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Autore: July and August    06/01/2016    3 recensioni
La storia parla di Robert, un neurochirurgo trentenne, che a questo punto della vita si trova ad un bivio, quando una chiamata improvvisa da parte di suo fratello Deve lo spinge a prendere una decisione. Deve tornare a casa dopo quattordici anni di silenzio nei quali era sparito silenziosamente dalla vita delle persone che gli volevano bene.
Rob si troverà a dover riallacciare i rapporti con il padre, ad affrontare i fantasmi del suo passato e a chiarire con tutte le persone che ha lasciato indietro e all'oscuro dell'ultima parte della sua vita.
Riuscirà a fare ciò?
Dal testo: 
Guardi l’ora, sono le cinque e vorresti strozzare tuo fratello. Alla fine decidi di lasciar perdere tutta quell’assurda situazione  e ti rimetti a letto. Non riesci a dormire, la testa ti fa ancora più male, le coperte ti soffocano e la nausea sta iniziando a farsi sentire.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Angolo dell'autrice:

Scusate se lo metto qui, ma ci tenevo a raccontarvi qualcosa di questa storia. Allora innanzitutto è la prima volta che scrivo una storia di questo genere, ne ho scritte tante ma così mai. La storia è volutamente ambientata in America, anche se la città non ha un nome, lasciando la possibilità a chi la legge di immaginarsela. Mi farebbe piacere inoltre sapere cosa pensate di questo capitolo e dei successivi attraverso un commento anche di poche righe. Spero che la storia vi piaccia. Buona lettura.

A presto,
July.







Leggimi nell’anima



                                 1.Una chiamata che ti sconvolge la vita …



Ti sei addormentato da venti minuti, quando suona il telefono. Ti esplode il cervello e vorresti prendere a pugni chiunque ti stia chiamando.

<< Chi cazzo è che chiama alle quattro di mattina?>>.

Nonostante il forte impulso di non rispondere, ti convinci a farlo, perché credi, anzi speri, che la persona dall’altro capo della cornetta abbia un motivo più che valido per disturbarti nel cuore della notte.

<< Pronto? >>

<< Parlo con il signor Robert Miller? >>

 tra tutte le persone che avrebbero potuto chiamarti solo ad una può appartenere quella voce così profonda e dal tono risoluto.

<< David? >>

pronunci quel nome talmente a bassa voce che dubiti di averlo fatto. Ti sembra di vivere un incubo.

<< Si, sono io Robert >> 

all’inizio non ci credi, non puoi, o semplicemente non vuoi. Che differenza fa adesso? Poi però lui sospira; in quel modo buffo, come solo lui fa. Comprendi che si tratta davvero di tuo fratello Dave.

<< Dimmi che hai un buon motivo per chiamarmi, oggi, dopo quattordici anni di silenzio. Quattordici anni, Dave, non tre giorni! >> 

vorresti pronunciare ogni singola parola con tutto l’odio che possiedi, ma il risultato che ne esce, assomiglia più ad un rantolo che ad un tono velenoso, maledetta sbornia.

<< Neanche a me fa piacere Rob, ma devo dirti una cosa… >>

lo interrompi prima che possa aggiungere altro.

<< Non chiamarmi mai più Rob, altrimenti ti attacco il telefono in faccia >>.

Vorresti davvero farlo, ma sentire la sua voce non fa altro che rinfrescarti la memoria, riportando alla luce i motivi per cui te n'eri andato, voltando le spalle sia alla tua famiglia che alla tua cittadella natìa. Al tempo stesso però, si ripresentano i sensi di colpa che eri riuscito a cacciare così faticosamente, giusto qualche ora prima, con l’aiuto dell’alcool, il quale oramai è l’unico amico che ti sia rimasto.

<< Hai ragione, scusami >>.

L’emicrania stringe il tuo cervello in una morsa di dolore sempre più insopportabile, e lui con il suo comportamento sempre così accondiscendente, non fa altro che alimentare la tua frustrazione per la situazione del cazzo in cui ti trovi.

<< Arriva al punto David >>

solo questo riesci a dire.

<< Nostra madre ha avuto un brutto incidente, nel quale ha riportato un serio trauma cranico che le ha indotto il coma, tu sai di cosa sto parlando >>.

