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Autore: MoulinRouge89    29/01/2016    0 recensioni
[Cast The Walking Dead]
‹‹Ah, Jon?››.
‹‹Mh?››.
‹‹Non ti avevo riconosciuto oggi, in ascensore. Cioè, in realtà io non..non ti avevo mai visto prima, e l'ho capito solo dopo chi eri. Anzi cioè no, a dire il vero non ho ancora chiaro un bel niente, di te›› si affretta a spiegare mentre le si imporporano le guance.
‹‹E allora?›› fa spallucce lui.
‹‹No, niente, è che.. E' che volevo dirtelo››.
‹‹Ti cambia qualcosa? Il mio lavoro, intendo, ti cambia qualcosa?››.
Sol scuote piano la testa, mentre quel sorriso intanto, non ne vuole sapere di abbandonare le sue labbra secche.
‹‹Fai veloce su, che mi è entrata fame e ho voglia ciambelle››.
*******************
Avete presente un evento come il Comic Con?
Bene, prendete una ragazza e mettetela in un ascensore.
Poi aggiungeteci un bell'uomo e sigillate le porte.
Lei è claustrofobica, lui no.
Soledad Marquez fa parte dello staff, Jon Bernthal è un attore piuttosto famoso e ospite della convention.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora, prima di farvi leggere questa schifezza, volevo precisare che:
- amo il ComicCon con tutta me stessa, è uno degli eventi a cui più mi interesserebbe davvero partecipare
- Jon Bernthal non è un attore conosciuto a livelli esagerati: lo possiamo comunque trovare in film come Fury, The Wolf of Wall Street, Sicario e molti altri, ma è principalmente conosciuto per la famossissima serie tv The Walking Dead, e per la seconda stagione di Daredevil, targata Netflix *-* (cmq il ragazzo ha stoffa da vendere, e la sua carriera sta già decollando U_U)
- il prestavolto della protagonista è la bellissima Chyler Leigh, la Lexie di Grey's Anatomy, che ricopre alla perfezione ogni aspetto che avevo in mente per la mia Soledad
- sono partita da un fatto realmente accaduto (pare) anni fa: si vocifera che Jon, durante un'edizione della convention, sia veramente rimasto bloccato all'interno di un ascensore, anche se solo per pochi attimi; bhè, con un po' di fantasia e qualche condimento qua e la, la mia mente ha partorito questa banale quanto scontata storiella.
Buona lettura, pasticcini.
;)




 



Comic Con 2012, San Diego, California.
La ragazza mora che a passi svelti sta attraversando l'enorme sala conferenze, sbuffa e impreca mentalmente, gli occhi che scattano verso il soffitto e le guance accaldate che le si gonfiano. Sempre mentalmente, si sta chiedendo come diavolo ha fatto ad accettare quell'incarico all'ultimo minuto, e soprattutto si domanda perchè, un evento di quel calibro, si svolga ogni sacrosanto anno nell'assolata California proprio nel mese più caldo tra tutti i dodici disponibili.
Soledad odia l'estate; odia l'afa, odia l'umidità, odia sudare sotto le ascelle - sì, sotto le ascelle, quello proprio non lo sopporta. Odia tutto questo da quando era una pupattola di soli cinque anni e nella sua famiglia prese vita la brutta abitudine di passare l'estate in campeggio. Esattamente per questo motivo - no, non per colpa del campeggio ovviamente, ma per il troppo caldo - sei anni fa decise di abbandonare il suo paesello a sud della Spagna per scappare a nascondersi in Canada, tra le montagne, le foreste e i grizzly, in mezzo alla natura e al fresco.
Come ci è finita a San Diego, in pieno luglio, e con il pass del Comic Con che le ciondola lungo il collo? Bene, è una storia piuttosto breve.
In Canada Soledad lavora per una di quelle enormi agenzie che seguono e organizzano i grandi eventi di spettacolo e cinema, fornendo servizi di ogni tipo e inviando il proprio personale nel luogo richiesto a svolgere molteplici compiti, come ad esempio l'assistente di, oppure il traduttore per, e via dicendo. Insomma, la ragazza inviperita che ha cominciato a sistemare stizzita le sedie dietro il lungo bancone dove tra meno di un'ora si accomoderà l'intero cast di “Supernatural” per presentarne l'ultima stagione, ha quel pass colorato al collo per colpa di un ripensamento - all'ultimo minuto - del suo adorato capo.
Soledad – o più semplicemente Sol, come la chiamano tutti - non doveva essere a San Diego questa settimana, bensì a New York, insieme ad altre due colleghe per la presentazione di uno dei più grandi best seller del momento. Ma "il boss" - come lo chiamano tutti i dipendenti della Menagement & Meeting Association - ha deciso che invece doveva cambiare biglietto aereo e salire sul primo volo che l'avrebbe portata dritta alla convention californiana, al servizio dell'intero cast; Lauren, Jimmy e Rachel non potevano cavarsela da soli, a quanto pare.
Ed eccola lì, a sbuffare e a maledire quel dannato testa di rapa del suo capo. Lei era troppo, troppo felice di passare l'intera settimana nella grande mela, la adora quella città - ma soprattutto adora quel libro e quella scrittrice inglese che con i suoi romanzi riesce sempre a strapparle un sorriso e a regalarle “una storia d'amore con le palle” come dice lei.
Ma purtroppo, la sfiga la perseguita da quando ne ha memoria.
‹‹Sol, tesoro, vuoi una mano?››.
La voce di Jimmy dall'altra parte del salone ancora vuoto riecheggia tra le quattro mura bianche, e dei graziosi riccioli biondi fanno capolino dalla porta.
‹‹No tranquillo, ho quasi finito›› gracchia la ragazza, sforzandosi invano di sorridere.
‹‹Ehi, ma cos'è quel muso lungo?›› le domanda il collega, raggiungendola e parandosi davanti a lei con le braccia conserte e un sorrisone ad illuminargli la faccia ‹‹La giornata è quasi finita, dai. E poi, non sei contenta di vedere quei bei fustacchioni dei fratelli Winchester?›› ridacchia, schiacciandole l'occhiolino.
Jimmy: il collega più gnocco e al tempo stesso più omosessuale che gli potesse mai capitare. Alto, biondiccio, muscoloso, fossette sulle guance, un tipo alla Evan Peters per intenderci. Con la differenza che, invece di cercare la sua Emma Roberts fra la miriade di illuse pretendenti che gli sbavano dietro, Jimmy è alla disperata ricerca di un principe azzurro.
Soledad alza finalmente lo sguardo su di lui, che continua a studiarla con quell'espressione furbetta e una luce maliziosa negli occhi scuri. Jimmy Lancaster è quel tipo di persona che ti contagia con la sua allegria, e alla fine riesce sempre a strapparti un sorriso; con la ragazza ci sta riuscendo anche adesso, nonostante l'umore sotto i piedi e l'afa che le stringe la gola - e forse è il primo sorriso sincero della giornata. Il biondo gonfia il petto con fierezza e si siede a gambe incrociate sul bancone chiaro, continuando ad osservare l'amica mentre continua a disporre una sedia affianco all'altra.
‹‹Lo sai che dopo ci sarà un after party? E noi quattro, con questi cosi›› afferra il suo pass tra pollice e indice facendolo oscillare davanti al proprio naso ‹‹saremo i benvenuti››.
‹‹Wow, che fortuna. Pensa che io volevo solo andare a letto, dopo›› sospira lei, afflosciandosi sull'ultima seggiola sistemata.
Le sopracciglia del ragazzo si inarcano, mentre le labbra smettono di incurvarsi all'insù arricciandosi in una smorfia contrariata.
‹‹E dai Sol, perchè fai sempre la solita guastafeste?›› mugola avvilito.
‹‹Non faccio la guastafeste Jimmy, ho solo detto che io preferisco andare a letto. Voi andate pure a tutti i party che volete, la qui presente ha solo voglia di una doccia ghiacciata e di sprofondare nel materasso fino a domani mattina››.
Sbuffa e abbassa gli occhi sulle punte delle scarpe, prendendo a rimuginare tra sé e ignorando bellamente le lamentele dell'amico - che intanto si alza, le si avvicina, borbotta qualcosa e con un sorriso le scompiglia i lunghi capelli corvini che le ricadono arruffati sulle spalle esili.
‹‹Andiamo, principessa, di là ci aspettano›› le mormora in tono affettuoso ‹‹E comunque è nella tua indole, non puoi farci niente. Essere una guastafeste, intendo›› sogghigna.
La giovane gli risponde con una linguaccia e fa per alzarsi, ma improvvisamente si ricorda di dover correre a prendere quei documenti che Rachel le aveva chiesto prima che sparisse in sala conferenze.
‹‹Oh, cavolo. Senti, tu intanto vai, io ti raggiungo subito. Devo andare di sopra a recuperare i nominativi dei meet, o la nostra amica mi farà licenziare stavolta›› spiega frettolosa, avviandosi verso il corridoio che la porta agli ascensori.
Lancia un'occhiata all'orologio e realizza di essere esageratamente in ritardo, e lo sa benissimo di quanto Rachel ami la puntualità e la professionalità. Soledad odia dover lavorare sotto di lei, tra loro non è mai corso buon sangue; è infastidita quando le impartisce ordini e regole da seguire, ma d'altronde, la donna è in agenzia da molti più anni di lei, è una veterana insomma.
Sbuffa per l'ennesima volta e corre verso l'unico ascensore disponibile prima che anche quello si chiuda. Ci si fionda dentro alla velocità della luce, il respiro accelerato e una spallina del vestito nero che le scivola giù.
L'ascensore è vuoto, piccolo e con una luce a led che emette un ronzio fastidioso, ma almeno è sola e può riposare il cervello finalmente per qualche minuto. Schiaccia il tasto del decimo piano e si gratta la fronte, pensierosa, sistemandosi il vestitino e portandosi una cioccia di capelli dietro l'orecchio.
La porta scorrevole sta per chiudersi, e Soledad tira un sospiro di sollievo massaggiandosi le tempie con le dita, gli occhi chiusi e la schiena che si rilassa contro la superficie fredda dello specchio alle sue spalle.
Ma l'ascensore rimane spalancato, perchè una mano sbucata all'improvviso si posiziona davanti al sensore, impedendo così alla porta di sigillarsi.
Così, la famosa sfiga vuole che un seccante e tedioso biiiip spezzi il silenzio. E la calma che si era finalmente creata intorno alla ragazza poof svanisce.
Soledad sbuffa, impaziente, mentre un uomo dai capelli neri e sparati in aria fa il suo ingresso nel piccolo abitacolo. Ha l'aria trafelata e il respiro accelerato, proprio come la ragazza; è alto, almeno venti centimetri sopra la testa di lei, ha il fisico asciutto e le spalle larghe.
La giovane si ritrova ad abbassare lo sguardo, proprio quando un profumo pungente e forte le solletica le narici e gli occhi dell'uomo cominciano a scrutarla curiosi. Sono scuri, scurissimi, e anche parecchio profondi - si è accorta solo di questo nella frazione di secondo in cui li ha incrociati con i suoi.
Deglutisce e comincia a mangiucchiarsi una pellicina del pollice; con la coda dell'occhio lo vede allungare un braccio proprio davanti alla sua fronte abbassata, premere il numero del piano e affondare le mani nelle tasche, sfiorando involontariamente la spalla con la sua. Lo sente tirare su col naso, masticare ritmicamente una chewing gum e continuare, imperterrito, ad emanare quel profumo buonissimo - quel cavolo di profumo di dopobarba misto ad un odore forte, un odore che alla ragazza fa girare un po' la testa.
Il tipo si sgranchisce il collo, sistemandosi il colletto della camicia e girandosi a guardarla una volta per tutte. Siamo in pieno luglio, in California, e l'uomo dai capelli neri come la pece indossa una camicia a quadri blu, a maniche lunghe, arrotolate fin sotto i gomiti.
Soledad non si capacita di come faccia, quel tipo, anche solo a respirare normalmente.
‹‹Fa parecchio caldo oggi, eh?››.
Appunto.
La voce piena e un po' arrochita dell'uomo la risveglia dal torpore, facendola sussultare; alza di scatto la testa e si stacca dallo specchio, drizzando la schiena.
‹‹Ehm..s-si, molto›› sorride lei imbarazzata, guardandolo un po' spaesata mentre lui si sventola la faccia con una mano.

