Salve a tutte e tutti! Per cominciare mi scuso con chi aspetta i miei
aggiornamenti, le mie recensione e le mie risposte ai messaggi. Purtroppo sono
davvero molto impegnata in questo periodo e ho lasciato perdere EFP per un po’.
Anche la connessione mi ha giocato brutti scherzi.
Tra le mie cartelle ho ritrovato questa vecchia fanfiction, che ho pensato
di sistemare e pubblicare. Farà parte di una serie, insieme alla precedente “Il
Minotauro”, ma non è necessario aver letto quella per capire questa.
Spero vi piaccia! Buona lettura.
Paure
“Dimmi, ragazzo
solo, dove vai?”
Era stato brutto morire.
Era stato come se qualcuno gli avesse infilato un braccio nell’esofago e
cacciato via l’anima tra le viscere. E lui era Vegeta e, in un attimo, era stato.
Ci pensava sempre, senz’altro mentre la frescura gli asciugava il sudore sulla
pelle viva e i suoi occhi erano lasciati al buio, ma soffuso di luce, in una
stanza tracciata dal passaggio di qualcuno. Il vino rosso, che aveva bagnato le
labbra di Bulma, riempiva a metà, sul tavolino, un calice sporco di rossetto.
Morire non era stato per Vegeta un semplice trapasso, indolore nel fisico
mentre lo subiva, lacerante nella coscienza, postuma, di un risveglio
inaspettato e insperato, a cui si aggiungeva la certezza di perdere ancora,
dopo aver rivissuto lo spettacolo della sua inappagante esistenza, costretto a
rivedere i suoi fantasmi. “Quando si
muore, ogni cosa non diventa niente e si perde conoscenza?” No, nessun
refrigerio per un assetato di conquista, ma salate lacrime di impotenza.
Non avrebbe dunque, proprio lui, il Principe dei Sayan, mai avuto la
propria vendetta? Mai sarebbe diventato così forte da sconfiggere persino quel
destino ingrato, sua culla per nascita? Sopravviveva quindi per essere ucciso
dai Cyborg? Mai.
Tra tutte, questa sarebbe stata la lotta più impegnativa: superare se
stesso, risplendere d’energia, cambiare la storia e, finalmente, diventare
padrone di un brillante avvenire; perché era vissuto schiavo e ancora aspettava
di essere il principe che avrebbe dovuto. Era quasi grato per la sfida
prospettatagli dal ragazzo del futuro; l’imbattibile Vegeta avrebbe dimostrato
di essere più forte persino della provvidenza avversa.
Nessuno dei terrestri, nemmeno quella
Bulma, lo aveva voluto riportare in vita alla vigila della sconfitta di
Freezer, eppure, per beffa, era ritornato a sentire tra i denti la terra del
suo sepolcro. Adesso la Morte voleva riprenderselo, pur di non riconoscergli un’utilità
all’infuori di Freezer, o individualità nonostante Bulma, causa ultima della
sua seconda, annunciata, dipartita. Su di lei, infatti, Vegeta scagliava gli
ultimi dardi avvelenati di rancore, perché da lei aveva scoperto limiti ben più
temibili di quelli fisici. In passato, non avrebbe assolutamente osato concepire
una copulazione così intima con una donna, aliena alla sua razza, alla quale
aveva addirittura concesso la grazia di spogliarlo e contemplare il suo corpo. Che disgusto! Comprendeva un attimo di
debolezza; non lo accettava: non era stato all’altezza, tantomeno di un Sayan
puro. Doveva forse dubitare anche del
proprio sangue, adesso? L’accusa: eccessiva mollezza; che lo schiacciasse,
se davvero, a lui, il Principe, fosse stata necessaria una donna per ritrovare se
stesso.
Poche volte aveva tremato di paura, troppe da perdonarsele. Cosa aveva da
temere ancora? Era sopravvissuto alla sua nemesi: morto Freezer, aveva
dimostrato di continuare ad esistere. Né Kakaroth meritava una simile
considerazione; un incidente, figlio sfacciato di un’immeritata fortuna. Lo
avrebbe superato, attingendo soltanto da se stesso; nessuna scorciatoia o
appagamento per diventare completo. Bulma, un suggerimento non richiesto. Nessun
compromesso; la grazia, l’avrebbe raggiunta, ma non da una terrestre.
