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Autore: Hermione Weasley    15/01/2016    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
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XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19
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Lunghe processioni di tortini, tartine e antipasti di ogni tipo si erano già snodate attorno al grande tavolo disposto a mo' di ferro di cavallo, quando il re fece la sua apparizione nell'imponente Salone Azzurro.

Clint lo vide uscire dalla doppia porta del Salotto della Luna; alla sua destra il figlio dall'andatura spavalda e incerta insieme, alla sua sinistra la favorita, signora di una delle contee orientali del regno. Il bel blu scuro bordato d'argento dell'abito da cerimonia del sovrano faceva spiccare ancora di più il verde smeraldo del vaporoso vestito della donna, alta e slanciata, dai lunghi capelli biondi scolpiti in una gonfia acconciatura in cui erano state infilate alcune piume di pavone. La maschera che si portava leziosamente al viso perfettamente truccato seguiva il medesimo tema. Il re, invece, aveva preferito lasciar perdere i travestimenti; i suoi folti capelli neri erano striati di bianco e a questi facevano da pendant i baffi perfettamente curati che gli disegnavano il labbro superiore.

Il giovane Anthony aveva optato per un completo rosso e oro e una maschera che gli copriva gran parte del viso. Tutto di lui gli faceva presupporre che qualsiasi altro posto gli sarebbe andato maggiormente a genio di quella gigantesca sala gremita di cibo, fiori, persone.

Re Howard si affacciò alla balaustra della doppia scalinata di marmo che l'avrebbe condotto al Salone Azzurro e sollevò le braccia affinché l'orchestra – che aveva suonato incessantemente fino a quel momento – si chetasse.

Gli invitati saltarono subito in piedi, accennando ad inchini e riverenze, la cui profondità aumentava man mano che il ceto sociale si faceva più umile: gli parve di scorgere quello che aveva tutta l'aria di essere un maniscalco che riuscì quasi a toccare il pavimento col naso, tanto si era piegato.

“Signori!” Tuonò allegramente il re, ottenendo il silenzio dei presenti. “Vedo che avete cominciato senza di me.” Si portò una mano al petto e finse un broncio indispettito che gli valse un giro d'applausi e risatine dalle donne meglio vestite della festa.

“Scommetto che è tutta colpa del duca di Bremond,” riprese il sovrano, indicando un nobiluomo dal volto rubizzo che si mise a ridere facendo traballare la grossa pancia, “ti riconosco anche mascherato da topo, vecchia volpe.”

“E' un elefante!” Strillò il diretto interessato facendosi ancora più rosso, ma nessuno lo sentì nel trambusto che ne seguì.

“Vedervi tutti qui mi riempie di gioia il cuore,” continuò re Howard, “e mi fa venire in mente che se tassassimo champagne, tartine e divertimento a quest'ora nelle casse del regno ci sarebbe qualche spicciolo in più.”

Seguì un imbarazzato silenzio in cui i più ricchi si guardarono a disagio, mentre il manipolo di presenti selezionati dal popolo ridevano a crepapelle... perché di champagne e tartine non ne avevano visti mai prima di quel momento. Figuriamoci assaggiati!

“Signori, come siete facili da impressionare!” Scoppiò di nuovo il sovrano con aria sufficientemente ambigua da convincere i più a sciogliere il nervosismo in risatine sommesse che si fecero via via più convinte. “Che la festa abbia inizio! Bevete, mangiate, brindate!”

L'orchestra riattaccò a suonare e il piccolo microcosmo assiepato nella sala tappezzata d'azzurro si rianimò e riprese come se niente fosse successo, mentre il prestigioso terzetto andava a sedersi al posto d'onore, ancora intonso.

