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Autore: kasumi    22/01/2016    0 recensioni
Si parla ancora di abusi. Lei è attratta da lui, ma non è facile avere a che fare con qualcuno che ha visto e fatto troppo.
(estratto ed adattato dalla mia long 'lo scopo di un'anima')
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuori avvelenati

 

 

Lo vedo entrare in sala da pranzo e finire di infilarsi la maglietta, di ritorno dal bagno. Ha appena fatto una lunga doccia calda ed il vapore si sta diffondendo nel corridoio dalla porta lasciata aperta. Gocce d’acqua pendono dai suoi capelli e scivolano sulla fronte, prima che un asciugamano si affretti a tamponarle.

 

«Resta.»

 

La parola rimane sospesa nell’aria. Lo vedo bloccarsi e guardare un punto a caso della moquette sul pavimento, evitando accuratamente di incontrare il mio sguardo.

Vorrei pregarlo di rimanere - e magari di fare l’amore con me- ma ho paura di risultare troppo patetica.

«No.» Dice semplicemente e getta l’asciugamano su una sedia, con la solita fastidiosa calma e freddezza.

Non sono abituata a sentirmi dire un “no”, e detto da lui fa ancora più male.

«Non so che cosa ti aspetti di trovare là fuori, ma... »

Mi guarda, senza cambiare espressione.

«Non cercarmi più.»

E' troppo e sento i miei occhi spalancarsi. Sentirlo rinnovare le distanze e ribadire che devo stargli alla larga, mi fa raggiungere il limite.

«Non vedi proprio l’ora di andartene, eh? Ti faccio così schifo?»

La mia voce è uscita più stridula e irritata di quello che avrei voluto.

«Che diavolo stai dicendo ora?» La sua si alza di qualche ottava, stupita e seccata.

Finalmente ho una reazione! Sento l’adrenalina che scorre nelle mie vene. Sono eccitata e al tempo stesso spaventata dalla piega che potrebbe prendere la discussione. Mi avvicino con la sfida dipinta sul viso e mi sfilo la maglietta, mostrando il busto e il petto fasciato nel reggiseno.

«Ti fa così schifo ‘questo’, eh?» Poggio una mano stretta a pugno davanti al mio sterno.

Lui esita confuso.

Nei miei occhi non c’è vergogna ma solo il godimento nel provocarlo.

«Sarebbe un bel modo di sdebitarti per il mio aiuto.» Sibilo sarcastica, piegando la testa di lato.

Lascio cadere la maglietta per terra e mi getto verso di lui, tentando di toccarlo. Lui mi blocca i polsi con le mani e mi guarda adirato. Ringhio e cerco di divincolarmi.

«Cos’è? Sei così disperata per una scopata che devi saltare addosso al primo uomo che incontri? Oh no, aspetta, sei eccitata dagli uomini difficili?»

Le sue parole mi trapassano come una coltellata, ma non voglio dargli la soddisfazione di aver colpito nel segno.

«Porca miseria, non ti facevo così moralista!»

Continuiamo a lottare. La sua presa si stringe maggiormente sui miei polsi.

«Santo cielo! Sei un uomo patetico, musone, testardo, impossibile e senza palle! Perché hai paura di me? Perché non ti lasci andare? Perché continui a sprecare il tuo tempo a rimuginare e a deprimerti?» La tensione esce da me attraverso quel fiume aggressivo e squillante. «Magari domani ti sveglierai e saprai che è arrivato quel giorno... e non ti rivedrò mai più.»

Il giorno in cui tutto avrà di nuovo senso, il giorno in cui tutto apparirà più chiaro e semplice. E tu saprai che non avrai più bisogno di me.

Le parole mi si bloccano in gola e lo guardo ferita, implorante.

Lui mi fissa serio, poi stringe gli occhi e mi lascia andare.

«Sei troppo concentrata su te stessa e sul vuoto della tua vita per vedere al di là del tuo naso.» Mi dice lentamente. «Credi di essere migliore degli altri? Tutti vogliono usarmi. E tu, beh, tu non fai eccezione.»

Come osa... come osa giudicarmi e dirmi quello che... Vorrei dargli uno schiaffo, vorrei prendere a pugni il suo petto e a calci il suo sedere… Invece stringo i pugni e mi allontano da lui.

Indietreggio fino al centro della sala, dove urto contro il tavolo da pranzo e mi fermo.

Abbasso lo sguardo. Vorrei ribattere qualcosa, dire che non è vero e convincerlo a fidarsi di me. Ma non conosco altro modo per aiutarlo, se non forzandolo. Non conosco altro modo per interagire con i ragazzi, se non attraverso il sesso. Non sono brava con le parole. Allora mi lancio davanti alla porta di casa, bloccandola effettivamente con il mio corpo.

«Non sapevo di aver bisogno del tuo permesso per andarmene!» Replica arrabbiato. «Pensi che io sia roba tua?! Pensi di potermi rinchiudere qui dentro e usarmi a tuo piacimento?»

Per un momento, quella prospettiva non mi sembra così malvagia. Ma poi sospiro amareggiata e chiudo gli occhi. E' quello che le donne hanno sempre fatto con lui.

«Sei un’egoista e una puttana al loro pari!»

Vacillo, sentendo cedere le ginocchia… E gli occhi pungono all'improvviso.

Come può paragonarmi a loro? No, no... E’ esattamente questo, quello che pensa di me?

«Beh… Forse si deve essere un rifiuto per competere con altri rifiuti.» Dico, cercando di recuperare un po’ di compostezza.

«No.» Mi contraddice deciso.

Stringo gli occhi e sento le lacrime scaldarmi le guance. Attendo spiegazioni.

«Si può cambiare e si può diventare migliori di loro.»

Mi oscuro in volto. Sembra una frase così banale, ma non lo è affatto. Dopo qualche attimo di silenzio doloroso, mi ricompongo abbastanza da spostarmi leggermente di lato e lasciare libera l'uscita.

Lui esita per qualche attimo, poi sospira. Cammina deciso verso la porta e si gira solo per un breve istante verso di me, prima di aprire la maniglia ed uscire nell’aria fredda della sera.

 

Mi accorgo di tremare mentre realizzo che se ne è andato per sempre.

Le ginocchia cedono nuovamente e mi trascino sul divano. Sento le lacrime scendere senza freno mentre sprofondo sconsolata.

Inspiro il suo odore, che la coperta porta ancora. L’odore del corpo freddo e distante che ho cercato di sedurre, nel tentativo maldestro di trattenerlo vicino a me.

 

 

  
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