Bisognava essere forti, per reggere lo sguardo di Vegeta senza pietà o
paura. Quello sguardo profondo, di un uomo abituato a subire come a
primeggiare, indagatore dell’una e dell’altra, sulla Terra si era aperto alla
sorpresa. Aveva trovato in Goku l’ingenuità di mostrare con orgoglio la propria
forza al suo Principe, neanche fosse normale, adombrare chi, fino ad allora,
era stato tra i Sayan il più grande. Non trovava, invece, alcuna ragione
affinché Bulma gli riversasse comunque
amore, da quegli occhi in tempesta quando ignorata.
Perché proprio lei si era creduta in dovere di restituirgli i pezzi del suo
onore scoraggiato, al soldo di baci malaccetti? Perché, in un certo senso,
glielo aveva chiesto. E così il ventre di Bulma non era stato soltanto un pozzo
in cui gettare frustrazione: non potendo uccidere la terrestre, aveva finito
col restituirle abbastanza piacere da trarne appagamento, iniziato al ritmo
armonico di un nuovo tipo di sesso. Si era dissetato. Gli era piaciuto, se ne
vergognava, perché si era scoperto un debole per necessità che non avevano
tolto nulla al suo struggimento, anzi, lo avevano acuito!
Ancora di rabbia erano rigonfie le sue vene, e così doveva essere, finché
la sua aura non fosse scoppiata d’eccellenza; infinita.
Non avrebbe dovuto concedere a Bulma di dissiparla. Il Principe dei Sayan,
avvicinato soltanto per scagliare pugni, non poteva essere sconfitto da un
abbraccio, da una dichiarazione implicita e muliebre. L’unica preghiera che
avesse mai ascoltato. Ma dalla calma non sarebbe spillato il bramato oro, pensava; non sarebbe diventato un cuore
duro e implacabile da Super Sayan se fosse rimasto vicino a Bulma, la quale
aveva versato dolci sospiri sulle sue labbra da bestemmiatore.
Aveva perso ad ogni spinta, non aggressiva, seppure inesperta, proprio
quanto Bulma si era illusa di restituirgli, assorbendolo invece in se stessa, attraverso
la consapevolezza di aver soggiogato Vegeta, il terribile Principe.
Non c’erano state altre volte dopo la prima; Vegeta la temeva, perché aveva
capito che grazie a Bulma avrebbe potuto placare la rabbia seminata al giogo di
Freezer, quando quell’odio doveva mantenersi intatto, se da esso avrebbe dovuto
nascere un invincibile guerriero. Invece, Bulma, aveva purificato le sue mortificazioni.
Mi piaci, e lo aveva accarezzato con un
sorriso, non di scherno, ammansendo il mostruoso se stesso. Lo aveva irretito,
elencandogli qualità che Vegeta sospettava già di avere ma che, riconosciutegli
ad alta voce, lo avevano fatto arrossire, parendogli più vere: non era stato
lui a dirsele. Quegli omaggi al suo onore, al suo vigore, a riprova della propria
grandezza, piuttosto che dell’onnipotenza tirannica, avevano nutrito l’affamata
vanità di Vegeta, fino ad allora abnegata, sollecitata non altro che per
scherzo o invidiosa reverenza. E si era rinvigorita la sua fiamma, vacillata al
sussurro di un’insicurezza inconscia. Di fronte alla prova delle circostanze, per
colpa di Goku, degli eventi di Namecc e della profezia, Vegeta aveva infatti
temuto di non essere più abbastanza. Le confessioni di Bulma lo avevano
tonificato; tormentato in sogno da accuse paterne, nella realtà rassicurato da
abbracci accoglienti.
Non capiva perché Vegeta sdegnasse ogni suo nuovo approccio, i cui baci
rubati, anche del tentativo, avevano solo un abbozzo; così restava inesaudita,
sospesa, alle spalle di uomo tornato a mostrarle la schiena, invece del corpo.