E' come se le avesse letto nel pensiero. Ed è proprio in quell'istante che l'uomo pianta gli occhi scuri in quelli verdi di lei, sorridendole a mezza bocca e mordicchiandosi il labbro inferiore. E' palese che sia divertito da quella ragazzetta alta poco più di un metro e sessanta, con i capelli scuri sparsi sulle spalle, due occhioni chiari spalancati e un vestitino nero che le lascia scoperte le gambe leggermente abbronzate.
Inutile negarlo, quelle sono la prima cosa che ha notato entrando a capo basso nell'ascensore; gli è sempre piaciuta quella parte del corpo in una donna, e mentre digitava il numero del piano dell'edificio, è riuscito addirittura a intravedere un piccolo tatuaggio all'altezza della caviglia. Ama i tatuaggi, e se sono sulla pelle di una bella ragazza, lo fanno proprio impazzire.
Bene, la giovane si è guadagnata due punti agli occhi attenti dell'uomo senza neanche saperlo. Anzi, lei è del tutto a disagio, con lui accanto che la osservava di sottecchi.
‹‹Jon›› tuona lui all'improvviso porgendole una mano.
Sol la guarda titubante, indugiando qualche secondo di troppo su quelle dita lunghe e affusolate, poi alza gli occhi e s'imbatte in un delizioso pizzetto scuro che incornicia delle labbra fini; labbra che non tardano ad aprirsi in un sorriso luminoso e rassicurante.
Così si decide ad afferrargli la mano, ma senza stringerla minimamente - ricambia giusto per non apparire troppo scortese o roba simile; sorride debolmente e nasconde il rossore delle guance sotto alcuni ciuffi scuri.
E visto che l'uomo non riceve risposta, si china avvicinando pericolosamente il suo viso a quello piccolo della ragazza - che stranamente trattiene per un attimno il respiro - e posa gli occhi sul cartellino che le penzola dal collo; se lo rigira tra le mani e cerca il nome, scritto in stampatello con un pennarello blu indelebile.
‹‹Ehi, wow, che bel nome›› ridacchia con espressione sorpresa ‹‹Soledad›› legge infine, lasciando andare la targhetta di plastica e tornandosene al suo posto.
‹‹Sì, bhè..sono spagnola›› pigola lei con poca voce e un'alzata di spalle.
E ricordate: quando Soledad Marquez dice che la sfiga la perseguita, ha perfettamente ragione. Infatti, non solo è in ritardo e Rachel la sta aspettando spazientita al piano terra, ma è anche chiusa in uno spazio più che ristretto con un uomo dal profumo buonissimo e il sorriso accattivante; in più fa caldo, e d'un tratto un rumore assordante fa tremare l'ascensore per almeno cinque secondi buoni.
Istintivamente, Sol lancia un urlo strozzato, secco e breve, aggrappandosi al braccio di Jon come una scimmia e stropicciandogli la camicia a quadri.
‹‹Oh, ma che cazzo.. Che cazzo succede?›› si allarma subito lui.
Perfetto: l'ascensore si è bloccato.
Alla ragazza comincia a girare la testa, le palpitazioni in leggero aumento e la vista che inizia ad appannarsi. E' letteralmente paralizzata, e anche lui, alto e grosso, sembra spaventato. Quando si dice “trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato”.
‹‹Ma porca..›› si agita Jon, cominciando a premere pulsanti a casaccio.
Lei è ancora stretta contro il suo bicipite, non ne vuole sapere di staccarsi da lì, lo segue nei suoi movimenti come se fosse un piccolo koala abbarbicato al proprio albero, mentre Jon sbuffa e borbotta una parolaccia dietro l'altra.
Soledad, con tutta la confusione che ha in testa, non è concentrata su quello che dice, ma riesce a intuire che è in ritardo per qualcosa e che devono assolutamente chiamare qualcuno, altrimenti resteranno chiusi lì dentro fin quando non si accorgeranno della loro assenza. Poi sente anche qualche altra parola sconnessa, tipo “assistente” e “incontro”, ma non riesce a collegarle tra loro, non ora.
‹‹Non ci credo, io non.. Non c'è segnale, cazzo!›› sbraita l'uomo con disperazione - e solo in un secondo momento si accorge che la ragazza carina e sgaruffata è ancora attaccata al suo braccio ‹‹Soledad?›› la chiama, scuotendola piano per una spalla ‹‹Ehi, tutto bene?››.
Prova a chiamarla un altro paio di volte, ma Sol ha gli occhi sbarrati e non risponde. Jon non ci mette molto a fare due più due, e la sua espressione tramuta immediatamente, passando dalla rabbia al terrore più totale.
‹‹Oh porca puttana›› sibila tra i denti, buttando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi ‹‹Sei claustrofobica, certo. Perfetto››.
La giovane sbatte le ciglia un paio di volte, mentre una lacrima scende a rigarle la guancia; il caldo e l'afa sono improvvisamente spariti, avverte solo un fastidioso formicolio in tutto il corpo e una gran voglia di vomitare. Le manca l'aria, si porta lentamente mani intorno alla gola e alza lo sguardo sugli occhi spaventati di Jon.
‹‹Io.. N-non posso stare chiusa q-qui dentro, io non-›› comincia a signhiozzare all'improvviso, ma le parole le muoiono in gola non appena un altro rumore acuto fa vibrare di nuovo l'intero abitacolo.
Questa volta non si lancia a stringere il braccio di lui, Soledad rimane immobile appiattendosi contro lo specchio e iniziando a tremare come una foglia. Jon è visibilmente preoccupato, non sa come comportarsi, non si è mai ritrovato in una situazione simile prima d'ora; si passa ripetutamente le mani tra i folti capelli, si gratta la barbetta scura e, in silenzio, prende a smanettare con l'Iphone. Biascica qualcosa, è arrabbiato perchè non c'è linea, continua a premere il pulsante rosso d'allarme, ma pare che non funzioni un accidente in quel dannato ascensore. Poi si abbassa e si mette a sedere per terra, facendo segno alla spagnola di rannicchiarsi accanto a lui. Ma lei non si muove, ha gli occhi spalancati e non da segni di vita.
‹‹Soledad›› sussurra l'uomo, rialzandosi in piedi e parandosi di fronte alla ragazza ‹‹ Stai tranquilla, andrà tutto bene. Sono sicuro che tra poco, quando non ci vedranno arrivare, manderanno subito qualcuno a cercarci. Arriveranno i soccorsi prima di quel che pensi, vedrai›› la tranquillizza, prendendole il viso tra le mani e puntando lo sguardo in quello impaurito di lei.
E Sol, come per magia, inizia davvero a calmarsi: quegli occhi grandi e scuri riescono stranamente ad infonderle un senso di pace, e se ne rende conto da come il cuore le prende a battere più piano nel torace, diminuendo così il senso di soffocamento. Annuisce e prende a respirare più lentamente, asciugandosi le lacrime con il dorso delle mani e sedendosi nel punto che lui le aveva indicato; si tira poi le ginocchia al petto, provando a placare il tremore e fissando le porte in acciaio sigillate davanti a se.
‹‹Tu..hai un telefono?›› azzarda titubante Jon, raggiungendola sul pavimento chiaro.
Scuote la testa, conscia di aver lasciato borsa e cellulare nella cassetta di sicurezza - quando lavorano non si portano mai dietro le proprie cose, hanno a disposizione i tablet e i blackberry dell'azienda.
‹‹E..e se non si accorgono di nulla? Ci lasceranno qui, io-››.
‹‹Non possono farlo›› la interrompe subito lui ridendo sommessamente.
Lei si volta e lo fulmina con un'occhiataccia - la prima delle tante.
‹‹Lo trovi divertente? Stai davvero ridendo in una situazione del genere?›› barbuglia, osservandolo piccata.
Per qualche secondo, sembra addirittura dimenticarsi di essere bloccata in quel buco stretto e di essere sospesa nel vuoto a non si sa quanti metri da terra. E' curioso quanto quegli occhi scuri e quel sorriso furbo riescano a distrarla.
‹‹Ok, hai ragione, perdonami›› alza le mani lui, sinceramente dispiaciuto ‹‹Solo che.. Avanti, è impossibile. Voglio dire, prima o poi si accorgeranno di non averci più intorno, no?›› le spiega con fare ovvio.
‹‹Ah. E tu ne sei così sicuro?›› lo sfida, riducendo gli occhi a due piccole fessure.
‹‹Ne sono più che sicuro. Ti puoi fidare››.
‹‹Fidare? Fidare?? Santo cielo, ma se non ti conosco nemmeno!›› sbotta la ragazza con voce stridula, lasciandosi andare ad una risata isterica.
‹‹Touchè›› piega la testa Jon, con un sorriso sghembo a storcergli la bocca - una bocca che Soledad si ritrova a fissare un po' troppe volte, nonostante la situazione non sia certo delle migliori.
Il silenzio cala improvvisamente nell'ascensore, non si sente volare una mosca per una buona manciata di secondi; poi, l'uomo si schiarisce la gola e riprende a parlare.
‹‹Io sono Jon, nato e cresciuto nel cuore di Washington. Ho trentacinque anni, ma ancora per poco, visto che il mio compleanno è a settembre. Quindi, di conseguenza, sono vergine›› fa una piccola pausa e sospira, lo sguardo perso nel vuoto, fino a che un sorriso malizioso gli increspa le labbra ‹‹Ma solo di segno zodiacale, ovviamente. Comunque, quand'ero ragazzo ho giocato a baseball a livello professionale, in Russia, e sono anche un grande appassionato di boxe, che pratico spesso. Infatti, come puoi vedere, mi sono rotto il naso ben quattordici volte, ma solo sei sul ring, quindi questo non è tutta colpa dei guantoni›› ridacchia, picchiettandosi l'osso del naso ‹‹Poi che altro posso dirti, vediamo.. Ho due fratelli più grandi e..ah! Due cani fantastici, Venice e Boss. Sono i miei più grandi amici, non mi separo quasi mai da loro, infatti anche oggi li ho portati con me. Nel tempo libero mi piace guardare film, documentari..amo fare lunghe passeggiate, soprattutto in mezzo al verde, io e la natura. Poi amo incondizionatamente l'estate: l'aria che si respira, il caldo, il sole.. Forse è perchè, quando ero molto piccolo, potevo vedere i miei nonni materni solo durante questi mesi, e passavo tutte le vacanze estive a casa loro, sul lago›› si morde un labbro e abbassa la testa, prendendo a torturare un angolo della camicia a quadri e perdendosi nei ricordi di quando era bambino.
Soledad lo guarda dapprima un po' spaesata, corrugando la fronte davanti a tutte quelle informazioni personali snocciolate così, come se nulla fosse; poi all'improvviso capisce dove vuole arrivare, qual è il vero scopo di quell'assurda quanto insolita conversazione: distrarla e provare a calmarla.
Sospira rumorosamente e poggia la testa contro lo specchio alle sue spalle, mentre una gocciolina di sudore le scende lungo la tempia; poi, d'un tratto, qualcosa le sfiora appena una mano: Jon la sta accarezzando, il pollice che comincia a muoversi e a disegnare piccoli cerchi sulla sua pelle fredda e sudaticcia. Deglutisce e alza lo sguardo, incontrando quello sorridente di lui - quegli occhi grandi e scuri che le infondono ancora una volta quella strana sensazione, quella sicurezza del tutto fuori luogo in un momento del genere, soprattutto se condiviso con un perfetto sconosciuto.
‹‹Ora tocca a te›› le mormora, ricevendo in risposta un'occhiata più confusa ‹‹Coraggio, raccontami qualcosa di te. Hai detto che non mi conosci, e hai perfettamente ragione, così ti ho fatto un breve riassunto di me e della mia vita›› spiega con un sorriso, le pupille attente che percorrono i tratti delicati del viso della ragazza - dalle labbra fini e sottili, al nasino appuntito, dalle guance imporporate, alla fronte madida di sudore per colpa di quella dannata claustrofobìa che la attanaglia dai tempi delle scuole elementari.