Pronuncia quelle parole così velocemente, che fatichi perfino a capire se ha smesso di parlare oppure no. Rifletti un attimo e poi capisci cosa intende. In fondo ha ragione, tu comprendi perfettamente le condizioni di tua madre, ogni buon neurochirurgo lo farebbe, ma nonostante questo, non riesci a provare dolore o dispiacere, solo apatia, forse però non è neanche quello il sentimento che in questo istante dimora nel tuo cuore.

<< E’ in gravi condizioni? Sta per passare a miglior vita? >>

vorresti dirlo con un tono che sembri a meno un po’ dispiaciuto, ma si capisce immediatamente che non te ne importa nulla. Da quando hai smesso di provare emozioni? Non lo ricordi neanche più.

<< No ma … >>

non lo lasci terminare, vuoi solo che questa conversazione finisca il più in fretta possibile.

<< Allora io e te non abbiamo più nulla da dirci, addio David >>

 stai per attaccare , quando senti le sue parole provenire dall’altro capo del telefono, non lo avevi mai visto così deciso: nei tuoi ricordi, era un ragazzino insensibile e codardo.

<< Ti prego Robert torna a casa, nostra madre ha bisogno di te, ha bisogno di tutti noi >>.

“Con questa frase quello stronzo ha davvero superato il limite” pensi.

<< Ah si? Be, dov’eri quando io avevo più bisogno di te, eh David? >>

 lo senti sospirare e probabilmente tra poco si metterà a piangere, se non lo sta già facendo; potrà anche essere diventato un uomo ma rimane il solito menefreghista e vile di sempre.

<< Rob io … >>,

<< Non mi interessa David, grazie per avermi avvertito, addio >>.

Attacchi il telefono, non gli permetti di dire nient’altro, sei stanco delle sue scuse.

Guardi l’ora, sono le cinque e vorresti strangolare tuo fratello. Alla fine decidi di lasciar perdere tutta quell’assurda situazione  e ti rimetti a letto. Non riesci a dormire, la testa ti duole ancora di più, le coperte ti soffocano e la nausea sta iniziando a farsi sentire. Ti liberi dall’oppressore con un calcio, ti alzi e corri in bagno, dove vomiti anche l’anima e dove sei sicuro che le tue colpe vadano a finire nello scarico. Dopo aver passato quella che ti sembra un’eternità, ti senti decisamente meglio; ti dirigi in cucina per bere un bicchier d’acqua e mangiare una bella mela per poi tornare a letto. Arrivi vicino alla porta della tua stanza, quando, in preda all’istinto torni indietro; porti la mano alla maniglia della porta del tuo studio, la giri dandole una spinta talmente forte che la porta ritorna indietro. Decidi di entrare, fermandoti a metà  strada dalla scrivania.

<< Che diamine sto facendo? Sono diventato pazzo, tutta colpa dell’alcool >> facile dare la colpa a lui quando sai che il motivo è un altro.

 Ti siedi alla scrivania e accendi il pc. Mentre vai alla ricerca degli occhiali, ti imbatti in una cornice che, per quanto sei ubriaco, non ricordi neanche più quando l’hai messa lì. La prendi in mano e osservi l’immagine dietro il vetro. Ti ricordi quando è stata scattata: era il decimo compleanno di David e tu e tua madre stavate giocando ad acchiapparella. La fotografia ritrae te, i tuoi fratelli e vostra madre. Ti soffermi sugli occhi verdi della donna e ti viene da sorridere ripensando al fatto che tua madre si chiami Hope, ovvero speranza e il colore associato a questo sentimento è il verde e la cosa certa è che tua nonna non aveva nulla da fare che scegliere proprio quel nome. Ti accorgi che stai divagando e posi la cornice al suo posto; alla fine prenoti il primo volo disponibile per Boston, che , per inciso, sarebbe partito due ore più tardi e speri di non fare la seconda stronzata più grande della tua vita.

Ed eccoti qui in aeroporto, aspettando che chiamino il tuo volo.

<< Sarà davvero la cosa giusta? >> sospiri, non fai in tempo a risponderti che chiamano dall’altoparlante:

<< Volo per Boston con scalo a Minneapolis. Si pregano i gentili passeggeri di recarsi al Gate 20 per l’imbarco >>.

Ci siamo, è il momento.

