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Autore: marta_bilinski24    15/01/2016    3 recensioni
Tratto dal primo capitolo: “Derek non sapeva come fosse potuto accadere. […] si ritrovava prigioniero del suo stesso corpo, senza la più pallida idea di come recuperare le sue normali funzioni umane. […] Derek era diventato un lupo completo e non sapeva più come tornare un uomo.”
Se non vi bastasse un wolf!Derek aggiungeteci un dogsitter!Stiles e state a vedere cosa succederà!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2: Reinventarsi

 

Derek era perfettamente cosciente. Poteva pensare come faceva fino ad un minuto prima, i suoi sensi continuavano perfettamente a funzionare, anzi se possibile si erano acuiti. Ma il suo corpo era bloccato in quello del lupo. Non aveva idea di come fosse riuscito a trasformarsi e non aveva quindi idea di come invertire il processo.

 

Aveva chiuso gli occhi, come aveva detto Cora, e aveva visualizzato il lupo. L’aveva visualizzato proprio come se ce l’avesse davanti, era stato ad un passo dal toccarlo. Poi le sue sensazioni erano state quelle che provava di solito durante la trasformazione: un tremore interno, che scuoteva ogni parte del suo corpo, i muscoli tesi, che si scaldavano improvvisamente. Aveva tenuto gli occhi chiusi, senza mai perdere di vista l’immagine del lupo seduto davanti a sé, ed era quasi certo di essersi alzato in piedi…cioè, sulle zampe. Tanti piccoli particolari gli avevano fatto capire che probabilmente era riuscito nel suo intento, ma aveva continuato a tenere le palpebre serrate, in attesa di indicazioni dalla sorella. Tutti i suoi sensi inviavano al cervello segnali molto più precisi del solito: nonostante la stanza fosse insonorizzata, Derek poteva percepire una macchina appena passata sulla strada che costeggiava il loro appartamento; poteva sentire anche il profumo fruttato che aveva regalato a Cora e che lei indossava nelle giornate in cui era particolarmente felice. Ad un certo punto però non ce l’aveva più fatta e aveva aperto gli occhi.

 

Era un lupo, ora ne aveva la certezza.

 

Doveva avere gli occhi blu, quasi sicuramente. Si ritrovò a guardare il mondo da un’altezza strana, come se fosse a carponi. Abbassò lo sguardo sulle zampe, il manto nero corvino era folto e ben distribuito, un po’ più abbondante verso la punta, a creare un grazioso batuffolo di pelo alle estremità degli arti. La vista era abbastanza sviluppata, anche se non come tutti gli altri sensi. Ciò che si ritrovò davanti fu la stessa stanza, le stesse pareti e gli stessi oggetti che lo avevano accompagnato durante le settimane di allenamento. Davanti a lui, Cora aveva le lacrime agli occhi dalla gioia e dall’orgoglio, anche se Derek poteva fiutare una leggera paura, come se non capisse quanto potesse fidarsi dell’animale che le si parava di fronte. Incapace di comunicarle oralmente che lui era sempre suo fratello e che nulla era cambiato nei suoi atteggiamenti, fece ciò che avevano concordato per il fatidico momento, un segnale che potesse metterli in contatto nonostante l’assenza di parole. Inarcò all’indietro il collo, alzando maestosamente la testa e ululò come solo un vero lupo sa fare. In quell’ululato non c’era solo un segnale per Cora, in quel gesto c’era l’orgoglio risanato di un figlio che non si era mai sentito all’altezza, che si era sentito colpevole di ogni cosa, che aveva perso tutto senza sapere come rialzarsi. Il tempo aveva giocato a suo sfavore ma sapeva che tutta la sua famiglia sarebbe stata fiera del lupo che aveva saputo diventare.