La spagnola ci rimugina un po' su, continua a studiarlo; in effetti, si sente decisamente stupida a chiaccherare della sua vita davanti ad uno sconosciuto nel bel mezzo di una catastrofe come quella. Certo, non è scoppiata una guerra, ma sono pur sempre rimasti bloccati dentro un microscopico ascensore. A quel pensiero, la mora comincia a respirare con più fatica, di nuovo: punta lo sguardo dritto davanti a sé e si morde ripetutamente una guancia, ricominciando ad agitarsi. Poi serra gli occhi di scatto, stringendo le palpebre mentre Jon continua a carezzarle il dorso della mano.
‹‹Ok, ok›› annuisce, cercando di convincere se stessa ‹‹Allora, io.. Io sono Soledad, ma tutti per fortuna mi chiamano Sol, Sol e basta. E sono più che felice, perchè odio il mio nome›› ansima con le labbra arricciate in una smorfia - il fiatone le spezza le parole a metà, impedendole di parlare tranquillamente.
‹‹Cosa? Sul serio? Ma se è il nome più carino che abbia mai sentito fin'ora›› la interrompe lui, sgranando gli occhi e cercando i suoi - che non tardano a rifilargli un'occhiata truce.
‹‹Non prendermi in giro, lo so che è odioso. E ha un suono sgradevole›› borbotta schifata ‹‹Comunque, odio anche essere interrotta mentre parlo. Allora, dicevo: sono nata e cresciuta a Ronda, un paese sperduto a sud della Spagna. La conosci l'Andalusia? Bhè, proprio lì. Ho ventisei anni, compiuti il mese scorso. Quindi, sono del segno del cancro, ascendente bilancia. Insomma, un bel binomio››.
‹‹Un bel caratterino, vorrai dire›› sogghigna Jon, tornando subito serio per via dell'espressione della giovane, infastidita dalla sua ennesima interruzione.
‹‹Abito e lavoro in Canada da ormai sei anni, e sono venuta via dalla Spagna proprio perchè, a differenza tua, odio il caldo. Il sole è bello, sì, ti abbronzi, ti svesti, e tutte quelle cose là. Ma poi sai, inizi a sudare, e io odio sudare, non lo sopporto proprio, quindi..›› spiega, facendo boccaccia e rabbrividendo al solo pensiero delle lunghe estati passate insieme agli amici dell'oratorio sulle spiagge affollate dell'Andalusia.
‹‹Cioè, fammi capire: tu hai abbandonato la tua terra e la tua famiglia per..per il caldo?›› chiede stupito Jon, grattandosi la nuca.
‹‹Cavolo sì, e in Canada si sta molto freschi, te lo assicuro. Mai stato in Ontario?›› replica lei facendo spallucce.
‹‹Certo che sei strana forte, eh. E odi un po' troppe cose, secondo me›› chiosa l'uomo incrociando le braccia al petto - e abbandonando quelle dita affusolate con cui ci stava prendendo un po' troppo gusto a giocherellarci.
‹‹Bhè, lo “strana forte” lo prendo come un compl-aahh!››.
Ed ecco il secondo urlo strozzato che Soledad è costretta a lanciare in un solo giorno, nel giro di pochi minuti, e sempre accanto a Jon, lo strano tipo col pizzetto nero conosciuto solo pochi attimi prima.
Un boato, seguito da un odioso stridìo, hanno sovrastato improvvisamente la sua voce, facendo barcollare di nuovo l'abitacolo.
Panico. Il panico è l'unico sentimento che si riesce a leggere sul volto di lei in questo momento.
La ragazza chiude gli occhi, il respiro le diventa nuovamente pesante e affannoso, stringe le mani a pugno conficcandosi le unghie nei palmi, fino a farsi male, fino a far arrossare la pelle. Jon intanto si guarda intorno, ha paura anche lui - stavolta più di prima - e si vede. Le tocca una spalla, le cinge forte un polso, le dice di mantenere la calma e che tutto è sotto controllo.
Poi, un gracchiare. Una lucina rossa si illumina a intermittenza sopra le loro teste, e l'altoparlante comincia ad emettere suoni sconnessi. Una voce, non molto distinta, riesce a raggiungere l'interno dell'ascensore e - che Dio sia lodato - le orecchie dei due malcapitati.
Soledad alza di scatto la testa, le mani che corrono a coprire la bocca spalancata per la sorpresa; gli occhietti verdi corrono dalla lucina rossa all'espressione stupita di Jon, che sorridente si alza in piedi e preme un pulsantino per rispondere ai soccorsi; poi abbassa lo sguardo, allunga un braccio e, schiacciandole un occhiolino, offre il palmo di una mano alla moretta, ancora rannicchiata contro la parete.
‹‹Cosa ti avevo detto?›› gongola lui soddisfatto, aiutandola a tirarsi su.
Ed è così che si ritrovano uno davanti all'altra, lui che la sorpassa di un bel po' in altezza, e lei con le dita arpionate ai suoi gomiti; si scrutano, sono molto vicini, il respiro ancora affannoso di lei si infrange contro le labbra dischiuse di Jon. E' un attimo: lui spinge la testa in avanti e le loro bocche si sfiorano, mentre in lontananza si iniziano a distinguere le voci ovattate dei vigili del fuoco.
Soledad all'inizio rimane immobile, pietrificata; poi sente la mano calda di lui posarsi delicata sulla sua nuca, per attirarla maggiormente verso di sè e approfondire così quel tocco leggero che si trasforma subito in un bacio. A quel punto lei lo lascia fare, anzi, si alza sulle punte delle sue converse consumate e gli circonda il collo con un braccio, intrufolando le dita tra quei capelli folti e scuri, mentre con l'altra mano prende a giocherellare con un bottone della sua camicia a quadri. Due secondi dopo, la foga di Jon lo porta a spingere la ragazza contro lo specchio dove fino a pochi minuti fa stavano chiaccherando, stringendola per i fianchi e strusciando spudoratamente il proprio bacino contro quello di lei. Sol continua a baciarlo, e non lo ferma nemmeno quando azzarda a posarle una mano lungo la coscia, proprio lì, dove l'abito nero finisce e le dita di Jon lo tirano sempre più su; in risposta gli tira forte i capelli, attirandolo ancor di più verso di sè, come se bramasse ogni suo tocco e ogni sensazione che quello sprigiona in lei.
I vigili del fuoco però, tra una sprangata e l'altra, stanno già cercando di aprire le porte dell'ascensore, e quando la voce di uno di loro si fa sempre più vicina, Jon e Soledad si staccano, guardandosi negli occhi e riprendendo un briciolo di ossigeno. Sorridono, lei imbarazzata e con le guance accaldate, lui con un solo angolo della bocca all'insù e negli occhi una luce del tutto differente.
‹‹Grazie›› sussurra la ragazza con un filo di voce.
‹‹Per cosa?›› le chiede incuriosito, con la fronte corrugata - e intanto le sue mani abbandonano i fianchi morbidi di lei, quasi intimiditi da quel contatto così intimo e avventato, rifugiandosi nelle tasche dei jeans.
‹‹Bhè, per..›› balbetta Sol, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno ad una falange - ed ecco che fa capolino l'imbarazzo, l'imbarazzo che arriva dopo aver fatto una cosa d'impeto, senza pensarci due volte, proprio come hanno appena fatto loro due ‹‹..per avermi fatto mantenere la calma. Di solito, durante questi attacchi di panico, non ci è mai riuscita nemmeno mia mamma›› ridacchia, nervosa - e nella pancia si fa spazio qualcosa di nuovo, qualcosa mai provato prima, si accorge di avere un groviglio di sensazioni a darle fastidio proprio sotto lo stomaco, le sembra quasi di aver fatto indigestione, porca miseria.
Le porte finalmente si spalancano, e un biondino dagli occhi azzurri sorride ai due, vittorioso della propria impresa. Porge prima una mano alla ragazza, da bravo cavaliere, tirandola su con il suo braccio possente; la cinge per la vita alzandola di peso e la posa a terra, delicatamente, osservandola e chiedendole se si sente bene. Lei annuisce, un po' impacciata, correndo con lo sguardo a cercare qualcuno dei suoi colleghi. Ma non fa in tempo, perchè due braccia secche le stritolano il collo e delle labbra carnose le schioccano tanti baci sulla guancia arrossata. Rachel. Sol spalanca gli occhi, le pupille che osservano stupefatte un sorridente Jimmy e una sbalordita Lauren. Certo, Rachel che si esibisce in pubblico in gesti amorevolmente teneri, non è roba da tutti i giorni. Figurarsi se lo fa proprio nei suoi confronti. La mora ricambia l'abbraccio, felice e al tempo stesso frastornata, tranquillizzando i suoi colleghi e dicendo a tutti di sentirsi già meglio.
Anche Jon intanto è stato tirato in salvo, un paio di donne lo abbracciano e il direttore dell'hotel - il direttore? - gli lascia andare due pacche sulle spalle, parlottandogli vicino. Lei li osserva incuriosita, assistendo poi ad un'altra scena che ha ancor più dell'assurdo: dei giornalisti si sono intrufolati e scattano qualche foto a Jon, poi un vigile del fuoco gli si avvicina stringendogli la mano, e partono subito altri flash. Soledad sbatte un paio di volte le ciglia e corruga la fronte, grattandosi una guancia; Rachel continua a parlare accanto a lei, ma non riesce a concentrarsi su quello che dice, non quando anche Jon si gira a guardarla e incrocia il suo sguardo, sorridendole. Anche lui è confuso, si vede, e tutta quella gente intorno non fa altro che rendere tutto più incasinato.
La spagnola si sente strattonare per un braccio, le dicono che il direttore vuole parlare anche con lei, così, ritrovarsi di fronte a quel signore grasso e basso, è questione di un attimo: le chiede come sta, se vuole un bicchiere d'acqua, se per caso ha bisogno di sedersi, oppure se preferisce che le chiamino un dottore. La ragazza scuote il capo e ringrazia, poi si sente toccare una spalla e alza gli occhi: Jon le è talmente vicino da poterne sentire nuovamente il profumo pungente - dopobarba misto a un odore forte, quello che le faceva girare la testa quando ancora erano chiusi nell'ascensore. Si guardano, seppur per una breve frazione di secondo, lui le sorride e dischiude le labbra provando a sussurrarle qualcosa vicino all'orecchio, ma una mano gli artiglia il polso tirandolo all'indietro e allontanandolo una volta per tutte da lei.
Jon viene trascinato via da una rossa tutto pepe, con i tacchi a spillo e un orrendo tailleur color antracite. Lui si gira, cerca con lo sguardo Soledad, ma è costretto ad alzare le spalle come per scusarsi: la rossa non transige, borbotta qualcosa ai fotografi e mostra il proprio pass appeso al collo ad una guardia posizionata davanti una grande porta in legno scuro. Lei sorride debolmente, guardandolo sparire dietro l'uscio, seguito da una marea di persone addette allo staff e a quel paio di giornalisti.
Soledad è decisa nel voler tornare a lavorare, sta meglio e vuole portare a termine la giornata; le persone intorno la vedono un po' scossa, sono preoccupate per lei, i colleghi sanno che soffre spesso di attacchi di panico e così la sommergono di domande, fino a quando Jimmy le dice che non può lavorare in quelle condizioni e le chiama un taxi, facendola accompagnare all'hotel in cui alloggiano.
Una volta in camera, cerca di rilassarsi e prova a staccare la spina: si fa una bella doccia calda, prende le sue goccioline alle erbe per distendere i nervi, e si butta sotto le coperte, con l'aria condizionata che rinfresca tutta la stanza.


