Happy Birthday
To You
«Ah,
ah… questo mi ricorda qualcosa!»
disse, sorridendo e strappando la carta rossa del regalo.
Era un magnifico
portafoto, con la cornice in legno rossiccio di ciliegio finemente
lavorata con
un complesso intreccio di rose. Alzò lo sguardo su di lui,
seduto dall’altra
parte del tavolo, con un cipiglio sornione e vagamente divertito,
mentre tutti
gli altri invitati alla festa allungavano il collo per vedere meglio il
regalo,
borbottando una lunga e cacofonica sfilza di
“cos’è?
Cos’è?”.
«Cioè?»
domandò lui,
che ormai aveva occhi solo per lei, appoggiandosi sui gomiti.
«Mah…
non so, forse mi
sbaglio… ma ero sicura di averti regalato qualcosa di simile
per il tuo di
compleanno». E rise ancora. Lui
la imitò.
Per il
diciassettesimo
compleanno di lui, qualche mese prima, lei, come le capitava di solito
a ogni
compleanno, era andata nel pallone sul regalo da prendere, aveva
chiesto in
giro vari suggerimenti e aiuti che, ovviamente, non le erano serviti a
molto. E
alla fine, ormai disperata e pensando alla figura che avrebbe fatto nel
presentarsi al suo compleanno con un regalo mediocre o anche peggio
senza,
l’aveva visto: quello strano portafoto con la cornice in
metallo, formato
dall’assemblaggio di tante piccole cornici, le si era
presentato come manna dal
cielo e subito una lampadina le si era accesa nella mente. E aveva
avuto
un’ulteriore conferma della natura divina di
quell’oggetto quando lui, dopo
aver scartato il pacchetto, l’aveva abbracciata,
sussurrandole un dolce
“bellissimo” all’orecchio. Ed ecco che la
storia si ripeteva. Di sicuro nel
farle un regalo così simile aveva preso spunto da lei.
Chissà se anche la sua
era stata un’illuminazione divina.
«Be’,
ti piace?»
chiese di nuovo lui, mentre la povera cornice cadeva nelle mani della
sue amiche,
che non persero un secondo di tempo per analizzarla e esalare tutti i
complimenti consoni all’occasione.
«Bellissimo» rispose lei,
parafrasandolo.
Lanciò
uno sguardo
intenso al ragazzo dai capelli color sabbia che le stava di fronte,
esprimendo
con quel semplice gesto tutta la gratitudine che provava
nell’averlo lì. Era
una pezzo che le piaceva, forse perfino dall’inizio del
liceo, e metà delle sue
amiche lo sapeva. Ma lui no; lui ignorava ancora il sentimento
struggente che
le divampava dentro, che la portava a pensare a lui, ad aggrapparsi
alla sua
immagine ogni volta che sentiva di non riuscire ad andare avanti, che
la faceva
sorridere non appena incrociava i suoi occhi e gli mormorava un
semplice
“ciao”. Per lui lei era una semplice amica, o
almeno così credeva. E non aveva
mai avuto il coraggio di mettere a nudo il suo cuore e giocare il tutto
per
tutto: aveva sempre rimandato, dicendosi che prima o poi avrebbe
trovato il
coraggio per farlo.
«…Happy Birthday to you, Happy
Birthday to you…».
All’improvviso
le luci
della stanza del locale si fecero soffuse, mentre gli invitati
iniziavano a
cantare la stupida canzoncina di rito. Lei seppe cosa aspettarsi,
mentre tutti
le si stringevano attorno ridendo e applaudendo e lei perdeva per un
attimo di
vista l’altro. Ed ecco che una sua amica entrava in scena con
fare teatrale,
portando un’enorme torta guarnita con fragole e panna e con
diciassette
candeline accese, che brillavano come stelle nella penombra della
stanza.
«Su,
esprimi un
desiderio!» le sussurro la sua migliore amica posizionando la
torta sul tavolo
davanti a lei, in modo che tutti potessero vederla per bene.
Lei, prima di
soffiare
sulle candeline, diede un ultimo sguardo d’intorno. Vide
tantissimi volti
sorridenti, di tutte le persone a cui voleva bene e, chi più
chi meno, avevano
contribuito a fare andare in un senso la sua vita e avevano lasciato
un’impronta, più o meno evidente, sulla sua
strada. E una in particolare, che si
sporgeva in avanti per scorgerla. Capì subito quale sarebbe
stato il suo
desiderio.
Soffiò
con tutto il
fiato che aveva nei polmoni e le candeline si spensero tutte in una
volta, per
poi essere seguite da una scroscio di applausi ed esclamazioni di gioia.
E alla fine un
unico:
«Tanti auguri, Emily!».
La mezzanotte
era passata
da un pezzo e la festa ormai stava volgendo al termine. Pian piano gli
invitati
iniziarono a dileguarsi, non senza però averla prima
salutata con baci,
abbracci e un’altra lunga serie di “buon
compleanno”. Anche Emily iniziava
ormai a sentirsi stanca, anche se dentro le vibrava ancora forte la
felicità
che le aveva impresso quella serata tra amici. Il trucco e i capelli
che aveva
acconciato con estrema cura erano ormai andati a farsi benedire, ma non
le
importava più di tanto: non vedeva l’ora di
ritrovarsi nel suo letto
confortevole e addormentarsi con il sorriso sulle labbra.