Dal suo punto d'osservazione privilegiato, Clint riusciva ad abbracciare con lo sguardo l'intero ambiente. Dagli arzigogolati affreschi allegorici dei soffitti – divinità, animali, scene di guerra, paesaggi idilliaci – scendendo agli stucchi d'oro che impreziosivano le pareti (e che avevano l'aria di essere stati rimessi a nuovo di recente perché le crepe e le ammaccature erano ancora ben visibili sotto l'ultima mano di quel costoso smalto) fino agli arazzi che le rivestivano, ampi, maestosi e di colori diversi. E poi più giù, alla tavola riccamente imbandita con stoviglie d'argento, calici di cristallo, vassoi dorati e vasi della più fine porcellana del regno in cui trionfavano folti mazzi di garofani variopinti – il fiore che rappresentava la dinastia Stark. Tutti ne portavano uno, chi assicurato alla giamberga, chi nei capelli, mentre i colori variavano: le signore, gli parve, avevano cercato di abbinarli ai pesanti abiti che indossavano.

Il gruppo degli invitati era nutrito e variegato: i primi ad entrare erano stati gli esponenti delle maggiori casate nobiliari del regno, subito seguiti da un manipolo di ricchi ecclesiastici nelle loro tuniche lucenti bordate d'oro e di scarlatto, poi le divise scintillanti degli ufficiali dell'esercito, infine i rappresentanti del popolo scelti tramite una lotteria di cui Clint non aveva compreso le regole.

Nonostante le maschere, non gli ci era voluto molto per accorgersi di riconoscere un po' troppa gente là in mezzo: gli uomini di suo fratello, i ribelli dell'abbazia, si erano mescolati a fabbri, artigiani, orafi e fornai. Logica voleva che qualcuno, dall'interno, avesse manomesso il meccanismo di selezione per infiltrare alla celebrazione altri partecipanti al colpo di stato. Anche se la maggior parte di quelli era lì per un calcolo ben preciso, avevano comunque negli occhi e sulle labbra l'espressione scioccata di chi non aveva mai visto tanto ben di dio in un solo posto, di chi non credeva possibile che nel mondo esistessero persone tanto ricche e case tanto sfarzose quando tutto ciò cui erano abituati era, spesso e volentieri, la miseria più nera.

Mascherati erano anche il resto dei presenti, chi in modo pomposo e plateale, chi in modo più sobrio, altri ancora con maschere di fortuna, raffazzonate alla meno peggio un attimo prima di uscire di casa. Clint si chiese se il re si fosse rifiutato di fare altrettanto per rendere ben evidente il disgusto che provava per gran parte di quella gente, inutilmente dissimulato tra incessanti sorrisi e battute di spirito.

I camerieri formicolavano tra gli invitati, solerti, rapidi ed invisibili – perché essere un fantasma silente è la caratteristica imprescindibile di ogni buon servitore. Avevano portato antipasti a non finire, una lunga processione di ampi vassoi d'argento che gli erano sembrati quasi avere vita propria, carichi di ogni leccornia possibile ed immaginabile. Il profumo arrivava fino a lui, lassù nella galleria, e lo stomaco ne aveva allegramente preso coscienza, mettendosi a borbottare impaziente.

Contemporaneamente era stato il momento dei vini, dello champagne, dei liquori dolci e delle acque aromatizzate che scorrevano beatamente dalle brocche ai bicchieri, dai bicchieri alle tovaglie. Le stoviglie, le posate d'oro e d'argento, le casseruole lucenti, i piatti di porcellana rimandavano il loro luccichio per tutta la sala, rifrangendosi nelle pitture e negli stucchi, brillando della luce dei grossi lampadari di cristallo che pendevano dai soffitti, appesantiti dal loro carico di candele e gocce trasparenti dalle forme perfette.

Clint continuava a sentirsi nauseato da tutto quello sfoggio di ricchezze, dai tappeti che nascondevano il sudiciume dei pavimenti, dagli arazzi che coprivano le pareti unte o annerite dal tempo, dalle grosse bacinelle piene d'acqua profumata sistemate ai quattro angoli della sala per nascondere l'olezzo di sudore ed essenze che gli invitati più facoltosi emanavano. Si era ormai abituato a quel bizzarro mescolarsi di odori sgradevoli e dolciastri quando più di cinque nobili si riunivano in una stessa stanza, ma non per questo lo trovava meno disgustoso.

Aveva seguito con lo sguardo lo spostarsi costante dei presenti, tentando di individuare le risate e le chiacchiere, di capire se qualcosa di sospetto fosse già in corso, ma da quel che aveva potuto osservare la festa procedeva tranquillamente.