 

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Twitter:
taylormaisie} @ihateeveryoneofyou
What a pleasure meet @jonnybernthal today at Comic Con! *-* Thanks man, you're an amazing and sexy guy! ;) #comicon2012 #SDCC

Mentre Soledad scorre la tl del famoso social network, avvolta in un accappatoio soffice e sorseggiando un succo al mirtillo, per poco non le prende un colpo. Sbatte le palpebre un paio di volte, forse anche qualcuna di più, torna indietro facendo scorrere la punta dell'indice sullo schermo e controlla se quello che ha letto - e visto - è reale o solo frutto della sua fantasia.
Niente da fare, quel tweet di una sua vecchia amica campeggia ancora lì, proprio davanti ai suoi occhioni verdi spalancati. E poco più sotto, l'uomo col pizzetto scuro che nel pomeriggio era intrappolato con lei nell'ascensore, è fotografato mentre abbraccia la biondina in questione, quella Maisie che a Soledad non è mai andata giù - vuoi perchè le rovinò le vacanze del suo diciottesimo compleanno provandoci con Rodrigo, un suo ex, vuoi perchè da sempre odia le bionde ossigenate.

Sol stringe il labbro inferiore tra pollice e indice, torturandoselo, mentre rimugina sul perchè Maisie si trovi a San Diego; sapeva che dopo l'università si era trasferita come lei nel nuovo continente, ma credeva fosse andata ad abitare a New York, nell'appartamento dello zio pseudo-pittore nel cuore di Manhattan. Ma la cosa più essenziale per la mora, adesso, è capire perchè Maisie fosse stretta tra le braccia nerbolute di quel Jon che qualche ore prima l'ha baciata - sì, proprio a lei - e spinta contro la parete dell'ascensore, provando ad infilarle le mani sotto il vestito senza troppe cerimonie. Bhè, non può negare che, se i vigili del fuoco non li avessero interrotti, lei lo avrebbe volentieri lasciato fare. Si ricorda che in quel momento aveva la testa leggera e la bocca dello stomaco completamente chiusa. Insomma, non avrebbe sicuramente pensato alle conseguenze, e magari..
Vabbè, meglio non pensarci. 
Riguarda la foto e la zoomma. La mano di lui è stretta intorno al vitino da vespa di lei, che dal canto suo lo tiene ben saldo per le spalle larghe e muscolose; Maisie sorride e tiene il viso pericolosamente vicino a quello di Jon, che non si ritrae e la lascia fare, allegro, guancia a guancia con la bionda, alzando il pollice della mano libera verso l'alto.
Stizzita, chiude l'applicazione, mette in modalità silenziosa e sbuffando si alza dal letto, cercando il piagiama nel borsone, lanciato là nell'angolo dalla mattina in cui è arrivata a San Diego. Sparisce in bagno, si guarda allo specchio e decide di lavarsi i denti, ma nella sua testa non riesce a pensare ad altro che a quella foto. E a Jon.
A Jon e lei nell'ascensore, avvinghiati.
Sospira e si infila la sua adorata fascia elastica per capelli, quella che usa sempre per dormire, quella rosa fluorescente che farebbe ribrezzo anche ad un clochard vestito con i peggio stracci. Si passa la crema idratante sul viso, si spazzola un po' i capelli e torna in camera, riflettendo su chi possa essere davvero Jon. Sicuramente qualcuno di famoso, visto che Maisie si è fatta la foto insieme a lui, pubblicandola sul profilo subito dopo; qualcuno che però la spagnola non ha assolutamente riconosciuto.
Soledad Marquez e le sue solite figure del cavolo.
Accende la tv e si mette a fare zapping, annoiata e con la testa da tutt'altra parte; poi, un canale attira la sua attenzione, un notiziario locale. Stanno intervistando le migliaia di persone che ogni hanno invadono un evento come il Comic Con, appassionati da tutto il mondo che hanno l'opportunità di incontrare faccia a faccia i propri idoli. La ragazza comincia a interessarsi, l'orecchio attento e l'occhio vigile; sposta l'accappatoio che le è andato a finire sui piedi e si sistema meglio a sedere. Riconosce alcuni membri del cast per cui ha lavorato nei due giorni precedenti, quelli della serie tv “Supernatural” - e in effetti, Jimmy non aveva tutti i torti, quei due non sono proprio niente male. E poi boom, parlano del fenomeno di "The Walking Dead", una bella ripresa all'intero il cast fa partire il servizio, in cui viene raccontato della rassegna stampa, della nuova stagione, del fumetto, dei vecchi e dei nuovi person..ehi!
Jon - quel Jon, si proprio lui, quello che l'ha baciata nell'ascensore - appare un paio di volte nella tv al plasma davanti a lei: mentre firma autografi e sorride, mentre risponde a qualche domanda durante le interviste al cast, mentre prende in braccio un delizioso bambino travestito da zombie.
La morettina smette di torturarsi una pellicina del mignolo, rimanendo ad ascoltare il telegiornale con la faccia da pesce lesso. Si stropiccia un occhio, prende un bel respiro e, senza mai staccare le pupille dallo schermo piatto, allunga un braccio e a tastoni cerca il cellulare sopra il comodino vicino a sé. Ma sbatte nell'abatjour e rischia di far cadere qualsiasi cosa ci sia li sopra.
Spaventata da tutto quel baccano, sobbalza, portandosi una mano al petto e correndo a sistemare il ripiano in legno scuro. Ma quando rialza gli occhi, la giornalista biondina di poco fa ha già ripreso la parola, cambiando argomento. E così adesso le previsioni meteo hanno preso il sopravvento.
‹‹Tanto lo sappiamo che farà un caldo bestiale, sai che novità›› borbotta imbronciata, acciuffando l'Iphone e tornando a sedersi sul letto.
Apre qualche applicazione a casaccio, guarda qualche foto che ha scattato la sera prima quando con i colleghi è andata a fare un giro per il centro, apre la casella dei messaggi ma poi la richiude subito. Fissa lo sfondo illuminato per qualche secondo, assorta - un delizioso Loki che sorride beato, il personaggio Marvel che più adora - poi torna sui messaggi e cerca il nome di Jimmy. Non può negarlo: è curiosa – curiosa da morire - di chiedergli se lui ne sa niente di questo Jon di "The Walking Dead". Sta per scrivere al suo amico, ma improvvisamente qualcosa la blocca dal farlo.
Un rumore repentino, che la fa trasalire e girare verso la porta scura. Un rumore attutito, molto simile ad un bussare leggero. Rimane ferma qualche altro secondo, poi realizza che molto probabilmente se lo è solo immaginato, uno stupido scherzo della sua mente bacata.
toc-toc-toc
La testa le scatta di nuovo in direzione dell'uscio; stavolta non se lo è immaginato, qualcuno ha bussato davvero. Sbuffa e lancia il cellulare sul letto sfatto, rimandando a più tardi l'invio di quel messaggio. Si trascina a stento attraverso la stanza, le gambe che le sembrano due macigni per via del troppo caldo e per la spossatezza che esso ne comporta - è per questo che la ragazza odia l'afa e le temperature alte, la indeboliscono e la rendono uno straccio manco fosse una vecchietta di novant'anni. A pensarci bene, sua nonna Ester solo tre mesi prima ha soffiato su ben ottantasei candeline, ed è molto più arzilla e agile di lei. Scaccia immediatamente quel pensiero, e finalmente, a passo di bradipo, la sua mano raggiunge la maniglia in finto ottone aprendo la porta.
E scopre che lui è lì, davanti a lei. Con il suo pizzetto, i suoi capelli neri come la pece, i suoi occhi scuri e profondi che allegri studiano la sua buffa espressione. Lui è lì, a pochi passi da lei, con quel sorrisetto sghembo, il fisico imponente e la faccia da schiaffi.
Ha un cappello calato in testa - una coppola, precisamente - gli stessi jeans slavati di quel pomeriggio, una mano in tasca e una semplice t-shirt grigia. Attillata. Parecchio attillata. Soledad deglutisce, in evidente difficoltà, cominciando a sudare freddo e pensando che forse quella maglietta gli fa risaltare un po' troppo gli addominali, mettendola addirittura in soggezione - certo, quel pomeriggio aveva potuto tastare abbastanza attraverso la camicia a quadri, ma diamine, non si era realmente accorta di tutto quel tripudio di massa muscolare. Si impone di sorridere e di assumere l'espressione più sorpresa di sempre, e con tutta la sua buona volontà, si impone anche di non puntare continuamente gli occhi sul quel torace sodo e ben in vista.
‹‹Ciao››.
E' lui ad esordire per primo, la faccia divertita e quel sorrisino sbilenco che Soledad ricorda bene.
‹‹Ciao..›› pigola la ragazza, intimidita e realmente spiazzata da quella visita inaspettata.
‹‹Come stai? Ti sei ripresa?››.
La mora sgrana gli occhi quando l'essere di tipo maschio davanti a lei incrocia le braccia al petto - così, tra una parola e l'altra, con nonchalance, come se quel gesto innocente non scatenasse in Soledad una tempesta ormonale. I muscoli degli avanbracci, infatti, guizzano senza problemi davanti agli occhi esterrefatti della giovane. Sol si sente ancora una volta il capo leggero - come quel pomeriggio in ascensore, quando il profumo di Jon le si insinuava prepotente nelle narici - e improvvisamente viene colta da una vampata di caldo, che la costringe a sventolarsi alla bell'e meglio con una mano.
‹‹Oh sì, grazie. E tu? Tutto apposto?›› deglutisce imbarazzata, le guance che intanto le vanno a fuoco.
‹‹A meraviglia›› le sorride lui, poggiandosi con una spalla allo stipite della porta.
Silenzio. Lei lo studia, curiosa e seria, mentre l'attore abbassa gli occhi sulle punte dei propri scarponcini neri, risultando per la prima volta un po' impacciato.
‹‹Ti ho.. Bhè sì, ti ho cercata oggi, ma eri già tornata qui, in hotel›› rirpende Jon con un mezzo sorriso, grattandosi la nuca.
‹‹Oh›› mormora la giovane ragazza, prendendo a martoriarsi il labbro inferiore con i denti.
‹‹Poi ho avuto la fortuna di riconoscere un tuo collegha, e.. E' stato molto gentile, mi ha detto che stavi meglio e che ti aveva chiamato un taxi, così ho capito che eri andata a riposarti un po'›› le spiega.
‹‹E scommetto che ti ha anche dato il nome dell'hotel›› commenta Sol aprendosi in un timido sorriso.
Jon allora le mostra i palmi delle mani, alzandoli davanti a lei, e una luce divertita attraversa i suoi occhi neri e vispi.
‹‹Colpa mia›› ammette con cipiglio allegro ‹‹Credimi, ho insistito talmente tanto che è stato costretto a dirmi dove alloggiavate››.
I due si ritrovano a ridere sommessamente, Sol che si tappa la bocca per non fare troppo rumore nel corridoio e rischiare di disturbare le camere accanto - in fondo, sono pur sempre le dieci di sera.
‹‹Oh, scusa. Vieni, entra pure›› sbotta lei, battendosi una mano sulla fronte per la sbadataggine e facendolo passare.
Un passo, un altro, uno ancora.. Son bastati tre passi, e Jon è nella sua camera d'albergo. Può suonare ambiguo, ma è così.
‹‹Bella camera››.
‹‹Scusa per il disordine, ma-››.
‹‹Oh, no no no, per me questa è una stanza ordinatissima›› la interrompe subito Jon, con le sopracciglia che gli schizzano in alto ‹‹Dovresti vedere la mia: è un tale caos che ti mettersti le mani nei capelli, credimi›› sogghigna grattandosi la barbetta sul mento.
Soledad intanto ha cominciato a mettere un po' di cose a posto, senza un ordine preciso, le raccoglie e le sistema in posti in cui danno meno nell'occhio: le scarpe dietro il borsone, i cuscini in fila, il succo di frutta vuoto finisce nel cestino, i panni sparsi sulla poltrona vengono rammucchiati e portati in bagno. Lui, dal canto suo, si diverte ad osservarla, le mani dietro la schiena e le gambe che lo portano in giro per la camera; poi, poco prima che la spagnola afferri anche l'accappatoio umido sopra il letto, Jon si sbilancia e si butta sul materasso, proprio sopra quel tessuto spugnoso verde menta, impedendole così di portarlo via. La morettina strattona un angolo dell'accappatoio con le mani, mentre con gli occhi si ritrova a guardare la faccia sorridente e beffarda di Jon, che a braccia conserte la scruta divertito.
Soledad quindi si impettisce e corrucciata punta le mani sui fianchi, rifilandogli un'occhiataccia.
‹‹Mi stai ignorando›› afferma mellifluo Jon, pungolando la pancia di lei con l'indice - sono talmente vicini che le gambe della ragazza riescono a sfiorare le ginocchia dell'uomo.
‹‹Cosa? No, sto solo rimettendo un po' in ordine, io non-›› sgrana gli occhi lei, venendo subito sovrastata da quella voce calda e leggermente roca.
‹‹Oh sì, lo stai facendo invece. Sei in imbarazzo e mi stai volutamente ignorando››.
La giovane sbuffa e alza gli occhi al cielo, riprendendo a spostare oggetti a caso per non imbattersi ancora in quelle pozze nere come il catrame.
‹‹Si, è vero, forse ti sto un po' ignorando. Ma sai cosa? Io non ti conosco nemmeno, Cristo Santo, e tu - per quanto possa apprezzare il pensiero, davvero - sei piombato qui, alle dieci di sera, e senza nemmeno avvisarmi. E se permetti, visto che indosso un orrendo pigiama dei Puffi e ho un nido in testa al posto dei capelli, sono un tantino a disagio. E' tutto più chiaro, adesso?›› sbotta tutto d'un fiato, allargando le braccia con fare ovvio - poi riprende aria e continua, non lasciando all'uomo nemmeno il tempo di aprire bocca ‹‹E poi scusa, non potevi chiedere semplicemente il mio numero, a Jimmy? Così mi chiamavi, e ti accertavi che stessi bene, oppure magari..non lo so..›› blatera esaperata, una mano sulla fronte e l'altra di nuovo sul fianco.
Jon la guarda, serio; poi poggia un palmo sul materasso e piega la testa di lato, osservando quella deliziosa ragazza accaldata e con le guance rosse che sbuffa e continua imperterrita a sistemare la camera, acciuffando il caricabatterie dell'Iphone e arrotolandone il filo.
‹‹Ti va di uscire?››.
Questa è l'unica cosa che riesce a dirle, e si sente alquanto stupido e fuori luogo. Non gli viene in mente altro, mentre la osserva andare su e giu per la stanza con cipiglio furioso. Le labbra gli si increspano in un mezzo sorriso proprio mentre Soledad si blocca nell'udire quella domanda; è di spalle, rivolta verso la grande vetrata che porta ad un piccolo terrazzino, ma non tarda a girarsi e a guardarlo con tanto d'occhi.
‹‹Come, scusa? Sei serio, o..?›› balbetta, incredula.
‹‹Ti sei mai affacciata su questa terrazza da quando sei qui?›› le chiede l'attore dopo essersi schiarito la voce, alzandosi e andando a scostare la lunga e pesante tenda bordeaux ‹‹Guarda, quel viale laggiù è pieno di bancarelle, ce ne sono di ogni tipo, e c'è anche da mangiare. E là in fondo, sono riusciti addirittura ad infilarci un piccolo luna park. Quindi sì, sono serio›› si volta verso la ragazza con un sorriso tronfio, le mani in tasca e l'espressione attonita di lei che lo fa ridere e scuotere la testa.
Silenzio. Si sente solo il ronzio basso del televisore rimasto acceso.
‹‹E dai, avanti, non è tardissimo. Indossa qualcosa, su, o giuro che ti trascino là fuori in piagiama›› la minaccia, avviandosi verso la porta ‹‹Ti aspetto nella hall, va bene?››.
Sulla bocca di Soledad nasce spontaneo un timido sorriso, di quelli divertiti e stupiti al tempo stesso - come quando sei travolto da una cosa piacevole all'improvviso, e non sai che pensare. Un sorriso che nasce senza il minimo sforzo. Lui ricambia e le schiaccia un occhiolino, ma poco prima che sparisca dalla stanza, lei lo ferma.
‹‹Ah, Jon?››.
‹‹Mh?››.
‹‹Non ti avevo riconosciuto oggi, in ascensore. Cioè, in realtà io non..non ti avevo mai visto prima, e l'ho capito solo dopo chi eri. Anzi cioè no, a dire il vero non ho ancora chiaro un bel niente, di te›› si affretta a spiegare mentre le si imporporano le guance.
‹‹E allora?›› fa spallucce lui.
‹‹No, niente, è che.. E' che volevo dirtelo››.
‹‹Ti cambia qualcosa? Il mio lavoro, intendo, ti cambia qualcosa?››.
Sol scuote piano la testa, mentre quel sorriso intanto, non ne vuole sapere di abbandonare le sue labbra secche.
‹‹Fai veloce su, che mi è entrata fame e ho voglia ciambelle››.