Risoluta si era ripromessa di parlargli e di capire il suo atteggiamento; complice
qualche bicchiere di vino, aveva deciso di aspettarlo, finché non fosse tornato
dai suoi allenamenti, e chiarire la seccante situazione. Sarebbe stato arduo parlare
con Vegeta? In fin dei conti erano andati a letto insieme, ed era sopravvissuta. Voleva la certezza di sapersi legati da una
congiunzione.
Rientrava quindi in salotto, dopo essere passata in bagno, per tracannare
altre gocce di un coraggio alcoolico. Non era più la donna che era stata, dall’epoca
in cui il guerriero aveva posato piede sulla Terra, a colei che, tra le sue
gambe, aveva domato le reciproche voglie. Al più disinteressato atto di pace
era seguita la più intima delle guerre: Bulma lo voleva; Vegeta voleva non
volerla, e nel suo animo, già allora!, principiava l’inconfessato conflitto tra chi rivelava di
essere e chi si imponeva, per stirpe, di essere.
Lo sorprese nella stanza, con in mano il calice di vino rosso marchiato con
labbra dipinte di rosa. Resistette alla tentazione di scacciare il Sayan, per essersi presentato così alla sprovvista,
fuori dal programma da lei immaginato, per
di più sudato. Un sudore a cui lei non aveva partecipato.
L’ardore, che Vegeta le aveva infuso scegliendo di giocare all’amore con lei
invece che alla morte, si disperdeva ad ogni passo. Sarebbe stato di una
tenerezza infinita, se lui avesse bevuto dallo stesso bicchiere, suggellando la
sua stessa impronta. Sarebbe stata romantica prova di una familiarità a cui non
era pronta a rinunciare, sarebbe stata prova del riconoscimento di un qualsiasi
rapporto tra di loro. Silenziosa, allora, lo raggiunse, per evitare di guastare
quelle intenzioni, comunque fraintese. Pensava a questo, Bulma, ma quando gli
fu vicino non avrebbe chiesto altro ad un po’ di approvazione.
Vegeta si era ovviamente accorto di lei dal suo profumo e del suo respiro
fattosi irregolare; soprattutto, aveva notato il silenzio, inusuale per Bulma,
che la scortava. Voleva probabilmente parlargli e indagare sulla sua freddezza.
Sbagliava, se credeva di essere stata
messa su un piedistallo.
Si concentrò di più sul significato del bicchiere tra le sue mani; agitò il
liquido e ne annusò l’effluvio, come aveva sempre indugiato Freezer prima di bere
qualcosa di molto simile.
Socchiusi gli occhi, ricordò il tiranno e il suo uccisore, per ritrovare
tutto l’odio a cui anelava, compagno fidato di tanti soprusi, fondo di tante
speranze. Ma le immagini tremende impallidirono appena Bulma gli toccò un
braccio. «Ti piace? È un vino molto buono.» Gli disse, contenta di vedersi
servire un inizio facile ad una conversazione difficile.
«Non mi è mai piaciuto.» Replicò seccamente Vegeta e l’avrebbe frantumato,
se lei non si fosse intromessa. Bulma, con la più riuscita delle espressioni
provocanti, avvicinò alle belle labbra il bicchiere che lui stringeva, e bevve.
Vegeta si irrigidì nella voglia, di
ucciderla, ispiratagli da quello sguardo, ennesimo ingorgo al flusso del
suo meditare abietto. Che voglia era di piantarsi lì, in quella casa, per
nascondersi? Non era purtroppo soltanto carnale. Quel genere di carne lascia
quasi indifferente un Sayan. Forse, lo sarebbe stata se, prima di Bulma, avesse
avuto altre donne come lei, custodi di confessioni recondite. Non sarebbe stata
nuova quella pace che aveva addolcito i suoi dissapori ma, per sventura di
molti, o fortuna di pochi, non esistevano altre pazze come Bulma Brief.