Natasha era una sagoma nera che si spostava discretamente da un lato all'altro della sala, talvolta fermandosi a mangiare qualcosa... o meglio, a fingere di farlo, in compagnia del finto nobiluomo che l'accompagnava. L'aveva guardata passare davanti a ciascuna delle guardie appostate lungo le pareti, col preciso intento di captare qualche strano segnale: alcuni erano membri dello Scudo, altri potevano essere dei traditori pronti a contribuire alla dimessa del re Stark.

Provava una ridicola fitta allo stomaco tutte le volte che la vedeva gettare il capo all'indietro per ridere di una qualche battuta particolarmente divertente, o sorridere educatamente quando veniva presentata, sempre e comunque agganciata al braccio di quell'agente dello Scudo che Clint non conosceva. Il garofano rosso che portava appuntato sul petto sembrava quasi una macchia di sangue in tutto quel mare di nero che l'avvolgeva. Gli occhi degli invitati – ricchi o poveri che fossero – la cercavano in continuazione, quella misteriosa donna vestita a lutto, che più che una vedova faceva venire in mente la rappresentazione allegorica del peccato in persona. Se non altro, però, poteva godersi da vicino la festa.

A lui invece era toccato il compito di supervisionare il tutto da quella postazione sopraelevata dove a fargli compagnia c'erano solo i lampadari e qualche sparuta guardia, come lui impettita e irrigidita ma con lo sguardo ben fisso sugli spostamenti dabbasso.

Di finestre in quell'enorme ambiente non ce n'erano, ma Clint sapeva che il sole non era ancora tramontato. Di lì a qualche ora il re e i principali potentati del regno si sarebbero ritirati nel Salotto della Luna per un conciliabolo ristretto; dopodiché si sarebbero affacciati dalla vasta terrazza di cui la stanza era provvista e il sovrano avrebbe parlato alla folla. All'annuncio – magari seguito da qualche pretenzioso proclama – sarebbero seguiti i fuochi d'artificio che avrebbero colorato il cielo e fatto gridare di sgomento e meraviglia il popolo assiepato ai cancelli del palazzo reale.

Si chiese se non fosse possibile che tutto quella mobilitazione di forze e sotterfugi si rivelasse inutile, che in realtà il colpo di stato non fosse mai stato pianificato, che qualcuno avesse giocato loro un brutto scherzo. Dopotutto non suonava del tutto improbabile che fosse stato il re stesso ad inventarsi tutto per rendere la serata un po' meno noiosa.

Sospirò debolmente e aspettò che qualcosa – qualsiasi cosa – succedesse.

 

*

 

La lunga fila dei camerieri in livrea sciamò ancora una volta attraverso le doppie porte della sala, portando con sé quella che doveva essere la dodicesima portata del banchetto.

Natasha, però, non aveva mangiato o bevuto niente. Prima che tutti gli olii, le essenze, i talchi delle parrucche le mettessero fuori uso il senso dell'odorato, era sicura di aver sentito un profumo strano provenire dallo champagne e dal vino. I suoi sospetti erano stati confermati quando nel fondo del calice della nobildonna che le sedeva di fianco – una vecchia marchesa dai capelli quasi completamente grigi e il vestito lilla – aveva visto aleggiare una polverina biancastra.

Aveva tentato di mettere in guardia l'agente dello Scudo che l'accompagnava (o meglio: che la controllava), ma quello era rimasto sordo ai suoi avvertimenti, incapace di decifrare le sue occhiate allusive e assolutamente restio a lasciarla avvicinare per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Come se avesse potuto ucciderlo solo pronunciandogli un qualche sordido incantesimo in prossimità del viso.

Fece scorrere lo sguardo sulla tavolata, sugli invitati sparsi per sala: alcuni erano ancora seduti, altri in piedi e impegnati a parlottare in circoli più o meno ampi, qualcun altro – soprattutto signore dall'aria curiosa – era salito al piano superiore per godersi dalla galleria lo spettacolo delle acconciature, delle maschere, delle pietre preziose che adornavano il collo delle nobildonne più in vista.

