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Autore: zorrorosso    12/01/2016    0 recensioni
“Il sonno, la fame, la morte e l’amore... Non importa chi sei, cosa sei e quale sarà il tuo destino, sono queste le cose che ci rendono tutti uguali... Nessuno può resistere. Nemmeno tu!”- il tono di Jake si assopí di nuovo, ritornando apparentemente ubriaco e stanco, in procinto di addormentarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Volevo ricordare che anche questo capitolo è pronto da diversi mesi e pubblicandolo ora non voglio mancare di rispetto alla mia vita privata.
Le storie descritte non sono riferite ad eventi reali.


 
La Croce

A volte Irene si chiedeva che cosa avrebbe fatto una volta in pensione, ormai mancava solo qualche anno. Sperava di spenderla guidando un golf-cart in un verdissimo campo, scozzese d’estate o australiano in inverno, un bel posto assolato, ma non troppo, tanti bei locali e cittá in giro per il mondo con il suo adorato George.
Pioveva. 
Samuel, Sam, si strinse nel cappotto nero, continuando a piangere.
Era una sensazione particolare ricordarlo piccolo, neonato. Ricordare la sua testa tonda, priva di capelli, la possibilità di essere tenuto soltanto con un braccio ed i suoi occhi grandi, di un colore più scuro. Non avrebbe mai potuto descrivere quella sensazione a qualcun altro, per fortuna, in più di trent’anni, nessuno le aveva mai chiesto di questo genere di cose e non ne aveva mai avuto il bisogno.
La donna piegò l’ombrello aperto sul suo volto invecchiato, senza la volontà di avvicinarsi a suo figlio. Voleva rimanere sola, non aveva piú voglia di piangere e ricordare.
Quando cose del genere accadono così in fretta, in realtà non ci si rende mai del tutto conto di cosa stia succedendo. La vita comincia e finisce con troppo poco preavviso.
Irene guardò il terreno ancora fresco, mentre l’immagine della bara di mogano che scendeva lentamente nella fossa rimaneva indelebile nei suoi pensieri. Avrebbe volentieri voluto dimenticarla. Ricordare i viaggi, il tanto atteso primo bacio, ricordare i bei momenti con lui, non quello. 
Si voltò in direzione dell’auto. Sarebbe voluta tornare in ufficio, ma qualche cosa la fece desistere: il pensiero di dover ripercorrere un’ultima volta a parole quello che era appena successo, descrivere accuratamente ad un altro amico, parente, collega o sconosciuto, quello che le era appena capitato, rivivere quei ricordi ancora freschi e sanguinanti nella sua memoria.
Sam la guardò allontanarsi lentamente, ma non la seguì. Fu fermato da alcuni dei tanti altri parenti accorsi al funerale e portò avanti quel discorso che fuoriusciva così graziosamente dalle sue giovani labbra, aride e pallide dalla stanchezza e dal dolore e mai cambiava. 
La gente lo accerchiava con diletto e lo lasciava volentieri finire, incantata dalla bella pronuncia e quelle parole così sensibili, così curate. 
Diventare il nuovo erede dello studio legale sarebbe stato così facile per lui e i suoi bei discorsi, ma George, stanco e ormai anziano per prendere le decisioni di un padre, aveva lasciato Sam completamente libero di scegliere la carriera che più avrebbe preferito. 
Per più di un decennio le cose erano andate abbastanza bene, era tuttavia un ragazzo indipendente ed autonomo, ma come per molti suoi coetanei di quella generazione, niente era ancora stabile, niente sembrava rimanere negli anni e portarlo ad una definitiva carriera. Era qualche cosa che né lei e né George avevano mai vissuto in gioventù. 
Durante i loro anni, certi subbugli economici, l’obbligo di dover avanzare di molti livelli professionali prima di avere uno stipendio con il quale vivere decentemente, l’urgenza di dover spendere più soldi di quelli che si potevano materialmente guadagnare in una o due vite, solo per garantirsi uno status ed aumentare professionalmente di livello erano cose spuntate fuori soltanto negli ultimi anni. 
Neppure Irene era del tutto immune al nuovo sistema e capiva, seppur in parte, ció che Sam stava passando in quei momenti. La concorrenza era sleale ed usava i trucchi piú disonesti: non era piú la semplice questione di alleggerire un po' il trucco in presenza di un giudice donna, voleva dire ingaggiare una ventenne con la messa in piega e la gonna vistosamente al di sopra del ginocchio in una giuria di maggioranza maschile, voleva dire essere messa in disparte e scartata dal suo stesso studio quando il cliente voleva un avvocato giovane ed attraente, anche se dall'intelligenza ed esperienze a dir poco discutibili.

