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Autore: Awesomissima123    16/01/2016    1 recensioni
Il naturale e solo epilogo laconico che Bulgaria aveva potuto dare all'umiliazione di due uomini.
Non ci fu punizione più grave e dolorosa di una verità totalizzante ed odiata.
Puzzavano di morte, si sentiva da miglia.
Puzzavano di morte e, tuttavia, non l'avrebbero mai raggiunta.
Portatori sani di morte.
Genere: Angst, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bulgaria, Romania
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccolissimo avviso: "Serghei" è il nome che io ho scelto per Romania. Detto questo, vi lascio alla lettura. Suudelma!






# 1916


«Non esistono patti in guerra. O al massimo esistono per essere rotti, che guerra sarebbe, altrimenti, Mircea?
Che Bucarest marci su Sofia, armate i porti di Costanta, rinforzate i castelli di Brasov, pretendete la leva, trascinate i giovani se necessario, uccidete le loro famiglie: incattiviteli più di quanto già non siano.»
«Ma, voivoda--.»
«E quando saranno in ginocchio, voglio i rappresentanti qui, in fila, davanti a me.
Tutte le città.
Trascinate Bulgaria qui, in ginocchio, voglio vedere direttamente le sue rotule.»

Con un gesto della mano zittì il sottoposto: aveva dato i propri ordini, l'incontro era chiuso. Guardò la cartina che aveva davanti, portando le pedine nere su Bucarest, Costanta e Brasov, con un gesto della mano, fece capitolare l'alfiere fermo sulla Bulgaria, come già era capitolato quello fermo sulla Serbia e riportò le nocche a mantenersi il viso.
Gli occhi cremisi si alzarono di nuovo sulla figura dell'uomo, infastiditi per averlo ancora lì, l'altro rabbrividì ma strinse i pugni e resse lo sguardo.
Romania inarcò un sopracciglio, perplesso.

«I nostri giovani non sono preparati alla guerra. Avremo un esercito di veterani.»
«Mi stai dicendo forse che non mi hai ascoltato? O, peggio, stai contestando le mie decisioni?»
«Le sto dando dei consigli.»

Quello che confuse Mircea fu la risata bassa di Romania che di umano conservava poco e niente.
Lo vide alzarsi, fu tentato di indietreggiare ma restò fermo al suo posto, il rappresentante era più basso di lui e nonostante questo, il viso troppo vicino al proprio lo fecero sentire piccolissimo.
Contrasse la mascella.

«Posso consigliarti, io?»

Confusione. Il tono gentile contrastava troppo con gli occhi affilati.
Deglutì.

«Da, voivoda.»
«Ti consiglio di ucciderti, ora. Non credo che alla tua famiglia giovi il dolore della tua morte unito all'esecuzione in piazza con l'onta di alto tradimento alla patria.»
«Voivoda.»
«É un consiglio. Tu hai figli, Mircea? Da, sono ancora bambini. Quanto vuoi traumatizzarli?»

Gli occhi rossi seguirono la mano dell'uomo, mentre prendeva il pugnale dalla fondina, lo vide portarselo alla gola, le labbra si incresparono in un sorriso eccitato quando la prima macchia di sangue colorò la pelle di Mircea, poi le dita gelide si allungarono a stringere il polso altrui, fermandolo.
Ancora confusione.

«Ma I'angelo del Signore lo chiamò dal cielo:
"Abramo, Abramo!"
- Eccomi! - gli rispose Abramo.
E l'angelo:
- Non colpire il ragazzo. Non fargli alcun male! Ora ho la prova che tu ubbidisci a Dio, perché non gli hai rifiutato il tuo unico figlio.»

Non ebbe la forza di rispondere e neanche di rantolare per il dolore, terrorizzato non per aver sfiorato la morte quanto per la follia palpabile del momento.
Le falangi gelide toccarono la ferita, si tinsero di rosso come gli occhi che si abbassarono a guardarle prima di tornare a lui.

«É la genesi. Puoi andare, Mircea.»


#1918


«Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
»

Si fermò, riprese fiato, sputò in direzione di chi lo trascinava, sputò sangue misto a veleno.
Mosse il busto convulsamente ma era inutile, le braccia erano legate dietro la schiena in un modo innaturale ma non gli dolevano, non più.
Non le sentiva, forse erano rotte entrambe.
Scoppiò a ridere.

«Sì, Amen.»

Cadde, fu trascinato, i capelli aderivano alla fronte, gli coprivano la visuale sporchi di fango e chissà quali altre schifezze.
Si rialzò, ancora rideva.

«Dice il Signore Dio: Io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene--

l'Onnipotente.
»

Sedò un conato di vomito, ancora le ginocchia sbatterono sulla pietra fredda e fu così che restò.
Le rotule, aveva parlato di vedere rotule.
C'era dell'insano nel contrappasso che voleva le uniche rotule a soffrire, fossero le sue.

«Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.»

Qualcuno lo sollevò, solo per spingerlo, ancora in ginocchio, fermo, sentì la presenza dell'altro, la sentì forte ed ancora le labbra erano increspate.

«Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni

Finalmente, come un lampo, il viso chino si alzò ed il cremisi incontrò il verde degli occhi altrui.

«e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.»

Questa volta urlava, la voce tacque istantaneamente e la schiena tremò mossa dall'ultima insensata risata mentre il volto si abbassava ancora per sputare ai piedi del bulgaro.

«Ma il Signore gli disse: "Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte."

Abbandonò la guancia sul pavimento gelido.
Continuò a ridere.





«Hai perso il lume della ragione.»