Aveva notato che alcuni dei popolani presenti altri non erano che uomini di Trickshot. Aveva alzato lo sguardo e incrociato gli occhi di Clint che doveva averla guardata mentre passava in rassegna finti maniscalchi e sarti, e che le aveva annuito consapevolmente, facendole capire di essersene accorto lui stesso.

Sbocconcellò, senza assaggiarlo, il tortino al limone che le era stato messo nel piatto e di nuovo la sensazione di essere osservata la costrinse a rialzare il capo. Ma Clint, in alto sulla galleria, stava guardando altrove e allora con tutta la discrezione di cui fu capace, fece vagare pigramente gli occhi per la sala fino a posarli sulla favorita del re. Nonostante il salone pullulasse di traditori, era la donna a preoccuparla maggiormente. Era stata la postura ad attirare inizialmente la sua attenzione, il modo in cui la contessa sedeva rigida contro il velluto dello schienale. Lo stomaco le si stringeva fastidiosamente tutte le volte che la guardava o ne era guardata, perché ormai aveva capito che la sconosciuta aveva preso interesse nei suoi confronti. Magari da fuori sembrava solo una tacita rivalità tra donne, viste le attenzioni che molti degli invitati le stavano tributando, ma Natasha sapeva che si trattava di tutt'altro. Un sospetto gelido la tormentava ormai da ore senza che avesse il coraggio di formularlo chiaramente.

La osservò quietamente finché il re non si mise in piedi e batté le mani per ottenere silenzio.

“Finite in fretta i vostri dolciumi, signori: tra poco ci sposteremo nel Salone degli Specchi per dare inizio alle danze,” annunciò, guadagnandosi grida di giubilo e qualche applauso.

Natasha si rimise in piedi sulla scia di una decisione improvvisa, mentre l'avversione profonda che provava per quella gente iniziava a farsi quasi cosa concreta. Nobilastri, vescovi e cardinali che si complimentavano tra di loro per le cose più stupide, soddisfatti del cibo, del vino, di tutto quello sfarzoso spreco che le loro ricchezze potevano comprare, mentre altrove contadini in balia della carestia morivano di fame ed erano costretti ad abbandonare case, campi e fattorie in cerca di un lavoro in grado di sostentare la famiglia.

Qualcuno si alzò per farle un inchino mentre passava, altri osarono persino sfiorarle la schiena, come se avesse avuto bisogno di essere sostenuta per tenersi in piedi. Fu mentre aggirava il tavolo diretta alle scalinate di marmo, mentre faceva scivolare lo sguardo sui piatti, sui calici e sulle brocche di cristallo che una certa regolarità di distribuzione non le saltò agli occhi. In alcuni punti lo champagne fluiva ancora abbondante, in altri era quasi completamente finito. Osservò i volti mascherati di chi aveva ancora il bicchiere pieno, tentando di capire se avessero qualcosa in comune. Ma i camuffamenti erano troppo vari e lo stesso poteva dirsi per l'ordine sociale d'appartenenza.

Era arrivata in prossimità delle scale e del posto d'onore presso cui sedevano il re, l'erede Stark e la favorita, costantemente sorvegliati da un quartetto di guardie che sostava alle loro spalle... e in quel preciso momento se ne accorse: la nota comune erano i fiori. Chi portava un garofano giallo si era limitato – o molto più probabilmente completamente astenuto – nel bere. Tutti gli altri avevano ingerito parti più o meno consistenti di quella polverina bianca che aveva visto depositarsi sul fondo del calice della marchesa in lilla.

Finse di perdere l'equilibrio proprio mentre passava accanto al tavolo del re e cacciò persino uno strilletto acuto quando si aggrappò alla tovaglia per non cadere rovinosamente a terra. Si assicurò di provocare un contraccolpo sufficiente: il calice del re si rovesciò accanto al piatto, quello del giovane Stark si salvò perché l'aveva in mano, mentre il bicchiere della favorita irresponsabilmente abbandonato sul bordo del tavolo oscillò pericolosamente.

