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Autore: Zughy    10/01/2016    0 recensioni
"Era anima, aveva ora; sola anima, sola e illusa. Era anima, solo merda, sola anima, solo merda." ~Aquefrigide
Vorrei che Anima comunicasse qualcosa e che si addentrasse in quegli aspetti che un po' tutti evitano. Ma non parlo di violenza, storie macabri, disturbi mentali o quant'altro aleggia in queste pagine, bensì di ciò che si annida dentro di noi: il resto è solo un mezzo per arrivarci.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Le schede anonime dei porno, ora piene di drammi; di telefoni verdi, centri suicidi mai chiamati, suicidi tentati. Ricordi tutto questo? Quelle pillole raccolte per giocare al piccolo chimico, i messaggi inutili di chi ti stava attorno. Chiedevi loro: "Se muoio, ci vieni al mio funerale?", speravi che capissero. "Allora, allora, verrai al mio funerale?" chiedevi ancora; che se ti avessero voluto bene così come decantavano, ti avrebbero amato anche da dietro una lapide. Poi sfumavi in un "ciao". E riapparivi dopo poche ore. Dicevano a loro stessi che chi insegna non conosce, che chi parla non fa. Che non avresti mai fatto nulla di tutto ciò, bastava lasciarti vaneggiare in quelle chiamate improvvise alle 7 di mattina. Farti piangere un po', che tanto saresti tornato a casa. E ancora ci credono. Ma non erano loro a metterti le dita in gola per farti vomitare l'anima, a ridere con te dopo qualche ora dal tuo fallimento; quella volta mi mostrasti il polso, dicendomi "Volevo vedere se si bucava la vena, ma era solo un esperimento", accennando poi un sorriso. Avevi sempre il bisogno di sperimentare su te stesso. E io avevo paura di quel sorriso. Lo so, lo so che non avresti voluto neanche me in quegli istanti, ma sapevo che sarei morta con te se l'avessi fatto. E io non volevo morire. E non volevo che morissi. Ma soprattutto, non volevo morire.

Quando eri lucido sapevi di aver bisogno d'aiuto, dicevi che avresti seguito i miei consigli; poi che non avevi bisogno d'aiuto, ancor meno dei miei consigli. Che non potrai mai conoscere qualcuno nel profondo, nonostante quel profondo lo condividessimo ogni giorno. Quante volte son stata dentro te tu lo sapevi, ma dire che nessuno ti avrebbe mai capito era ormai più caldo e confortante di qualsiasi profondo. Le urla cambiarono frequenza, i gemiti dolore, oggetti scaraventati contro al muro, risate maniacali, pianti senza un perché. E dicevi di odiare la primavera, ma che quelle nuove canzoni ti facevano sentire un po' più a casa, che avevi qualcuno con cui spartire le sofferenze. Cantavi con loro, ma sempre a bassa voce, che avevi sempre mal di testa. E quando non cantavi, piangevi. E ti tornava il mal di testa, perché a bassa voce proprio non ci riuscivi.

Sai, ero un po' stanca di vederti in quello stato. Non sapevo come prenderti, solo come perderti. E a te piaceva perderti: ti perdesti in tanti sguardi, in frenetici girotondi di corpi, a volte nudi, a volte nudo, talvolta ubriaco, ma col culo sempre per terra. E quando toccavi terra, ci rimanevi per tanto tempo. E ricominciavi coi cocktail di farmaci o chissà quale altra inventiva pur di ammazzarti: una vena artistica per odiare se stesso. Troppa arte in così poche vene. Ne condividesti un po' con me, e ne fui contenta; e io condivisi con te la brina ghiacciata delle giornate d'autunno, gli intramontabili tramonti estivi, le urla di gioia, le serate in macchina lontani da tutti, ma così vicini a noi stessi. Eravamo vivi, due universi in un unico corpo, sfumature di supernova sotto un cielo stellato. E poi, un giorno... come supernova, i nostri universi collisero. Ne rimase solo un grande buco nero, e uno dei due risucchiò l'altro. Ma d'altronde è questa la fine di ogni supernova, no? E cosa c'era al di là di quel vuoto cosmico, nessuno poteva saperlo... Ecco: io penso che ci sia tu. E vorrei tanto che potessi raccontarmi di ciò che succede lì, ovunque tu sia finito; perché da questa parte non è rimasto più molto da contemplare, al di fuori di chi sono diventata.

Ci degneremo mai più di un dialogo vero? Eravamo felici anche senza spiarci da carte o siti di supernova prossime all'esplosione. Eppure quando ritoccasti il fondo, capii che non potevo fare più nulla. Che, prima di andarmene, avrei potuto portarti a riva. Rifiutasti. Ma ci riuscii comunque, solo che non lo sai. Non ricordi come finisti qui la prima volta, ma è normale: le amnesie sono comuni in casi come i nostri. Ti raccontammo una scusa, quella che ti sarebbe piaciuta di più, quella per farti apprezzare le tue stesse gambe. E ci riuscimmo, ci riuscì. Io dovetti andarmene, anche se "buttata fuori a calci" sarebbe più corretto; ma penso che abbiamo fatto molto, penso che hai fatto molto per la tua felicità. Poi... poi... poi non lo so cosa successe, io non ero più al tuo fianco... E...

E... non lo so, te l'ho detto, le amnesie sono comuni in casi come i nostri.

   
 
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