Cake ~
La cucina era sempre stato un luogo immacolato, a casa. Non
avevo mai avuto la vera occasione di cucinare, dato che noi non potevamo
mangiare nulla. Questo era il mio più grande dispiacere: non poter fare delle
cose che a tutti gli altri sembravano banali. La polvere non faceva in tempo a
posarsi, a casa Cullen. Non lasciavamo mai impronte. E non mangiavamo mai
nulla.
Raramente, cucinavo qualcosa. Ricette che le mogli dei colleghi di Carlisle mi
passavano durante quei noiosissimi pranzi di lavoro a cui eravamo costantemente
invitati. Cucinavo e ammiravo la mia opera, per poi buttarla intera nella
spazzatura.
Neanche Renesmee mangiava cibo umano. Lei preferiva il sangue, preferiva essere
uguale a noi, invece di essere umana.
Per cui, anche quella volta, mi apprestavo a buttare l’ennesima torta,
preparata per puro sfizio.
Rosalie si lamentava di qualcosa, probabilmente dell’odore che aleggiava in
salotto. Merito di Jacob. Non si poteva dire che fosse un odore piacevole, ma
lo sopportavamo tutti volentieri. O, almeno, la maggior parte di noi. Solo Rosalie, a volte, aveva qualcosa da
dire, ma neanche tanto spesso, ormai. Ci eravamo abituati alla presenza di
Jacob Black nella nostra vita. Ed era quella presenza a portare allegria, con
quel sorriso allegro e le sue battute sarcastiche.
«Non capisco come faccia Nessie a non trovare il suo odore disgustoso» borbottò
Rosalie, incrociando le braccia di granito e fissando il salotto con aria
truce, quasi volesse disinfestarlo. «Da dannatamente fastidio»
Storsi il naso, senza ascoltarla davvero.
Le lamentele di Rosalie facevano parte del pacchetto Jacob. Prendevi lui,
acquistavi irrimediabilmente anche le proteste di lei.
Guardai con aria tetra la torta appena uscita dal forno. A guardarla, metteva l’acquolina
in bocca. Se non avessi saputo così bene quanto era orribile il suo sapore per
noi vampiri, probabilmente l’avrei mangiata.
Ma era così bella. Alta, di un
perfetto color cioccolato che ricordava gli occhi di mia nipote, con riccioli
di panna a corredare il tutto. Avevo
appena finito di mettervi la panna, quando mi resi conto che sarebbe stato un
peccato buttarla.
«Stavate parlando di me? » Jacob Black in persona fece il suo elegante ingresso
in casa Cullen come se niente fosse. Probabilmente gli aveva aperto Edward, l’avevo
visto prima sfrecciare su e giù per il salotto.
«Hai le manie di protagonismo, cane? »
chiese Rosalie, tagliente, ma il ragazzo sembrava non essersi neanche accorto
della voce dura di lei. «Cosa ci fai qui? »aggiunse, ancora con voce rude.
«Sono venuto ad avvertirvi che il cane dei vicini ha fatto i suoi bisogni nel
vostro giardino» scherzò lui, sedendosi alla tavola immacolata, sotto lo
sguardo truce di Rosalie.
«Non abbiamo dei vicini e se anche li avessimo, il loro cane non sarebbe
sopravvissuto un secondo con Emmett e Jasper nei paraggi» disse lei, con un
sorrisetto sarcastico.
Jacob inarcò un sopracciglio.
«E’ una velata minaccia, bionda? »
«E’ un avvertimento, cane»
Alzai gli occhi al cielo, ma un po’ divertita.
I loro battibecchi erano, ormai, una costante nella nostra vita. Erano
diventati persino piacevoli, come sottofondo.
«Ok, ora basta» borbottai, fissandoli eloquentemente. Loro si zittirono e
guardarono in due direzioni differenti, prima che Rosalie sfrecciasse letteralmente
al piano di sopra, con aria irritata.
«Ormai dovresti averci fatto l’abitudine, o no? » chiese Jacob, sorridendo
ironico.
Sorrisi anch’io e tornai a guardare la mia torta, con aria tetra. Il ragazzo
intercettò il mio sguardo e mi fissò con aria curiosa.
«L’hai fatta tu? »domandò, con un tono di scetticismo nella voce. Io annuii,
senza guardarlo. «Come mai? Cioè, nessuno mangia, qui»
«Non lo so» scrollai le spalle e sorrisi. «Mi andava di cucinare»
Jacob annuì e tornò a fissare il tavolo, imbarazzato dal silenzio che si era
venuto a creare tra noi due.
Non lo obbligavo a rimanere lì, seduto al tavolo, a fissare il legno chiaro del
mobile, imbarazzato; eppure lui rimaneva lì. Sarebbe potuto correre al piano
superiore per salutare Nessie che – nel frattempo – cercava di studiare il più
possibile – ed aveva già fatto fuori metà biblioteca di Carlisle. Avrebbe
potuto parlare con Bella o con Edward – erano diventati stranamente cordiali,
tra loro – eppure rimase lì, a guardarmi ammirare una torta che non avrei mai
mangiato.
«Dovrò buttarla» sospirai, parlando più a me stessa che a lui. Presi il vassoio
tra le mani e mi diressi verso la spazzatura decisamente vuota. In una casa di
vampiri, quali rifiuti potevano mai esserci?
D’un tratto, sentii un calore improvviso attorno al polso. Sobbalzai ed emisi
uno strillo, mentre Jacob arretrava, stupito.
«Scusa» mormorò, dispiaciuto. Non ero abituata al tocco dei licantropi, al suo
tocco. Era … strano. Scottava, ma
appena lui tolse la mano, ne sentii la mancanza. «Volevo solo dirti, che … be’,
non c’è bisogno di buttarla. A che servo, altrimenti? »
Lo fissai con gli occhi sgranati, prima di capire il senso delle sue parole.
«Oh»Rimasi a guardarlo, stupita, mentre lui faceva un sorrisetto imbarazzato. «Oh,
Jacob … non sei costretto, non è necessario …».
Lui mi guardò con un sopracciglio inarcato, poi rilassò il volto in un sorriso
e, posando la torta sul tavolo, tagliò una grossa fetta con un coltello lì
vicino.
«Deve essere buonissima» mormorò, continuando a sorridere. Lo fissai, stupita.
Poi, mentre lui addentava il primo boccone e faceva una faccia soddisfatta, mi
sporsi a stringergli la mano.
«Grazie» sussurrai, distendendo il volto in un sorriso. Jacob sorrideva ancora
e, nonostante il tremendo gelo che la mia mano sembrava emanare, non si
divincolò dalla mia presa.
E in quel momento, mi sentii più umana che mai.