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Autore: Aenris    30/01/2016    1 recensioni
Vivere per me è un rischio continuo.
Vivo nella paura che qualcuno scopra il mio segreto e che lo usi contro di me. Vivo nella paura di morire per sempre. Senza ritorno.
E' la cosa più terrificante, soprattutto per un Daeva, che è immortale.
Detto cosi sembra la classica scampagnata su Atreia, ma vi assicuro che non è così. Decidete voi se leggere la vita di Aenris
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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            L' ASSASSINO

I pugnali fremevano nei miei artigli. Li sentivo chiaramente reclamare sangue elisiano, io, invece, volevo punirli per tutto il dolore che la loro razza mi aveva causato.

Essi avevano appena conquistato un avamposto Balaur nell’arcipelago dei Banditi Alati nel Basso Abisso e stavano festeggiando la loro conquista. C'erano poche guardie all'esterno, dal loro viso non erano molto felici del loro posto e, soprattutto, non stavano prendendo seriamente il loro dovere, erano ancor più stupidi di quel che pensavo.

Oramai osservavo da parecchie ore l'avamposto in cerca di un modo per entrare senza destare fastidiosi allarmi tra gli elisiani, non avevo voglia di perdere tempo con quella feccia. Non lo trovai, decisi di entrare con qualche macchia di sangue addosso. Dato che avevo scelto come classe l'assassino potevo diventare invisibile per limitato periodo di tempo, così mi avvicinai alla guardia più vicina senza che se ne accorgesse. Notai subito l’arco a tracolla, era un cacciatore. “Che fortuna” pensai, sarebbe stato un problema in caso di “ritirata strategica”. Lo aggirai ritrovandomi dietro il mio ignaro avversario, un ghigno soddisfatto mi si stampò in faccia mentre affondavo tutt'e due i pugnali nella sua schiena. Le lame penetrarono fino all’elsa, impazzì quando il sangue della mia povera vittima colò sui miei rostri. Le ali si richiusero intorno al corpo appena ritrassi le lame e, insieme al cacciatore, scomparvero per ricomporsi davanti ad un obelisco.

Noi Daeva siamo immortali, se leghiamo la nostra anima ad un obelisco. Ogni qualvolta moriamo, il nostro corpo si ricompone davanti all'obelisco a cui abbiamo legato l'anima. Se si muore senza aver legato la propria anima non si può più resuscitare e la nostra anima vaga nell’oblio, così crediamo almeno.

Feci il giro del' avamposto uccidendo qualsiasi guardia che mi avrebbe potuto dare problemi, fattucchieri, bardi, cacciatori e tiratori. Per sfortuna erano pochi e ipotizzai che fossero alla festa. Ero ancora invisibile quindi entrai dall'entrata principale uccidendo i due guerrieri di guardia.

Un elisiano dentro l'avamposto notò l'assenza dei due ragazzoni, lo lasciai avvicinare…avvicinare…avvicinare. Arrivato di fianco a me si ritrovò in un lampo con un pugnale nell’addome e l’altro che perforava il cuore. Prima di scomparire mormoro una parola, “Vigliacco…”, non gli risposi.

Iniziai a percepire la stanchezza per la perdita di mana, dovuta all'invisibilità. Trassi fuori da un delle tante tasce sulla cintura una pozione di mana e la bevvi tutta d'un sorso.

Anni fa il mio maestro mi insegnò una magia che potevamo usare anche noi assassini. Era un attacco magico stordente, che, con l'aiuto di un mago, la perfezionai rendendola uno strumento molto versatile, che provocava anche la morte. Con essa uccisi un elisiano che passava di lì per puro caso.

Feci un giro completo della parte più esterna dell’accampamento uccidendo 4 templari, un bardo, un assassino e due fattucchieri. Quest'ultimi furono un po’ più complicati da uccidere perché le difese magiche era ancora attive. Usai l'incantesimo per disintegrare le due barriere e li uccisi con i pugnali.

Mentre terminavo l’opera un elisiano, probabilmente il capolegione, si alzò in volo sopra gli altri. Carnagione scura, occhi azzurri, mani tozze tipiche di un guerriero, capelli castani e ali candide come la neve di Morheim, forse anche di più. Indossava una scintillante armatura color oro e lo spadone era color argento. Tipico degli elisiani, erano vanitosi, arroganti e si credevano i prescelti di Aion perché abitavano ad Elysea, dove c'era un sole caldo e luminoso.

Gli asmodiani, dopo la Catastrofe, vennero catapultati nella parte opposta di Atreia: In un mondo a loro ostile, dove regnava la notte, ma siamo sopravvissuti. Avevamo sviluppato rostri sulle mani e sui piedi, la nostra pelle era diventata pallida, i nostri occhi emanavano una luce quasi spettrale e le ali divennero nere. Gli elisiani ci definivano "le creature della notte", noi li definivamo “le creature della luce”, ma dentro di loro non c’è altro che oscurità.

Il guerriero non si accorse di me, che ero tornato visibile. Mentre lodava tutti per il coraggio dimostrato in battaglia io bevvi un'altra pozione di mana e tornai invisibile. Silenzioso, salii sul palco sotto il guerriero e aspettai. Quando atterrò tornai invisibile e gli tagliai la gola, guadagnandomi l'attenzione di tutti quei Daeva.

Sui loro visi vidi prima stupore, poi dolore per il loro capo morto, infine rabbia.

Tra la folla individuai il loro ultimo fattucchiere e lo uccisi con due scariche di magia. Gli assassini che conoscevano quella tecnica parvero sorpresi della morte del compagno con una magia di stordimento. Vidi un lampo di ammirazione nei loro occhi poi di nuovo la rabbia. Erano rimasti una decina di guerrieri e 5 o 6 assassini, non sarebbe stato facile ma divertente di sicuro. Molti schiusero le ali completamente bianche. Mentre aspettavo che tutti si fossero alzati in volo li studiai uno per uno ma non notai nulla di diverso da quelli morti, tranne uno.

Non era un ufficiale ma aveva una postura piuttosto autoritaria, ed era un tiratore. "Chi sei, mostriciattolo di Asmodae?" disse con disprezzo. "Bah, solo una sporca creatura della notte che ha fatto fuori mezzo avamposto senza che voi ve ne accorgeste, e anche il vostro capitano. "risposi indicando il posto dov'era prima il Daeva. "Stupido asmodiano figlio di un Balaur!" urlò lanciandosi in una serie di insulti molto coloriti," adesso morirai per mano mia, poi ti strapperò le ali e le userò come scopa!" mormorò minaccioso, “Vieni a prenderle allora!” dissi di risposta.

Aprì le ali anche io...gli elisiani, come ogni Daeva normale, rimasero esterrefatti...le mie ali non erano corvine, come quelle asmodiane. Erano una bianca e una nera, un ondata di rabbia mi pervase il corpo, ricordando mio padre ma ci avevo fatto l'abitudine. Ero nato dall'unione di un elisiana e un asmodiano.

Con un ghigno sulla faccia mormorai "Si, ho sangue elisiano nelle vene."

Ho modificato il primo capitolo... spero che piaccia a qualcuno!
Per favore recensite il racconto così so dove devo migliorarlo!
Azphelumbra Daeva!

 

   
 
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