 

Il richiamo roco doveva aver convinto Cora, che finalmente gli si gettò al collo, senza più trattenere le lacrime che le erano salite agli occhi qualche secondo prima, mentre balbettava incerta il nome del fratello. Sentire le braccia e le lacrime calde di Cora sul suo pelo aveva scaldato il petto di Derek, facendolo sentire ancora più fiero. Non aveva mai visto gli occhi di Cora brillare più intensamente, mentre lampeggiavano dal marrone caldo al giallo, segno che la sua parte animale voleva entrare in sintonia col fratello. Derek non poteva sentirsi meglio, ma c’era qualcosa che non andava: nell’euforia del primo momento successivo alla trasformazione non se n’era reso conto ma c’era qualcosa che gli sfuggiva e che stava facendo svanire la felicità nei suoi occhi. Per un attimo Derek si era sentito un lupo, un lupo vero, e la parte animale aveva completamente sopraffatto quella umana. Ma Derek era un licantropo e non poteva dimenticare di essere prima di tutto un uomo. Come sarebbe tornato indietro?

 

Mentre una marea di emozioni contrastanti invadevano il cuore e la mente di Derek, Cora si mosse rapida per la stanza alla ricerca del cambio di vestiti, incitando il fratello a tornare umano. Ma Derek non poteva, non sapeva come farlo, non sapeva come esprimersi. Voleva gridare aiuto ed era muto. Sentì distintamente il battito cardiaco accelerare, pulsargli nelle orecchie e stordire i suoi sensi. Quello era l’ultimo momento in cui poteva farsi prendere da un attacco di panico. Vide Cora sbiancare quando capì la situazione e soffocare un grido in gola tappandosi la bocca, mentre le guance le si chiazzavano di rosso. A Derek cedettero le zampe e si ritrovò seduto a chiudere e riaprire gli occhi in una silenziosa richiesta d’aiuto nell’unica lingua che poteva al momento utilizzare. Il silenzio che rimase sospeso nell’aria per i successivi minuti raggelò il sangue di entrambi i fratelli. Non avrebbero mai dovuto forzare le regole del mondo sovrannaturale senza avere la giusta preparazione e ora si trovavano soli a fronteggiare un caos che non sapevano come avevano scatenato.

 

«È la quarta volta, Derek! Non sei più giustificato!!» sbottò irritata Cora, chinandosi per raccogliere i cocci infranti del suo bicchiere preferito, dopo aver visto sfrecciare via veloce la coda nera del lupo. «Era pure il mio preferito, questo!» piagnucolò la ragazza. In risposta ricevette un mugolio basso, che esprimeva un po’ di senso di colpa ma che nascondeva un pizzico di divertimento. «Dimentichi forse che posso fiutare ancora le tue emozioni?» e inspirò a lungo l’aria della stanza «Almeno nascondi meglio il fatto che ti sei divertito a farlo apposta!» urlò furiosa la ragazza. Derek scelse la via della fuga, con Cora discutere non era mai servito a nulla e senza poterne parlare la disfatta sarebbe stata totale e su tutti i fronti. Si sarebbe ritrovato legato a catena nel seminterrato e siccome quella settimana gli era già capitato tre volte preferì darsela a gambe.

 

