Tutti i suoi
successori hanno sempre corso in quel buio.
Chi per salvare qualcuno, chi per sfuggire a quegli esseri, chi solo
per paura.
Tutti i suoi successori correvano, inciampando e rialzandosi,
probabilmente
senza speranze, con il po’ di coraggio che andava scemando ad
ogni passo e
un’arma di fortuna tra le mani per difendersi
dall’oscurità. E come biasimarli?
Avvolti nelle tenebre, soli, privati di ogni umano aspetto della vita,
se non
con qualche incontro occasionale che il più delle volte
sarebbe finito nel
sangue.
Ma
quell’uomo non correva, era ben addestrato. Anche
nell’oscurità avanzava con cautela, tastando il
terreno e valutando le mosse.
Tanto che fino a quel momento era riuscito ad evitare molti degli
incontri poco
piacevoli da cui i suoi successori, più ingenui, non erano
riusciti a
sottrarsi. Ma ora le tenebre erano diventate troppo buie anche per lui,
e per
il suo equipaggiamento elettronico. Il visore poteva amplificare la
luce
flebile; ma in un mondo dove la luce naturale non esisteva
più era
perfettamente inutile. Si sarebbe dovuto affidare a metodi
più pericolosi. Ad
una torcia, ad esempio, che avrebbe rivelato immediatamente la sua
posizione.
Tutto
ciò avrebbe fatto perdere d’animo chiunque, ma lui
ricordava ancora la sua missione ed era intenzionato a portarla a
termine. Per
cui si avventurò per la città alla ricerca del
suo obbiettivo: Dahlia
Gillespie.
Fu
all’improvviso: il suono di quella sirena si sparse
per l’aria e la terra cominciò a tremare. Questo
non l’aveva previsto, stava
succedendo troppo in fretta! Erano passate poche ore da quando la casa
della
donna aveva preso fuoco, eppure la città si stava
già trasformando. E di Dahlia
non c’era traccia. Che il rituale fosse già
compiuto?
Non
poté pensare ad altro, il sisma divenne sempre
più
intenso, al punto da non permettergli più di mantenersi in
piedi. Finì in
ginocchio, e per reggersi mise una mano a terra. Fu così che
se ne accorse: il
pavimento era caldo, bollente; quando tirò su la mano,
notò che le dita che
spuntavano dai guanti
erano arrossate.
Il fucile che reggeva diventava sempre più pesante, tutto
sembrava riscaldarsi
e appesantirsi per qualche forza che fuggiva le leggi naturali. Poi
guardò
verso l’orizzonte. Era distorto, si vedeva a mala pena ad una
decina di metri
con la torcia puntata, e la luce tremava vertiginosamente. Sembrava un
vortice
oscuro, una spirale in cui la luce precipitava come in un buco nero,
senza la
possibilità di uscire.
Poi il
colore rosso. Il rosso del sangue, il rosso del
fuoco, il rosso della carne nuda, il rosso della ruggine del ferro, il
rosso
profondo del dolore infinito. Era l’unico colore che
l’orizzonte restituiva
davanti ai suoi occhi, e divenne sempre più intenso,
inghiottendo metro dopo
metro lo spazio di fronte a lui. Lo travolse con impeto, trasformando
l’ambiente tutt’attorno. Non riconobbe
più le strade, i marciapiedi, i palazzi
tutt’attorno. I piedi affondavano in un fango rossiccio e
appiccicoso, che
colava inesorabilmente verso il basso, rivelando una grata rugginosa,
pericolante.
L’ospedale
distava poche decine di metri, e così anche
lui, vedendo tutto ciò, prese a correre. Girò
velocemente l’angolo e vide nel
buio un’altra luce traballante. Era un altro uomo. Scappava
dall’ospedale con
una corsa forsennata, andando alla cieca. Prese a correre nella
direzione
opposta alla sua, per cui tutto ciò che poté
vedere furono le sue spalle larghe
che venivano inghiottite dal buio. Allora si voltò verso
l’ingresso
dell’ospedale, ma era troppo tardi.