 

                                                                     # # # # # # # #

 

Circa una mezz'oretta più tardi, Soledad sta maledicendo se stessa per aver accettato l'invito di quell'attore tanto affascinante quanto simpatico, dandogliela vinta e lasciandosi così trascinare in mezzo ad un fiume di gente, dove l'aria calda della sera è irrespirabile e comincia già a stringerle la gola. Si guarda intorno, un po' spaesata da tutto quel movimento e quelle luci, sventolandosi continuamente con la mano e percependo chiaramente lo sguardo di Jon su di se.
‹‹Troppo caldo?›› le domanda mentre sono in coda per comprare due ciambelle ricoperte di zucchero.
Il problema non è la domanda in sé, il problema è “come glielo chiede”: si sbilancia in avanti, sbucandole da sopra la spalla e sussurrando vicino al suo orecchio, con l'alito caldo che le solletica il collo. E se il profumo dell'uomo si aggiunge a quei brividi lungo la spina dorsale, il mix diventa inaccettabile per Soledad, che si immobilizza all'istante e drizza la schiena, cercando di rimanere il più indifferente possibile - e non è molto facile, se cominci a sentire il cuore battere un po' più forte nel petto e la pelle ti si intirizzisce. Così, per recuperare un minimo di controllo, la giovane chiude gli occhi e inspira a fondo, stiracchiandosi il collo. Annuisce e fa spallucce, lanciandogli un'occhiata veloce senza indugiare troppo su quelle labbra che Jon si inumidisce con un colpo di lingua, sorridendole.

