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Autore: mgrandier    04/01/2016    19 recensioni
"Se in quell’istante avessi avuto il coraggio di abbassare lo sguardo,
evitando quegli occhi trasparenti come cristallo e taglienti come il filo di una lama,
allora, forse, avrei avuto la libertà.
La libertà di obbedire."
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo dello specchio
 
Chinò il capo portando le mani ai bottoni della giacca, allacciandoli in sequenza e accomodando la stoffa pesante sulle spalle e sul proprio petto, come un cielo senza stelle a gravare su animo e corpo. Con gesti precisi, ravvivò lo sbuffo bianco che  dal collo, con un fiocco stretto ad arte, ricadeva morbido sui risvolti della giacca blu di curata fattura, e poi aggiustò le maniche, sistemando i polsini della camicia perché non fuoriuscisse oltre il risvolto tanto da infastidirlo.
Controllò i pantaloni, un tocco di notte a fasciare le cosce, e poi anche le calze candide e le scarpe lucide.
Raccolse i capelli sulla nuca, stringendoli tra indice e pollice, per poi avvolgere abilmente attorno ad essi due giri di nastro, fermandolo con un nodo a due volute; passò le mani unite sulla fronte, accomodando poi le ciocche indomate dietro le orecchie.
La nonna aveva insistito perché dedicasse particolare cura al proprio aspetto, ma lui avrebbe semplicemente condotto una anonima carrozza fino alla reggia e poi sarebbe rientrato immediatamente a palazzo, ritirandosi nella sua camera libero da ogni impegno, sereno e sollevato da ogni altra incombenza. Raggiungendo rapidamente Palazzo Jarjayes, avrebbe avuto ancora buona parte della serata a disposizione per quel libro iniziato ormai da tempo, che non aveva ancora terminato di leggere … o per il suo diario, o per quella bottiglia lasciata aperta sul tavolo della cucina … o forse anche per … Si bloccò.
Alzò lo sguardo, fissandolo in quell’ovale lucido sistemato sopra il catino, su quell’oggetto infido che aveva diligentemente evitato durante tutta la sua permanenza in camera, fuggendo da un confronto con se stesso, con la realtà che avrebbe letto negli occhi verdi che lo avrebbero scrutato da oltre il muro.
L’uomo in livrea, i capelli lunghi e scuri raccolti sulla nuca e l’espressione seria dipinta a forza sul volto, gli lanciò uno sguardo disperato. La mascella tesa, le labbra serrate e le narici contratte; gli occhi lucidi, le sopracciglia scure piegate sulle palpebre in una smorfia sofferente: un uomo dilaniato dall’incertezza e roso da un dubbio che rapidamente assumeva una forma nota, concreta e lacerante. Ferito da un’arma che da tempo sapeva puntata contro di sé. Come una lama che appoggiata alla pelle, dapprima si percepisce gelida e liscia, ma poi, lentamente, perde di consistenza e diviene presenza sopportabile, nel suo contatto odioso; e solo allora, perfida e insolente, inizia il suo moto lento e affonda il filo sfibrando la pelle, dapprima in un fastidio sottile, poi sempre più deciso, che si macchia di rosso, lasciando un segno indelebile nel corpo e nell’animo.
Un uomo consapevole di aver vissuto per anni in una sorta di limbo, osservando in silenzio il lento scivolare dei giorni lungo la china del destino che lo aveva posto accanto ad una donna unica e preziosa, destinata a vivere l’esistenza di uomo e ostinata nel negarsi l’amore e la carezza dei sentimenti. Una esistenza, la propria, che non avrebbe potuto durare per sempre … perché vincolata a quel miraggio che era la speranza che lei non cedesse a quell’amore impossibile che si era costruita. Lei, Oscar, la musa ispiratrice di ogni suo sogno e la voce capace di condurlo al risveglio, di strapparlo ogni mattino al buio della notte del cuore, popolata di incubi, mostri e strazio di carne e anima, densa di timori e in grado di dare forma ai funesti presagi. Il sogno che aveva protetto per anni, anche da se stesso, a costo della propria lucida disperazione.
Fu sufficiente che l’uomo dello specchio piegasse le labbra in un sorriso amaro, perché tutta la sofferenza scorta in quel volto abbronzato divenisse fredda sferza sulla propria pelle, lo schiaffo della realtà più crudele.