Prima che le
fiamme lo investissero avrebbe giurato di
vedere al centro di quell’inferno una bambina. Poi
riuscì solo a gridare. Ma in
quel luogo anche i suoni si perdevano presto, perciò nessuno
poté udire il suo
grido…
Cheryl
uscì dalla stanza vestita
con una camicia di seta e un pantalone a coste, non proprio nel suo
stile. Si
sentiva costretta nei movimenti e le dava fastidio il rumore che quella
stoffa
produceva quando camminava. Anche la seta le dava una strana sensazione
sulla
pelle, un fastidio che non aveva mai provato. Quando vide Douglas
sorridere
puntandole gli occhi addosso, si innervosì maledicendo
mentalmente Cybil, la
proprietaria di quei vestiti così strani. Spostò
lo sguardo su di lei pronta a
fare qualche battuta sarcastica, ma la trovò accigliata, con
lo sguardo fisso e
severo. In effetti si stupì di quanto velocemente lei stessa
si era ripresa da
quell’incontro macabro, come se ormai per lei fosse naturale.
Come se gli
incubi fossero all’ordine del giorno.
Cybil
era una persona razionale
invece, poco aveva a che fare con gli istinti e con le abitudini. La
sua mente
era già persa in mille domande: come hanno fatto a evocare
l’oscurità così in
fretta? Chi c’è dietro a questa aggressione, ora
che Dahlia e Vincent sono
morti? Ma soprattutto, perché tutta questa fretta? Domande
le cui risposte
erano troppo lontane, nel cuore di quella città che ha
infestato gli incubi di
tanti: Silent Hill.
“Non
finirà mai questa storia
vero?” La domanda colse alla sprovvista Cybil, che
rialzò lo sguardo stanco
come destata da un sonno senza sogni. Aveva bisogno di riposo. Tutti
loro
avevano bisogno di riposo.
Si
fece forza, sorrise e rispose.
“Non è detto…come dicevo a Douglas si
vede che anche loro sono all’angolo, sono
pochi e poco organizzati. Forse se agiamo
velocemente…”
“Allora
che ci facciamo ancora qui?
Tu sai qualcosa, sai dove sono, non è così?
Allora andiamo colpiamoli noi prima
che tornino”
“Ho
detto che dobbiamo agire
velocemente, non in maniera avventata!”
A
quella risposta Cheryl soppresse
un brivido di nervosismo con una smorfia.
“Si,
è vero – continuò Cybil –
sono
deboli anche loro, ma sono ancora imprevedibili. Padre Vincent
è morto ed io
ero convinta che fosse lui a muovere i fili economici
dell’organizzazione. Ha
costruito lui quella chiesa vicino al parco divertimenti, per cui
pensavo che
la sua morte li avesse destabilizzati un po’. Invece ci hanno
riprovato a
distanza di 5 giorni, è troppo poco!”
Cheryl
ci pensò a sua volta. In
effetti era davvero troppo anche per loro. Ma forse, pensò,
avevano accelerato
perché sapevano dove si trovava la sua abitazione e non
volevano aspettare un
sicuro trasferimento che avrebbe reso più difficili le
ricerche.
A
questo pensiero si paralizzò. Per
la prima volta da quando era tornata da Silent Hill aveva finalmente
pensato ad
un futuro. Era convinta di non averne uno per cui non ci aveva mai
riflettuto
un attimo. Ma ora si rese conto della sua situazione: aveva 17 anni,
non un
lavoro, la scuola da finire, non aveva mai neanche pensato
all’eventualità di
doversela cavare da sola, aveva sempre fatto affidamento sul padre che
l’aveva
sempre protetta fino a quel momento. E ora si trovava sola di fronte ad
un
futuro incerto che probabilmente l’avrebbe ricondotta in
quella città ancora
una volta. Come avrebbe fatto a trasferirsi? E dove? Senza nessuno che
l’avrebbe aiutata, non un parente, non una persona fidata. La
disperazione
cominciò a farsi strada nel suo cuore. L’Ordine le
aveva portato via tutto
quello, tutta la sua vita.
“Cheryl”
Si
destò come da un incubo. Trovò i
visi rassicuranti di Douglas e Cybil a fissarla.
“Andrà
tutto bene!”
Cheryl
ne era ancora poco convinta.
Distolse lo sguardo, quasi con capriccio e cercò di essere
indifferente. “Comincerà
ad andare bene quando potrò cambiare questi
pantaloni!”