Finalmente, tra una spinta e l'altra, riescono a comprare le due ciambelle, riprendendo a passeggiare fianco a fianco.
‹‹Che cosa ti è saltato in mente? Perchè?››.
Jon rallenta e la guarda, l'espressione confusa e un ciuffo che gli ricade sugli occhi.
‹‹Come, scusa?››.
‹‹Voglio dire, questa cosa›› alza le spalle lei, leccandosi un baffo di zucchero e continuando a camminare tra la gente ‹‹Cercarmi, chiedere in quale hotel mi trovo..invitarmi a mangiare qualcosa›› conclude, indicando con gli occhi l'ultimo pezzetto di ciambella che le rimane tra le mani.
‹‹Bhè, detto così fa paura, fidati. Da come ne parli sembro più uno stalker›› ride l'uomo.
‹‹Esatto, credo che “stalkerare” sia il termine giusto, bravo›› scherza la ragazza arricciando il naso.
Lui sospira e butta giu l'ultimo boccone, appallottolando tra le mani il tovagliolo di carta impiastricciato di zucchero.
‹‹Non ti ho rivista in giro per tutta la sera, mentre i tuoi colleghi sgambettavano a destra e sinistra. E poi non ci eravamo nemmeno salutati›› chiosa, tornando per un attimo serio ‹‹Insomma, per prima cosa volevo sapere come stavi, tutto qui››.
Gli occhietti vispi e furbi di Soledad guizzano sul viso di Jon, mentre un angolo della bocca le si piega all'insù.
‹‹E per seconda cosa?››.
‹‹Cosa ti fa pensare che ci sia una seconda cosa?››.
‹‹Bhè, il fatto che hai detto “per prima cosa” lascia presupporre che ce ne sia una seconda›› snocciola con aria sapiente lei.
Ma Jon non fa in tempo a controbattere, perchè la ragazza si fa piccola piccola mentre un gruppetto di donne si avvicina a loro, cellulari alla mano e sorrisoni fino alle orecchie. L'attore si concede a quelle poche ammiratrici, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata in direzione della mora, che svogliatamente dedica la sua attenzione ad una bancarella di cianfrusaglie lì vicino. Quando ha finito, dopo foto di circostanza, autografi, abbracci e complimenti, non perde tempo e trotterella alle spalle della giovane di soppiatto. Un pizzico su entrambi i fianchi - di cui Jon non può fare a meno di ricordarne la morbidezza - e Sol salta come un grillo, spaventata. Lui ride, senza però staccare le mani dai suoi fianchi, mentre la spagnola, inviperita, alza una mano lasciandogli andare uno scapaccione a mano aperta, proprio sulla nuca.
‹‹Ehi, ma ti pare il modo? Guarda che mi hai fatto prendere un colpo›› lo brontola, seriamente piccata.
‹‹A cosa pensavi?›› sorride Jon, stringendola per la vita e schiacciandola contro il proprio petto - gesto che costa molto caro a Soledad, la cui salivazione scende a zero e le gambe le diventano improvvismente molli.
‹‹Al fatto che mi trovo in giro con un imbecille che si diverte a spaventare le persone, ecco a cosa pensavo›› borbotta, mettendo il broncio.
In realtà il cuore le ha perso un paio di battiti, ma deve fingere indifferenza e la carta dell'essere arrabbiata funziona più o meno sempre - diciamo che può distrarre dalle sue guance rosse e dal fatto che a lei, quel contatto più intimo, piace eccome.
‹‹Nah, non è vero. In realtà pensavi “sono la ragazza più fortunata di tutta San Diego esta noche, guardatemi e ividiatemi”›› scimmiotta Jon, in una pessima imitazione della voce di Sol.
Un sopracciglio della mora si inarca subito verso l'alto, l'espressione meravigliata e le dita che si grattano una guancia.
‹‹Io non parlo così›› biascica, atona ‹‹E soprattutto non dico “esta noche”›› puntualizza.
‹‹Sei spagnola, quindi devi per forza dire “esta noche”›› replica lui divertito, continuando a tenerla stretta a sé - e le dita incrociate dietro la sua schiena sembrano la cosa più naturale del mondo, come se dovessero stare proprio lì.
‹‹Io non-›› spalanca la bocca Sol, per poi bloccarsi e sbuffare, arrendendosi e mandando gli occhi al cielo ‹‹E va bene, hai ragione, qualche parola ogni tanto mi scappa›› bofonchia a mezza bocca, per poi rifilargli una linguaccia.
Si divincola dalla presa ferrea di Jon e gli volge le spalle, sgambettando verso il sentiero che porta al luna park; ormai sono quasi arrivati, e salire sulla ruota panoramica è una cosa che non vuole farsi assolutamente sfuggire.
Ha sempre amato le ruote panoramiche Soledad, sin da quando era piccina e i suoi nonni la portavano all'unica fiera presente nelle vicinanze durante le feste natalizie. Ricorda ancora che c'erano pochissime giostre, ma che quelle la rendevano la bambina più felice della terra. Mano nella mano con nonna Ester, si mangiava lo zucchero filato, e il nonno le comprava sempre il biglietto per colpire i barattoli di latta e cercare così di vincere uno di quegli enormi peluche appesi al baracchino. E poi c'era lei, quella grossa ruota che alla piccola Soledad appariva ancor più enorme di quello che in realtà era. E costringeva i nonni a salire con lei, che invece non sarebbe mai scesa di li. Amava quando la giostra si bloccava e rimanevano così dentro quel piccolo casottino trasparente con il panorama dell'andalusia ai loro piedi.
Jon la raggiunge, passandole come se nulla fosse un braccio intorno al collo, e facendola indietreggiare un po' - che poi la schiena le vadi a sbattere contro il torace massiccio di lui, è solo un inutile dettaglio.
‹‹Sembravi più simpatica oggi›› mugugna contro la sua tempia, storcendo un po' il naso.
Lei lo guarda, gli occhi verdi sgranati e le labbra dischiuse; boccheggia, non sa che dire, fino a quando lui scoppia in una risata.
‹‹E dai, scherzo›› sghignazza l'uomo, pizzicandole una guancia e vedendo finalmente l'ombra di un sorriso su quel faccino dai tratti fini ed eleganti - un faccino che lo tormenta da quel pomeriggio, non lasciandolo in pace neanche per un minuto.
‹‹Scusa, è che..›› farfuglia Sol, abbassando lo sguardo e torturandosi le dita ‹‹Sai, non mi capita tutti i giorni di rimanere chiusa in un ascensore con uno sconosciuto››.
‹‹Si, effettivamente hai ragione›› ammette lui con un sospiro.
‹‹E non capita nemmeno che questo sconosciuto ti baci, e poi la sera bussi alla porta della tua camera d'albergo, invitandoti ad uscire con lui›› mormora, la voce ridotta in un sussurro per l'imbarazzo - e le guance le si colorano ancora di rosso, ma stavolta il caldo afoso non c'entra un bel nulla.
Jon la guarda in silenzio, assorto, continuando a camminare al suo fianco: le osserva la puntina del naso perfetto, le labbra un po' screpolate, le guance alte, i ciuffi neri che le ricadono in avanti sfiorandole il viso. Poi, un pugno in pieno petto lo distrae da tutto quel ben di Dio.
‹‹E smettila di guardarmi così, lo sai che è vero›› sorride, nervosa ‹‹Quando mai succede che due sconosciuti rimangono bloccati dentro un maledetto ascensore, e dopo si-››.
Ma viene interrotta, di nuovo. La mano di Jon le scompiglia i capelli, mentre le stringe il braccio intorno al collo e la voce roca sovrasta la sua.
‹‹Per i miei gusti parli un po' troppo, ragazzina›› ride, sgaruffandola tutta.
‹‹Per i miei gusti›› dice stizzita, allontanando il capo ‹‹devi darmi qualche spiegazione, invece››.
Lui non risponde, sospira e riprendono a camminare, silenziosi; Jon viene riconosciuto un altro paio di volte, quando per una foto con un giovane fan, quando per una semplice stretta di mano.
Poi, si ritrovano davanti quell'immensità tutta luci e colori: la ruota panoramica campeggia proprio in mezzo ad un prato pieno di gente. Soledad si schiarisce la voce, attirando tutta l'attenzione dell'uomo, che intanto osserva rapito la fine dell'enorme giostra con il capo piegato verso l'alto.
‹‹Devi sapere, Jon, che se mi trovo davanti ad una ruota panoramica, o comunque nei suoi dintorni, la cosa implica che devo per forza salirci›› trilla lei col naso all'insù e le mani dietro la schiena.
‹‹Ah, si? E come mai?›› le si avvicina lui, con un mezzo sorriso a piegargli le labbra.
Non riesce a starle troppo lontano, dopo un po' deve per forza avvicinarsi.
‹‹Bhè, te lo spiegherò solo se tu mi dirai quella famosa “seconda cosa”›› lo avverte, sparendo e mettendosi in coda per comprare il biglietto.
Così, Jon, è costretto a salire, solo per farla contenta e per vederla sorridere come una bambina, non riesce a dirle di no; le impedisce di pagare, tirando fuori quei pochi dollari come ha fatto prima con le ciambelle, da bravo gentiluomo, e sale su quella microscopica cabina leggermente illuminata. La giostra comincia a muoversi piano, iniziando a salire e a mostrare agli occhi emozionati di Soledad l'immenso panorama mozzafiato intorno a loro. La ragazza spalanca la bocca, emette gridolini di gioia come se avesse cinque anni e ci salisse sopra per la prima volta, spalma la punta del naso contro la parete trasparente per ammirare a pieno quell'accozzaglia di luci e movimento. Si vede che ama le ruote panoramiche, e Jon ripensa al discorso che gli ha fatto quand'erano ancora con i piedi per terra, capendo tutto d'un tratto cosa intendeva dirgli: deve salirci, su una ruota panoramica, deve farlo, perchè la sua espressione cambia totalmente, e sembra che le stiano facendo un'iniezione di felicità.
La giostra smette di girare, facendo oscillare la loro carrozzella. Sono nel punto più alto, Soledad può ammirare anche il mare e le onde che si nfrangono sulla costa. Jon chiude gli occhi e inspira, cercando di mantenere la calma - ma soprattutto, cercando di non farle intuire che quella è la sua prima volta: non è mai salito su un'aggeggio del genere, e tutte le volte che anadava ad un luna park, le giostre più alte erano quelle che puntualmente evitata.
‹‹Guarda laggiù›› squittisce entusiasta lei, saltellando appena e facendo nuovamente oscillare la navicella.
‹‹Sta' ferma›› tuona perentorio lui, gli occhi sgranati e il respiro leggermente accelerato ‹‹Non fare movimenti bruschi, ti prego››.
La ragazza si gira ad osservarlo. Sbatte le palpebre, lo fissa per un po', poi capisce e si mette una mano davanti la bocca.
‹‹No, non ci credo. Ora..orasei tu quello terrorizzato›› ride sommessamente Sol ‹‹Soffri di vertigini, e non mi hai detto niente? Certo che sei strano forte, eh›› scuote la testa.
‹‹Anche tu sei strana, sai? Una claustrofobica che sale su degli ascensori piccoli e stretti. O magari che si diverte così tanto su questi cosi infernali, per esempio›› controbatte irrittato l'attore.
‹‹Di solito evito gli ascensori, signorsottuttoio. Ma oggi stavo lavorando, avevo fretta, e fare dieci piani di corsa non mi sembrava il caso›› gli risponde per le rime la moretta, poggiando le mani sui fianchi.
‹‹E le ruote panoramiche? Essere rinchiusa e sospesa nel vuoto? Ti costringe qualcuno a salirci?›› la sfida lui - e Dio solo sa dove trova la forza per farlo, visto che è totalmente paralizzato.
‹‹”Questa” ruota panoramica›› sottolinea Soledad, spazientita ‹‹è completamente in plastica trasparente, come quasi tutte le altre, e ha le prese d'aria che-››.
‹‹Non ci credo, davvero stiamo discutendo di questo?›› la ferma incredulo Jon, con un sorriso tirato.
E' ancora seduto - non si è mai alzato, in realtà - e adesso si tiene la testa tra le mani. Tutte quelle chiacchere non fanno che peggiorare la situazione, così, una volta che è riuscito ad ammutolirla, alza lo sguardo lentamente, provando a fissare un punto fermo della cabina. Niente da fare, la testa riprende a girare e le mani sono sempre più sudate. Allarmato, si accascia sul sedile colorato, i polmoni in cerca di maggiore aria; poi lei si abbassa, piegandosi sulle ginocchia, e gli posa delicatamente una mano sulla guancia ispida.
‹‹Ok. Guardami, Jon››.
Ha il fiatone e sono a diversi metri da terra, ma prova a non pensarci e alza gli occhi tuffandoli in quelli tranquilli di lei.
‹‹Che fai: io oggi ti ho aiutata, e ora tu ricambi il favore?›› farfuglia, con una smorfia che vuole sembrare un sorriso.
‹‹Più o meno›› sorride dolce Soledad ‹‹Adesso respira lentamente››.
Jon ci prova, chiudendo gli occhi e crogiolandosi nel calore che la piccola mano della ragazza sprigiona sul suo viso.
Inspira, espira, inspira, espira.. Funziona. Poco, ma funziona.
‹‹Una cosa che ho imparato dagli attacchi di panico, è che regolarizzare la respirazione aiuta in ogni caso›› parla sottovoce Sol, mentre le palpebre dell'uomo sono ancora abbassate e il torace si alza e abbassa ad un ritmo un po' più equilibrato.
Un mezzo sorriso torna a far capolino sulla faccia tesa di Jon, che apre piano un occhio e osserva la ragazza, un po' imbarazzato.
‹‹Certo che devo risultarti ridicolo. Un uomo grande e grosso come me, che se la fa nelle mutande peggio di un moccioso di dieci anni›› mormora, ridacchiando sommessamente e continuando ad incamerare più aria possibile ad ogni respiro che fa.
‹‹Ma smettila. Le paure le hanno tutti, grandi e piccini. Anche i più forti, sai? Ad esempio, che ne so..pensa ai supereroi: Iron Man è un uomo normalissimo con le sue paure e le sue insiscurezze, ma quando indossa l'armatura è in grado di salvare mezzo mondo›› commenta melliflua, sedendogli accanto con molta cautela ‹‹Oh, e prendi Peter Parker: il ragazzo sfigato e timidone che grazie al morso di un ragn-››.
La risata roca di lui la interrompe da quel torpiloquio - se parli di supereoi con Soledad Marquez, sei spacciato, perchè hai toccato il suo punto debole.
‹‹Non sopporto nessuno dei due. Se non fosse per l'armatura fatta in casa, o il veleno di un minuscolo animale, non sarebbero nessuno. Preferisco i supereroi veri, quelli con i poteri naturali, tipo Hulk, i Fantastici Quattro, oppure gli X-men››.
‹‹A me piacciono tutti›› borbotta lei, facendo spallucce ‹‹Ma Tony Stark resta il mio prediletto››.
‹‹Solo perchè al cinema lo interpreta uno come Downey Jr, ammettilo›› gracchia Jon, guardandola di sbieco ‹‹E poi è anche odioso, come fa a piacerti? Stark, intendo. E' un donnaiolo, un riccone, una persona materiale insomma››.
‹‹All'inizio. Ma poi si innamora della sua assistente, Pepper Potts›› gli risponde sbattendo le lunghe ciglia e incrociando le braccia al petto.
Lui si gira, la osserva e sorride; poi scuote la testa, facendo attenzione a non muoverla troppo - non si sa mai, visto il punto in cui si trovano.
‹‹Sul serio stiamo parlando di supereoi mentre siamo bloccati quassù in cima?››.
‹‹Eravamo›› precisa la voce di lei ‹‹Non siamo più bloccati››.
Jon alza lo sguardo, fissandolo in quello divertito di Sol.
‹‹Guarda. Ci stiamo muovendo››.
L'uomo deglutisce, seguendo il dito magro della ragazza che punta all'esterno, e accorgendosi - con gran sollievo - che il terreno si sta avvicinando sempre di più.
Una volta fuori, Sol gli chiede se vuole un po' d'acqua, tirandolo per un braccio verso un baracchino che vende granite. Compra due boccette, le apre e ne passa una a Jon, che è ancora un po' scombussolato e la guarda imbambolato, lasciandola fare.
No, quel sorriso e quella faccia pulita non se li toglierà facilmente dalla testa, proprio non c'è verso, già lo sa.
Si siedono su una panchina un po' in disparte, riparati da tutto quel tram tram di gente che alle undici di sera ancora non ne vuole sapere di concludere quella calda giornata di luglio. Soledad sospira, stiracchiandosi la schiena, ma qualcosa le cinge il polso, bloccandole il movimento: è la mano di lui, che glielo stringe e l'attira così contro il proprio petto.
‹‹A quanto pare stasera sono io che devo ringraziare te›› le sussurra contro la tempia, lasciandole un bacio.
Sol rimane immobile, le sue spalle che sbattono contro il torace ampio di lui producono un tonfo sordo che non è nulla in confronto al baccano che ha preso a fare il suo cuore nella cassa toracica; deglutisce, chiude gli occhi per un secondo, e spera fortemente che le orecchie di lui non lo percepiscano, quel battito impazzito. Sarebbe imbarazzante.
Si impone allora di mantenere il controllo: fa un grosso respiro, e si gira verso un Jon sorridente per contraccambiare il cipiglio allegro con cui la osserva da ormai diversi secondi. Secondi in cui la ragazza si è persa in quel caldo abbraccio che lui le sta regalando senza troppe pretese, la stringe a sé e basta. Secondi in cui Soledad si è distaccata dalla realtà annusando nell'aria intorno il profumo dell'uomo, l'odore che da quel pomeriggio le fa girare la testa così tanto impedendole di ragionare tranquillamente non appena i suoi sensi lo recepiscono, scattando in allerta. E se la testa non ragiona, la bocca può andare per conto suo, si sa..
‹‹Che..che profumo usi, Jon?››.
Si volta, la fronte corrugata e gli occhioni verdi che lo scrutano curiosi della risposta. L'attore trova molto strana quella domanda, ma non si fa problemi e sorride, abbassando la testa e stringendosi un po' nelle spalle.
‹‹E' una colonia. E' una sottomarca, la trovo sempre nel minimarket dietro casa dei miei: terza corsia a destra, scaffale in alto›› le spiega, tornando a guardarla - e ritrovarsi quel visino a così pochi centimetri, bello e senza un filo di trucco a sporcarne i tratti, gli fa perdere per un attimo il filo del discorso, perdendosi ad osservare ogni minimo particolare del viso di quella ragazza conosciuta per caso.
Lei annuisce, imbambolata davanti ai suoi occhi - forse troppo profondi e magnetici, o forse semplicemente troppo vicini da farle nascere addirittura una scia di brividi lungo la schiena.
‹‹Comunque ora non..non ricordo il nome, mi dispiace›› riprende lui, interrompendo il contatto visivo solo per guardarle le labbra piene e dischiuse - e parecchio invitanti ‹‹So solo che, ogni volta che capito da quelle parti, non posso fare a meno di comprarne una bella scorta›› ridacchia, rauco.
Lei è ancora avvolta dal suo braccio, che le circonda le spalle e la costringe a stare ferma dov'è, con un gomito poggiato sulle gambe di lui, le ginocchia piegate e i piedi sulla panchina, mentre nel frattempo il torace sodo di Jon aderisce perfettamente con la sua schiena. Rimangono così per diversi secondi, ad osservare la gente che passa, chiusi dietro uno strano silenzio. Poi, d'improvviso, lei si gira verso di lui, che l'accoglie con un sorriso stupito e la guarda avvicinarsi - ma tutto succede troppo velocemente per realizzare. Le dita di Sol arpionano il collo nerboluto dell'uomo, facendosi forza per tirarsi su e spingere così le piccole labbra contro le sue, con esigenza.
Un bacio ricevuto quando meno te l'aspetti, dalla persona dalla quale sei attratto, è una delle cose più piacevoli che ci siano: ti regala sollievo, pace, ma al tempo stesso non stai nella pelle e agisci come un animale incapace di controllarsi, perchè è esattamente il contatto che cercavi da quando hai messo gli occhi su quella persona.
Jon infatti grugnisce e non riesce a starsene fermo su quella benedetta panchina in legno - si agita, infila le dita tra i capelli neri di lei, poi la prende per i fianchi e la fa sistemare a cavalcioni sulle sue gambe. Il bacio si approfondisce da solo, non c'è bisogno di esitare o chiedere, è una cosa del tutto naturale. Ma non ha niente a che vedere con quello che si sono scambiati dentro l'ascensore: questo ha qualcosa di speciale, qualcosa in più, qualcosa che ai due rimarrà per sempre nella mente.
‹‹Fermo, non ho intenzione di dare spettacolo›› sussurra la giovane, ridacchiandogli sulle labbra e staccandosi appena.
In effetti, essere avvinghiati su una panchina nel bel mezzo di un giardino pubblico, baciandosi senza ritegno come due adolescenti, forse può dare nell'occhio - c'è addirittura una coppia che copre gli occhi al proprio figlio con la mano. Se poi Jon segue l'istinto e si lascia andare, intrufolando una mano sotto la maglietta della ragazza senza preoccuparsi di dove sono, bhè, questo può causare anche qualche brusìo di disappunto da parte di una coppia anziana seduta lì vicino che li osserva esterrefatti. Ma l'uomo pare non ascoltarla, concentrandosi su quel collo lungo e sinuoso che lei gli offre mentre tira la testa all'indietro per potergli sfuggire.
‹‹E dai..›› lo brontola Soledad soffocando a stento una risata.
L'attore, tutto sgaruffato per colpa delle mani di lei, si arrende e mugola qualcosa, guardandosi intorno; annuisce e si lecca le labbra, mentre serio torna a parlare.
‹‹Ok, magari non è il posto giusto, hai ragione›› sospira, passandosi le dita tra la chioma scura ‹‹Ma sbrigati a scendere, e preparati a camminare veloce›› la avvisa, spostandola di peso e alzandosi da lì.
Non appena è in piedi, le porge una mano, il respiro accelerato e l'eccitazione sfacciata sotto la stoffa dei jeans; lei lo guarda confusa, sistemandosi la maglietta.
‹‹Prima arriviamo in hotel, meglio è›› cerca di spiegarle, indicandosi con un'occhiata fugace il cavallo dei pantaloni ‹‹Non so se rendo bene l'idea, chica››.
L'unica cosa che Soledad riesce a fare, è sorridere e afferrare quella mano.

