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Autore: Alex Wolf    26/01/2016    0 recensioni
E' un mondo martoriato, insanguinato, raso al suolo il nostro
Genere: Azione, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo






Che diavolo era stato? Cos’erano quei boati assordanti? Perché le faceva così male la testa? Socchiuse gli occhi.
La prima cosa che vide fu il cielo grigio, che poi divenne rosso. Un’esplosione!
Con uno scatto si alzò, scivolando sul terreno fangoso e si tenne la testa dolorante. Non riusciva a ricordarsi molto. I ricordi erano solo immagini frammentate di esplosioni, suoni di spari e ferite sanguinanti.
«Drake!» strillò, pentendosene subito dopo. Un forte mal di testa s’impossessò di lei, costringendola a rinchiudersi il viso fra le mani per fermarlo. Girava tutto, ma perché?
«Dio, allora sei viva!» Il ragazzo le corse incontro, gli occhi azzurri vuoti.
Aveva i vestiti laceri in alcuni punti e un grosso taglio sull’avambraccio. Le si fermò davanti, sorreggendosi in piedi con una stampella di fortuna fatta col fucile. Era un po’ piegato in avanti, come se muoversi fosse davvero faticoso.
«Pensavo fossi morta quando ti hanno portata qui, stavo giusto venendo a controllarti. Certo che ti hanno messa fuori gioco proprio bene.» Cosa gliene poteva importare a lei di essere stata messa fuori gioco? L’unica cosa che le importava in quel momento era sapere come stava Lui. E così, mentre si decideva a chiederlo sentì la sua voce.
Un suono fievole che veniva da lontano, oltre la loro trincea. Oltre il campo di battaglia.
Si voltò spaventata, e fu allora che vennero colpiti dall’ennesima esplosione che li catapultò nuovamente a terra. Gemettero entrambi. Lo shock di essere stati presi alla sprovvista che faceva tremare i corpi. Ma se per loro era così, per lui com’era? Insomma, era solo e probabilmente ferito ed era appena esploso un altro di quei cosi e… Con velocità lei incrociò lo sguardo di Drake, consapevole della risposta che vi avrebbe trovato. Ma voleva sperare che tutte quelle malsane idee che si era fatta non fossero vere. Lo voleva davvero. Doveva essere così. Ma non tutto va come si spera.
Ingoiò a vuoto, mentre si rialzava tenendosi la testa con una mano.
Negli istanti che attraversarono quel lasso di tempo lei sembrò congelarsi. Si sentì mancare, in un primo momento, poi fu come se tutto all’interno del suo corpo scoppiasse e prendesse fuoco contemporaneamente. Si lanciò in una corsa sfrenata verso il luogo della battaglia, fregandosene dei vestiti laceri e delle ferite sanguinanti che pulsavano, le inviavano stilettate a ogni movimento. Si dimenticò persino dei giramenti di testa. Non erano importanti. Ignorò i tuoni che rimbombavano nel cielo plumbeo, che attirava a se i fumi neri degli ultimi spari. Sembrava ridere, quel dannato bastardo. I suoni esplodevano in alto come ghigni di scherno.
Che diamine aveva da ridere?! Tutto quello era davvero così divertente?
Il vento si mise a soffiare forte, facendo crepitare le chiome degli alberi. Frasche verdi scuro sibilarono simili a serpenti velenosi. Li ignorò. Poteva udire dietro di lei le grida dei compagni che la richiamavano, tentavano di fermarla. Ma come potevano chiederglielo? Lei non poteva fermarsi e restare a guardare. Non se lo sarebbe mai perdonata.
Lui non poteva restare da solo. Aveva sempre voluto fare l’eroe. Ogni singolo giorno della sua vita e, lei gli aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonato nonostante qualche volta non le andassero a genio i suoi comportamenti. Dopo tutto, ogni eroe aveva bisogno di una spalla e lei era la sua, da sempre. Allora perché quel giorno l’aveva mandato avanti da solo? Perché gliel’aveva permesso? Lui era sempre stato più forte di lei, ma non l’aveva mai lasciata indietro. Non gli aveva mai permesso di lasciarla indietro. Che cos’era cambiato quel giorno da lasciarlo andare solo?
Con un brutto presentimento, amplificato da tutti quei pensieri, la giovane donna si diede un ultimo slancio e saltò sullo scheletro di una macchina ribaltata atterrando dall’altra parte in un fango denso e umido. Scivolò, ma poco le importava, perché quando mise a fuoco quella parte di campo sporco e ricco di detriti, di ossa e segni di lotta i suoi occhi individuarono subito chi stava cercando.