Cybil
sorrise. La sua reazione
prometteva bene, ma continuava ad avvertire la sua preoccupazione.
Cheryl
continuò. “Parlami ancora di
Silent Hill”
La
riconobbe subito, ma
aveva un ché di strano sul viso. Non era la ragazza dolce
che era stata fino a
quel momento. Nei suoi occhi si poteva scorgere una rabbia che mal si
addiceva
al suo viso. Le sue visite erano sempre più rade da qualche
tempo, sembrava
meno interessata alla verità, così
pensò semplicemente che avrebbe lasciato
perdere. In effetti non la vedeva da quasi un anno. E invece era
lì quella
mattina, scura in volto, complice forse anche l’ambiente di
quell’edicola,
sempre più ombroso rispetto all’esterno. David
guardò negli occhi Cybil Bennet
che rimase all’ingresso senza muoversi. Rimasero per un
po’ senza parlare, solo
guardandosi l’un l’altro. David conosceva bene
quello sguardo, lo temeva: era
lo sguardo di chi non ha più nulla da perdere. Lo sguardo
sicuro e folle di chi
rimane solo con uno scopo.
Cybil
si avvicinò, arrivando
al bancone. Solo quel tavolo in legno separava i due.
“Voglio
trovarli” sussurrò
Cybil con fare minaccioso.
David
intuì che era successo
qualcosa di grave. Guardò oltre la porta di ingresso, come
per capire se
fossero davvero soli. Si potevano sentire i rumori
dell’esterno, delle persone
lontane, impegnate a chiacchierare tranquillamente.
“Che
cosa è successo?”
chiese con la sua voce roca.
“Voglio
trovarli!” ripeté
Cybil senza dare ascolto. Erano passati cinque giorni da quando Harry
era
andato via senza lasciare traccia. Inizialmente Cybil aveva provato a
cercarlo,
ma non aveva alcun indizio. Non una lettera, non un documento
riconosciuto,
nulla. Non aveva nemmeno noleggiato un auto. Almeno non con il suo
nome. Quando
si rese conto di essere sola per davvero, di non avere più
nessuno da
proteggere…di non avere più nessuno che la
proteggesse…allora si decise: decise
che avrebbe trovato quelle persone! E quelle persone
l’avrebbero pagata cara!
Ma
David tutto questo non
poteva saperlo, non riusciva a capire nulla di quanto stesse succedendo
e
l’apparire di quella donna così
all’improvviso non era uno dei migliori segni
per lui. Doveva ovviamente vederci chiaro.
“Vai
al bar aspettami lì,
arrivo fra mezz’ora”
Cybil
non aspettò un’altra
parola, si voltò per avviarsi, ma la voce di David la
fermò di nuovo. “Non
questo bar di fronte. Esci da qui e gira a destra, quando vedi la
stazione di
polizia gira di nuovo. Segui le indicazioni per il centro commerciale,
entra e
vai al secondo piano. Non restare fuori ma entra nella sala interna,
aspettami
lì”
La
richiesta un po’ spiazzò
Cybil, ma non se ne curò, e fece esattamente ciò
che quell’uomo le chiese. Era
il suo unico collegamento con la città, l’unico
che riusciva a fornirle delle
informazioni preziose.
Al
bar chiese un caffè e
aspettò pazientemente senza mai muoversi. Teneva la pistola
dietro la schiena,
il che la infastidiva non poco, ma sapeva di non poter più
girare senza, né
poteva tenerla in un fodero. Da investigatore privato non le era
più concesso
girare armata fuori servizio.
Tre
quarti d’ora aspettò,
stava quasi per perdere la pazienza, quando finalmente si sedette David
Hunter
con una sigaretta spenta in bocca. La guardò con un
sopracciglio alzato, poi
ordinò un caffè a sua volta. Quando la cameriera
fu abbastanza lontana,
cominciò a parlare. “Pensavo non saresti
più tornata”
Cybil
distolse lo sguardo
nervosa. Il che rese il suo interlocutore più curioso.
“Cos’è
successo?”
“Ci
hanno trovati prima
loro!”
