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Autore: lyy223    08/01/2016    0 recensioni
"Stavolta ero io però quella che pian piano scendeva sempre più nel buio pozzo, senza spiragli di salvezza, di fioca luce. Nessuna mano tesa verso di me. Tu in quel caso, dov'eri?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara Francis,
Non so perché sto scrivendo questa sorta di lettera. In fondo non lo è, non ho intenzione di inviartela. Non ne avrei motivo. Sarebbero tutte parole sprecate.
Piccole gocce di pioggia colpiscono la finestra della mia stanza. Il tè caldo alla pesca è sulla mia scrivania come al solito. Sono seduta al computer. Stavo pensando a te. Sono cose che tu adori, inevitabilmente i miei pensieri hanno attinto dai nostri ricordi. Ho trovato una foto di me e te, eravamo in gita a Roma con la scuola. Due ragazze che si abbracciano, tu con il cappellino verde ed io con quello bianco, alla splendida fontana di Trevi. Il destino alle volte si impegna per far riaffiorare bei ricordi che causano tristi pensieri.

 A quei tempi non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo.

Non me lo sarei mai aspettata, non da te. Tu che avevi promesso di restare al mio fianco. Avevamo progettato dopo il liceo di trasferirci a Firenze, di andare a vivere insieme, come due sorelle, eravamo immature ma io ci speravo, credevo nella nostra amicizia, perché era quello che pensavo fosse. Due ragazze, semplici, legate da un filo di Arianna impercettibile. Tu con il talento della scrittura, del disegno, con la passione della storia antica e dell’arte, con uno sguardo riuscivi a farti voler bene da tutti… e poi c’ero io, senza alcun talento, nessuna aspirazione, definita spesso asociale, mai al centro dell’attenzione, però coraggiosa tanto da tuffarmi in situazioni che mi avrebbero fatto soffrire, che a differenza di tanti altri ti sosteneva in tutto e per tutto. Si, forse era questo il mio talento, sempre se si può definire così. Nessuna invidia, nessuna gelosia, solo bene ed ammirazione. Quel bene puro che purtroppo non sei riuscita a riconoscere. E mi arrabbiavo quando eri triste, vedevo la tua sagoma scomparire nel buio di quel pozzo in cui tu hai voluto calarti ed io ho fallito nel fermarti. Cercavo di stendere la mia mano verso di te, un fioco barlume di speranza che teneva ancora in vita la nostra amicizia. Tu però la respingevi, spesso non ne tenevi conto, la rifiutavi, chiudevi gli occhi quasi inorridita. E io mi arrabbiavo sempre di più, una corda stretta allo stomaco, il sangue che ribolliva nelle vene.

Solo il pensiero mi fa star male.

Seduta in quel maledetto banco scolastico di legno e metallo, immobile, a fissare il vuoto. In quell’ambiente sterile che avrebbe trasmesso a chiunque un senso di abbandono e tristezza, c’era una ragazza riccia e goffa che intendeva renderti la giornata meno insopportabile.
 Io ti parlavo, tu non ascoltavi. Le mie parole probabilmente arrivavano alle tue orecchie, ma il tuo cervello non era in grado di assimilarle. Quando ero fortunata rispondevi a monosillabi, la maggior parte delle volte invece non ricevevo risposta. Tutti quei silenzi per me erano sconfitte, piccoli proiettili che si scagliavano e si infrangevano contro il vetro delle mie emozioni, scalfivano lentamente ed inesorabilmente il bene sopravvissuto. Avrei voluto spaccarti una sedia in testa, per mia sfortuna le situazioni sono abituata ad affrontarle di petto, mi conosci e sai che l’avrei fatto. Non so sinceramente cosa mi abbia trattenuto dal farlo.

E adesso?

La colpa adesso è ricaduta su di me. E’ colpa mia, sono io che non ho steso la mia mano verso di te, sono io quella che se ne è fregata di tutto, ma soprattutto di te, sono io quell’orrenda persona che ha chiuso gli occhi vedendoti in quello stato, sono io ad aver sbagliato, sono io quella che non ti ha spaccato una maledettissima sedia sulla testa per farti emergere da quel dolce dormire, sempre io, io, io, io…

E mi sono dannata quest’anno, non capivo perché eri sparita così. Il pensiero tornava a te, pensavo di aver combinato qualcosa di grave come mio solito, di aver detto parole sbagliate tanto da essere state fraintese.

La verità era sotto i miei occhi, non ero pronta ad affrontarla. Così come hai rifiutato il mio aiuto sincero a causa di quel piccolo mondo che hai creato nella tua testa, così sei scappata via.
Sei scappata dalla mia vita, dalla nostra amicizia, dal bene provato e vissuto, hai portato con te un pezzo del mio cuore e dei miei ricordi come trofeo di guerra da mostrare ai tuoi nuovi amici.

Stavolta ero io però quella che pian piano scendeva sempre più nel buio pozzo, senza spiragli di salvezza, di fioca luce. Nessuna mano tesa verso di me. Tu in quel caso, dov’eri?

 
   
 
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