Il nuovo tipo di convivenza dei due fratelli non era per nulla semplice o naturale e tanto meno sereno o pacifico. Derek era comunque diventato un impegno imprevisto a cui Cora non sapeva esattamente come far fronte. Stava frequentando l’ultimo anno di liceo alla Beacon Hills High School e quando non era presa dalle lezioni veniva assorbita dallo studio. Era una studentessa modello, che puntava molto in alto e raggiungeva ogni obiettivo prefissato. Nonostante la spiccata intelligenza aveva deciso di non iscriversi ad alcun college, sarebbe rimasta vicina a Derek perché era l’unica famiglia che le restava. Questo aveva fatto male a Derek, perché lui aveva sempre sognato che Cora andasse al college e riuscisse a coronare tutti i suoi sogni ma le era stato grato per quella decisione. Comunque Cora aveva un grande sogno che la teneva vicina al fratello, quello di aprire un hotel nella loro città e sapeva già dove sarebbe sorto: dalle ceneri di casa Hale. Il terreno era loro e avevano già rifiutato numerose offerte per poter costruire proprio lì “Hale Phoenix”. Come una fenice che risorge dalle sue ceneri, gli Hale rimasti a Beacon Hills avrebbero dimostrato la forza della loro famiglia che non poteva essere abbattuta nemmeno dalla cattiveria e dalla perfidia dei cacciatori. Derek era orgoglioso di questo progetto di Cora, soprattutto perché lui era un tipo che di carattere avrebbe evitato di mettersi in vista o di esporsi in modo così palese ma ammirava il fatto che sua sorella sapesse farlo con tanta naturalezza. E un po’ le invidiava questo lato del carattere. Derek pensava mille volte prima di agire e tante volte alla millesima volta decideva di non fare nulla mentre avrebbe voluto imparare a buttarsi con entusiasmo nella vita come sapeva fare Cora. Questa peculiarità le aveva creato anche numerosi guai, ma a cosa serve un fratello maggiore altrimenti?

 

Derek corse fuori dalla porta della cucina, infilandosi di cacciata nel corridoio ed entrando nella sua stanza saltò con un solo balzo sul letto. Da un lato non gli dispiaceva essere un lupo, aveva ormai cominciato ad abituarsi all’idea. Per quanto riguardava il lavoro, si era, come da copione, appena licenziato da un piccolo bar fuori città, dove il legno del parquet puzzava di marcio e la clientela abituale era formata quasi esclusivamente da ubriaconi e camionisti di passaggio. Vedere tutti i giorni quegli uomini grassi e unti aveva, dopo tre mesi, messo quasi in discussione il suo orientamento sessuale decisamente poco etero, nonostante il suo fisico gridasse “macho man” da ogni poro. Certo, se la gente avesse saputo come si era reso conto della sua omosessualità solo un anno prima… Comunque, per un po’ si sarebbe preso una pausa dal lavoro e questo non poteva che renderlo felice. Non sapeva come fosse possibile, ma riusciva a finire sempre più in basso nella sua classifica personale di lavori degradanti e poco gratificanti. Inoltre, parlare con le persone non era mai stato il suo forte, quindi quella era probabilmente la facoltà umana che meno gli mancava. L’autonomia di spostamenti era stata decisamente ridotta, poiché Cora si fidava a liberarlo nel bosco la mattina ma era costretta a richiuderlo in casa quando si avviava a scuola, dato che ormai abitavano quasi in centro città. Inoltre, quando i vicini avevano visto il primo giorno Cora uscire di casa con un grosso lupo nero al guinzaglio, la ragazza era stata costretta ad imbastire imbarazzata una storia su come Derek fosse improvvisamente partito per un lavoro sulla costa californiana e le avesse comprato un cane lupo per farle compagnia. «È davvero un esemplare magnifico, avrei giurato che fosse un vero lupo» esclamò estasiata Melissa, la signora che viveva al piano di sopra, un’infermiera dell’ospedale della città. «Derek ha proprio un buon occhio per questo genere di cani» replicò Cora, tamburellando con la punta delle dita sulla testa dell’animale, ringraziandolo per averla messa in quella imbarazzante situazione. «E pensi che voleva che lo chiamassi Estrema Riluttanza» proseguì divertita la ragazza. Alla vista dello sguardo interrogativo della donna precisò «Diceva che così mi avrebbe lasciata con Estrema Riluttanza!» e scoppiò a ridere, immediatamente seguita dalla sua interlocutrice. Quando, massaggiandosi lo stomaco, cercarono di trattenere le ultime risate, Cora aggiunse «Non si preoccupi, l’ho colpito con un mestolo quando me l’ha detto! Buona giornata signora McCall!». Appena Melissa svoltò l’angolo Derek lasciò un piccolo morso sul ginocchio di Cora, che subito lanciò un gridolino soffocato e cercò di incenerirlo con lo sguardo. «Alla fine come l’hai chiamato, allora??» chiese Melissa, ributtando la testa nel corridoio con un sorriso furbo sulle labbra. «Derek!» urlò proprio in quel momento Cora rivolta al lupo. «Ah beh, la fantasia in famiglia non vi manca» e con una risatina sgattaiolò verso il portone d’ingresso della palazzina.