David
apparentemente ebbe
una reazione molto composta, ragionata. Ma deglutì a
quell’affermazione. La
cameriera tornò con il caffè, il che diede il
tempo all’uomo di ragionare sulla
domanda successiva.
“Chi
vi ha trovato?”
“L’Ordine.
E ora è andato
tutto a rotoli. Ho perso tutto!” disse Cybil trattenendo a
stento le lacrime
“Cosa
cercavano?”
“Non
importa cosa cercavano…ora
non c’è più”
“Chi
non c’è più?”
L’insistenza
di David era
quasi fuori luogo, sembrava quasi un interrogatorio. Cybil non sapeva
che fare,
la sua fiducia era a zero, non riusciva a fidarsi neppure di
quell’uomo che le
aveva dato tutte quelle informazioni. Eppure non sapeva
cos’altro fare. L’unica
speranza di rivedere Harry per lei era quella di trovare e distruggere
finalmente quella setta di folli invasati.
“Loro…cercano
una
bambina…pensano possa essere la madre di Dio”
“Che
bambina?”
Si
maledisse non appena sentì
quella domanda. Ricordava bene cosa successe l’ultima volta
che raccontò quella
storia a delle persone. Ma era la resa dei conti: era il momento in cui
capì di
essere davvero disperata, era il momento in cui il rancore e la sete di
vendetta si palesarono in tutta la loro potenza, abbattendo la ragione
lucida. “Alessa!”
L’uomo
alzò un sopracciglio.
Cybil non seppe interpretare quella reazione. Forse non ci credeva, o
forse non
aveva capito di chi stava parlando. Forse pensava solo di avere di
fronte una
pazza. E in fondo come biasimarlo?! Era stato lui stesso a dirle che
quella
bambina era morta quasi tredici anni prima. Ma Cybil sostenne lo
sguardo
perplesso dell’uomo…non aveva mai notato come
quegli occhi verdi fossero
penetranti. Sembrava stesse analizzando direttamente la sua anima.
Poi
per un momento lo
sguardo sembrò puntare oltre le spalle della
ragazza…ma fu talmente
impercettibile da diventare in breve un pensiero scacciato.
“Alessa…
- riprese l’uomo - …Gillespie?”
Cybil
inspirò, ma non emise
un suono. Si limitò a fare un cenno deciso con la testa
senza mai interrompere
il contatto visivo.
L’uomo
si rigirò la
sigaretta fra le dita e appoggiò i gomiti sul tavolo.
Assunse un’aria seria.
“Ammettiamo
per un attimo
che Alessa Gillespie non sia morta in quell’incendio. Diciamo
che potrei
crederti perché a dichiarare il decesso è stato
Kaufmann, che mi ispira poca
fiducia…tu hai parlato di una bambina…ma a occhio
e croce questa bambina
dovrebbe avere una ventina d’anni!”
Cybil
deglutì.
“Inoltre
c’è un’altra
domanda a cui non riesco a dare una risposta: perché Alessa
è con voi? C’entra qualcosa
la sparizione della madre 5 anni fa?”
Cybil
sorrise…un sorriso di
sfida, di rassegnazione, un sorriso che era un azzardo, rispecchiava la
sua
volontà di tentare il tutto per tutto, e di tentarlo proprio
con quell’uomo che
ascoltava indisturbato e provava razionalmente a spiegarsi tutto. Ci
provava
proprio con quell’uomo che le concedeva il beneficio del
dubbio davanti ad un’affermazione
che avrebbe disorientato chiunque, che avrebbe fatto dubitare delle sue
facoltà
mentali.
E
decise in un solo momento…
Ne
è passato di tempo, non è vero?! Pensavate mi
fossi
dimenticato della bella poliziotta e della ragazzina indifesa lasciate
su un
divano tanto tempo fa?! No, signori: riecco la storia After the
Darkness,
continua ricominciando il racconto dopo il macabro incontro e la fuga
improvvisa.
Qualcuno
avrà perso la voglia di seguirmi, qualcuno nuovo
forse si affaccerà per dire la sua…spero solo di
non inciampare in qualche asse
di ritorno sul palco della scrittura, che adesso cerca nuovi orizzonti
fertili,
ma non dimentica le sue origini!
Bentornati
a Silent Hill signori, il treno verso l’inferno
è pronto a partire