Solo dopo alcuni passi, qualche cosa colse la sua attenzione, una lapide anonima, dai toni verdastri del muschio che vi era cresciuto sopra, sulla quale giacevano poco piú di una ventina di pietre, tutte simili ed allineate ordinatamente. Osservó la tomba con attenzione, alla ricerca di un nome, una dedica o una data che non trovó.
"Forse é di una persona importante, magari la conosciamo..."- commentò una voce femminile, non troppo distante da lei e si fece avanti dalla direzione da cui lei stessa veniva.
Non vedeva Jeaqueline almeno da prima che Sam nascesse, non sapeva neppure se darle del Lei, la ricordava vagamente fare parte del suo stesso club musicale all’Università ed avere un discreto talento, ricordava di come aveva fatto del praticandato nello studio di George ai tempi del loro fidanzamento, ma essere poi finita con lo scegliere in ultimo la musica alla carriera legale.
Era una signora solo di qualche anno più giovane, ma gli anni erano trascorsi su di lei con la stessa identica, inesorabile, severità. Aveva abbandonato il suo abbigliamento colorato e suggestivo, per colori più tristi e sobri, forse soltanto in occasione di quel funerale: per qualche ragione sapeva cos’era successo, forse qualcuno glie lo aveva detto... Forse George...
Jeaqueline scosse la testa lentamente. 
“Ci sono passata anch’io, so cosa si prova”- disse con una lunga pausa.
Irene la guardò con sospetto. Il suo dolore era incolmabile, ma sapeva di non essere la sola a provarlo. Con egoismo, in quelle ore, continuava a pensare come nessuno potesse provare gli stessi sentimenti con la stessa intensità, neppure lo stesso Sam, ma la verità era sempre stata davanti ai suoi occhi senza che lei avesse voluto vederla: come l’amore, anche quello è un dolore che provano tutti, almeno una volta nella vita.

“Non... Non so dire. Non so cosa dire in questi casi... George non mi ha mai neppure accennato di lei, di te, in tutti questi anni... Io non mi sono mai accorta di... Forse ero davvero troppo presa dal lavoro!”- balbettò lei all’improvviso, senza imbarazzo, in quell’attimo tutti i sentimenti estranei erano attutiti, anestetizzati da quell’invadente dolore, il dolore di un’eterna assenza, così incolmabile da non riuscire neppure a provare rabbia o ulteriore sconfrorto.
“Oh! No!”- si giustificó subito, con imbarazzo -”Lavoro per lo studio Newton adesso! Siamo in contatto con lo studio Villiers da diverso tempo, per l’assegnazione di avvocati d’ufficio, volontari...”- ribatté Jeaqueline, sbottando una risata fredda all’idea di essere fraintesa.
“Capisco..."- Irene si ricompose velocemente.
“A proposito, so che forse non é il momento opportuno, ma ci sarebbe la necessitá di qualcuno con poco lavoro al momento, disposto a mettersi in contatto con il Distretto. Facciamo di tutto per l’immagine aziendale"- disse sbottando in una risata nervosa, senza fare troppo caso alla situazione, le consegnò un biglietto da visita del suo studio, con dietro il nominativo di un agente di polizia. Irene lo fece scivolare distrattamente nell'agenda, senza ascoltarla e senza guardarlo.