 

Derek odiava il guinzaglio che Cora lo costringeva a portare fino al limitare del bosco e che lui mordeva con insistenza convinto che prima o poi lo avrebbe tranciato del tutto. Chiamarlo guinzaglio poi era fargli un complimento: era una corda che avevano recuperato nel seminterrato, vecchia e un po’ logora, dettaglio che aiutava Derek nella sua missione. Non avendo mai avuto animali per casa, i due Hale si erano dovuti arrangiare con quello che avevano in casa. Così una corda era diventata un guinzaglio, un paio di vecchie terrine le ciotole di acqua e cibo, un plaid invernale copriva le lenzuola del letto. Solo su una cosa Derek era stato intransigente e lo aveva dimostrato in maniera molto esplicita: quando infatti aveva letto “croccantini Derek” sulla lavagnetta dove erano soliti annotare le spese da fare nel fine settimana, il lupo aveva fissato a lungo Cora, emettendo nello stesso tempo un ringhio basso e sordo, parecchio minaccioso, fino a che lei non l’aveva cancellato sbuffando. «Ma io non so cosa mangia un lupo!» si era lamentata lei, mentre Derek alzando le labbra e mostrando leggermente le zanne le aveva chiaramente fatto capire che avrebbe mangiato sempre le solite cose.

 

Quello che però stavano riscoprendo i due fratelli grazie a questo inconveniente era quanto si potesse parlare senza usare le parole. Dopo i primi giorni in cui avevano dovuto abituarsi all’idea di quello che era successo e avevano dovuto ristabilire certe regole (dopo la corsa nel bosco a Derek non era permesso di salire su letti o divani, non poteva mangiare sulla tavola, piuttosto Cora si sedeva a gambe incrociate per terra accanto a lui) i due avevano cominciato ad apprezzare la nuova forma di Derek. Il lupo si accoccolava tutte le sere tra le gambe di Cora e lei gli lisciava teneramente il pelo, mentre guardavano un film. A volte capitava che semplicemente restassero uno accanto all’altra, nella luce soffusa del tramonto, ognuno sprofondato nei propri pensieri. Spesso si addormentavano abbracciati, e quando capitava che Derek si svegliasse prima della sorella era solito puntare il naso freddo e umido sulla parte interna del polso di lei, per risvegliarla dolcemente, non voleva per nulla al mondo che trascurasse la scuola il giorno successivo. Altri giorni, brutti pensieri attraversavano la mente di Derek, che non mancava di chiedersi quanto tutto questo sarebbe finito, o se mai sarebbe finito. Non riuscendo a prendere sonno amava osservare Cora addormentarsi, rallentando il respiro e rilassando le dita che di solito si ancoravano saldamente al pelo sul collo del lupo. Era così importante per lui averla accanto e in nessun modo la riteneva responsabile di ciò che era accaduto. Rimaneva ore ad ascoltare i suoi battiti cardiaci e si addormentava solo quando la vedeva sorridere nel sonno.

