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Autore: Sara Saliman    12/01/2016    14 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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È dalla fine del mondo
che vengo
con nuove parole
dall'inizio del mondo.
"Il tempo nella poesia" di Bijan Jilali
 
 
Dritta di fianco a me, Ecate scrutava gli anfratti bui della sala, come aspettando che la sagoma scura di Ade si materializzasse da un momento all’altro tra le pallide colonne. Gli occhi della dea si assottigliarono fino a ridursi a due fessure.
-Dov’è mio fratello? Perché non è qui ad accogliere la sua sposa?-  Il suo tono era talmente calmo che Sonno fece, per riflesso, un passo indietro, lanciando un’occhiata a Thanatos.
Sembrava di assistere ad un brutto scherzo, ma Ade non era il tipo da prestarsi a simili commedie.
-Sono certa che c’è una spiegazione…- buttai lì con un sorriso coraggioso.
Sonno arrossì fino alle orecchie, aprendo e chiudendo le ali che gli cingevano il capo.
Insensibile al disappunto di Ecate, Thanatos tamburellò le labbra con la punta delle dita e si rivolse direttamente a me.
-Non sappiamo dove sia Ade.- Il bagliore perplesso del suo sguardo smentiva il tono distaccato. -È sparito da qualche ora: lo abbiamo cercato ovunque, ma non riusciamo a trovarlo.-
Mi guardai intorno, delusa. Per tutti quei mesi avevo accettato i silenzi di Ade, arrivando persino ad amarli perché erano i suoi silenzi: parte di lui quanto le dimostrazioni d’amore che aveva avuto per me. Ma giorno dopo giorno, in Superficie, non avevo mai smesso di fantasticare sul momento in cui ci saremmo riuniti: avevo immaginato Ade dritto ai piedi della gradinata, solo un tamburellare delle dita bianchissime a tradire l’impazienza. Avevo immaginato l’istante in cui, emergendo dalla caligine che separava i nostri mondi, avrei incrociato finalmente i suoi occhi e avrei visto l’oscurità diradarsi. Con le braccia tese, avrei saltato gli ultimi gradini e mi sarei gettata ridendo tra le sue braccia, già aperte per ricevermi.
Guardai l’anticamera dell’Averno: appariva troppo grande, fredda e vuota senza di lui, e…
-Io so dov’è.- realizzai, mentre un’intuizione mi attraversava come un tremito.
Thanatos e Ipno mi guardarono senza capire.
-Che cosa?- chiese Ecate, voltandosi nella mia direzione.
La udii appena, mentre la comprensione mi faceva sgranare gli occhi e un sorriso incredulo mi affiorava alle labbra. Guardai Thanatos e Ipno.
-So che lo avete cercato ovunque, ma non potevate essere voi a trovarlo: questa volta devo essere io!-
I due gemelli si fissarono sconcertati, come fossi impazzita.
Levai gli occhi al soffitto, spazientita, poi mi diressi spedita verso l’uscita della sala.
-Persefone! Dove stai andando?- la voce di Ecate mi raggiunse alle spalle.
-Da Ade!-
-Sei sicura di sapere dove sia?- fece scettico Thanatos.
-Io so sempre dov’è mio marito!- gridai in risposta, inoltrandomi per i corridoi.-Spero solo che tutto non cominci senza di me...- sussurrai ansiosamente.
Ma forse era una paura vana: dopotutto, senza di me non poteva cominciare.
Svoltando una curva, andai quasi a sbattere contro Minta.
-Oh… ciao!- le sorrisi frettolosamente, facendo un giro su me stessa per oltrepassarla senza fermarmi.-Sono appena tornata!-
Percepii la sua occhiata malevola alle mie spalle, ma non le diedi peso finchè…
-Cagna!-
Il sussurro di Minta mi raggiunse quando l’avevo ormai distanziata: un suono sommesso e carico di disprezzo, che fendette l’aria del corridoio e affondò fra le mie scapole, fermandomi dov’ero.
Mi voltai lentamente, raggelata.
Gli occhi verdi della ninfa mi fissavano con odio, il suo viso bellissimo era deformato dal livore. Mosse un passo verso di me, stringendo i pugni.
-Sei solo una puttana venuta da Sopra! Vuoi sapere cos’ha visto Ade in te? Una vergine da svezzare: ecco cosa! E adesso che non sei più vergine e sei sformata dalla gravidanza, non ti guarderà due volte!-
Le parole di Minta si spensero in un respiro affannoso, come se aggredirmi in quel modo le fosse costato uno sforzo enorme. La fissai in silenzio, senza parole, e all’improvviso scoprii di essere incuriosita: non da lei, ma da ciò che non provavo. Nessun dolore, nessun senso di inadeguatezza o di inferiorità.
Minta e io distavamo pochi metri l’una dall’altra, ma era come se la guardassi da un’incolmabile distanza, da un posto in cui il suo odio non poteva più ferirmi.
Dopo che si è stati nel Sottosuolo, si comprendono molte cose della Superficie, ma è vero anche il contrario. E io, finalmente, capii.
Intrecciando le dita in grembo, avanzai verso Minta.
-Tu hai frequentato il letto di Ade prima che lui mi reclamasse, e adesso credi che io te l’abbia portato via.- La ninfa fece una smorfia, e io continuai. –Devi avere poca stima di lui, se pensi che sia possibile possederlo o rubarlo come fosse un oggetto. E c’è dell’altro: tu mi hai spinta volutamente sulle rive del Cocito, sperando che morissi. Ero una ragazzina disperata e sola e invece di aiutarmi o ignorarmi hai cercato di uccidermi.-
La ninfa arrossì.
-Ade non ti crederà!-
-Credermi? Sospetto che Ade lo abbia capito subito!-
Minta impallidì di colpo.
-Menti! Se lo ha capito…-
–…perchè non ti ha gettata subito nel Tartaro? Perché si è limitato ad allontanarti da me? Davvero non lo capisci?- Chiusi gli occhi, soffocando la fiamma ardente della gelosia. –Perché voleva essere gentile! Anche se non ti ama più, non ha dimenticato di averti amata un tempo.-
Tesi una mano verso la ninfa, ma non era un gesto di pace. -Hai un animo così freddo e sterile, Minta! La tua bellezza è un profumo che non si dimentica, ma dentro di te non ci sono fiori: li hai uccisi tutti! E allora, se questa è la tua natura, ti aiuterò a realizzarla. Come dentro, così fuori: sii ciò che sei!-
Minta aprì le labbra per replicare, ma getti di foglie verdissime eruppero dalla sua gola, soffocando la sua voce. La ninfa sbatté le palpebre e si portò una mano al viso: altre foglie gemmarono dai suoi occhi, dalle sue narici, dalle punte delle sue dita. Quando la vidi crollare in ginocchio, le diedi le spalle e ripresi a camminare lungo il corridoio, senza neppure attendere che la metamorfosi si completasse.
 
