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Autore: Susy07    04/01/2016    3 recensioni
"Sei in grado di fare qualsiasi cosa tu voglia della tua vita"
E' questa la frase che Charlie, bambino maltrattato dalla madre e deriso dall'intero paese a causa della sua povertà, si ripete quando la vita si fa troppo dura per essere sopportata.
Dopo che gli è stato portato via tutto, suo fratello, la sua dignità e l'amore di una famiglia unita, Charlie riesce a lottare contro il mondo pur di realizzare il suo desiderio e rendere orgogliosa di lui l'unica persona che gli abbia mai dato un po' di fiducia e che, senza rendersene forse veramente conto, è stata in grado di salvargli la vita: la sua insegnante.
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"Perché in fondo un vincitore non è altro che un sognatore che non si è mai arreso."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice…

Buongiorno a tutti/e! Come state? Io bene. 

Vorrei iniziare augurandovi un buon anno nuovo (anche se un po’ in ritardo). 

Dunque, sono finalmente tornata con un’altra delle mie one-shot. Che dire? 

Non avevo molte idee quando l’ho iniziata, ma un’immensa voglia di scrivere e sfogarmi perciò non so cosa mi sia uscito fuori. Spero comunque che posiate apprezzare lo sforzo. 

Non ho molto da dire su questa storia, anche perché credo che il messaggio sia abbastanza chiaro: con la speranza e la volontà, si è in grado di fare qualsiasi cosa si voglia. Perciò vi lascio alla lettura e vi chiedo di dirmi cosa ne pensate, se ne avete voglia. Sapete che critiche e consigli sono ben accetti, purché non siano volgari o offensivi. 

Inoltre vorrei chiedervi, se volete, di passare a leggere la storia che ho pubblicato su un altro account che condivido con una mia amica, dove postiamo entrambe. 

Se vi va, l’account si chiama “Le Jenni” e la long scritta da me “Il prezzo del desiderio.” nella sezione “Romantico”. Ovviamente se non vi va non mi offendo:) 

Un bacione, 

Susy




Charlie.


Charlie si sentiva così diverso dai suoi coetanei.

Non parlava mai con nessuno, si limitava a movimenti del capo appena accennati o sospiri scambiati con quella ragazzina, che tutti consideravano strana, in fondo all’aula, durante le ore di storia che sembravano non finire mai. 

Charlie non aveva amici perché tutti lo consideravano matto, un bambino da rinchiudere in uno di quegli istituti per i malati di testa. Lo trattavano male, sia a casa che a scuola, perché lui era sempre l’ultimo, il peggiore in tutto. Lo chiamavano “stupido” talmente spesso che persino lui, dopo un po’, si convinse di avere qualcosa che non andava.

La madre non gli rivolgeva parola perché era troppo simile al fratello maggiore, morto durante la guerra, che era l’unica persona,  in tutta la famiglia, che sarebbe potuto diventare davvero qualcuno un giorno e, magari, tirare fuori dalla rovina nella quale erano caduti da molto tempo anche tutti gli altri. Con lui se n’era andata anche l’ultima speranza di tutti di avere una vita almeno normale. 

Il padre era sempre assente. Lavorava giorno e notte per provare a tirare avanti quella famiglia sbilenca, troppo numerosa e ai limiti della società per essere aiutata dal comune. A nessuno importava di loro, di quei bambini che vivevano nella sporcizia e mangiavano come cani, perché il cibo era come oro per loro e quando ce n’era un po’, andava alla madre, che altrimenti, affamata come un lupo, avrebbe sfogato le sue frustrazioni su quegli esserini troppo scarni e fragili per provare a difendersi.

Charlie, persino in mezzo ai suoi fratelli, tutti più o meno simili a lui, era considerato quello più brutto, più stupido e più scansafatiche. Non lo voleva nessuno, perché per tutti era un peso troppo fastidioso da sopportare e spesso la famiglia aveva provato a sbarazzarsi di lui, lasciandolo sulla porta di qualche casa ed ordinandogli di non muoversi. 

E lui lo faceva. Aspettava immobile, davanti alle bellissime abitazioni degli altri abitanti del paese, che qualcuno arrivasse a salvarlo dalla rovina in cui, ormai, si era abituato a vivere. A volte si accucciava, piccolo come un cucciolo di cane, accanto alla porta e sperava che almeno lo morte lo accogliesse. Ma non accadeva mai. 

Alla fine o si alzava e tornava, molto lentamente, a casa sua dove veniva picchiato per aver fatto ritorno, o veniva riaccompagnato da qualche autorità che se ne fregava di ciò che è giusto o sbagliato, talmente affezionati ai soldi per poter osare dire qualcosa contro la società. 