Sono le cinque e mezza del pomeriggio e sei in macchina, perché nella stupida cittadina in cui sei nato non c’è un aeroporto e per questo appena atterrato a Boston dopo aver fatto scalo a Minneapolis, ti è toccato fare quasi tre ore di viaggio in macchina. I problemi sono iniziati mezz’ora prima, quando hai svoltato a destra per prendere una strada secondaria e lasciare la statale, da lì i paesaggi, le colline, gli alberi, tutto ti è sembrato così dannatamente uguale a quattordici anni fa, quando hai detto addio a tutto ciò, da farti venire la nausea e la voglia disperata di tornare a Los Angeles.

Il cartello informazioni segnala che mancano, più o meno, trenta chilometri a quella che tuo fratello chiama casa, tuttavia per te assomiglia più ad una gabbia. Per un attimo pensi a quello che hai lasciato lì: gli amici, i fratelli, la ragazza, una parte del tuo cuore… E sei sicuro che, a così tanti anni di distanza, non sei pronto ad affrontare tutto ciò, non adesso.

<< Merda ci siamo, ecco il maledetto cartello di Benvenuto >> imprechi, ti metti gli occhiali da sole e speri vivamente che nessuno ti riconosca.

“Chi vorrebbe mai tornare in un posto sperduto tra le montagne?!”  pensi.

 Percorri con la macchina gli ultimi venti metri di strada che ti separano dalla casa, pregando di trovarla vuota.

Quando scendi dalla macchina,  percepisci che ti sta per venire un altro mal di testa e imprechi di nuovo. Sali le scale e ti ritrovi nel porticato; con un bel sospiro apri la zanzariera ed entri in casa.

Appena varchi la soglia dell’abitazione, l’aria così familiare ti investe come un cazzotto allo
stomaco. Adesso si, hai la perfetta convinzione, anzi la certezza che hai appena fatto la seconda più grande cazzata della tua vita.

Una voce ti risveglia dai tuoi pensieri, non è  quella di David, piuttosto sembra quella di un ragazzino non troppo cresciuto e schivo. Ti giri per guardarlo e lo riconosci immediatamente, è tuo fratello Matthew. Non è cambiato molto dall’ultima volta che l’hai visto, è diventato alto quanto te, circa un 1.75, ha i capelli ricci e ribelli e quei particolari occhi neri che alla luce del sole sembrano mostrare tutta la loro profondità ed è rimasto secco come un chiodo come quando era bambino, quanto lo prendevi in giro per questo.

<< Ciao Robert >> ti saluta, accenna un piccolo sorriso e tu sai bene che quel gesto è più per circostanza ed educazione che per altro.

<< Matthew, vivi da solo qui? >> probabilmente è una domanda stupida ed inopportuna, ma non ti interessa.

<< Veramente vado al college da un anno, vengo solo a trovare la mamma ogni tanto >> eccolo lo schiaffo morale: ti ricorda che, a differenza sua, tu non vedi tua madre da troppo tempo; non dev’essere molto bello ricevere la predica da uno che ha dieci anni meno di te.

<< Grandioso, in cosa ti specializzerai dopo? >> sei sarcastico, però lui sembra non accorgersene.

<< Psicologia >>. Perfetto, in famiglia mancava giusto uno psicologo.

<< Hey Matt com’è andato il viaggio da Chicago? >>  eccellente adesso sei perfino in
minoranza: eri talmente preso ad osservare quello che, per te rimarrà sempre un ragazzino, che non ti sei accorto dell’arrivo di Dave.

<< Non ci ho messo molto ad arrivare, ho trovato giusto un po’ di traffico >> David annuisce a Matt, poi sposta la sua attenzione su di te.

<< Robert, non  pensavo saresti venuto alla fine >>  e sai fin troppo bene dove vuole arrivare con queste parole.

<< Sicuramente non sono qui grazie alla tua supplica, sei convincente quanto un bradipo che lavora >> il biondo inizia a sogghignare e in te cresce sempre di più la voglia di picchiarlo.

Non solo non lo sopporti ma lo odi soprattutto per il fatto che è l’unico che assomiglia fisicamente a vostro padre: alto, biondo, occhi azzurri e spalle larghe. L’hai sempre detestato per questo, era l’unico in famiglia tra voi fratelli a ricevere sempre lusinghe da parte di Edward, indipendentemente da ciò che faceva.

<< Allora, se non sono convincente nemmeno un po’, perché sei qui? >>

ne sei certo, questi due ti faranno diventare pazzo.