Martedí.
Non ricordava di quale mese, non festeggiava piú il suo compleanno da tempo e non ricordava se quel giorno di fine estate era giá passato o meno. Tuttavia faceva ancora caldo e non aveva ancora cambiato il letto.
Ricordó Sam bussare la porta, dire qualche cosa ed andare via, non ricordava cosa. 
Irene si guardò allo specchio assonnata, senza riconoscersi. Anni passati a nascondersi dietro un trucco leggero, capelli legati ed un vestito sobrio. Forse in quel momento qualche cosa scattó in lei, decidendo proprio allora di ritornare allo studio. 
Aveva peró sottovalutato come l’ufficio legale di cui ora era l'erede titolare e dove aveva lavorato per tutti quegli anni, si era completamente dimenticato della sua esistenza. I suoi casi erano stati velocemente passati in mano ad altri legali e praticamente tutti chiusi, il lavoro e le fatiche di tanti anni, gettati immediatamente alle ortiche. 
L'avvocato di pratica, colui che aveva preso in mano l'intero gruppo legale per lo studio Villiers, era ora un certo Roger Millers, guardacaso un uomo, che sembrava superarla di gran lunga in titoli, anche se veniva da soli pochi anni di esperienza al Newton... Newton, quel nome non le era nuovo. 
Guardó con assenza l'ufficio in cui lei si sarebbe dovuta sedere e di cui invece ammirava ancora trasognante la porta, esitando ad entrare, per presentarsi al nuovo arrivato e congratularsi della recente assegnazione. Persisteva la realtá dei fatti: tra qualche anno lei sarebbe andata in comunque in pensione, mentre il signor Millers aveva davanti a se un brillante futuro. 
Che fine aveva fatto la sua vita, allora? Tutti quegli anni le erano scivolati tra le dita senza lasciarle nulla, anzi, togliendole energie preziose e persone care.

Abbandonó lo studio nell'indifferenza dei colleghi indaffarati, per ritornare ancora una volta sulla lapide di George. 
Che fine avevano fatto i fiori? Che fine aveva fatto la gente che visitava e piangeva la sua morte? I tanti clienti che aveva assistito per quasi mezzo secolo? La sua lapide era vuota e spoglia, al pari di quella senza nome, pochi passi piú avanti. Accorse presto con un mazzo di rose rosse, come se quel gesto avesse potuto cambiare immediatamente la sua condizione. Non credeva piú in Dio da troppi anni, ma da bambina le era stato insegnato che le lapidi spoglie sono quelle della gente dimenticata e lei non si era certo dimenticata di lui. In un senso di vaga pietá, tolse una delle rose dal mazzo e la pose sulla lapide senza nome.
Forse i tuoi cari non ti possono assistere- pensó con un vago senso di innocenza. 
Mentre si chinava per appoggiare la rosa, la borsa aperta, che aveva in spalla, si rovesció quasi completamente, riversando tutto il suo contenuto a terra. Irene sbuffó irritata e si chinó a raccogliere velocemente i suoi averi, quando, graffiato malamente sull'angolo della lapide misteriosa, notó un simbolo della sua gioventú che ricordava abbastanza bene: la croce dalle tre lacrime.

"Lo vedi questo?"- la voce orgigliosa di Jake, pocopiú che un ragazzino, riverberó nelle sue orecchie come se quarant’anni non fossero mai passati e mostró con fierezza il suo tatuaggio verso Elwood, lui di risposta arricció le labbra ed annuí con entusiasmo -"Adesso faccio parte di una gang latina! Non torneró mai piú in galera! Nessuno ci puó toccare!"- esclamó festoso, come se avesse veramente compiuto qualche cosa di cui andare particolarmente fiero. I due gioirono del loro ritrovato incontro, all'uscita della scuola, ma una giovane Irene assistí a quella scena e li superó, al principio, con falsa indifferenza. Anche lei avrebbe voluto chiedergli come stava, che fine aveva fatto e dargli il benvenuto nella societá civile, ma lui le era passato di fronte quasi senza notarla ed ancor peggio, andava fiero di essere diventato un criminale!
"Iree"- fu tutto quello che Jake riuscí a pronunciare verso di lei, prima di essere travolto da un discorso fiume sulla giustizia, sulla legalitá e sul fatto che quel tatuaggio non lo avrebbe affatto tolto di prigione, ma lo avrebbe fatto marcire, in galera. Parole che Irene gridó con impeto, ma che Jake non ascoltó, scambiandole per l'ennesima cantilena della Pinguina e a cui rispose distrattamente:
"Ci sono nato, in galera, ci potrei anche morire!"- seguite da un'alzata di spalle. 
"Se ci tieni cosí tanto a diventare come la Pinguina, potresti mangiare un po' di piú e farti suora, no?!"- commentó Elwood istintivamente in difesa di Jake.
Tuttavia, Irene non era la Pinguina, allora avrá avuto forse quindici anni, non li avrebbe mai rincorsi per prenderli con un righello e fargli rimangiare a sberle quello che le avevano appena detto, anche se in quel momento remoto avrebbe voluto, non avrebbe mai fatto nulla di piú che dissociarsi dal loro comportamento e correre via ferita, piangendo in silenzio. 
Fu sopraffatta da quei sentimenti lontani, dolore antico ora mischiato a sentimenti nuovi, nuovo dolore. 
Ricordava di Sorella Mary come una figura che per un lungo periodo di tempo aveva fatto parte della sua infanzia, prima di essere adottata, la lunga tonaca nera e le ginocchia ossute sulle quali aveva sbattuto spesso la testa da bambina, contrastavano con il fisico robusto, frutto di anni di lavoro manuale e preghiere. Trovava altrettanto strano come l’insofferente gentilezza nei suoi confronti contrastasse diametralmenre la vemenza con la quale si affannava contro i due fratelli di sangue. Non sapeva se essere grata per non essere l’oggetto delle sue ire o gelosa di quelle attenzioni.
Il pensiero di quei primi anni di vita la oltrepassó come un ricordo troppo lontano che non poteva rievocare, se non percepire fisicamente. L’immagine offuscata di una notte senza luna, trovarsi forse in un posto sbagliato al momento sbagliato... O forse no. Erano tempi piú semplici, dove tutto si risolveva ancora con una parola ed un abbraccio, dove non aveva ancora il bisogno di allontanarsi in lacrime, impotente.
Un giorno, Jake ed Elwood le chiesero scusa per il comportamento che avevano tenuto quel giorno, tutto si sistemó con relativa facilitá, ignorando come quello fu solo il mónito di un futuro che li avrebbe divisi davvero.