 

La vera libertà Derek poteva sperimentarla solo nel bosco, il comune denominatore della vita da licantropo passata e di quella da lupo presente. Correva rapido, divertendosi a schivare gli alberi all’ultimo, superando con agili balzi i tronchi. Lo faceva in compagnia di Cora quasi tutti i giorni di mattina, ma alle volte la sorella preferiva aspettarlo dove la boscaglia si infittiva per ripassare le ultime cose prima della scuola. Derek sapeva che sarebbe stata preparatissima anche senza quell’ulteriore ripasso ma acconsentiva a proseguire da solo comunque, sapeva che quel tipo di routine le dava sicurezza. Prima di partire però il lupo non dimenticava mai di leccarle giocosamente il viso, o sulla punta del naso o sotto uno zigomo, e tutte le volte Cora fingeva di offendersi e minacciava il fratello di legarlo nel seminterrato “come i primi giorni in cui mi facevi arrabbiare e rompevi tutti i bicchieri con quella maledetta coda”, come amava ripetere lei. Quello che Cora non sapeva era che Derek a quelle parole scappava ma si fermava poco distante, non visto, per ammirare come Cora si passava la mano sulla parte del viso leccata con un sorriso radioso. Subito dopo Derek partiva al galoppo verso il bosco e correva fino a finire l’aria nei polmoni. Solo allora si fermava, di solito presso un laghetto sconosciuto ai più dove si abbeverava e approfittava di inspirare a fondo l’odore della foresta: sentiva il penetrante odore del pino, che quasi pizzicava in gola, quello intenso del legno bagnato e spesso anche quello inconfondibile della pioggia che si preparava a scrosciare senza eccessivo preavviso.

 

Anche quella mattina Derek lo sentì e corse più veloce che poté per avvertire la sorella, che ripassava chimica all’ombra di una quercia secolare. Quando Cora capì che stava per scoppiare una tempesta, corse veloce con il lupo verso casa. Nonostante tutto si ritrovarono a cinquecento metri da casa davanti ad un muro d’acqua e senza la possibilità di rifugiarsi da nessuna parte. Raggiunsero l’atrio del condominio completamente zuppi e lanciarono un sguardo scocciato alla dannata nuvola che aveva deciso di lavarli dalla testa ai piedi, mentre la pioggia scemava e un irritante arcobaleno congiungeva terra e nuvole. Nulla di poetico per due come loro. «Cazzo, ho compito alla prima ora, Harris mi ucciderà se arrivo in questo stato!» urlò Cora, completamente nel panico, rovistando nelle tasche alla ricerca della chiavi di casa. Una volta entrati, Derek cercò di aiutarla a prendere dei vestiti puliti ma combinò solo guai: cercò di afferrare una maglia dal cassetto in camera di Cora ma con le zanne che si ritrovava ne prese tre, due le bucò, mentre la terza la pestò con le zampe infangate. Gli ultimi minuti Cora li perse a imbastire qualche avanzo di cibo da dare a Derek visto che aveva un lezioni tutta la giornata e prima delle quattro del pomeriggio non sarebbe ritornata. Dopo averla vista volare via di casa come un fulmine, Derek la vide rientrare tre quarti d’ora più tardi, con una faccia che toccava terra. «Avevano ormai cominciato il compito da venti minuti, Harris non mi ha fatto nemmeno entrare in classe. Mi ha solo detto “Si tolga quel rametto dai capelli la prossima volta che verrà a fare questo test…dopotutto ha molto tempo, visto che oggi per quanto mi riguarda può tranquillamente tornare a casa”. Che stronzo!» disse irritata mentre si strappava il ciuffo di capelli in cui si era incastrato il rametto. Si gettò sconsolata sul divano e Derek si limitò a uggiolare piano, tenendo il muso posato sulla spalla di lei: sapeva di non poter salire sui divani ma voleva esserle vicino, soprattutto quando lei cominciò a singhiozzare sommessamente, tenendo gli occhi chiusi. Il lupo spinse ancora di più il muso verso il suo viso e posò il naso sulla sua giugulare, per cercare di rallentarle il battito cardiaco. Lei fece scivolare la sua mano sulla massiccia testa del lupo, intrecciando le sue dita nel pelo folto e scuro. «Sai che non possiamo proseguire così molto a lungo. Ci sto provando ma non è per nulla facile conciliare lo studio e l’impegno con te. Sai che ci serve una mano…» cominciò Cora, abbassando il tono della voce verso la fine della frase. Derek in risposta assunse un’aria interrogativa e inclinò la testa tirando indietro le orecchie, sapeva che la parte successiva del discorso non gli sarebbe piaciuta. «…una persona che ti porti fuori, ti faccia da mangiare…sì dai, Derek, lo sai, un dog sitter…» accennò piano Cora, senza fissare gli occhi direttamente in quelli di Derek, ma studiando di sottecchi la sua reazione a quella proposta. Sapeva già che il fratello non l’avrebbe presa bene, già Derek si sentiva un peso, l’idea di dover assumere una persona che si occupasse di lui lo avrebbe sicuramente umiliato, ma entrambi sapevano che la situazione era diventata ingestibile e per ora nessuno poteva sapere quanto sarebbe durata quella condizione. Com’era prevedibile, Derek non emise alcun suono, semplicemente si avviò in camera sua e Cora non lo vide per tutto il giorno.