Fu questione di un battito di ciglia: la donna l'afferrò un attimo prima che cadesse a terra, dando prova di riflessi tanto straordinari quanto inconsapevoli. Natasha dissimulò la sorpresa mentre due delle guardie personali del sovrano si affrettavano a rimetterla dritta con l'aiuto del principe Anthony.

“Scusate, sono così maldestra... devo aver esagerato con lo champagne,” si giustificò in tono frivolo e rammaricato, mentre la favorita rimetteva a posto il calice con l'aria di chi è appena stato sorpreso a fare qualcosa di indicibile.

Natasha riconobbe sul suo viso il pentimento e la rabbia che premevano per affiorare sulla superficie del suo bel viso e tutto per colpa di quel gesto inconsulto che non aveva calcolato e che cozzava vistosamente con il personaggio che si era cucita addosso.

Non aveva più alcun dubbio.

L'amante del re era un'agente della Stanza Rossa.

 

*

 

Seguì Natasha con lo sguardo mentre l'orlo della gonna accarezzava i gradini di marmo. Aveva intuito che l'avrebbe raggiunto non appena l'aveva vista alzarsi, ma non si era aspettato di vederla inciampare una volta avvicinato il tavolo del re.

Non era ancora sicuro di riuscire a capire come una donna tanto agile potesse essere capace di una goffaggine tanto credibile, ma ormai sapeva che Natasha poteva questo ed altro.

Aveva ormai raggiunto il piano superiore e la galleria quando le maestose doppie porte del Salone Azzurro si spalancarono e i primi invitati cominciarono a defluire nel corridoio carico di candelabri che li separava dal Salone degli Specchi dove si sarebbe tenuto il ballo.

I gruppetti di signore che erano salite qualche tempo prima per giocare alle vedette si affrettarono a scendere nuovamente dabbasso: avevano chiamato per nome ed esaminato con maniacale attenzione gli abiti di tutte le presenti, ridacchiando delle parrucche più vecchie e dei pizzi più sciupati. Una delle più giovani si era persino voltata verso di lui per rivolgergli un sorriso malizioso e lui non aveva potuto far altro che ricambiare sentendosi un completo coglione.

Ma adesso c'era Natasha al loro posto, casualmente appoggiata alla balaustra ad almeno un paio di metri di distanza da lui.

“La favorita del re lavora per la Stanza Rossa,” disse seccamente e senza alcun preavviso. La serietà della voce strideva potentemente con l'espressione beata che stava sfoggiando.

Clint si costrinse a non guardarla, a puntare lo sguardo sull'esodo in corso al piano di sotto, sui musicisti che si facevano aiutare dalle guardie a trasportare gli strumenti. Ci vollero tre persone per sollevare il clavicembalo.

Il re, la contessa e il principe erano ancora fermi ai loro posti: probabilmente si sarebbero spostati per ultimi quando un nuovo ordine si fosse ristabilito nel Salone degli Specchi. Gli bastò lanciare una rapida occhiata alla donna per capire che non aveva motivo di dubitare delle parole di Natasha.

“Credi che sarà lei ad occuparsi del re?” Le chiese.

“E' sicuramente la miglior assassina a loro disposizione in questo momento.”

“E il principe?”

“Uno qualunque dei dignitari presenti.”

“Li separeranno,” constatò a mezza voce. Ormai ne era più che sicuro: dividerli ed ucciderli, quello sembrava il piano più sensato.

Natasha annuì una sola volta.

“Terrò d'occhio il re,” aggiunse, fintamente sovrappensiero. Aveva già cominciato ad allontanarsi, non potendo più rimandare il momento in cui avrebbe raggiunto gli altri invitati nel salone.

“Allora mi prendo il principe,” disse comunque Clint.

“Non bere o mangiare niente,” fu il suo ultimo ammonimento, ormai a malapena udibile, “quelli col garofano giallo sono i traditori.”

Clint l'accompagnò cautamente con lo sguardo mentre scendeva nuovamente le scale.

Stava ancora metabolizzando quelle nuove informazioni quando il coordinatore delle guardie accorse frettolosamente, rosso in faccia. Ringhiò loro di darsi una mossa e scendere al piano di sotto, chiedendosi a gran voce che cosa avesse fatto di male per meritarsi degli uomini tanto incompetenti.