 

                                                                      # # # # # # # #

 

Wizard World Comic Con 2013, Chicago.
Soledad è occupata a riordinare alcuni documenti, quando due grosse mani l'afferrano per i fianchi facendola barcollare all'indietro. La schiena le va inevitabilmente a sbattere contro il torace ampio e sodo dell'uomo, che intanto saluta i colleghi della ragazza con un ampio sorriso e schiacciando un occhiolino.
‹‹Ehi, ma che..?!›› esclama lei, presa alla sprovvista.
Non serve che si volti a scoprire di chi sia il braccio che le ha appena circondato il collo sottile: lo ha riconosciuto subito, dalla presa ferrea e dal suo inconfondibile odore.
‹‹Ciao Jon››.
‹‹Amico, come va?››.
Jimmy e Latisha non tardano ad urlare e sovrastare con entusiasmo la voce fievole della giovane, salutando l'attore.
‹‹Tutto bene. Sentite ragazzi..vi dispiace se ve la rubo per un po'?›› domanda arricciando le labbra, mentre continua a stringere la mora tra le braccia.
‹‹Mr Muscolo, ti ricordo che io sono qui per lavor-››.
Le inutili lamentele della spagnola vengono però interrotte dal biondino, che le lancia un'occhiata eloquente e sorride sornione.
‹‹Tranquillo Jon, tanto tra pochi minuti ci saremmo presi una pausa comunque›› trilla Jimmy avvicinandosi alla coppia ‹‹Vai tesoro, qui finiamo noi. E palpa Mr Muscolo un po' anche da parte mia, intesi?›› sussurra infine all'orecchio di Soledad.
L'uomo finge di non aver sentito, soffocando una risatina e ringraziandoli, mentre lei manda gli occhi al cielo e sbuffa - Jimmy non le ha mai nascosto l'attrazione che prova nei confronti del suo ragazzo, anzi, la palesa ogni volta che ne sente il bisogno, congratulandosi con lei per l'ottimo “manzo” di qualità che si è scelta.
Ma non fa in tempo a dire una parola, che Jon la tira per un braccio trascinandola oltre la tenda blu alle loro spalle, al riparo da occhi indiscreti. Alcune persone dello staff li guardano di sfuggita, un po' incuriositi, ma fortunatamente ognuno continua a svolgere il proprio lavoro lasciandoli in pace.
‹‹Quando la smetterete di chiamarmi in quel modo?›› protesta lui con voce rauca, mentre avvicina le labbra fini a quelle della ragazza.
Rimane lì, fermo, aspettando che sia lei ad approfondire quel contatto; tuffa gli occhi scuri nel verde dei suoi, sfiorando appena quella bocca dischiusa e invitante. Aspetta che lei lo baci, aspetta e basta, osservandola e inebriandosi del suo odore fresco e pulito.
Ma Sol sbuffa e incrocia le braccia al petto, facendo un passo indietro e allontanandosi da quella bocca così vicina, da farle perdere la ragione.
‹‹Quale modo?››.
Jon la osserva meglio: sopracciglio alzato, espressione confusa, braccia conserte, e quella terza di seno che attira la sua attenzione più di ogni altro particolare.
‹‹Mr Muscolo›› chiosa, mordendosi il labbro inferiore e fissando palesemente la scolatura della mora.
Lei allunga una mano e gli afferra il mento sbarbato e pulito, alzandogli il viso e rifilandogli un'occhiataccia delle sue.
‹‹La mia faccia è quassù, tesoro››.
‹‹Non è il caso di..di coprirsi un po'?›› biascica l'uomo, stringendole il polso per attirarla nuovamente tra le sue braccia - e Sol non si fa di certo pregare, si accoccola tranquillamente contro il suo petto e gli lascia andare un bacio sul collo, proprio sotto l'orecchio.
‹‹Jon, è solo una canottiera›› lo redarguisce bonaria ‹‹Non fare il fidanzato geloso, ti prego, non adesso››.
‹‹Non faccio il fidanzato geloso, non sono il tipo, lo sai›› gracchia lui contrariato, abbassando la testa e cercando le sue labbra una volta per tutte.
Un bacio che però dura poco, perchè Soledad soffoca inutilmente una risata e scoppia a ridergli in faccia.
‹‹Ah, no? Vuoi dirmi che “tu”, non sei geloso?››.
‹‹Nah..››.
‹‹E non sei nemmeno un po' possessivo?›› continua imperterrita la giovane.
‹‹Rivendico solamente ciò che è mio›› le spiega Jon mellifluo, facendo spallucce ‹‹Ma lo sai che non sono tipo da scenate o robe simili››.
‹‹Ah, no, ma certo. E..equella volta che ti sei fatto due ore di macchina per venirmi a prendere alla cena di lavoro? Era mezzanotte passata, e sei piombato in quel locale senza nemmeno avvertirmi››.
‹‹Quella non era gelosia, era un gesto carino nei tuoi confronti. Si chiama “sorpresa”, sai?›› l'abbraccia lui, poggiando il mento sulla sua piccola testa scura.
‹‹Certo. Peccato che ti sei precipitato a Toronto dopo aver saputo che, alla cena, c'era anche quel collega che mi aveva fatto il filo l'estate prima›› cantilena sarcastica Soledad ‹‹E hai dovuto farti addirittura due ore di macchina, visto che non eri proprio dietro l'angolo›› sottolinea infine, continuando a prenderlo in giro.
‹‹”Quel collega” ti aveva fatto il filo mentre uscivi con il sottoscritto. Ci terrei a ricordarti questo piccolo particolare, amore mio›› puntualizza prontamente l'uomo, tornando a guardarla ‹‹E voleva anche convincerti a lasciarmi perdere, se ricordo bene. Perchè secondo la sua teoria “gli attori sono tutti dei gran bastardi con le donne”››.
Poi le prende il viso tra le mani e la bacia, senza lasciarle il tempo di replicare. Le dita di Jon scendono e corrono a stringere nervose il cotone di quella canottiera fin troppo attillata, mentre il respiro di entrambi accelera e si fa più pesante.
‹‹Mmmh..›› mugola la spagnola, staccandosi da lui e provando ad allentare la presa di quel braccio intorno alle proprie spalle ‹‹Vedi? E' per questo che ti chiamano tutti Mr Muscolo›› ride.
L'attore lancia un'occhiata fugace al suo avambraccio gonfio che la stringe a sé, e uno sbrilluccichio attraversa improvvisamente quegli occhi scuri e pronfondi.
‹‹In certe occasioni però non ti lamenti..›› le sussurra contro l'orecchio morsicchiandone la carne morbida del lobo ‹‹Di tutta questa forza, intendo. Anzi, non ne hai mai abbastanza, se non ricordo male››.
E a Soledad vengono i brividi, ma non è una novità d'altronde; le succede tutte le volte che lui la sfiora, tutte le volte che la guarda, che la stringe, che se la rigira tra le braccia e la coccola. Le è successo anche quella volta in cui le disse “ti amo” per la prima volta, dopo alcuni mesi che ormai si frequentavano. Si ricorda che l'inverno era quasi alle porte, gli addobbi natalizi cominciavano a rubare il posto alle zucche di halloween, e loro due non si vedevano da almeno due settimane per via di alcuni appuntamenti che Jon non poteva assolutamente mancare - ormai era più il tempo che passava in Ontario, che quello nella propria casa a Venice Beach, ma quella settimana aveva un paio di interviste e un provino importante per un grosso film. Le telefonò dicendole che sarebbe arrivato con un giorno di ritardo, perchè il suo volo era stato cancellato a causa del maltempo. Così Sol decise di prendersi una boccata d'aria e uscire, una sciarpa intorno al collo e le scarpe da ginnastica ai piedi. La spagnola ama il freddo, ama fare lunghe passeggiate immersa nel verde, ed è esattamente quello che fece: si strinse nel cappotto e si avviò verso il parco vicino al suo appartamento, quello dove tutti i sabati mattina si rintana per leggersi un buon libro ai piedi di una grande quercia, mentre sorseggia il solito caffè preso da StarBucks. Quella sera camminò parecchio, fece il giro dell'intero parco e incontrò anche un paio di persone che conosceva, fermandosi a chiaccherare alcuni minuti; poi si infilò le cuffiette nelle orecchie e ascoltò un paio di canzoni dalla playlist del suo Iphone, avviandosi verso casa dopo essersi fermata a comprare delle patatine fritte al baracchino sull'angolo della strada. E non appena svoltò nel proprio viale alberato, si accorse che qualcuno era in piedi davanti al portone della sua palazzina; man mano che si avvicinava, riusciva a scorgere meglio quella figura con le mani affondate nelle tasche e un cappellino di lana calato in testa. Jon era lì da almeno dieci minuti, aveva deciso di aspettarla proprio davanti all'uscio, decidendo così di farle una sorpresa: il volo non era mai stato cancellato, e aveva avuto la malsana idea di farle uno scherzo e piombare a casa sua per vedere la faccia che avrebbe fatto nel vederlo lì, dopo tutti quei giorni di distanza. La ragazza, allibita e con una mano a tapparsi la bocca, gli saltò al collo con un grosso sorriso sulle labbra, mentre le patatine finivano a terra e il cappellino di Jon anche. Tutto successe molto in fretta: i due si staccarono, gli occhi scuri di lui ritrovarono il verde dei suoi, e con la solita voce arrochita le bisbigliò quelle parole proprio sulle labbra, strusciando il naso contro quello piccolo e infreddolito di lei. Gli occhi le si inumidirono, e non era affatto colpa del vento che aveva cominciato a tirare, ma di quel “ti amo” sussurrato di punto in bianco, quando meno se lo aspettava.
‹‹No, in certe occasioni non mi lamento›› cinguetta lei con il naso all'insù, intrecciando le dita a quelle del suo ragazzo e schiacciandogli un occhiolino.
Si incamminano mano nella mano verso un bancone allestito alla bell'e meglio con caraffe di caffè, spremute di arancia, acqua, e mangiare di ogni tipo. Soledad fa scorrere gli occhietti vispi su tutto quel ben di Dio, scegliendo un croissant caldo alla marmellata di fragole, mentre Jon intanto versa da bere per entrambi, saluta un paio di persone che non vedeva da tempo, e addenta un biscotto ai cereali. Parlano del più e del meno, si guardano, si sorridono. Lei è a Chicago da almeno una settimana, mentre lui è arrivato solo oggi per presenziare alla manifestazione annuaria insieme a tanti altri artisti. Non si sono ancora potuti vedere, e sbucando da dietro quella tenda le ha fatto il più bel regalo della giornata.
La giovane sorride e finisce di mangiare, ingoiando l'ultimo boccone e sfregandosi le mani contro i jeans slavati. Ma arriva il momento di tornare dagli altri, la pausa è finita, deve salutare Jon e correre al suo stand; si vedranno stasera, in hotel, proprio come un anno fa - solo che stavolta il numero di camera è lo stesso, e dovranno dormire nello stesso letto.