Era una sera
limpida e
ancora piuttosto calda per essere ormai a metà settembre. Il
cielo era
completamente sgombro di nubi e, nonostante la luce aranciata di
qualche lampione,
quella dei fari delle auto di passaggio e quella colorata
dell’insegna del
locale, si potevano scorgere nitidamente le varie costellazioni. Emily,
dopo
aver accompagnato e salutato con un forte abbraccio un paio di sue
amiche, si
fermò un attimo sulla soglia, alzò lo sguardo al
cielo e si perse per qualche
secondo a contemplare quel mosaico luccicante. Quando una voce profonda
e
vellutata la colse alle spalle.
«Splendida
serata,
eh?».
Si
voltò di scatto,
colta di sorpresa e lo vide proprio lì dietro di lei,
intento anche lui a
contemplare quella cupola stellata.
«Accidenti,
Matt,
quante volte ti ho detto che non mi devi comparire così
all’improvviso alle
spalle?!?».
Il ragazzo
accennò una
breve risata. «Scusa, ma è divertente vederti
sobbalzare».
«Sì,
grazie tante».
Incrociò le braccia e si volse dall’altra parte.
«Credo
che sia ormai
ora di andare…».
Sapeva come
catturare
la sua attenzione, indubbiamente. Emily lo fissò
attentamente e uno strano
bagliore le fece luccicare gli occhi: non poteva credere che fosse
già finito
tutto. Anche se durante la serata non avevano avuto molte occasioni di
parlare
da soli, data la quantità di gente che veniva puntualmente a
trovarsi tra i
piedi, a lei era bastato averlo lì. Come quando lo
incontrava a scuola, non conversavano
di nulla di speciale, ma non le importava: per lei era già
importante che lui
ci fosse. E non voleva che la sua presenza, che sapeva rallegrarla come
poche
cose, togliesse già il disturbo.
«Di
già?» le venne
fuori quasi spontaneamente.
«Be’,
se n’è già
andata parecchia gente…» rispose Matt.
Emily
abbassò lo
sguardo: non voleva che intuisse ciò che le stava passando
per la testa. Le era
sorta alle labbra un’innocente preghiera di restare, anche
solo per poco, che,
però, aveva subito soffocato: era abbastanza brava nel
dissimulare i propri
sentimenti. Non voleva che lui comprendesse più di
ciò che voleva dare a
vedere. Era il suo migliore amico. Perciò rimase in
silenzio, in attesa di un
saluto di congedo.
«Allora
ti è piaciuto
davvero il regalo?» chiese all’improvviso Matt,
cogliendola ancora di sorpresa.
Emily non seppe
se
dare o meno retta al suo intuito, ma le era parso di vederlo arrossire
nella
penombra nel porre quella semplice domanda.
«Perché
me lo chiedi?
Ti ho già risposto prima».
«”Bellissimo”
è un
aggettivo di circostanza, una delle tante formule cortesi che si
propinano agli
altri in pubblico. Quello che si pensa veramente è
un’altra faccenda…».
Emily
alzò gli occhi
al cielo: quella sera lo trovava particolarmente loquace.
«Allora
ti dico quello
che penso davvero: due volte bellissimo».
«Sul
serio?».
Ora fu il turno
di lei
ad arrossire leggermente.
«Non
ti sembro
abbastanza sincera?».
Matt scosse
leggermente la testa e abbassò lo sguardo con un sorriso
sghembo.
Per qualche
minuto
calò il silenzio; gli unici rumori udibili erano quello
delle auto di passaggio
e il chiacchiericcio indistinto proveniente dall’interno del
locale. Senza
quasi accorgersene, Emily costatò che i suoi piedi, che
ormai protestavano
costretti in un paio di scarpe col tacco tutt’altro che
comode, l’avevano
portata un po’ più vicina a lui. Ora poteva
sentire il suo respiro caldo al suo
fianco e scorgere il luccichio delle luci della strada riflesso nei
suoi occhi
color nocciola.
Passò
un altro minuto
buono prima che lei dicesse: «Ma non dovevi
andare?». Non che le dispiacesse
che fosse ancora lì.
«Adesso
vado».
Ma continuava a
rimanere…
«Mi fa
piacere che tu
sia venuto, davvero» sussurrò Emily
all’improvviso, per poi rimangiarsi
immediatamente quelle parole e arrossendo ancora di più (per
fortuna era buio e
non si notava molto).
«E
come sarei potuto
non venire?» rispose Matt. «In
fondo…». In fondo sei mia amica,
completò
mentalmente Emily.
«In
fondo… ci tenevo
troppo per mancare».