La croce dalle tre lacrime: col tempo e nonostante le sue ideologie cosí rigide, ne aveva difesi alcuni di quella gang, a volte aveva anche vinto, tenendo degli emeriti colpevoli fuori dal carcere. Jake non era mai stato tra quelli. Forse le sue parole avevano finalmente colpito nel segno, seppure in ritardo, facendolo finalmente ravvedere? Oppure ne aveva combinata una piú grossa delle altre? Il biglietto da visita dello studio Newton spuntó dall'agenda semi aperta che aveva appena raccolto. Agente, Comandante, Chamberlain.
 
***
Elwood guardó l'orologio con impazienza, ore 12:30. Controlló il calendario: il giorno dell'udienza era finalmente arrivato, Cab aveva fatto tutto il possibile per fargli avere a disposizione uno dei migliori studi legali al miglior prezzo, ovvero gratuito. Tuttavia lui rimaneva sospettoso su chi gli fosse stato assegnato: lo studio sarebbe anche potuto essere uno dei migliori, ma di avvocati abbastanza validi, tra quelli che si offrivano volontari per quel tipo di servizi civili, ce n'erano ben pochi.
"É una vergogna che, di questi tempi, sia cosí difficile trovare un buon aiuto legale, onesto"- bisbiglió a se stesso, le sue parole rimbalzarono sulle pareti bianche e verdi della cella vuota.
...Vedete, il problema di mio fratello, e il mio, é che siamo dei recidivi, criminali, delinquenti abituali. Nessun avvocato vuole avere a che fare con noi. Devo trovargli un avvocato, non so cosa possa fare...
Ricordó quella frase con rimpianto, se Perry Mason fosse davvero esistito, forse Jake... Nah. Negli ultimi diciotto anni aveva guardato forse troppa TV e letto troppo poco, il suo volume poco rovinato di Fisica Quantistica per Pregiudicati era ancora aperto su una delle prime pagine, non lo avrebbe finito certo in tempo per il colloquio, forse era il caso di riconsegnarlo in biblioteca. 

By the year 2006, the music known today as the blues will exist only in the classical records  department of your local library.
Diversi anni erano ormai passati da quel 2006 che lui stesso cantava, ormai aveva scontato la sua pena ingiusta e si augurava finalmente di poter invecchiare in pace. Con un senso di timore e curiositá, controlló la sezione musicale e notó un paio di buoni classici, gli stessi che ascoltava Curtis, ma non tutti. La prese come un segno del destino, il fatto che ormai anche lui faceva quasi parte del passato, tuttavia era ancora vivo e poteva godere di un nuovo futuro dipanarsi di fronte a lui. Anche se per certi aspetti non era proprio come se lo sarebbe aspettato, forse l’opportunitá di essere di nuovo libero sarebbe arrivata alla fine di quest’ultimo processo d’appello d’appello.
Ormai l’ora era arrivata ed il suo nuovo legale lo stava aspettando in ufficio per un primo colloquio.
  
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