Sarebbe toccato proprio a lui, quella sera stessa, il compito di condurre Oscar a Versailles, consegnandola nelle braccia di un mondo fatto di apparenze, inganni e secondi fini. Un mondo a cui lei era abituata, ma che era avvezza osservare da un diverso punto di vista: quello del Comandante delle Guardie Reali, rispettato per il suo ruolo e lodato per il suo coraggio, per la sua abilità nell’uso delle armi, per la capacità di svolgere i propri compiti.
Quella sera, ne era certo, Oscar non aveva un incarico ufficiale a corte. Se così fosse stato, in qualità di suo attendente, André ne sarebbe stato certamente informato e lei non gli avrebbe chiesto di accompagnarla e, soprattutto, non gli avrebbe indicato di rientrare poi a palazzo.
Si forzò a formulare un pensiero che potesse alleviare la sofferenza dell’attesa: forse, molto semplicemente, Oscar aveva deciso di partecipare al ballo, come aveva già fatto in passato, per essere di aiuto alla Regina, offrendole un disimpegno che le impedisse di cedere alla lusinga dell’abbraccio del Conte di Fersen, almeno al cospetto degli occhi frivoli e insolenti della corte. Un’uniforme bianca, lucente di decorazioni, un involucro rigido indossato con la grazia di una dea, a volteggiare nella sala tra oro e gemme, offuscandole di composta eleganza … una uniforme che, ricordava bene, non aveva scorto nella stanza di Oscar e che, al contrario, avrebbe dovuto già essere pronta per essere indossata dopo il bagno che aveva preparato per lei. Una uniforme che, comunque, sarebbe stata di quel Colonnello che Oscar, quella sera, non sarebbe stata.
Aggrottò la fronte, un pensiero molesto a pungere l’animo: il dubbio che Oscar partecipasse al ballo senza altro motivo che non fosse il suo desiderio, la sua volontà di fare una esperienza nuova, differente e, soprattutto, senza di lui. Il dubbio che Oscar al ballo volesse incontrare qualcuno in particolare … e volesse farlo da sola.
Strinse i pugni, le unghie conficcate nei palmi, trasse un profondo respiro e gettò una rapida occhiata alla  propria stanza, al suo mondo perfetto, scrigno di ricordi, oggetti semplici e gesti sinceri; poi spalancò l’uscio e lo richiuse rapido dietro di sé, affrontando con passo deciso il buio del corridoio.
 
Svuotò il bicchiere tutto d’un sorso, mentre la nonna proseguiva la sua corsa, un via vai continuo, davanti ai suoi occhi stretti a fessura, lasciando la cucina stringendo al petto il cestino da cucito e poi ricomparendo per sparire diretta alla lavanderia. Gli si materializzò di fronte, con le mani sui fianchi, palesandosi in uno sbuffare nervoso, mentre scuoteva il capo, mostrando il disappunto per quell’ennesimo bicchiere.
- Smettila di bere, André! Di questo passo non sarai certo in grado di condurre la mia bambina a Versailles! – gli intimò afferrando la bottiglia e riponendola sulla mensola insieme alle altre – Vai a sciacquarti di nuovo il viso. Oscar sarà pronta di qui a poco! – quindi abbandonò la cucina, senza curarsi di attendere una qualunque giustificazione.
André si sollevò dalla sedia, raggiunse l’acquaio e affondò le mani nel bacile di acqua che veniva lasciato sempre a disposizione in cucina. Osservò per qualche istante i propri palmi uniti sotto il pelo dell’acqua limpida, che disegnava una maglia tremolante sulla sua pelle, riflesso appena visibile di una trama inesistente … e poi si portò la mani al volto, rinfrescandosi abbondantemente. Allungò il braccio cercando a tentoni una pezza sul bordo della vasca e, trovatola, si tamponò energicamente il viso, premendo sugli occhi e sfregando un poco la fronte e ricci rimasti umidi. Posò la pezza, muovendosi verso l’atrio, per lasciare la cucina, udendo dei passi provenire dal grande ambiente.
