva avuto dei trascorsi, ma poi il vischio mi chiamava Derek da tutte le parti e non ho potuto resistere.
So che probabilmente questo genere di cose non interessano a nessuno ma sono logorroica per natura e mi devo sfogare in qualche modo!

Ora non mi resta altro da dire e come disse il buon vecchio Manzoni: ai posteri l’ardua sentenza.
Mi affido a voi cari lettori per sapere cosa ne pensate.
La mia notte insonne ne è valsa la pena? Chi lo sa.

Un saluto a tutti e ancora auguri di buon anno.


   
 
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