§§§§
 
Avanzai lungo i corridoi con l’orecchio ben teso, seguendo il suono flebile e costante di un battito di cuore, che veniva da qualche parte dalle viscere del castello ma andava a tempo col mio.
Quando giunsi in un’ala del palazzo in cui non ero mai stata, fu quel suono a guidarmi di stanza in stanza.
All’improvviso, una porta di quercia mi sbarrò la strada. Poggiai una mano sulla maniglia e la spalancai.
Mi ritrovai su un pianerottolo, delimitato da una balaustra affacciata nel vuoto.
Il luogo sembrava l’interno di una torre, ma talmente ampia e buia che non riuscivo a vederne i contorni, e talmente alta e profonda che non riuscivo a scorgerne un soffitto né un pavimento. L’oscurità si spalancava sopra e sotto di me come una gigantesca voragine.
Con gambe tremanti, avanzai sul pianerottolo fino a raggiungere la balaustra. La strinsi con entrambe le mani e, sfidando la vertigine, mi sporsi nell’oscurità oltre il parapetto. Sopra e sotto di me, il pianerottolo continuava in una scala di pietra: i gradini emergevano dalla parete della torre, seguendone la curva e avvitandosi verso il basso e verso l’alto come una spirale.
La scala era ampia e la ringhiera robusta, ma il senso di vertigine mi faceva girare la testa e contrarre lo stomaco. Timorosa persino di respirare, indietreggiai di qualche passo. Poggiai il palmo aperto contro la parete della torre e iniziai a scendere i gradini, bene attenta a tenermi attaccata al muro.
Un gradino dopo l’altro, oltrepassai centinaia di fanciulle: dee che non erano esattamente me, ma quasi me. Erano in piedi sulla scala e mi davano le spalle: si sporgevano dalla balaustra, guardando qualcosa che stava avvenendo sul fondo. Alcune si stringevano le une alle altre, sussurrandosi all’orecchio parole che non capivo, altre si abbracciavano e ridevano, qualcuna addirittura batteva le mani, commentando qualcosa che io non potevo vedere.
Sebbene fossi esausta, mi ritrovai a sorridere anche io, perché la loro vitalità era contagiosa e perché, man mano che scendevo, sentivo il soffice battito di cuore riverberare sempre più vicino al mio, ed ero sempre più certa di dove (o quando?) sarei arrivata.
I gradini finirono su uno spiazzo di limpida tenebra.
Lì, finalmente, scorsi Ade: il mio sposo non guardava nella mia direzione e non mi aveva sentita arrivare.
E non era solo.
 
