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Autore: Fiamma Winchler    31/01/2016    1 recensioni
Mi teneva ben salda anche se sapeva benissimo che non me ne sarei andata.
Eravamo a massimo due centimetri di distanza quando le sue labbra si aprirono in un sorriso di denti perfetti. Spostò la mano, mi lasciò andare il polso e mi afferrò la vita per tenermi ancora più ferma.
Avevo il respiro corto nonostante cercassi di controllarlo e sentivo il mio corpo tremare. Nel mio stomaco qualcosa si agitava. Farfalle? Ma se non ci avevo mai creduto! Eppure erano lì, che svolazzavano dentro di me dando sfogo alla gioia che io non volevo e non dovevo mostrare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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 «One, two…»
«Three, four. Gigliette team you go, go. Gigliette team you fight, fight. Gigliette team you win, win. Gigliette team yell it out; go, fight, win!»
«Again»
«Go, fight, win!»
«Last time»
«Go, fight, win!»
Le persone fuori dalla porta-finestra aumentavano e io sentivo la mia faccia andare a fuoco. Dovetti impegnarmi tantissimo per non sbagliare il resto della sideline.
«Go Gigliette, go! Go Gigliette, go! Go Gigliette, go!»
Un secondo di silenzio per fare mente locale e ripresi insieme al resto della squadra.
«Hey, we are here, we are ready to cheer! We dance, we fly, we came here to fight!»
Ripetei la frase, una volta camminando in posizione per lo stunt e la terza volta montandolo. Beh, mancavano solo due frasi e poi mi sarei potuta sotterrare. La cosa positiva era che non conoscevo nessuno di quei ragazzi alla finestra... Almeno credevo fosse così.
«Go, go, G-O, go team go!» Anche questa frase la ripetei tre volte, smontando lo stunt.
«We’ve got the power to make some noise!!»
Dopo quest’ultima frase urlammo tutte insieme.
«Uno, due, tre»
«Pranzo!»
Finalmente una pausa. La mia bottiglia d’acqua era posata in terra sotto la finestra. Osservai i ragazzi che ci guardavano ridendo come matti ignara del fatto che pochi minuti dopo mi sarei davvero voluta sotterrare in perfetto stile struzzo.
I ragazzi erano sicuramente tutti più grandi di me; ma non di molto. Direi che avevano al massimo vent’anni. Ci indicavano ridendo e facendo strani versi con le braccia supermuscolose.
Il muro di adolescenti davanti a me si girò di colpo verso qualcuno che non riuscivo a vedere gesticolando col braccio in stile “tanto non ci crede nessuno”.
A quel punto i ragazzi si aprirono e lo vidi. Adam Weed si era fatto spazio tra i suoi compagni e adesso era davanti a me. Mi indicava con un sorrisetto strafottente sulle labbra. Le mie guance nel frattempo dovevano essere diventate di un acceso e poco elegante color pomodoro; le sentivo scoppiare.
Mi inginocchiai a testa bassa, afferrai l’acqua e, oltre a berne varie sorsate me ne gettai un po’ sul viso e sulle braccia.
Ero cotta di quel ragazzo da anni e lui lo sapeva. Lo sapeva benissimo! Mi era già successo di farci diverse figuracce. Ma in realtà non avrei mai immaginato di ritrovarmelo davanti durante l’allenamento.
Tirai un po’ la gonna rossa e bianca della divisa nella speranza che diventasse un po’ meno mini e un po’ più gonna. Presi tre profondi respiri e mi alzai. Incrociai subito il suo sguardo. Accennò a un saluto che ricambiai con un semisorriso da “ora svengo”.
Sembrava quasi che provasse piacere nel mettermi a disagio. Mi fece un leggero cenno col capo indicando la porta di vetro alla mia destra. Mi voltai e iniziai a camminare come se fosse una cosa naturale; poi mi resi conto che ci avevo parlato si e no cinque volte e che la sua naturalezza mi metteva incredibilmente a disagio.
Quando misi piede fuori dalla palestra lui era lì. Sfoggiava il suo sorrisetto sbruffone; alcuni ciuffi dei suoi capelli bagnati gli ricadevano sugli occhi che alla luce del sole erano di un bellissimo color nocciola. All’ombra, lo avevo visto tante volte, diventavano scurissimi, quasi assassini.
«Ciao». Il suono della sua voce mi provocò un brivido sulla pelle.
Tentai di rispondere ma non so perché dalla mia bocca non uscì alcun suono.
Il mio cervello continuava a darmi consigli del tipo “Scappa! Corri! Nasconditi! Sotterrati!” che evitai di ascoltare nonostante la tentazione fosse forte.
Vedendo che non rispondevo Adam abbassò lo sguardo sollevando ancora di più gli angoli della bocca e sfiorandosi il naso con l’indice. Poi mi squadrò.
«Bei vestiti».
Colsi l’ironia nella sua voce e la cosa mi infastidì.
«Grazie».
«Ehi, dico sul serio». Fissò per un attimo i ponpom che avevo in mano poi tornò a parlare: «Quindi tu saresti una specie di raga...»
«Una cheerleader» lo interruppi bruscamente.
Non volevo essere scortese, ma lo stereotipo delle ragazze ponpom che non fanno altro che urlare e cinguettare con i giocatori tutti muscoli e niente cervello era già troppo diffuso senza bisogno che io facessi finta di esserne una.
Adam tirò in alto le mani mostrandomi i palmi.
«Mi scusi, cheerleader».
I ragazzi che lo circondavano iniziarono a ridacchiare.
«Senti, non voglio essere scortese ma vorrei mangiare con le mie compagne, e non è che abbia molto tempo, -guardai l’orologio che non portavo al polso- perciò se mi devi dire qualcosa, prego fa’ pure, altrimenti io vado».
Dato che non rispondeva, mi girai e allungai la mano per aprire la porta.
Mi afferrò il polso costringendomi a girarmi e portandomi vicino al suo corpo.
«Hey, biondina. Stavamo solo parlando».
Il suo sguardo a presa di giro mi stava iniziando a dare veramente sui nervi ma non so, non riuscivo ad allontanarmi. Non provai nemmeno a farlo. Era come se fosse una calamita.
«Pranziamo insieme facendo due passi?»
«Mi dispiace, mi è proibito fraternizzare “troppo” con i giocatori quando indosso la divisa».
Pensavo di averlo messo a tacere, invece mi tirò ancora più vicino a sé. Mi guardò negli occhi e dopo aver sorriso mostrandomi i suoi perfetti denti bianchi, avvicinò la bocca al mio orecchio sussurrando una parola sola: «Toglila».
I suoi occhi brillavano di una luce strana che mi attirava in modo assurdo.
Di certo la sua intenzione non era quella di consigliarmi un cambio di vestiario.
Chiusi un attimo gli occhi per fare mente locale poi lo guardai decisa.
«Dovrei ridere?»
«Solo se lo trovi divertente».
Il silenzio durò solo un paio di secondi anche se sembrò eterno.
«Devo andare a pranzo» dissi ancora a pochi centimetri dal suo viso.
«Buon appetito».
«Potresti lasciarmi il braccio?» gli feci notare che mi teneva ancora il polso stretto.
«Buon allenamento» Me lo sussurrò in un orecchio sfiorandomelo con le labbra. Mi venne la pelle d’oca.
Mi lasciò continuando a guardarmi aspettandosi una risposta.
Mi voltai e aprii la porta della palestra; un secondo prima di entrare mi voltai: «Buona partita» mi voltai lentamente, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso divertito. A quel punto entrai in palestra con lo stomaco sottosopra e la voglia di mangiare sotto lo zero.
   
 
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