Clint, che un'idea o due in proposito ce l'aveva eccome, si accodò alla breve fila delle guardie. Prima di abbandonare la sala, si affrettò a staccare un garofano giallo da uno dei vasi posti all'uscita e lo sostituì a quello rosa bordato di bianco che gli era stato assicurato alla divisa prima di lasciare il quartier generale dello Scudo.

 

*

 

Il conte la stringeva con tanta forza mentre la faceva volteggiare, che ad un certo punto non fu più tanto sicura se la volesse avere vicina o stritolarla per toglierla di mezzo.

“Oh, perdonatemi,” biascicò quello rivolgendole un sorriso sdentato. Era la quarta volta che le pestava in piedi.

“Non preoccupatevi, conte,” lo rassicurò.

Per quanto detestasse quell'inutile espediente, ballare era un'ottima scusa per girare il salone e tener d'occhio gli invitati. I grossi specchi che tempestavano le pareti le facilitavano il compito, permettendole di sorvegliare i riflessi di nobili, ecclesiastici e popolani quando fissare gli originali sarebbe stato troppo compromettente.

Il grosso dei presenti occupava il grande spazio centrale, ma diversi gruppetti si erano distribuiti sui divanetti gonfi sistemati ai lati del salone, sorseggiando champagne, vini e acque aromatizzate. I rappresentanti del popolino si erano assiepati vicino ad una delle grandi finestre di vetro e osservavano l'intrattenersi dei nobili così come avrebbero fatto di fronte ad un acquario che mettesse in mostra creature marine esotiche provenienti da un qualche favoloso regno dell'estremo oriente.

Qualcuno degli aristocratici si era azzardato ad invitarne un paio a ballare, uomini attratti dalle prosperose rotondità della sartina, donne dall'animo caritatevole che avrebbero danzato con il fabbro per poi parlare con le amiche – beandosi della propria ipocrisia – della sincerità d'animo dei bifolchi, di come la loro vita fosse più autentica e i loro occhi così vividi e in contatto con la natura. Certo, non sapevano come mangiare utilizzando le forchette e puzzavano come una montagna di letame, ma quanto sarebbe stato bello poter vivere con loro per qualche giorno e sorridere delle piccole, vere gioie della vita!

Le guardie si erano disposte lungo il perimetro del salone, concentrate in particolar modo nei pressi del divanetto su cui si erano accomodati il re e la favorita.

Il principe Anthony era seduto più in là, circondato da uno stuolo di giovinette soffocate dai loro abiti all'ultima moda confezionati per quella precisa occasione. Natasha si chiese quante di loro avessero ricevuto una lunga e nutrita raccomandazione dalle rispettive madri perché si mostrassero docili, ben educate e sempre pronte a lasciarsi spiegare parole e concetti troppo complessi per poi riasserire la propria ignoranza – l'erede al trono non avrebbe di certo sposato una donna intelligente, non una di quelle che non sanno tenere a freno la lingua e parlano a sproposito dimenticandosi che certi argomenti non competono ad una signora per bene.

Il giovane era molto più a suo agio adesso di quanto non lo fosse stato al banchetto, ma tutte le volte che si voltava verso il padre le sue spalle sembravano incurvarsi, come se si fosse appena ricordato del peso insostenibile che gli gravava addosso. Re Howard, però, non sembrava aver intenzione di considerarlo minimamente.

La canzone finì in quel momento e Natasha fu costretta a prestare attenzione al suo cavaliere, vistosamente sudato e rosso in faccia.

“Perdonatemi, milady,” si scusò lasciandola andare, “ma credo di aver bisogno di una pausa.”

Furono diverse le coppie a sciogliersi e ricollocarsi sui divanetti per rinfrescarsi con dolcetti e champagne, mentre l'orchestra riattaccava con un pezzo diverso, più movimentato.

Qualsiasi cosa i traditori avessero mescolato alle vivande, doveva aver cominciato a far effetto: a ballare erano rimaste coppie composte perlopiù da aristocratici e popolani che sfoggiavano il garofano giallo, mentre la parte più consistente degli invitati si era seduta come in preda ad una stanchezza impossibile da ignorare. Le teste ciondolanti e le palpebre così pesanti da minacciare di serrarsi da un momento all'altro.