Lui si lascia baciare, sorride e la saluta, stringendosi un labbro tra i denti; poi allunga una mano e le circonda un polso, facendole fare dietrofront. Ignorando le sue proteste, inizia a trascinarsela dietro attraverso l'enorme salone che ormai brulica di gente.
‹‹Jon. Jon! Ma cosa diavolo stai facendo? Jon!?›› brontola sottovoce Sol, puntellando inutilmente i piedi a terra ‹‹Lasciami andare subito! Ehi, non sto affatto scherzando. Jonathan Edward Bernthal, mollami immediatamente››.
I suoi occhi verdi si guardano intorno, allarmati, scoprendo che la gente li osserva curiosa e sorride al loro passaggio. L'uomo si gira a guardarla con un mezzo sorriso, la sua espressione furba e divertita che incontra quella furiosa di lei.
‹‹Sshh, sta buona››.
C'è chi lo riconosce, chi lo saluta, chi scatta foto col cellulare, chi sorride e rimane sorpreso da quella buffa scenetta. Qualche altro passo, e Soledad si ritrova davanti la gigantografia di Jon stampata su di un enorme cartellone nero, il nome scritto a caratteri cubitali e un tavolo pieno di pennarelli e boccette d'acqua tutte ben allineate: non ci mette molto a capire che quella è la postazione dell'attore per quel pomeriggio, dove incontrerà i fan e dispenserà autografi, facendosi foto insieme a loro e regalando sorrisi e abbracci. Dietro quella lunga scrivania, il volto allegro di Sean - assistente dell'uomo da ormai diversi anni - l'accoglie con un sorriso a trentadue denti, le braccia magre e pelose che la stringono come se fosse un orsacchiotto di peluche.
‹‹Ciaaaao, piccolina, vieni qua›› la saluta, scrollandola per le spalle ‹‹Come stai? Pesante la vita con quest'energumeno accanto, vero? Lo so, lo so, lo conosco›› biascica, alzando le sopracciglia e annuendo.
‹‹Ciao Sean, ti vedo in forma›› risponde la morettina con un sorriso forzato, un po' spaesata da tutto quel trambusto.
Poi si gira a cercare Jon, che intanto se la ride e gongola nel vederla un po' in difficoltà.
‹‹Io dovrei lavorare, in teoria, e non dovrei ess-››.
‹‹E lo stai per fare, infatti. Tranquilla›› la interrompe fulmineo Sean, passandosi una mano tra i capelli ingelatinati - sempre dritti e impiastrati di quella robaccia puzzolente che lui tanto adora.
‹‹Certo, se magari qualcuno non mi avesse trascinata fin qui, allora s-››.
Un braccio intorno alla gola la fa indietreggiare, interrompendola così una seconda volta, e la solita voce roca non tarda ad alitarle contro l'orecchio.
‹‹Lavorerai per me, oggi››.
Soledad spalanca gli occhi, incredula, staccandosi da Jon e lanciandogli un'occhiataccia da sopra la spalla.
‹‹Come, prego?››.
‹‹Lavori per me, qui. Non sei contenta?›› snocciola, stampandole un bacio veloce sulle labbra e sistemandosi a sedere.
Tutti gli occhi ora sono puntati su di lei - che intanto è diventata paonazza e ha cominciato a sudare come un muratore sotto il sole cocente. Scuote la testa e guarda Sean, che se la ride sotto i baffi e prende a smanettare con lo smartphone.
‹‹Non guardare me, dolcezza›› ciancica, stringendosi nelle spalle ‹‹Io ho solo fatto quello che mi ha chiesto. E' da ieri sera che non mi da pace, adesso sono problemi tuoi. E' il tuo ragazzo, non il mio›› borbotta infine, sbirciandola con la coda dell'occhio.
La fila intanto ha cominciato a scorrere, e la spagnola è ancora lì impalata a non far niente, le braccia inermi lungo i fianchi e la voglia incalzante di scappare via, di fuggire da tutte quelle occhiate indiscrete.
Ma qualcuno la distrae schiarendosi la gola.
‹‹Avanti, faccia il suo dovere e non perda tempo. Le ricordo che è qui per lavorare, signorina››.
La voce di Jon la fa sobbalzare; l'attore si è avvicinato e le sta sussurrando quelle parole vicino l'orecchio, lasciandole poi un bacio delicato all'altezza della tempia e strizzandole un occhiolino.
In effetti, quando la sera prima si sono sentiti per telefono, lui glielo aveva promesso: sarebbero stati insieme tutta la sera; Sol aveva risposto che invece, purtroppo, sarebbero stati impegnati entrambi fino all'ora di cena, lamentandosi di quanto fossero pesanti quegli orari improponibili. Ma lui aveva insistito, ripetendo che sarebbero stati insieme tutto il pomeriggio, che ci credesse o meno. E infatti così è stato: ha richiesto personalmente Soledad Marquez all'interno del proprio staff, sorridendo gentilmente alla signora coi capelli brizzolati che gestisce l'organizzazione dell'intero evento, e chiedendole di chiudere un occhio e non farne parola con l'azienda per cui lavora la sua ragazza.
Sol sbuffa e mette il broncio, passandogli accanto e colpendolo sulla nuca con una mano. Jon la guarda e si massaggia il collo, mugolando e spingendola leggermente. Ma la mora non riesce a tenere il muso più di tanto: basta che i loro occhi si incontrino, e il sorriso nasce spontaneo a storcere le labbra di entrambi.
‹‹Più tardi facciamo i conti, Mr. Muscolo›› bisbiglia lei a denti stretti, sorridendo ad un paio di fan e chiedendo i loro nomi per l'autografo.
Lui la guarda abbassarsi e scrivere su un fogliettino, la schiena piegata e le spalle ricurve; i jeans attillati le fasciano le gambe perfette, le solite converse consumate ai piedi e i capelli scuri sono legati malamente in una treccia sfatta.
‹‹Sì, più tardi facciamo i conti›› sorride sornione Jon, alzandosi per una foto e sfiorandole appena il collo con i polpastrelli delle dita ‹‹Stasera, quando saremo in camera. Nudi, sotto la doccia›› cocnlude, soffocando una risatina e lanciandole un'occhiata maliziosa.
Lei manda gli occhi al cielo e sbuffa, salutando un delizioso bambino davanti al tavolo che stringe tra le mani un poster di “The Walking Dead”.
‹‹Ehi, ciao campione. Possa sapere il tuo nome?››.
‹‹Io sono Peter, ma preferisco Pete. E voglio una dedica proprio qua sopra›› squittisce il biondino, indicando l'enorme poster al centro del quale svetta Jon che stringe tra le mani un fucile ‹‹Shane è il mio personaggio preferito. E' quell'uomo lì, lo conosci?››.
Con il ditino magro punta dritto verso l'uomo, che intanto sta posando per l'ennesima foto con la signora di Naperville. Sol sorride e si abbassa all'altezza di Peter, prendendo la foto che tiene tra le manine e posandola sul tavolo, per farla autografare.
‹‹Sì, lo conosco. Ed è anche il mio, di personaggio preferito, sai?››.
‹‹Davvero?›› strilla il piccolo, saltellando felice.
‹‹Cosa state confabulando voi due?››.
Jon arriva alle sue spalle, prendendola alla sprovvista e circondandole la vita con un solo braccio, mentre con l'altra mano batte il cinque al biondino di Rockford.
‹‹Lei mi ha detto che Shane Walsh è anche il suo personaggio preferito›› pigola il bambino nascondendo un sorriso, intimidito dalla presenza dell'attore.
‹‹Ah, davvero?›› la guarda sbalordito Jon, fingendo stupore e corrugando la fronte.
‹‹Bhè, sì›› ammette con un'alzata di spalle Sol ‹‹Anche se non amo il modo in cui si comporta nei confronti di Rick: è il suo migliore amico, cavolo, e non appena è possibile cade tra le braccia di Lori. Ma quello è un altro discorso..›› bofonchia con le labbra arricciate, abbassando lo sguardo.
‹‹Amore, a te da fastidio vedermi baciare un'altra donna, è diverso›› controbatte in tono bonario lui.
Non deve sussurrarle quelle frasi nell'orecchio, proprio no. Non si deve assolutamente permettere.
Lo sa bene che le provocano delle cose all'interno della pancia; quella voce roca la scombussola troppo, e rischia di non poter aspettare fino a quella sera, quando saranno in hotel.
Nudi.
Sotto la doccia.







Ho già scritto fin troppo lassù, prima di farvi cominciare a leggere.
Quindi me ne sto zitta e buona, e striscio via.
Ciaaaao.
MARTINA :)

 

 

  
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