Eppure Charlie la speranza non la perdeva. Ogni sera, dopo quella che si non si potrebbe definire cena, ma che era l’unica cosa che gli permettesse di tirare avanti, si inginocchiava davanti al lenzuolo trasandato che costituiva il suo letto e pregava. Pregava per una vita migliore, pregava che Dio gli mandasse qualcosa per sopportare quell’esistenza fatta di niente e botte, che spesso detestava per la sua crudeltà, ma che, sapeva, non sarebbe mai stato in grado di abbandonare con il suicidio. 

Ogni giorno attendeva che qualcosa nella sua vita cambiasse, anche se più trascorreva il tempo e più la sua gli sembrava la misera illusione di un povero ragazzino nato in mezzo alla miseria, portandone forse di più, che era costretto a subire le ingiurie dei ricchi e gli sguardi di disprezzo che provenivano da qualsiasi persona avesse il coraggio di posare gli occhi su di lui.

A volte si faceva schifo da solo, talmente era sporca la sua pelle e trasandati gli indumenti che non cambiava mai, non avendone altri. Poi però si faceva coraggio, prendeva il libro che il fratello gli aveva regalato prima della partenza e leggeva, perdendosi nel mondo della sua fantasia, che rendeva tutto un po’ più sopportabile. Ma appena metteva piede fuori dalla sua stanzetta, che condivideva con i suoi 6 fratelli, tutti maschi e tutti più grandi di lui, la triste e cattiva realtà tornava, come un fantasma, a ricordargli che la felicità è troppo cara per un bambino tanto insignificante ed inutile come lui. 

Gli mancava il fratello, quel ragazzone forte e grosso nonostante il poco cibo, che pur di dargli una vita migliore era pronto a morire. L’unica persona che lo avesse mai visto per ciò che era, un bambino fragile, sia fisicamente che caratterialmente, che lottava ogni giorno contro il mondo che lo definiva come un sudicio poveretto, probabilmente malato e non degno di essere curato o anche solo ascoltato. Per questo aveva smesso di parlare. Aveva imparato che meno dava nell’occhio e meno veniva notato e quindi credeva di poter evitare le derisioni o le prese in giro dei suoi coetanei. 

Poi c’era lei. La strana della classe, quella che combinava sempre guai, ovunque andasse e qualsiasi cosa facesse. Passava più tempo in punizione che da qualsiasi altra parte ed era l’unica, forse perché anch’ella era abituata ad essere evitata, che non lo guardava come se avesse la peste. Non che avessero mai parlato, anche perché Charlie non lo faceva con nessuno, ma quei loro sguardi durante le lezioni o i leggeri movimenti del capo che si rivolgevano, lo portava a credere che anche lei sapesse cosa si prova ad essere sempre il peggiore in qualsiasi cosa. Forse era proprio questo fatto ad incuriosire Charlie. Perché una bambina normale deve essere presa in giro? Non lo capiva e ancora di più non comprendeva come potesse non interessarle. 

Annabeth era il suo nome, famosa per essere un maschiaccio, non le importava di niente e di nessuno. Quello che le bastava era divertirsi e sentirsi comunque a posto con la propria coscienza. Charlie la ammirava perché, ogni giorno, aveva il coraggio di camminare a testa alta per i corridoi della scuola del paese, sorridendo non appena veniva scherzata e rispondendo con tranquillità e carisma a qualsiasi provocazione. Era una tosta, che aveva sempre le risposte giuste al momento giusto, che non si lasciava intimorire nemmeno da quelli più grandi. 

Charlie la guardava da lontano, con gli occhi sognanti, sperando un giorno di poter divenire come lei. Forte come una roccia, indistruttibile e poco propenso al piegarsi.

La scuola per lui era un vero Inferno, in cui dei piccoli diavoletti mascherati da bambini si divertivano a torturarlo, pensando di essere in qualche modo migliori di lui, avendo le scarpe più belle e i vestiti sempre lindi e profumati. Ma Charlie non li invidiava, né rispondeva ai loro tentativi di farlo scatenare per poterlo considerare ancora più pazzo. Non aveva tempo per quello, era già troppo impegnato a non morire a casa, dove, se possibile, la vita era anche peggiore. 

Non andava bene in nessuna materia, perché non aveva tempo di studiare o fare i compiti, dovendo lavare, stirare, cucinare e badare agli animali della fattoria, che erano l’unica cosa che riusciva a tenere a galla lui e gli altri. A volte era talmente stanco che si addormentava in classe e per questo veniva buttato fuori dall’aula, tra le risa generali. Le insegnanti non provavano a capirlo, non chiedevano come mai si presentasse con gli occhi neri ed il corpo pieno di lividi. Semplicemente, come tutti gli altri, fingevano di non vedere ciò che il ragazzo era costretto a subire, perché in tempi di crisi ognuno pensa a se stesso. 

Così trascorreva la vita di Charlie, i cui sogni  più ambiziosi erano quelli che lo vedevano come un normale operaio ed un marito, magari anche padre. I sogni di un bambino a cui è stato tolto tutto, forse anche la dignità, ma non la speranza. Perché più la vita era dura, più lui pregava e più si faceva forza da solo, essendo egli stesso il suo unico confidente. 