Natasha accettò l'invito di un cardinale alto e smilzo che arrossiva tutte le volte che la guardava negli occhi, e ne approfittò per sondare discretamente la sala mentre l'uomo la conduceva debolmente a ritmo di musica.

Ad ogni giro il numero dei presenti che si era arreso al sonno cresceva. Colse il riflesso della favorita che sussurrava nell'orecchio del re, anch'egli in preda a quella subitanea pigrizia. Il sovrano sorrise e le baciò una guancia, stringendole il ginocchio con una mano attraverso la spessa stoffa verde smeraldo del vestito.

Li guardò mentre si alzavano stretti l'uno all'altra, come incapaci di resistere ad uno stimolo improvviso. Si defilarono in silenzio, seguiti fedelmente dal quartetto di guardie.

Natasha si affrettò a prendere congedo dal cardinale fingendo un insopportabile mal di testa.

 

*

 

Il cielo che si intravedeva dalle imponenti finestre si era ormai annerito del tutto: non doveva mancar molto al momento in cui il re si sarebbe ritirato nel Salotto della Luna per affacciarsi alla terrazza e salutare la folla riunita in strada.

O almeno avrebbe dovuto, perché il re se n'era appena andato con la sua algida amante e Clint si era a malapena trattenuto dall'accodarsi al seguito di guardie che li aveva accompagnati ovunque fossero diretti – sicuramente in una qualche area più appartata del palazzo – e si era dovuto limitare ad osservare Natasha che li seguiva discretamente senza farsi notare.

L'atmosfera era cambiata adesso che gran parte degli invitati aveva ceduto alle lusinghe del sonno... o della mistura che qualcuno si era assicurato di aggiungere allo champagne; tra questi anche svariati membri dello Scudo che si erano di fatto resi inutili per il momento decisivo. Clint sapeva che il grosso delle forze dell'ordine era stato dislocato altrove, mimetizzato tra domestici, cameriere e stallieri, e che sarebbero entrate in azione solo quando fosse stato assolutamente necessario, quando i traditori avessero scoperto il loro gioco.

I garofani gialli spiccavano dalle giamberghe e dalle acconciature di chi era ancora lucido e presente: alcuni ballavano sforzandosi di mantenere le apparenze, altri erano in piedi contro le pareti o seduti sui divanetti da dove lanciavano occhiate penetranti ai quattro angoli del salone, innervositi dalla tensione che andava man mano serrandosi.

I musicisti continuavano a suonare imperterriti: si arrestarono solo al potente squillo di tromba che li raggiunse dall'esterno e che fece tremare i vetri delle finestre chiuse.

Il principe Anthony si decise a deviare l'attenzione dalle fanciulle adoranti che lo circondavano per cercare il padre con lo sguardo. Clint suppose che quello fosse il segnale che avrebbe dovuto condurre re Howard a salutare i suoi sudditi, ma il sovrano se n'era appena andato e non sembrava voler accennare a far ritorno.

I più scaltri tra gli invitati ancora in possesso delle loro facoltà finsero sgomento, sorpresa e meraviglia in varia misura, chiedendosi dove fosse finito il re proprio adesso che avevano bisogno di lui.

Lo squillo di tromba si ripeté e allora qualche ecclesiastico si decise ad abbandonare la sala dopo aver annunciato di voler risolvere quell'infelice contrattempo. Il principe Anthony si era rimesso in piedi sotto gli sguardi allibiti e carichi d'ansia delle giovani nobildonne che l'avevano attorniato fino ad un secondo prima.

Non gli risultò difficile capire come si sarebbero evoluti gli eventi: l'amante del re l'avrebbe tenuto occupato tutto il tempo necessario affinché l'onere di arringare la folla non fosse ricaduto sul principe ereditario. Questo avrebbe obbligato il giovane a seguire cardinali e aristocratici nel Salotto della Luna e, dato che i fedeli alla corona erano praticamente tutti fuoriuso, si sarebbe ritrovato solo in balia di traditori che, nel momento decisivo, non avrebbero esitato.

