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Autore: Wozzugururu    08/01/2016    2 recensioni
"“É così quindi, l’aldilà intendo. Me lo aspettavo più, non so, pieno di nuvole e con un vecchio dalla lunga barba bianca.”
OH NO, TEMO PROPRIO DI NO. QUESTA È SOLO CASA MIA.
“Capisco, devo dedurne che il paradiso non esista?”
SE NON CI CREDE LEI, TEMO PROPRIO CHE LA RISPOSTA SIA NEGATIVA."
Questa è la mia rappresentazione della morte, ispirata a quella di sir Terry Pratchett, buona lettura e per favore lasciatemi una piccola recensione, anche e soprattutto carica di astio, ne sarei molto contento.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MORTE

 

Il sole era alto nel cielo terso, perfettamente a picco sopra la piccola casetta, unico edificio in quel prato sconfinato se si escludeva il piccolo capanno per gli attrezzi.

Una leggera brezza spirava da est, facendo ondeggiare dolcemente l’erba e le lunghe spighe del grano maturo. Visto dall’alto il prato pareva un mare verde chiaro nel quale compariva un solitario scoglio rettangolare. Una calma assoluta regnava in quel luogo, il silenzio era tale che si sarebbero potute udire le formiche scavare le loro gallerie il profondità nel terreno o il lento battito delle ali di un’aquila a centinaia di metri di altezza. Addirittura, forse, si sarebbero potuti udire i pensieri roteare nella testa di un uomo, palesarsi dal nulla e dissiparsi subito dopo, o permanere, fissi dietro la fronte, fischiando piano e suggerendo nuovi e diversi ragionamenti. Castelli di cristallo sorgere tintinnando da mari di fiamme e stupendi giardini nascere da aridi deserti e altre infinite meraviglie che sono proprie della mente umana. Ma nessuna formica abitava il suolo, nessun uccello si librava libero nell’aria e il solo occupante della casa non aveva certamente bisogno di una quiete così assoluta per poter sentire ciò che abitava la sua mente.

Quest’ultimo era seduto su una sedia a dondolo di legno scuro che ondeggiava lentamente senza emettere alcun cigolio, lo sguardo perso in direzione dell’immensa prateria che si spiegava davanti ai suoi occhi. Il lieve fruscio del grano lo risvegliò dal suo stato di lieve torpore. Appoggiò le mani sui braccioli della sedia e, con molta calma, si alzò in piedi. Diede un ultimo sguardo al vasto campo di spighe dorate ed entrò in casa.

Abitava in una dimora di dimensioni modeste, composta di appena due stanze, ma elegante e confortevole: ogni mobile era intagliato nello stesso legno scuro della sedia che si trovava sotto lo stretto porticato appena varcata la soglia, e su molti di essi erano ben visibili dei sottili fregi in argento lucente. Nella prima stanza si trovava un lungo tavolo con due sedie alle estremità, ad una parete era appoggiata una grande credenza con molti cassetti e nell’altra si apriva un grande focolare di marmo nero splendidamente intagliato e decorato con sottili disegni in madreperla. Sopra la legna ancora spenta era appeso un bollitore in argento che rifletteva la del sole che penetrava dalle due finestre e dalla porta spalancata e ad un chiodo infisso nella pietra era appena una presina bianco latte. 

Nella terza parete si aprivano due porte identiche. L’abitante si diresse verso quella di destra, girò il lucente pomello ed entrò nella seconda stanza. Questa era delle stesse dimensioni della prima, ma non aveva finestre o altre vie d’accesso che non fosse quell’unica porta. Tutte le pareti erano coperte da file su file di scaffali sui quali erano riposti in ordine tanti oggetti per misurare il tempo. C’erano clessidre dalla sabbia dorata, piccoli orologi meccanici in metallo, un paio di secchi pieni d’acqua che gocciolava lentamente sul pavimento, senza però bagnarlo in alcun modo, e cronometri, pendole in miniatura, orologi al quarzo e addirittura qualche meridiana. Ognuno di questi strumenti mostrava un’orario diverso e procedeva nel suo preciso misurare ad un ritmo indipendente. Sul soffitto apparivano ancora orologi, più grandi degli altri, che circondavano un gigantesco quadrante in stile gotico. Morte si fermò un momento a guardare il soffitto: un macchinario di un elegante azzurro striato di bianco segnava tre minuti a mezzanotte, una piccola targhetta recava incisa la parola “Earth”. Un altro un po’ più piccolo di colore rosso era fermo, le lancette allineate fra l’uno e il due del numero dodici. Pensò che avrebbe dovuto cambiarlo con uno nuovo. Lanciò uno sguardo al gran signore della stanza, il quadrante con la scritta “Multiverse” e abbozzò un mezzo sorriso, per quanto uno scheletro potesse cambiare espressione.

Si diresse poi verso una scaffalatura, ne estrasse una piccola clessidra la cui ampolla superiore era totalmente vuota e ne controllò la piccola targhetta d’argento. Dopodiché si voltò e uscì lentamente di casa, diretto al piccolo capanno, dal quale estrasse una lunga falce dalla lama d’argento. Il metallo tirato a lucido in maniera ineccepibile mandava lampi di luce mentre Morte si avvicinava a passi lenti verso il campo di grano. Camminò con attenzione per qualche minuto poi si fermò e prese fra le dita scheletriche una spiga, delicatamente, come se avesse paura di ferirla in qualche modo. Poi la tagliò a metà fusto con un movimento preciso. In quel momento si alzò il vento e la spiga recisa si librò leggera nell’aria, scomparendo rapidamente all’orizzonte. 