§§§§
 
Nel buio che ci circondava, il profilo elegante di Ade era di un candore quasi luminoso. I suoi capelli e gran parte della sua figura sfumavano nell’oscurità: solo le mani scintillanti di anelli biancheggiavano, aperte, all’altezza dei suoi fianchi.
-Tu non sei Estia.- stava dicendo, studiando da sotto le ciglia qualcuno che non riuscivo a vedere.
-No.- confermò una voce infantile. -E tu, chi sei?-
Mio marito ebbe un istante di pausa.
-Io sono Ade.- disse infine. La sua voce vibrò limpida nel buio: la tenebra la catturò e la scompose in una miriade di echi, restituendola al mio cuore in tutte le ricche sonorità che ricordavo.
Così familiare, così amata. Mi tappai la bocca con entrambe le mani per non scoppiare a piangere. Tu non immagini quanto mi sei mancato!
Ade si mosse: non di molto, ma abbastanza da consentirmi di scorgere, oltre la tenebra che doveva essere il suo mantello, la figura minuta di una bambina.
Aveva i capelli biondi come un raggio di sole e gli occhi marroni come la terra smossa. Le piccole braccia erano abbronzate e dall’orlo candido della veste spiccavano le punte dei piccoli piedi nudi.
Mi poggiai una mano al petto, rapita: i miei occhi non avevano mai visto quella bambina, ma la riconobbi immediatamente. Il suono del suo cuore mi aveva guidata fin lì… e andava a tempo col mio.
La piccola dea rovesciò il capo all’indietro per guardare Ade.
-Dove siamo?- trillò.
Il dio scrollò le spalle, sprezzante.
-Voi dell’Olimpo lo chiamate Orco o Averno.-
-E tu, invece, come lo chiami?-
-Sottosuolo.-
La bambina si guardò intorno, curiosa.
-È sempre così buio?-
-Sei caduta al lungo. Siamo nel regno dei semi, non in quello dei fiori.-
-Tu vivi qui? Come puoi sopportarlo?-
Ade sollevò una mano pallida, scintillante di anelli, e un varco si aprì nel buio come una ferita. Oltre i bordi sfrangiati della Porta, scorsi una stanza esagonale e una tavola con sei scranni.
Ade indicò il passaggio alla bambina.
-Torna a casa, figlia della Superficie: questo non è posto per te.-
La piccola dea si puntellò le mani sui fianchi.
-Mi chiamo Kore!- precisò polemica.
I suoi capelli dorati illuminavano il buio, l’ovale del suo volto rischiarava la tenebra.
Era più piccola e luminosa di quanto immaginasse; più tenera e innocente di quanto io stessa ricordassi. Avevo creduto di averla persa per sempre, fuggita via come polvere tra le mie dita, e invece era qui, ad aspettare che la incontrassi di nuovo in questo istante che apparteneva ad entrambe, uguale e diverso come in una spirale.
Kore non è Morta, aveva detto Thanatos. È fiorita.
Ade si scostò da lei, chiaramente infastidito.
-Torna a casa, ragazzina, oppure rimani, ma lasciami tornare ai miei doveri.-
Kore si aggrappò al suo mantello con entrambe le mani.
-Aspetta! Non te ne andare!-
Il dio fece un passo indietro, come se il calore di quelle piccole dita lo avesse ustionato.
-Attenta a quello che dici. Attenta a quello che chiedi.-
La bambina non allentò la presa.
-Ade!- gridò. Il nome del dio saettò come luce dalle piccole labbra, e mio marito si fermò, gli occhi neri sgranati nel buio.
-Sei tu.- disse, paralizzato dalla comprensione. -Sei… tu!-
-Io ti chiamo Ade!- disse la bambina. Sul volto infantile ardeva una determinazione feroce. -Io ti chiamo dio dell’Averno. Io conosco il tuo nome e pronunciandolo ti lego!-
Un lampo di sofferenza straziò il volto del dio. Sollevò le mani affusolate verso il viso della bambina, come se lei fosse il sole e lui desiderasse soltanto toccarla, ma non osasse.
Fece l’unica cosa possibile, e la sua voce non tremò.
-Io ti chiamo Persefone: io ti chiamo figlia di Zeus e Demetra. Anche io conosco il tuo nome, anche io lo pronuncio e ti lego.-