Tocchi lenti di suole rigide sul marmo, passi dal ritmo insolito e quasi incerto … in cui faticò a riconoscere l’incedere di Oscar che gli era famigliare e ben noto. Giunse all’atrio e sollevò lo sguardo allo scalone, mentre il respiro moriva nel suo petto e il cuore conosceva un nuovo, infame, tormento.
Il capo basso, lo sguardo attento a scrutare i gradini, i capelli raccolti in una acconciatura morbida, il corpo sottile modellato in seta lucente, il colore del cielo ricamato di fili di dorati, e le braccia appena scoperte, vestite di pizzo e guanti velati, piegate a sollevare una lunga gonna, in modo che non arrecasse intralcio al suo passo.
La vide muovere il capo, lo sguardo timido a scivolare lungo la rampa fino a raggiungerlo, in un rapido scambio, che sciolse imbarazzo nella sorpresa, richiesta di conferma in una espressione di estasiata ammirazione.
André deglutì serrando le labbra, mentre proseguiva nel suo muto contemplarla così sorprendente, in quell’abito insolito, cercando di soffocare dentro di sé la sensazione bruciante del trovarsi di fronte al proprio sogno, così come al proprio incubo. Nessuna uniforme, nessuna mostrina … Oscar gli parve splendida e a fatica si trattenne da qualsivoglia osservazione che non fosse l’incanto del proprio sguardo, mentre lei incarnava quel dubbio segreto a cui non aveva avuto il coraggio di dare forma, nemmeno in un pensiero compiuto.
Lei aveva scelto di partecipare al ballo alla reggia.
Lei aveva scelto di partecipare al ballo alla reggia, senza che lui le fosse accanto.
Lei aveva scelto di partecipare al ballo alla reggia, senza che lui le fosse accanto, e indossando, per la prima volta, un abito femminile.
Oscar si sarebbe presentata a Versailles vestendo la propria femminilità di stoffa lucida e drappeggi costruiti, di gioielli e belletto … rincorrendo una bellezza lontana da quella che da sempre lui le riconosceva e che da sempre la faceva apparire ai suoi occhi più desiderabile e sensuale di qualunque altra donna. Avrebbe mostrato se stessa spogliandosi del proprio ruolo di Comandante della Guardia Reale e accettando quello insolito di una dama elegante e ricercata. Oscar avrebbe chinato il capo, salutato muovendo le lunghe ciglia e magari nascosto il suo sorriso dietro un ventaglio di piume e seta … cedendo la propria bellezza al canone di un mondo fatuo, rincorrendo l’attenzione di un uomo che nemmeno si era accorto del suo essere donna e che da sempre la considerava un militare e niente altro …
L’uomo dello specchio tornò prepotente e vorace a serrare il suo animo, nascosto dietro il più semplice dei sorrisi. André si sentì vittima di quella stretta alla gola, che toglieva il respiro e seccava il palato; fuggì dallo sguardo azzurro velato di belletto, dalle labbra lucide e invitanti, dal collo diafano e dalle forme costrette, temendo di tradire i moti del proprio animo. Abbassò il capo piegando la schiena in un profondo inchino, salutando il giungere di Oscar ai piedi della scalinata – Oh, Oscar … - riuscì a mormorare ad occhi bassi.
E non poté aggiungere altro, perché intravide la mano di lei sollevarsi e cercare sostegno, si affrettò a raggiungerla dandole il braccio, per accompagnarla fino alla carrozza, già pronta ad attenderli oltre i battenti aperti.
Mosse quei passi vivendo un sogno, combattendo contro lo spettro della propria realtà. Oscar stringeva appena le sue dita alla stoffa della giacca e André ne poteva intuire la presa incerta sul braccio. Avanzarono insieme, lenti e solenni, Andrè ad assecondare quei passi un po’ insicuri, che prendevano confidenza con le calzate mai indossate, e Oscar a cercare sostegno e conforto in quel primo incedere tra seta e merletto. Insieme, ancora una volta, in passi gemelli ad affrontare affiancati l’ennesima prova.

Angolo dell'autrice: un grazie a tutte per l'accoglienza calorosa, a chi ha lasciato un commento e a chi già segue.
Il vostro affetto ha fatto nascere questa storia, il vostro calore la farà continuare.
A presto!
  
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