Mi dicono di non salire. Io continuo
a ticchettare sulle
scalette metalliche. Dall’altra parte, silenzio. Una voce
muta continua a dirmi
di lasciar stare. La ignoro.
Sono su. Scosto il sipario ed entro
in scena. Di fronte a
me, nella semioscurità, schiere infinite di sedili rossi.
Vuoti.
Non c’è nessuno.
Possibile?
La voce invisibile continua a dirmi
di scendere, di lasciar
perdere. Eppure…
No. Io sono qui per questo. Non ho
fatto tutta questa strada
che non ricordo nemmeno di aver fatto per… niente. Quindi
apro la bocca e
comincio a recitare per un pubblico inesistente. Parlo per ore, ho la
gola
secca, ma non mi fermo. Parlo, parlo, e non so cosa sto dicendo, non
sento la
mia voce, parlo senza pensare. Che sia l’Amleto, Aspettando
Godot o una filastrocca,
io ripeto e ripeto, finchè non trovo più le
parole.
Ecco. Ho finito il mio monologo. Mi
inchino alle sedie
vuote, e aspetto.
Dalle ombre della sala emerge un
uomo, vestito da maschera.
Mi guarda.
Mi aspetto un qualche commento sulla
mia interpretazione,
positivo o negativo che sia, l’importante è che
qualcuno abbia ascoltato ciò
che avevo da dire!
L’uomo sospira, poi
sprezzante fa:
-
E ora?
Come “E ora”?