Un istante dopo Ade vacillò, come se la portata di quanto avvenuto gli stesse crollando addosso.
Era stato gentile con quella bambina, e inesorabile e inflessibile, certo: con se stesso più ancora che con lei, sebbene lo capissi soltanto io e soltanto adesso.
Lentamente emersi dal buio, lasciando che l’oscurità scivolasse oltre le mie spalle come un drappo di velluto.
Avevo gli occhi lucidi e la voce incrinata per l’emozione.
-Ecco dov’eri!-
Non aspettai che Ade si voltasse e mi riconoscesse.
Gli gettai le braccia al collo e lo sentii irrigidirsi, per poi sciogliersi improvvisamente non appena il suo corpo contro il mio mi riconobbe. Serrò le braccia attorno alle mie spalle e mi strinse al suo petto, e tutta la tenebra intorno a noi vacillò e tremò, come se lo slancio del nostro abbraccio l’avesse percorsa per intero.
Tempestai di baci il volto di mio marito, finchè lui non mi prese il viso fra le mani e pose fine a quell’assalto bloccando le mie labbra con le sue.
Risi contro la sua bocca, e rise piano anche lui.
Non so quanto a lungo rimanemmo abbracciati in quel modo.
Con il capo ancora appoggiato contro il petto di Ade, abbassai lo sguardo su Kore, che ci fissava ammutolita.
-Ciao!- la salutai, la voce roca per l’emozione. –Eccoti… eccoci tutti qui. Dove è cominciato. O comincerà.-
Ade mi cinse le spalle, scostandosi con delicatezza. Indicò Kore con un piccolo cenno del capo.
–Tu lo sapevi?- mi chiese.
-Sì, lo sapevo.-
Ade inarcò un nero sopracciglio.
-Non me lo hai mai detto.-
-Davvero?-
Feci spallucce e mi chinai su Kore. La bambina mi piantò in faccia i grandi occhi scuri.
-Che cosa “è cominciato”?- mi chiese subito.
-La tua storia.- le risposi.-La storia che ti cambierà, rendendoti ciò che se sei sempre stata.-
La piccola mi guardò allarmata.
- Che cosa significa? Io non voglio cambiare!-
Le poggiai una mano sulla spalla e la sentii minuscola, fragile come le ossa di un uccellino. Io non mi ero spezzata, ma lei? Lei sarebbe stata altrettanto forte?
Provai l’impulso fortissimo di strapparla a ciò che sarebbe avvenuto.
La voce profonda di Ade fu una carezza nel buio.
-Persefone…-
 -Vorrei solo proteggerla dal dolore che la attende,- mormorai.
-E anche da tutta la gioia?- sussurrò lui in risposta, ancora più piano.
Deglutii il nodo che mi serrava la gola e rivolsi a Kore un sorriso incoraggiante.
-Cerca di ricordare, bambina: siamo ciò che siamo: questa è accettazione. Siamo ciò che rappresentiamo: questa è responsabilità. Siamo ciò che sappiamo di essere: questa è consapevolezza. Tutte e tre insieme, è potere.-
Kore mi ascoltò, ma non capì. Si guardò intorno, nella voce una nota di pianto.
- È talmente buio, qui! Io voglio… voglio tornare indietro!-
Le sorrisi per darle coraggio.
-Non si può tornare indietro: non sullo stesso braccio della Spirale. Però si può andare avanti. Ciò che è oscuro può essere illuminato. Ciò che è nascosto, può essere riportato alla luce. I semi vogliono fiorire. Vedrai.-
Kore mi guardò tremando.
-Tu sei così saggia… e così gentile! Chi sei?-
-Saggia… io?- Scoppiai a ridere. Raddrizzai la schiena e mi accostai ad Ade. Aprii una mano e le mie dita trovarono nel buio quelle di lui, senza doverle cercare. –Sì,- ammisi.-Immagino di essere diventata almeno un po’ più saggia.-
-Chi sei?- insistette Kore.
-Sicura di volerlo sapere? Sicura, sicura, sicura?-
La piccola dea annuì ansiosamente.
-Io sono te,- rivelai.
-È un indovinello?-
-No, piccola Kore. È una promessa.-
E prima che potesse ribattere, le premetti una mano tra le scapole, e la spinsi con dolcezza oltre la Soglia.
 