Dopo averla guardata volare per qualche istante Morte tornò sui suoi passi e, dopo aver riposto nel capanno la falce, rientrò in casa. 

SALVE disse all’uomo che si trovava seduto ad una delle estremità del lungo tavolo della prima stanza. 

“Salve” rispose lui. Aveva una corta barba grigia, le guance leggermente cadenti per l’età. Alcune rughe profonde gli segnavano il volto, ma era chiaro che non poteva aver superato di molto la sessantina. Portava dei sudici abiti da operaio, tanto sporchi che non si sarebbe potuto dire quale fosse stato il loro colore originale. I suoi piccoli occhi azzurri si posarono sull'incombente figura di Morte “Oh” disse, abbassandoli “allora è così, sono morto davvero.” La sua voce aveva una nota triste e rassegnata. 

L’ESPLOSIONE DELLA CALDAIA. MI DISPIACE. 

“Non si preoccupi, non è certo colpa sua.”

POSSO OFFRIRLE UN TÈ?

“Sì… sì certo, molto volentieri, grazie.”

Morte si diresse verso la credenza e ne tirò fuori una teiera di porcellana, due tazzine con i rispettivi piattini a motivi floreali blu e lilla, una piccola scatolina di legno con la scritta “zucchero” e due cucchiaini d’argento. Aprì uno dei cassetti e ne estrasse due bustine di Earl Grey che appoggiò con cura accanto alla teiera. In quel momento il bollitore mandò un fischio sonoro sputando una nuvola di vapore, benché il caminetto fosse ancora spento.

LE DISPIACEREBBE PRENDERE L’ACQUA? LA PRESINA È APPESA AL CAMINO.

L’uomo si alzò e prese il bollitore d’argento pieno d’acqua bollente, che versò con cura nella teiera che Morte aveva messo sul tavolo. Vi furono poi intinte le due bustine, che ben presto colorarono l’acqua con il caratteristico colore ambrato del tè. Il padrone di casa versò poi una tazzina per sé e una per il suo ospite, al quale offrì anche lo zucchero prima di lasciar cadere due candide zollette nella sua bevanda.

L’uomo girò il suo tè con il cucchiaino per far sciogliere lo zucchero, facendo tintinnare dolcemente la ceramica, poi accostò la tazza alle labbra e bevve un piccolo sorso.

“É così quindi, l’aldilà intendo. Me lo aspettavo più, non so, pieno di nuvole e con un vecchio dalla lunga barba bianca.”

OH NO, TEMO PROPRIO DI NO. QUESTA È SOLO CASA MIA. 

“Capisco, devo dedurne che il paradiso non esista?” 

SE NON CI CREDE LEI, TEMO PROPRIO CHE LA RISPOSTA SIA NEGATIVA.

“Non sono mai stato un buon cristiano, o un buon religioso.”

E DOVE PENSA DI ANDARE ALLORA?

“Non saprei. Ho sempre pensato che dopo la morte fosse tutto finito. Game Over. Ma in realtà pensavo anche che gli scheletri non potessero parlare, senza offesa.”

ALLORA È COSÌ CHE FINISCE. GAME OVER.

“Se permette, mi pare un po’ deprimente.”

OH NO. PENSI A QUELLI CHE CREDONO NELL’INFERNO. O NEL PARADISO. ASPETTARE LA FINE DEI TEMPI PUÒ ESSERE BEN PEGGIO CHE FARLA FINITA SUBITO, ANCHE SE SI ASPETTA IN MEZZO A SUFFICI, CANDIDE NUVOLE.

“Suppongo che lei abbia ragione.” disse l’uomo. Diede un ultimo sorso al tè. Si alzò dalla sedia. “Che si fa dunque?”

VENGA, L’ACCOMPAGNO.

Morte prese l’uomo sottobraccio e lo portò verso la seconda porta. 

QUASI DIMENTICAVO. Morte estrasse da una piega del lungo abito nero una piccola clessidra e gliela porse. QUESTA È SUA. Dopodiché spalancò la porta. Oltre di essa non vi era altro che buio, profondo, impenetrabile, sembrava quasi palpabile, come se possedesse una sua propria sostanza. L’uomo prese la sua clessidra, diede un ultimo sguardo a Morte e alla stanza e si incamminò nelle tenebre. 

Dopo qualche momento Morte richiuse la porta alle sue spalle. Mise rapidamente a posto ciò che aveva tirato fuori, i cucchiaini, lo zucchero, la teiera, i piattini e le due tazze, quella vuota del signore e la sua piena. Sapeva che l’avrebbe ritrovata vuota e pulita la prossima volta, come sapeva anche che la scatola dello zucchero sarebbe stata nuovamente colma. Poi tornò a sedersi sulla sua sedia a dondolo, guardando il grano, il cielo terso e il mare d’erba, aspettando la fine dei tempi.

Note dell'autore: Sono tornato a scrivere dopo molto tempo, e per questo vorrei davvero sapere i vostri pareri in merito a questo mio "esperimento". Anche poche righe sono molto gradite. Ringrazio già di cuore tutte quelle magnifiche (stupende, affascinanti, meravigliose) persone che vorranno recensire.

   
 
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