“Guarda avanti”
Inserita
la chiave nella toppa della porta, l’esausta donna tirò un sospiro di sollievo.
La fine del freddo, grigio giorno era oramai giunta e lei, rientrata ora tra le
quattro familiari pareti, poteva sentirsi di nuovo libera, perlomeno sino all’alba
seguente. Un panino veloce, una birra e subito a letto: quello il piano da
seguire, non di certo una serata tra le più piacevoli. Scalciate le scomode
scarpe, si mosse verso la cucina, solo per trasalire all’udire di un rumore
sospetto. Qualcuno era entrato in casa.
Afferrata
prontamente la pistola riposta sul piccolo mobile da lavoro all’ingresso, si
mosse molto lentamente decisa a tentar la sorte. Era lì e d’improvviso una voce:
-Non
sparare. Accendi la luce prima di commettere un errore-
Fece
come richiesto. Riconobbe prontamente l’uomo seduto su di una delle rosse
sedie. Le mani protese in alto a segnalar una resa, un leggero sorriso dipinto
sul viso:
-Cosa
ci fai qui, John?- domandò con un filo di voce, visibilmente scossa dallo
spavento.
-Volevo
vederti- replicò. –Ho bisogno di parlare con te-
Studiava
i suoi occhi verdi, le labbra imbronciate come quelle di un bimbo che ha
commesso ben più di torto. Le mani incrociate, lo sguardo supplicante. Un
brivido lungo la schiena:
-Potevi
parlarmi prima- ricominciò, rivolgendo lo sguardo alla finestra, troppo debole
per non perdersi in quel mare. Preferiva la vista della città, quieta e
addormentata.
-Lo
so. Capisco come ti senti, Christine. Mi spiace- ribattè
fermandosi un momento prima di aggiungere. – E che avevo paura tu tentassi di
farmi cambiare idea-
Voltandosi
di scatto, lo interruppe.
-Ovvio,
avrei fatto il possibile per farti cambiare idea. Cristo, come hai potuto andar
via! Senza neanche salutarmi…-
-Ti
ho scritto una lettera- il tono caldo della sua voce non riusciva a
rassicurarla, non questa volta.
-Sì,
lo so. La conservo ancora- disse, stanca della tristezza di quelle ricorrenti
parole, della sua smorta voce. Voleva gridargli contro, eppur non ci riusciva. –
Non mi ha detto molto, devo esser onesta- respiri profondi, la testa cominciava
a girare, - Senti John, domani ho da lavorare. Cosa vuoi?-
-So
anche questo, è solo che volevo parlarti… mi manca
parlare con te-
-Manca
anche a me. Ma di chi è la colpa, eh?- parole rotte dal dolore, ferite non
ancora rimarginate.
Nessuna
riposta, al che provò un sincero pentimento per ciò che aveva appena detto.
Guardava attentamente l’uomo seduto dinanzi a lei, i suoi occhi stampati sul
suo volto, i suoi vestiti. Maniere che un detective porta con sé tutta la vita.
-Sei
ridotto male- commentò brevemente.
John
guardò al suo completo grigio. Nonostante il colore, riusciva a intravedere una
grande macchia, proprio vicino alla tasca. La solita penna che non collaborava.
Inutile passarci le mani, avrebbe completato l’opera. L’imbarazzo incurvò le
sue labbra:
-Noto-
disse toccandosi lievemente la fronte.
-Cosa
c’è?- domandò, per quanto arrabbiata.
-Un
po’ di mal di testa, niente di che. Non preoccuparti- le rispose, portando
entrambe le mani pigramente lungo i fianchi.
-Mi
spiace, non ho niente con cui aiutarti-
Un
sorriso accompagnò la sua risposta. –So anche questo,
sei sempre stata sbadata. Comunque cambiamo argomento, chi è il tuo nuovo
partner?-
-Per
ora lavoro ancora da sola. Il capitano è assorto nella sua personale campagna
di lotta al crimine, parole e pochi fatti. Non che mi dispiaccia comunque. Io e
te…- si fermò prima di cadere nel suo stesso
tranello.
-Non
dire che ci completiamo- sorrise, distendendo le braccia come ad indicare un
abbraccio, -Che mi dici dei miei casi ancora aperti?- aggiunse curioso.
-Sono
stati divisi equamente. Non ti deluderemo-
-Il
caso Tompson?-
-Assegnato
a me, contento?-
-Il
cugino, ricordati di interrogare il cugino. Fidati, lo so- commentò divertito.
Annoiata
dalla sua solita sicurezza, dall’assurdità della cosa. Christine rilanciò la
discussione su altri lidi:
-Hai
gettato tutto, ti sei tirato indietro. Carriera, famiglia…
amici-
-Non
so cosa dire. Non volevo ferirti Christine. Avevo bisogno di andare avanti. Mi
serviva qualcosa di più, se avessi esitato…-
-Avrei
preferito così!- gli urlò con voce pesante, rotta dall’imminente pianto.
L’uomo
alzò lo sguardo, affrontando quella coltre di lacrime e dolore, senza difese: -La
decisione è stata mia. Immagino le difficoltà, ma era tempo per me. Non posso
riposare sino a che non andrai avanti, per questo sono qui. Per un addio-
Sentiva
la gentilezza, il tentativo di confortarla, ma tutto era vano. Ma il senso di
colpa era troppo, troppo da uccidere con un finto sorriso,
-Avrei
dovuto starti vicino. Capire i segnali che mi stavi inviando, avrei dovuto
saperlo. Potevo salvarti- calde lacrime, tra i singhiozzi e mormorii di dolore,
rassegnazione.
-Ero
un suicidio in prognosi dall’età di dodici anni. Non è colpa tua. Lasciami
andare, liberati di questo peso. Fallo per me, Christine, torna a vivere-
****
La
sveglia trillò imperiosa destandola dall’agitato sonno. Svogliata, portò
prontamente una mano al comodino per spegnerla, poi si tirò su, inebetita e con
gli occhi impastati. Era stato tutto così reale, tutto così vivido. Di fronte a
lei, sulla poltrona in pelle della sua camera il suo vestito nero, quello da
indossare per il funerale. Era giunto il giorno, il giorno per dire addio al
suo amico di sempre.
Fine