<< Non sono affari che ti riguardano, e anche se ti riguardassero di certo non ne parlerei con te, se non ti dispiace, dovrei uscire, quindi levati di torno!>>.

Finalmente gli hai tolto quel sorrisetto dalla faccia; trionfante ti dirigi verso l’uscita della casa, apri la porta e nel preciso istante in cui metti un piede fuori da quella che consideri  una gabbia, ti trovi di fronte l’ultima persona al mondo che avresti voluto vedere in tutta la tua esistenza. L’uomo di fronte a te ti sorride e tu lo lasci entrare. Si, sei decisamente sotto shock.

<< David, Robert, Matthew, è bello rivedervi tutti, ragazzi >> sorride.

<< Ciao Ed >> guardi Dave ricambiare il sorriso.

<< Ciao papà >> non riesci davvero a credere che quei due siano tuoi fratelli. Tuo padre sembra felice di tutto ciò, quando si gira verso di te e ti guarda con aria esitante.

<< Professore >>  si rabbuia, capisci che si aspettava di più da te, tu però non puoi semplicemente cancellare il passato.

<< Potresti almeno chiamarlo Edward, non credi Robert? >> .

<< Non è necessario David >> prova a dire lui.

<< Potresti farti i cazzi tuoi per una volta, David? O sei talmente idiota da non capire quando bisogna tacere?! Già dimenticavo, tu sei l’avvocato delle cause perse>> vuoi andartene da quella casa, altri cinque minuti e non risponderesti delle tue azioni.

<< Ragazzi smettetela non avete più quindici anni! >>

e tra te e te pensi “ sta succedendo davvero tutto questo? Se è un incubo svegliatemi!”.

<< E tu che ne sai di com’eravamo a quell’età se eri talmente impegnato a vincere il premio come miglior ubriacone da scordarti perfino di tornare a casa?! Non sei stato nemmeno in grado di accorgerti che questa famiglia è caduta in pezzi a causa dei tuoi modi non troppo garbati>> sai di essere stato crudele, ma sai anche che la tua cattiveria scomparisce se paragonata a quella che lui ti ha rivolto contro per anni tra prediche e percosse.

<< Robert non sono più quello di un tempo, perché non riesci a capire? Dannazione! Non puoi tornare qui e sputare sentenze senza nemmeno osservare i cambiamenti >>.

Lo sai che di li a poco Edward perderà le staffe ma è proprio quello che desideri.

<< Io non capisco professore? Lei non dovrebbe neanche mettere piede in questa dannatissima casa! Io non ho notato i cambiamenti e lei che mi paragona a un ragazzino di quindici anni? Quanti anni crede che io abbia eh?>> sei ironico, gli dai perfino del lei.

<< Adesso smettila, non sei più un ragazzino, comportati da uomo per l’amor del cielo >> .

<< Continui a scambiarmi per un bambino quando l’unica persona immatura qui dentro sei tu! >>.

<< No, tu sei l’immaturo, persino tuo fratello che ha vent’anni è più adulto di te >>.

Adesso basta, la tua pazienza ha davvero un limite e lo hai appena toccato.

<< Ma tu che ne sai di come si comporta un ragazzino eh? Che cazzo ne sai di me? Dimmelo! Sei solo uno sporco ubriacone del cazzo! >>.

Tuo padre ti da uno schiaffo e il tuo buon senso ti suggerisce l’ipotesi di essertelo meritato, ma tu non dai mai ascolto al buon senso, sentirlo significherebbe ammettere che nella tua vita hai commesso troppi errori e questo farebbe troppo male.

<< Basta! Questa misera rimpatriata è durata anche troppo, me ne vado!>> esci di corsa dalla casa, avverti i passi di qualcuno che ti sta venendo dietro, probabilmente dovresti girarti, tuttavia non lo fai. 

<< Robert dannazione torna indietro! >> fantastico: è tuo padre l’inseguitore.

Fai come dice e torni indietro ma solo per ribadire un concetto che per te è essenziale.

<< Questa è la prima e l’ultima volta che mi rivedete chiaro?! E per inciso, non azzardatevi mai più a chiamarmi>>.

Adesso te ne vai davvero, inizi a correre come un forsennato cercando di allontanarti il più possibile da quella abitazione che non senti più tua.

Mezz’ora dopo la tua fuga ha iniziato a piovere ma non ti sei fermato, hai solo iniziato a camminare. L’avrai fatto per cinque o sei isolati circa, sei sicuro di aver passato l’edicola di Carl, il negozio di alimentari di Betty, la sala giochi di Jeff ma dopo quello non ricordi come sei finito davanti al bar di Phil.