E perché ne era rimasto sedotto poi? Mentre lei comunque lo amava, lui comunque non la amava. Lei nemmeno aveva
chiesto giustificazioni per il suo passato, perché veniva accettato come parte
di Vegeta, esattamente come lo considerava lui stesso.
Nella sua ottica Sayan, di guerriero errante che tutto aveva saggiato
(tranne l’amore!), era naturale non stupirsi di mille uccisioni e prevaricazioni.
Né si chiedeva perché lei si fosse concessa a chi aveva torturato i suoi amici
più cari. Naturale anche questo; chi sarebbe stato più capace di stuzzicare una
ragazzina romantica, se non un Principe mercenario? Questo si raccontava pur di
non identificare il significato di quelle fantasie. Avere coscienza di simili emozioni
lo avrebbe indotto a nominare meglio le proprie, vittime di un’affezione embrionale.
Vegeta, infatti, era abbastanza perspicace da capire che non sarebbe
riuscito ad ignorarla, almeno tanto quanto ignorava tutti gli altri. Prima di
Bulma si era eccitato soltanto per la lotta. Non poteva tenere a lei, una
terrestre, al punto da rinnegare se stesso.
E davvero, sarebbe valsa la pena di sacrificare un po’ di
amor proprio, se soltanto lui l’avesse amata!
Nati per ripicca, i sentimenti donati da Bulma a Vegeta avevano formato
brame più mature e concrete. Non erano abbagli.
Ignorante su chi fosse diventata nel futuro raccontato dal ragazzo
misterioso, alla prospettiva di una morte quasi certa, Bulma Brief avrebbe
vissuto l’attimo, in cui maturava il fascino esotico del Sayan, criminale
intergalattico. Aveva però commesso l’errore di sentirsi importante per chi
volava troppo in alto. Stringendolo, abbandonandosi a qualcuno così abbandonato,
che con altri aveva condiviso la guerra, aveva in fine compreso che Vegeta si
era volto al bene esattamente come si volgeva al male: senza interesse; come di
lei era stanco. Tuttavia, qualcuno i cui dispiaceri erano virtù, con un
orgoglio trafitto ma abbastanza resistente da rinascere anche dalle ceneri più
sparse, caparbio e machiavellico, era esattamente il tipo di uomo che avrebbe
desiderato per tutta la vita al suo fianco, e
pazienza se era anche un efferato omicida.
Vegeta meritava di essere sanato e nutrito dal riconoscimento di chi fosse al
suo livello, invece che da becere bassezze. Insomma meritava di sapere di
essere amato, non per timore né per inganno. Perché in lui rivedeva un po’ se
stessa. Entrambi erano mossi dall’ambizione, entrambi volevano essere
l’eccezione: Vegeta il più forte, Bulma la più amata, bistrattata dai
tradimenti di un uomo qualunque,
battuto da un Sayan qualunque.
Vegeta vedeva nell’amore un limite piuttosto che uno slancio. Dopotutto, è
scarso il valore di ciò che non si guadagna, sarebbe stato meglio piacerle per ricatto.
Ciò nondimeno, avvezzo a leggere menzogne, gli occhi limpidi di Bulma, in
armonia con un Ti amo a scia di un
bacio, l’avevano interrogato mostrandolo impreparato.
«Beh da come lo maneggiavi, sembrava ti interessasse!» Rispose Bulma, delusa
dalle aspettativa, parlando un po’ del vino e un po’ di sé.
«Non tutto ciò che tocco mi interessa veramente.» Replicò quindi Vegeta,
parlando un po’ del vino e un po’ di Bulma, inacidito dalla promiscuità di
un’anima che avrebbe preferito non avere. «Spesso è solo curiosità.»
«Si è curiosi di qualcosa che ci interessa.» Snocciolò Bulma, soddisfatta
di poter vincere in logica la sua replica; ma Vegeta continuava a guardarla
severo, freddo. Le sembrava, vendendo giusto, le rimproverasse la debolezza
avuta nei suoi confronti; pareva la giudicasse, per baci regalati in cambio di
niente. La sua bisbetica spontaneità già le apriva la bocca per una difesa
logorroica, ma Vegeta le rubò la parola.