E infatti gli ecclesiastici partiti con la missione di recuperare il re tornarono indietro con aria esageratamente rammaricata, riavvicinando il principe mentre si ammantavano di deboli rimproveri diretti a quel sovrano che preferiva il divertimento ai doveri che il suo ruolo gli imponeva.

“Non riusciamo a trovarlo,” si scusò un cardinale basso e tarchiato, congiungendo le mani grasse sulla pancia. “Toccherà a voi salutare il popolo, vostra altezza.”

“Non potete farlo voi?”

“Io?” Il religioso scoppiò in una risata allegra e gioviale, come se il giovane avesse appena detto la più grande sciocchezza del secolo. “Ragazzo, la tradizione vuole che sia un membro della famiglia reale ad occuparsene.”

“Non voglio farlo,” stabilì quello.

“Oh, vostra altezza, sarete perfetto,” insisté una delle fanciulle ancora sedute sul divanetto.

“Vedete?” Insisté il cardinale, che sembrava aver deciso di sorvolare su quell'intromissione inopportuna e, piuttosto, di approfittarne. “Non avete niente di cui preoccuparvi.”

Altri aristocratici si erano avvicinati per convincere il principe ad avvalersi di quell'inusitato onore, ma parlavano gli uni sugli altri e Clint non riuscì a distinguere ciò che dicevano. Fatto stava che tanto fecero e tanto persisterono che qualche minuto dopo, mentre risuonava il terzo squillo di tromba, il principe Anthony si lasciò condurre fuori dal Salone degli Specchi.

Clint si affrettò ad accodarsi alle guardie che si incolonnarono ordinatamente per seguirlo, mentre l'altra metà rimaneva a sorvegliare lo stuolo di invitati addormentati e quelli ancora svegli che adesso sfoggiavano visi pallidi e tirati dalla preoccupazione, forse dal rimorso.

La rapida processione si snodò attraverso il corridoio e lungo un percorso alternativo – più breve di quello che conduceva al Salone Azzurro – che li condusse al Salotto della Luna, collocato al piano superiore. Le doppie porte della stanza erano state prontamente aperte da servitori immobili come statue ai lati dell'ingresso, lasciando che il principe e poi nobiluomini e religiosi ne varcassero la soglia.

Mancava poco più di un paio di metri perché anche le guardie guadagnassero l'entrata, ma sul più bello le porte vennero chiuse dall'interno.

“Merda,” bisbigliò inudibile, mentre gli uomini in divisa si scambiavano occhiate perplesse, senza però avere il coraggio di mettere in discussione la decisione o di bussare per accertarsi che fosse tutto a posto.

“Non preoccupatevi. E' stata una specifica richiesta del principe.”

Clint si sentì gelare il sangue nelle vene, perché la voce che aveva parlato alle sue spalle gli risultò fin troppo familiare. Una smorfia disgustata gli riaffiorò sul viso e si voltò di scatto, proprio nel momento in cui risuonò il quarto squillo di tromba.

Grant, nella sua divisa d'ufficiale da cerimonia, gli rivolse un rapido, insopportabile sorriso.

“Prendetevi una pausa, andate a bere qualcosa,” suggerì di nuovo a tutte le guardie, senza però togliergli gli occhi di dosso. “Re Stark vuole che partecipiate alla festa come chiunque altro.”

Sul taschino destro della giamberga, sotto le luci tremolanti dei candelabri, brillava un garofano giallo.

 

 

Note: ooooh e siamo entrati nel vivo della festa! Per i capitoli d'azione (questo come i prossimi) mi sono servita dei POV alternati visto per dare un po' di dinamicità alla cosa. Clint e Natasha sono separati così come i due Stark e... insomma, la situazione non è delle più felici. Qualcuno aveva già intuito che Grant puzzasse di traditore, ma adesso ne abbiano una conferma... almeno che il garofano giallo non sia solo un diversivo. Chissà! Lo scopriremo nel prossimo capitolo :P
Intanto ringrazio come sempre chi legge & commenta, e la sociabeta Eli per tutto il resto ù_ù
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)

 
  
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