Poi qualcosa cambiò. 

Era il primo giorno della prima media e lui era arrivato in classe, silenzioso come sempre e si era accomodato all’ultimo banco. Tutti parlavano, si presentavano, ma nessuno sembrava notarlo. Tra tutti i volti che conosceva, solo uno lo fece entusiasmare. Annabeth era in classe con lui. 

Poi entrò la nuova insegnante. Una donna dolce, piena di fortune,  a cui la vita aveva tolto l’unica cosa che desiderasse realmente: la possibilità di avere un figlio. Quando scoprì di non poter divenire madre, il dolore che le causò la sua sterilità la portò a laurearsi, per diventare un giorno un’insegnante e vivere così in mezzo ai ragazzini.

Charlie la adorava, pur non avendole mai parlato molto. Quando spiegava si incantava per ore ad ascoltarla, con gli occhi luminosi di chi ha appena conosciuto il suo mito, il suo esempio da seguire. Le parole della sua insegnante lo aiutavano a sopportare un po’ di più la sua vita insignificante e gli davano ancora più coraggio. 

A casa, però, la giornate erano dure. La madre picchiava lui ed i suoi fratelli e nonostante Charlie fosse ormai abbastanza grande da reagire, non lo faceva mai, perché la amava con tutto se stesso, vedendo in lei la frustrazione che provava, quando era costretta a dare tutto ciò che aveva ad i suoi figli. In un certo senso la ammirava per questo e subiva in silenzio, non volendo sentirsi un mostro a rispondere alle botte che prendeva. Perché questo sarebbe stato, secondo lui, a picchiare la donna che gli aveva dato un dono così grande quale è la vita. 

Tornato a scuola con un occhio nero, nessuno disse niente come sempre, tranne la sua insegnante che, non appena lo vide, lo chiamò in disparte per poter comprendere ciò che era accaduto. 

Iniziò così il lento aprirsi di Charlie nei confronti di quella donna, che lo trattava come se fosse un principe. Scoprì di essere molto più intelligente di quanto gli avessero mai detto ed iniziò ad appassionarsi alla matematica. 

Ogni volta che l’insegnante lo lodava, arrossiva fino alle punte delle orecchie e ringraziava, stupendosi di riuscire a parlare davanti a qualcuno che non fosse il suo riflesso nel lago. 

Lei per Charlie era tutto. La sua seconda madre, la sua migliore amica e miglior confidente e probabilmente per la donna era lo stesso, per questo quando si ammalò Charlie credette sul serio di non riuscire a superarlo. Passava a casa sua la maggior parte del tempo, seduto sul suo letto, a leggere ad alta voce i più svariati romanzi, che lo appassionavano quasi quanto i calcoli e le espressioni. 

L’insegnante lo ascoltava incantata, accarezzandogli i capelli e ripetendogli quanto valesse la sua intelligenza in un mondo dove i soldi erano tutto. 

Il tumore le strappò la vita durante una notte talmente fredda da costringere Charlie a rintanarsi nella dispensa dove la madre teneva il vino e qualche coperta. Quando lo seppe pianse per giorni interi, senza fermarsi mai ed imprimendo nella sua mente l’immagine di quell’angelo che Dio aveva mandato per salvarlo da se stesso e che adesso, una volta compiuto il suo compito, era tornato da lui. 

Dopo una settimana, vissuta nel dolore, Charlie tornò a scuola, più forte di quanto fosse mai stato. Era diventato come Annabeth, se ne fregava di ciò che la gente diceva perché conservava nel suo cuore le parole di quella donna che gli aveva dato tanto, nonostante non lo conoscesse nemmeno. Lui voleva qualcosa, lui non era stupido. Lui ce la poteva fare a risalire dalla rovina. 

Anni dopo Charlie avrebbe messo da parte i soldi necessari ad iscriversi all’università, grazie al suo lavoro alla gelateria ed una volta laureato, dopo essersi trasferito, avrebbe costruito un impero, mattone dopo mattone, grazie alla sua capacità nel fare i calcoli. 

Eppure, nonostante i soldi, il cuore di Charlie rimaneva buono e per questo tornò alla sua vecchia casa, dove i fratelli, morta la madre, si nutrivano di ciò che gli animali erano in grado di dare. 

Charlie era orgoglioso di ciò che aveva fatto, di ciò che aveva costruito partendo dal niente e della meravigliosa famiglia che si era fatto con Annabeth, quella ragazzina dai meravigliosi occhi azzurri e dai codini svolazzanti, che nascondeva l’anima di una guerriera. 

Nel suo cuore rimaneva comunque quell’insegnante che, senza saperlo, gli aveva salvato la vita, dicendogli semplicemente che sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa avesse voluto della sua esistenza. 
  
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