 

Derek era diviso, spaccato a metà: se non fosse bastato il fatto che era bloccato per un tempo indefinito nel suo corpo, ora si aggiungeva umiliazione all’umiliazione. Un dog sitter, davvero? Era quella l’unica soluzione? Effettivamente lui non riusciva a pensare a qualcosa di diverso e il senso di colpa di aver fatto perdere una verifica a Cora gli pesava molto. Oggi una verifica, chissà domani a cosa avrebbe dovuto rinunciare la sorella per lui. Non poteva permetterlo, perché davanti al suo orgoglio stava la felicità di Cora. Ma quanto era difficile accettare quel compromesso e tutta quella situazione. Derek aveva una dignità, non era un cane! Eppure sapeva che avrebbe dovuto accettare di essere trattato come tale, per di più da un estraneo. Perché fino ad allora Cora era stata molto delicata sull’argomento e per quanto possibile aveva continuato ad interagire con lui come faceva quando erano entrambi umani. Allo stesso tempo, aveva avviato ricerche su internet per capire come invertire il processo, ma aveva sempre l’accortezza di non sovraccaricare Derek di notizie, speranze o illusioni. Sembrava che a nessuno o quasi fosse successa una cosa simile e le poche informazioni che aveva potuto raccogliere erano parecchio discordanti sulle tecniche e sui risultati, nessuno ne assicurava la riuscita. Nonostante tutto Cora continuava a perseguire il suo obiettivo e Derek voleva fare la sua parte: avrebbe accettato un dog sitter, solo per aiutare la sorella con i suoi impegni e lasciarle il tempo di proseguire gli studi e le indagini. Quando riemerse dalla confusa nebbia di pensieri che lo aveva avvolto per ore un odore familiare gli arrivò a solleticare le narici e gli fece brontolare lo stomaco: i famosi muffin al limone di Cora erano pronti. Derek non perse un attimo e corse in cucina, travolgendo la sorella da dietro e leccandole con foga il viso, in un silenzioso ringraziamento per ogni piccola attenzione che si prodigava ad dargli e in un tacito assenso alla proposta di qualche ora prima.

 

«Sì, pronto…?» Cora era un po’ agitata, Derek lo poteva percepire fin dalla voce. «Parlo con St-Stile-Stiles Stil-Stilinski? Scusi è davvero un nome??» Pausa. «Sì, scusi non volevo essere sgarbata, ha ragione» Pausa. «La chiamavo perché ho preso il suo numero alla tabaccheria in centro. Volevo sapere se posso affidarle il mio cane» Pausa. Un po’ più lunga. «Certo che è un cane buono!» Un calcio a Derek che stava mordicchiando il bordo della canottiera di Cora. Pausa. «Grande? Nah, non particolarmente…magari potremmo vederci per definire i dettagli e gli orari» Pausa. Proposta. «Perfetto! Allora ci vediamo da me. Noi abitiamo nel grande palazzo dietro l’ospedale, ha presente la via…» Pausa lunga. «Ah beh, se conosce la signora McCall allora andiamo a nozze! Noi…sì, io e il mio cane, stiamo nell’appartamento sotto, all’interno 7. Benissimo, allora a domani Stiles!» Un’ultima pausa. «Il cane? Ah sì, si chiama Derek, che nome buffo per un cane, eh?» Derek sperava tanto che l’unica a ridere fosse stata Cora.