§§§§
 
-Ben fatto.- approvò Ade, guardando il Varco richiudersi.
-Non cantare vittoria,- lo canzonai.-Un giorno tu e lei vi incontrerete di nuovo, e allora non te la toglierai più di torno!-
Ade si massaggiò con indice e pollice la radice del naso, come per lenire un gran mal di testa.
-Per fortuna, questo è un problema che affronterà un altro me!-
-Mi sembra giusto,- annuii serafica.-Anche perché ci sono alcune questioni che invece richiedono la tua specifica attenzione.-
Ade mi guardò, le sopracciglia aggrottate in una domanda silenziosa.
Per tutta risposta, presi la sua mano e me la premetti con dolcezza contro il ventre.
Molto lentamente, la fronte bianca del dio si spianò.
-…Oh!-
-Pensa: Sonno ha detto esattamente la stessa cosa!-
-Ma tu… noi… Io…-
Gli presi il viso fra le mani e lo attirai contro le mie labbra, arginando con un bacio quella pioggia di pronomi.
-Sono felice che sei felice!- conclusi.-Avrei potuto scrivertelo in una lettera, ma volevo dirtelo di persona. Ah, e c’è dell’altro: ho capito il senso di quel melograno.-
-Ma davvero?- Ade si scostò un poco da me, senza togliere le mani dai miei fianchi. –Mi sembrava lo avessi già capito: il melograno era un perfido trucco per incatenarti a me!-
Tentai di dargli un piccolo pugno sulla spalla, ma Ade mi bloccò la mano e mi baciò le nocche senza smettere di guardarmi.
-Sto aspettando,- precisò.
-Tanto sai già cosa sto per dire!-
-E allora dillo.-
Il suo sguardo era un distillato di sarcasmo e non potevo dargli torto: lo avevo accusato ingiustamente di avermi ingannata; attendeva da mesi che gli porgessi delle meritatissime scuse.
- In Superficie,- cominciai -si dice che chi mangia i frutti del Sottosuolo è obbligato a restarvi per sempre.-
-E invece?-
Abbassai lo sguardo, incerta.
-Da Sopra a Sotto le parole sono quasi le stesse, ma il significato è l’esatto contrario.-
Ade annuì.
-Dillo, e finalmente sarà vero.
Non so cosa mi spinse a sollevare il capo e cercare i suoi occhi. Forse fu la dolcezza che incrinava il perfetto distacco della sua voce, forse fu l’urgenza nascosta nel suo tono: la speranza che io avessi finalmente compreso.
Senza sciogliermi dall’abbraccio di Ade, mi levai in punta di piedi e gli accostai le labbra all’orecchio.
- Chi mangia i frutti del Sottosuolo sarà sempre ben accetto in quel mondo, e il Sottosuolo farà sempre parte di lui. –
Ade rovesciò il capo all’indietro e rise di pura gioia. In quell'istante somigliò molto a Zeus, e non me ne stupii, perchè ormai avevo compreso:
Zeus, Poseidone, Ade.
Superficie, Mare, Sottosuolo.
Io, Subconscio, Inconscio.