Certe cose non
si
sanno e non si potranno mai sapere, come non si potrà mai
essere certi di cosa
stia pensando la persona che abbiamo davanti. Ma a volte ci sono delle
eccezioni. Quella volta, in quel preciso istante, Emily lo seppe, se lo
sentì
nelle ossa, lo sentì vibrare nel suo cuore e spargere
polvere dorata sulle sue
ali invisibili, che finalmente riuscirono a spiccare il volo con quello
slancio
vitale tanto atteso. L’aveva sognato un miliardo di volte,
tanto da renderlo
quasi scontato e reale; ma in quell’attimo lo seppe una volta
per tutte: Matt
stava per baciarla.
L’aria
fresca della
sera sul suo viso fu immediatamente sostituita da un connubio di
respiri caldi
e regolari, il suo e quello di lui, sempre più vicini. Non
seppe esattamente
cosa successe, poiché aveva chiuso gli occhi, ma era certa
che in quel preciso
istante avrebbe potuto toccare il cielo con un dito. Anzi, con tutta la
mano. Sentii
un fuoco bruciante esplodere dalle loro labbra congiunte, per poi
propagarsi
come un impetuoso incendio a tutto il resto del corpo e lasciare dietro
di sé solo
braci rossastre che continuavano a bruciare. I rumori attorno a loro si
dissolsero
come se qualcuno avesse appena spento l’interruttore della
luce. Si sentiva
mancare il fiato, il cuore era partito a mille e non sapeva
più da che parte
del petto fosse finito, un brivido leggero le percorse tutta la
superficie
della pelle, su e giù per la schiena fino alla nuca.
Non esisteva
discorso
abbastanza accurato e articolato per esprimere tutto quello che si
poteva
intuire da quel semplice ma grande gesto. Dunque per lui lei non era
mai stata
soltanto un’amica, come invece aveva sempre creduto. Aveva
sognato quel momento
migliaia di volte, ma poi era sempre ritornata a galla da quelle
fantasie dicendosi
che era tutta utopia. Doveva smettere di vivere nel mondo delle favole
col
principe azzurro in sella al suo bel cavallo bianco e guardare in
faccia la
realtà.
Ma ora era
quella la
realtà. E nemmeno lo scrittore migliore al mondo sarebbe
stato capace di
narrare un epilogo migliore di quello.
La luna gettava
bagliori argentati sul davanzale e sulle tende candide, scosse come
spumeggianti onde del mare da un lieve venticello. Il canto di un
usignolo echeggiò
in quel silenzio quasi irreale. Un’auto passò
accompagnata dal docile rombo del
motore, mentre un gatto attraversava furtivo la strada. Non
c’era anima viva in
giro, se non si contava un gruppo di ragazzi riuniti davanti a un bar
poco
lontano. Era ancora abbastanza caldo e la finestra della stanza era
aperta, per
approfittare delle ultime serate tiepide prima del sopraggiungere
dell’autunno.
Ma le luci erano spente e sembrava non esserci nessuno nemmeno
lì. Il letto
accanto al muro era ancora fatto e senza una piega. Il vento con le sue
dita
fluttuanti toccò un paio di campanelli appesi al lampadario
e li fece danzare
abbracciati, producendo un limpido tintinnio, promesse sussurrate tra
due
amanti. Poi si spostò su un libro rimasto aperto sulla
scrivania, tra pile
ammonticchiate di tanti altri, e lo sfogliò sbrigativamente
senza fare rumore,
come in cerca di qualcosa. Ma la stanza era tranquilla e nulla sembrava
fuori
posto: il proprietario era di certo fuori casa.
E lì,
di fianco al
davanzale, in bella mostra così che si potesse vedere per
bene stando in un
qualsiasi punto della stanza, la luce della luna incontrò
qualcosa di argentato
e, riflettendocisi su, fece brillare quell’oggetto come se
fosse tempestato di
diamanti. Ma in mezzo a quel diadema di luce c’erano punti
oscuri. Avvicinandosi
di più, però, si potevano scorgere colori e
figure, incastrate in quella strana
cornice di metallo, formata dall’assemblaggio di cornici
più piccole per
formare un portafoto piuttosto eccentrico e originale. E proprio in
quel
portafoto su cui si rifletteva la luce della luna era incastonata una
foto in
particolare: un ragazzo dagli scompigliati capelli color sabbia che
abbracciava
teneramente, quasi la custodisse gelosamente come il più
prezioso dei suoi
tesori, una ragazza dai capelli ricci color cioccolato e gli occhi
verdi come
un gatto.
Più
sotto, infine, si
poteva scorgere una specie di dedica, scritta frettolosamente con un
pennarello
nero.
Per
M.,
per
sempre e un giorno,
E.
Mah, non so che dire. A dir la verità non mi convince molto, forse perchè molte delle cose che la mia mente ha "vomitato" in questa one-shot sono strettamente autobiografiche e non riuscirò mai a scrivere qualcosa che eguagli abbastanza quello che provo. Non so, mi sembra scontato e pieno di clichè, ma ho voluto pubblicarlo comunque per sapere che ne pensate (e perchè è un'era che non scrivo più niente XD).
Quindi recensite, recensite, recensite e recensite ancora! Ho davvero bisogno dei vostri pareri!