 

«Ho un colloquio di lavoro!!» Stiles cominciò a saltare e urlare per tutta la casa, facendo svegliare suo padre che riposava sul divano dopo il turno di notte. «Che male ho fatto per meritare un figlio iperattivo?» si chiese l’uomo con la voce ancora impastata dal sonno. «Ah, papà sei sveglio? Oh, ti ho svegliato io? Scusa ma questa notizia è troppo importante!» continuò imperterrito, mentre si gettava sul divano accanto al padre. «Allora, sai che sto cercando lavoro visto che non ho voluto fare il college? Ecco, Scott l’altro giorno mi ha detto “Perché non fai il dog sitter visto che ti piacciono i cani?” E io mi sono detto “Che ho da perdere?” Insomma, ho appeso un annuncio in centro e indovina? Ho già un cliente! Ci credi??» Stiles condì tutto il discorso con gesti febbrili, mentre suo padre si stropicciava il viso cercando di connettere il cervello. «Sono contento per te, figliolo» disse infine «Non è esattamente quello che pensavo per te come lavoro di una vita, però per raccogliere un po’ di soldi e diventare indipendente è un primo passo. Quindi vedi di fare bella figura e di non tornare a casa a brandelli!» concluse con una sonora pacca sulla spalla.

 

«Verrà qui domani, sembra professionale, dice che deve vederti “nel tuo habitat”» spiegò Cora, facendo il tipico gesto delle virgolette in aria, distendendo e piegando l’indice e il medio di entrambe le mani, gesto che irritava terribilmente Derek. Cora lo sapeva e lo faceva apposta, ghignando divertita. Cercò di decifrare l’espressione del fratello ma non fu molto difficile intuirla: anche da lupo, roteava gli occhi nello stesso modo. «E ti prego, Derek, era quello con la tariffa più bassa, so che non abbiamo problemi economici ma sai che vorrei tenere quanti più risparmi possibili per l’hotel. Quindi fattelo andare bene, non cominciare a sbuffare o a mordere. Insomma non dare di matto, fattelo piacere. E ti scongiuro, sii un cane, non un lupo, oppure nessuno vorrà prendersi cura di te. Questo vuol dire» e qui lo fissò severa e categorica, sfoderando addirittura gli occhi da Beta «niente ululati o zanne affilate» concluse senza lasciare gli occhi azzurri del lupo, in attesa di una risposta. Lui li chiuse piano e infilò la testa pelosa sotto la mano di Cora, in cerca di carezze. «Forse non ti interesserà un po’ di gossip, ma ha solo un anno più di me, si è appena diplomato ed è il figlio dello sceriffo. Magari è pure carino…» miagolò Cora lanciando uno sguardo eloquente a Derek. Lui le rispose con uno sguardo interrogativo, non si era mai posto il problema di affibbiare un volto al famoso figlio dello sceriffo. E ora sapere che gli avrebbe fatto da balia per chissà quanto tempo non lo entusiasmava per nulla, anzi, tutte queste informazioni lo stavano solo portando a non sopportare l’intera situazione più di quanto non facesse già prima. Non potendo esprimere tutto il suo disappunto a parole, si limitò a sbuffare dal naso e ad andare ad accoccolarsi al centro del soggiorno. Il giorno successivo sarebbe stato davvero molto molto lungo. Quello che Derek sospettava era che a Cora questo Stiles (voleva proprio sapere che persona crudele potesse dare un nome del genere a suo figlio) piacesse già. Ma non era interessata in quel senso, certo che no, era ben nota la bisessualità del figlio dello sceriffo in città. Il terrore di Derek era che Cora e Stiles fossero un po’ lo stesso genere di persona, quella che sapeva farlo innervosire e mandarlo fuori dai gangheri con un solo sguardo. Derek se lo sentiva, quei due erano uguali e sarebbero andati subito d’accordo. Derek era spacciato.