 Decidi di entrare, d’altronde un bicchiere in più uno in meno non fa differenza oramai. A pochi metri dall’ingresso però, il tuo cervello ti fa notare che se continui così, diventerai presto come lui, come l’uomo che detesti tanto e ti dai mentalmente del fallito. Ora però anche se ti volessi fermare non avresti l’autocontrollo necessario per farlo. Alla fine entri lo stesso. Ti dirigi al bancone dove scorgi la figura di Vincent: il fedele barista che lavora lì da trent’anni. Un uomo basso con la barba sempre visibile, la pelle scura e con lo sguardo di chi nella vita ne ha affrontate tante. Gli anni sembrano passare per tutti tranne che per lui. Ti siedi al tuo solito sgabello, dove il pomeriggio con i tuoi fratelli ti sedevi a fare merenda. Dai uno sguardo al locale e noti che non è cambiato di una virgola dall’ultima volta che ci hai messo piede.

Ti sbottoni il colletto della camicia e fai per toglierti la giacca, quando ti accorgi che non la indossi. Ti gratti la testa con fare confuso, cerchi di ricordare dove l’hai lasciata ma non ci riesci, allora mandi al diavolo anche lei.

<< Hey Vince un Gin tonic per favore >>.

<< Arriva subito Rob >> fantastico ti ha riconosciuto senza neanche guardarti in faccia.

La giornata non potrebbe andare peggio di così.

La bevanda richiesta ti viene servita due minuti dopo; purtroppo per te la persona che te la serve non è Vince, almeno che non abbia il seno e i capelli neri. Probabilmente conosci la donna che ti sta servendo il drink, però non osi alzare lo sguardo per paura che i tuoi timori diventino realtà.

<< Bentornato Bob >> e maledizione si, i tuoi timori sono fondati perché tra tutte le persone che conosci qui solo una ti chiamava in quel modo.

<< S-Samantha? >> alzi il viso e incontri i suoi occhi neri che per te sono sempre stati cristallini come l’acqua.

<< Eccomi qua >> ti sorride e tu ti senti perso.

<< Non volevi andare all’università e cambiare vita? >> perché riesci sempre a fare domande scomode ed inopportune?! Sei davvero un idiota.

<< L’ho fatto, mi sono laureata in economia, purtroppo però poco dopo la mia laurea i miei sono morti e non me la sentivo di vendere il bar, così ho rilevato l’attività, adesso gestisco questo e un’altra cinquantina di locali in tutto il Massachusetts >>.

Avevi intuito subito che sarebbe andata lontano e per questo che l’amavi.

<< Mi dispiace per i tuoi >> ed è vero adoravi i suoi genitori.

<< Cambiando discorso, sei qui per tua madre? >> .

<< Si,  però diciamo che finora le cose non sono andate esattamente nel verso giusto >>.

<< E cosa ti aspettavi? Tu sparisci per quattordici anni lasciando le persone che ti volevano bene a raccogliere i pezzi della loro vita e poi ti ripresenti qui come se nulla fosse, non ti sembra ipocrita da parte tua? >>.

<< Ti ci metti anche tu adesso? Non bastano il professore e i fratelli, anche tu mi fai la predica >>

e sei davvero stanco della gente che ti critica in continuazione.

<< Io c’ero, ho visto quanto hanno sofferto, tu dov’eri in tutto questo? >> per cercare di calmarti bevi il tuo Gin tonic.

<< Io dov’ero? E dov’erano loro quando ne avevo bisogno, eh? >> finisci di pronunciare la frase e te ne penti subito. La guardi rabbuiarsi.

<< Io ero lì Robert, ti avrei aiutato e sai perché? Perché io ti amavo >> l’ultima parte della frase esce come un sibilo, e sai benissimo che le è costato un grande sforzo pronunciarla.

<< Forse è meglio che me ne vada >> ti alzi e prendi il portafoglio, << Quanto ti devo per il drink?>> .

<< Nulla offre la casa >>.

Esci di lì il più velocemente possibile. Appena sei fuori, l’aria fresca ti scompiglia i corti capelli ricci  e cerchi di rilassare i muscoli.

“Anche io ti amavo e non immagini quanto”.

 
   
 
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