Il Mondo non è Uno ma Molti, e non Diviso ma Uno.
Io lo servo seguendo la mia natura: calco danzando la Superficie, poi mi immergo nel Sottosuolo, e quando è tempo torno ancora in Superficie... e tutto questo molte e molte volte, e ogni volta i semi di un Regno danno fiori e frutti anche nell’altro.
Qui si conclude la mia storia, così come quella di Ade, se mai deciderà di raccontarla.
Da questo punto in poi, le nostre due storie diventano una soltanto, che appartiene ad entrambi e ricomincia da capo.
Quanto al senso di questo eterno tornare: il compito delle storie non è mai stato dare risposte, ma indicare una strada. La mietitura dei frutti è il compito degli Umani e noi, invece, siamo soltanto dei.
 
Nel profondo dell’inverno, finalmente scoprii
che dentro di me c’era una invincibile estate.
 
Albert Camus
 
§§§§
 
Cari tutti, questo viaggio durato un anno è finalmente giunto alla fine <3
A tratti ho amato questa storia e a tratti invece l’ho detestata: sono comunque felice di essere riuscita a darle una conclusione e spero un giorno di poterla riprendere in mano con più distacco.
Ringrazio di cuore chi mi ha accompagnata mettendo la storia tra le seguire, le preferite e quelle da ricordare, e soprattutto chi ha lasciato anche solo un commento.
Senza (spero) far torto a nessuno, sento sinceramente il bisogno di ringraziare singolarmente alcune persone:
_Sherazade per la sua gentilezza e per i suoi commenti, ormai diventati per me dei veri e propri appuntamenti fissi alla pubblicazione
_Viola, che nel corso delle mie crisi di “sticazziabbandonotuttoinserireunaparolacciaacasoqui” giustamente ha rivendicato più volte il suo diritto (e il mio dovere xD ) di tutelare la sua isola felice, ricordandomi che le storie appartengono anche a chi le legge e non solo a chi le scrive.
_Martin Forever e Eragon che, pur avendo iniziato a leggere a pubblicazione ormai inoltrata, hanno commentato quasi tutti i capitoli con un recuperone che mi ha commosso
Ultima ma non ultima:
_Loanna, che è stata il mio costante riferimento per confrontarmi sulle varie interpretazioni e versioni del mito, nonché per brainstorming e sfoghi di vari livelli e tipi
 
A tutti voi che leggete, in ogni caso, spero di aver lasciato qualcosa di positivo.
Voi di sicuro avete trasmesso qualcosa di positivo a me ;)


   
 
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