 

Il campanello dell’appartamento Hale trillò tre volte, un suono a brevissima distanza dall’altro. Non era stato accidentale, Derek aveva già capito che quello era il modo di suonare il campanello di Stiles, una specie di tripla bussata alla Sheldon Cooper, e la cosa non poté che infastidirlo. «Vuoi smetterla di emanare agitazione? Non ne posso più di questo odore nel naso» sbottò Cora per l’ennesima volta. «Sei peggio dei bambini che attendono a vedere se il loro futuro baby sitter sarà più simile ad un’arpia o a Mary Poppins. Sei infantile» E lanciò il canovaccio sul bordo del lavello andando verso la porta. Derek preferì non farsi vedere subito, attese che Cora aprisse la porta e facesse accomodare l’ospite in cucina, mentre il lupo utilizzava i suoi sensi da licantropo per studiare la situazione dalle retrovie e provare a capire cosa aspettarsi da quel ragazzo. La prima cosa che catturò la sua attenzione fu il profumo che invase l’appartamento non appena Stiles varcò la soglia. Era emozionato ed un po’ agitato, probabilmente era uno dei suoi primi lavori e non gli era capitato spesso di essere chiamato per quell’annuncio. Aveva un odore leggero e fresco, come quello dei panni appena usciti dalla lavatrice e si era messo un po’ di profumo che sapeva di bosco, giusto un po’ sui polsi e sul collo. Possibile che gli sembrasse di aver già sentito quell’odore? Non era possibile, sicuramente stava confondendolo con qualcun altro. La voce, quella era cristallina, ancora in fase di leggero incupimento, tipico dei ragazzi che come lui si avviavano ai vent’anni uscendo definitivamente dall’adolescenza. Teneva un tono di voce un po’ troppo alto, forse per cercare di nascondere il leggero tremolio che mal celava il suo stato d’animo. Dopo le dovute presentazioni – Stiles lasciò intuire che sapeva bene chi fossero gli Hale, ma solo di nome vista la professione del padre – Cora propose un primo incontro con Derek. «L’hai davvero chiamato come tuo fratello?» chiese trattenendosi dal ridere il ragazzo. «Mi mancava troppo urlare il suo nome in giro per la casa» ribatté Cora con una risata nasale. «Vieni pure Stiles, dev’essere qui in salotto» continuò la ragazza mentre Derek li sentiva arrivare. Fu preso dal panico, non sapeva come sembrare indifferente ai loro discorsi, non sapeva ancora bene calarsi nella parte di “cane da appartamento”. Si distese davanti alla televisione e cercò di sembrare disinteressato, evitando di fissare lo sguardo sulla porta da cui stavano entrando i due. «Ehi, ma questo è un lupo!» gridò Stiles, bloccandosi sulla porta. «Ma no, è un cane lupo, un incrocio. E poi è buonissimo…» cercò di spiegare Cora. Solo in quel momento Derek mise la faccia più angelica che poté e girò lo sguardo verso il suo futuro dog sitter. Non avrebbe mai voluto farlo, perché appena i suoi occhi azzurri incontrarono quelli color caramello di Stiles Derek si rese conto di conoscere quel viso. Lui aveva già incontrato Stiles. Forse era meglio dire che si era scontrato con Stiles. Ricordava benissimo cosa fosse successo con Stiles. Se i lupi potessero arrossire, Derek sarebbe diventato bordeaux.

 

Note finali: Lo scambio di battute tra Cora e Melissa sul nome del lupo è ripreso da una striscia del fumetto “Peanuts” di Charles Schulz. Adoro quei fumetti e mi sembrava adatta alla situazione.

   
 
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