«È colpa tua se non riesco a trasformarmi. Tutto ciò che costruisci lo
distruggo così facilmente che non accresce la mia forza.»
«Evidentemente sei arrivato al limite!» Berciò Bulma, non gradiva critiche
al suo lavoro. «Non tutti hanno diritto ad essere Super Sayan, dopotutto la leggenda
parlava di uno solo, non ti aspetterai che crescano come funghi!» Si augurava,
però, non fossero tanto acefali quegli obiettivi. Altrimenti chi l’avrebbe sopportato?
«Kakaroth non è un vero Super Sayan.» Asserì, non trovando argomentazioni
migliori. «Lui è troppo altruista, non sarà più forte di così. Un Super Sayan è
un guerriero dal cuore puro, ma non delle vostre sciocchezze da terrestri.»
«Sciocchezze da terrestri, dici,
e di cosa dovrebbe essere puro, il cuore di un Super Sayan?»
«Odio.» Rispose secco Vegeta, con una vena di pazzia nello sguardo e,
ripreso il bicchiere, finalmente lo distrusse, vaporizzandolo nell’aria come se
non fosse mai esistito, tantomeno come tenera illusione.
«E non credi di averne avuto abbastanza?»
«Credevo, prima di incontrare Kakaroth.»
«Cosa pensi di fare quindi, andare da lui e guardarlo finché non scoppi di
invidia?» Lo canzonò Bulma, secondo la quale Vegeta stava per essere pizzicato
dall’ennesimo granchio. Se, infatti, proprio Goku era stato capace di
trasformarsi nel guerriero aureo, presumibilmente non era l’odio che brillava
tanto, ma l’amore e l’ingenuità che davvero un immaturo come Goku avrebbe potuto
avere. E il ragazzo del futuro? Aveva intrapreso un viaggio temporale, a costo
della vita, per informare delle persone conosciute appena da piccolo. Generosità, dunque. Rara in un Sayan
quanto la verità in una leggenda.
Le afferrò le braccia, e la costrinse in una posizione scomoda, quasi
volesse schiacciarla. «Il giorno in cui lo ucciderò, lo squarterò davanti ai
tuoi occhi.» Ma c’era già un nero diverso nei suoi, meno tetri di quanto Bulma li
aveva contemplati al ritorno da Namecc, in una pacifica giornata di sole.
«Non accadrà.» Rispose sicura la scienziata, intuendo di cosa Vegeta avesse
paura: il suo cuore non avrebbe mai traboccato d’amore; se si fosse lasciato
amare, non avrebbe avuto più la possibilità di custodire un sentimento puro
come l’oro. Più vicino al male che al bene, avrebbe impiegato troppo prima di
capire il secondo, e il tempo scarseggiava. Probabilmente, se, avesse accettato
le sciocchezze terrestri, temeva non
sarebbe stato più lo stesso. Del canto suo, Bulma, sarebbe stata disposta ad
assecondare un uomo così, fissato? Sì, affermò, inebriata dai ricordi
suggeriti dal quel viso leggermente madido; sulla lingua, le tornò il sapore
della sua, custodita da labbra che, ne era sicura, per lei avevano frenato
morsi troppo violenti.
La sicurezza di lei lo divertì, le sorrise bieco, la lasciò con due lividi
sulle braccia, Le mie belle braccia, e
incrociò le sue al petto, distogliendo l’attenzione per non vacillare al suo
cospetto. «Voglio partire il più presto possibile, fammi preparare una navicella.»
«Perché, non ti fidi delle mie capacità?» Domandò Bulma, quasi offesa.
«Non voglio che tu ci metta piede.» Ammise quest’ultimo, prendendo la
strada per la doccia.
Anche lei aveva paura, scoprendosi in balia di chi le avrebbe restituito
solamente abbastanza. Non avrebbe perdonato una delusione. «Tornerai?»
«Per battere i cyborg.»
Le bastò. Sarebbe stata disposta a tutto pur di averlo, perfino colmarlo
d’odio.
«Non disturbarti allora; sarà Goku a sconfiggerli. Lui sì che vince sempre.»
Fine
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