Gattonò arrivando al corpo di lui e gli fece poggiare la testa sulle sue ginocchia. Aveva gli occhi chiusi, i capelli biondi spettinati e un taglio sul viso. «Richter.» Perché il suo cuore batteva con così tanta foga? Aveva paura mentre pronunciava quel nome, talmente tanta che quando lui non rispose pensò subito il peggio. Le lacrime si mischiarono alla pioggia, che prese a rinfrescare i loro corpi accaldati. «Richter, svegliati» lo supplicò, accarezzandogli tremante una guancia. Gli mise una mano sotto il naso, tesa, mentre attendeva di sentire il suo respiro sfiorarle la pelle.
Quando arrivò, rilassò le spalle e si piegò in avanti poggiando la sua fronte contro la propria. Strinse forte il la sua divisa fra le dita della mano destra, baciandogli il viso con dolcezza. «Richter» riprovò, carezzandogli i capelli.
Le labbra del giovane tremolarono, poi tossì. Aprì gli occhi. Tossì di nuovo. «Sono in paradiso?» chiese lui, affrettandosi a stringerle la mano fra le forti dita. Il cuore di lei tremò prima di sciogliersi.
Si lasciò andare ad un pianto liberatorio, mentre si accasciava sul suo petto e lo stringeva forte. Non aveva ferite gravi. Era sano e salvo.
Le dita di lui le sfiorarono la cute, immergendosi nei corti capelli castani di lei. A contrario suo sanguinava in diverse parti del corpo, ma non sembrava sentisse male. Si sentì sollevato mentre la stringeva di più e lasciava che piangesse. Era così fragile. Era così forte.
«S-se mi rifai uno scherzo del genere, ti uccido.» Si guardarono e poi lo baciò teneramente, senza smettere di singhiozzare. Gli accarezzò il viso coperto da un velo di barba pallida, successivamente gli zigomi alti ed eleganti e poi le labbra. E lo baciò di nuovo, come se fossero stati lontani anni e anni. Aveva avuto così tanta paura. Si era sentita morire dentro, ma ora andava tutto bene. Andava tutto bene. Lui era li con lei. «Non farlo mai più» gli ordinò, inginocchiandosi. «Ho temuto che mi avresti lasciata sola in questa gabbia di leoni pazzoidi.»
Gli occhi azzurri di lui sorrisero, mentre si alzava a sedere. «Non ti lascerei mai sola qui, dolcezza. Lo sai, no?»
L’odiava, quel soprannome, ma se era lui a pronunciarlo poteva anche sopportarlo. Così invece di borbottargli qualcosa d’offensivo in faccia, come faceva con chi tentava di copiarlo, lo baciò ancora.
«Lo spero bene per te. Andiamo, tigre» lo spronò, alzandosi.
Probabilmente gli altri li stavano aspettando, mentre curavano i feriti e si affrettavano a bruciare i morti. Non dovevano tardare o li avrebbero lasciati li. Erano tutti abituati a fare di fretta, in quanto la possibilità di un altro attacco non era qualcosa da prendere sotto gamba. Il nemico era forte, numeroso e instancabile. Si ritirava solo quando doveva rifornirsi e poi tornava subito all’attacco. Dopo tutto, erano mostri.
Scavalcarono la carcassa del veicolo, stando attenti a non scivolare nuovamente nella melma marrone e si avviarono verso la trincea. Da lontano lei riusciva a distinguere i capelli biondicci di Drake, così simili a quelli del fratello maggiore, e quelli neri di Malika. Sorrise inconsciamente, la giovane donna, affrettandosi a raggiungerli. Pensava che il suo lui le stesse dietro con facilità, ma quando udì il grido di quei demoni e si voltò col cuore in gola scoprì che non era così.
Gridò il suo nome, mentre ritornava con velocità sui suoi passi e tentava di stringergli la mano. Si sfiorarono appena, il tempo di un contatto che sembrava un sussurro e lui era già lontano. Stretto fra gli artigli di una di quelle strane creature, mentre il sangue gli colava dalle labbra e gli occhi si spengevano. Richter gridò il suo nome, come una preghiera, e lei si sentì piccola piccola. Distrutta e in rotta di collisione con una realtà dolorosa. Non poteva essere accaduto realmente. Non stava succedeno.
«RICHTER!» strillò, allungando la mano verso il cielo, ma lui era già scomparso. La giovane rimase li, ferma. Scandalizzata e incredula. “No. Non è vero.” Fece un passo indietro, il cuore che correva con così tanta forza da fare male.
Strinse fra le mani la divisa che indossava e cadde. La testa aveva ripreso a girare, la vista ad offuscarsi. Cadde. «UOMO A TERRA!» sentì gridare, ma era troppo stordita per farci caso.
Chiuse gli occhi e sentì il grido della sua anima. Il grido di Richter.
Si abbandonò, rifugiandosi nell’ombra delle sue paure più grandi ora diventate reali.
  
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