Romania dondolava la testa ad un ritmo che solo le sue orecchie erano capaci di udire, Bulgaria restava in piedi, le braccia in conserta a guardarlo dall'altro e si chiese se ci fosse più degrado in un re che si trascinava sui fasti dell'antichità o in un conte spezzato e ridotto ad un folle e ridicolo giullare. Lo sguardo verde del bulgaro si assottigliò quando il romeno alzò le dita all'altezza del proprio volto, anche quelle si muovevano a ritmo.

A Romania restava il silenzio della follia in una melodia muta.

A lui, il ticchettio inesorabile del tempo che scorre.

Una condanna a morte per entrambi.


Magari.


«Non-ho-per-so-pro-prio-nulla

Canticchiò Serghei, non accennava ad alzarsi, non accennava a fare movimenti se non quelli della testa e delle mani. Bulgaria non fu di diverso avviso, continuava a guardarlo a provare ad interpretarlo e non serviva a nulla se non ad incrementare la rabbia che faceva vibrare le sinapsi e con scariche elettriche, riusciva a far tremare qualunque terminazione nervosa. Non c'era via di scampo, non c'era via d'uscita.
Non c'era pace, non era concessa.
Non c'era morte, non era permessa.

C'era il limbo. E Romania snervante in quel limbo.
Con uno scatto, Bulgaria, si portò le mani ai lati delle tempie: il silenzio era assordante, il ticchettio sferzava sui suoi timpani e penso che non doveva essere male uscire di senno sino ad ascoltare musiche inesistenti, non doveva essere malvagio reinventarsi per riempire il vuoto del silenzio.


«Basta, stai fermo. Stai zitto.»

«Oh. Non voglio zittire. Stai zitto tu. Mh?»

«Alzati.»

«Non ho più le gambe.»

Romania rantolò, si teneva il petto, si tastava le ginocchia e continuava a ripeterlo: “Io le gambe non le ho più”. Fu insopportabile, come poteva riuscire a partorire pensieri coerenti con l'altro che, imperterrito, progrediva sulla via della pazzia e sembrava crogiolarsi nell'irritazione del bulgaro.

Si sbagliava, 'ché bulgaria non era irritato quando sfiancato da una visione tanto umiliante e bassa.

Gli afferrò le spalle, lo costrinse in piedi. Le labbra di Romania si spalancarono.
Passarono diversi secondi prima che Bulgaria si accorgesse che Serghei stava urland.

Era innaturale.

Non era umano. Ed era così acuto. Così assurdo.

Surreale tanto da ferire.


Insopportabile.


Non servì scuoterlo, non servì provare a coprirgli la bocca con una mano.
Il cazzotto partì d'istinto, Romania tacque.
Il silenzio tornò ingombrante tra di loro e Bulgaria si sentì pesante: pesava più il fardello dei secoli o gli avvenimenti contemporanei?
No.
Pesavano le mani di Romania artigliate alle proprie spalle, pesavano i singulti a vuoto: respirare così velocemente non lo avrebbe aiutato a recuperare aria, né a sedare il dolore.
Pesò ancora di più la guancia del romeno appoggiata al suo sterno, quanto pesava l'affanno.

«Bul, mi hai colpito.»


La voce non era incredula, non stupita: quella aveva tutta l'aria di una constatazione, una presa visione dell'accaduto e Romania sembrò eccessivamente calmo. Non lo guardava, respirava solamente, continuando a stringere le dita al tessuto della giacca della sua divisa e Bulgaria annuì, con le mani penzoloni lungo i propri fianchi, 'ché ora sembrava a lui di non riuscire più a respirare: quel che, in quel momento, si rivelava pesante, era Serghei, nonostante la fisicità più minuta.
Cosa rappresentava? Una carta riarsa che s'accartocciava su sé stessa che da sola aveva acceso il fuoco del proprio rogo.
Quella presa, quel respiro profondo, marciavano sul petto del bulgaro più delle milizie che diverso tempo prima avevano marciato su Sofia. Deglutì ed ancora afferrò i suoi avambracci per allontanarselo: non riusciva più a respirare. 

Portatori sani di morte.

«Avrei voluto vederti agonizzare.»

Ed anche questa fu una semplice constatazione dalle labbra del rumeno.


«Avrei voluto amarti in maniera convenzionale.»

Il naturale e solo epilogo laconico che Bulgaria aveva potuto dare all'umiliazione di due uomini.
Non ci fu punizione più grave e dolorosa di una verità totalizzante ed odiata.

Puzzavano di morte, si sentiva da miglia.
Puzzavano di morte e, tuttavia, non l'avrebbero mai raggiunta.

Portatori sani di morte.


«Mi hai colpito ancora.»












Oh. Bene.
Chi non muore si rivede. Infatti, rieccomi con qualcosa di leggero-leggero, restando fedele al mio stile. Cosa dire?
In realtà da dire c'è davvero poco, mi sento esausta dopo aver scritto questa fanfiction, sopratutto per lo studio che c'è dietro e per il lavoraccio fatto nell'immedesidarmi a realtà prima completamente estranee a me. In ogni caso, dubito fortemente sarei mai riuscita a scrivere qualcosa del genere senza il dovuto sostegno di chi m'assiste e di chi mi ha invogliato a terminare una delle tante storie in cantiere e mai concluse. Tornare a scrivere su questa serie è un po' come tornare a casa: rinfrancante ma a tratti malinconico e nostalgico. Potrebbero o non potrebbero arrivare altre RoBul/BulRo, recentemente i miei interessi si sono spostati nella zona balcanica.
Come potrebbero spuntare delle SveNed (sì, avete letto bene), o persino una miriade di SuFin.
No, nessuna spamano in cantiere, per il momento. Lo so, non uccidetemi.
Vi lascio tranquilli.
Ringrazio chi ha letto e ringrazio chi sceglierà di farmi sapere il proprio parere (oh, com'è strano dirlo dopo tanto tempo!)
Alla prossima!







   
 
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