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Autore: Claudiac91    01/02/2016    2 recensioni
Anko Saito, trasferitasi col padre nella Prefettura di Kanagawa, si ritroverà ad affrontare una nuova vita. Scappando da vicende piuttosto dolorose, avrà a che fare con una nuova scuola, nuove conoscenze senza però mai allontanarsi dall'amore della sua vita : il basket.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Il mare di Kanagawa era splendido. Per non parlare dell’odore. Anko respirava a pieni polmoni, col finestrino completamente abbassato. Affacciatasi, i suoi lunghi capelli neri si sparpagliavano per l’aria.
 
Nonostante il clima freddo, quella sensazione le piaceva. Le dava benessere. Conforto. Quello di cui aveva bisogno.
 
- Anko alza quel finestrino o prenderai un malanno!- sbottò suo padre, stufo di doversi congelare.
 
Con un sospiro la ragazza si rimise ritta a sedere, chiudendo il finestrino. Accavallò le lunghe gambe mentre i suoi occhi verdi e dal taglio a mandorla si mantennero in direzione del mare. A Tokyo non aveva questo lusso, pensò.
 
Già, Tokyo…la sua città di sempre, la sua dimora. Il suo piccolo paradiso terrestre. O almeno era.
 
Ancora una volta in quel viaggio in macchina con suo padre, si chiese come diamine ci era finita in quella situazione. Come aveva fatto ad abbandonare la vita di sempre per tuffarsi senza paracadute in una nuova “avventura”. Era l’unico modo simpatico per poter definire le circostanze. Non che Kanagawa non la conoscesse. Anzi. Suo padre era nato lì. I suoi nonni paterni erano originari della Prefettura. Spesso passava qualche giorno delle vacanze estive o di primavera quando i nonni erano ancora in vita. Ma una volta deceduti qualche anno prima, non ci aveva più messo piede. Ed ora doveva farne la sua nuova casa.
 
Con la coda dell’occhio osservò suo padre, muto e pensieroso mentre guidava e teneva lo sguardo verso la strada. Non aveva parlato granchè, né aveva chiesto alla figlia se aveva bisogno di una sosta o un semplicemente “ come stai” . Raramente la ignorava, e quelle poche volte che accadeva Anko sentiva un totale disagio. Questo perché suo padre era la sua ancora. Il suo modello di vita.
 
Alla domanda che quasi tutti gli adulti fanno ad un bambino,“a chi vuoi più bene”, lei avrebbe risposto senza batter ciglio “ a mio padre Daisuke”. Avvocato di fama, cresciuto in una famiglia benestante,  Daisuke Saito si trasferì a Tokyo per frequentare la Facoltà di Legge, dove prese a pieni voti e in poco tempo la laurea. Fu all’Università che conobbe sua moglie Kaori. Anch’ella appartenente ad una famiglia benestante ed originaria di Tokyo.
 
Galeotto fu il basket.
 
Questi, infatti, presero confidenza sul campo da basket della Facoltà, dove di tanto in tanto entrambi si davano a qualche tiro al canestro. Avevano messo da parte lo sport per gli studi, ma nulla impediva loro di sgranchirsi un po’ le gambe. Passione tra l’altro trasmessa alla figlia Anko. Quest’ultima fino alla primavera scorsa aveva fatto parte della squadra femminile della sua scuola media. Se la cavava piuttosto bene, al punto tale che suo padre aveva pensato di iscriverla ad un istituto superiore privato in cui si formavano squadre femminili.
 
Tutto doveva procedere ottimamente. Come sempre. Ma per la prima volta nella sua vita, Anko si era ritrovata davanti ad un bivio.
 
C’era un motivo per la quale aveva sempre preferito suo padre. Colui che più di tutti le regalava attenzioni, tavolta anche severe se l’occasione lo richiedeva. Invece sua madre era completamente devota al suo lavoro. Di professione aveva intrapreso una strada differente da quella del marito. Si trattava di un pubblico difensore d’ufficio. Prendeva molto a cuore casi di ragazzi orfani o dimenticati completamente dalla propria famiglia, tendenti a prendere strade cattive. Spesso affermava di sentirsi in debito nei confronti di queste persone, perché meno fortunati di loro.
 
Anko alzò gli occhi nel pensare a quante volte, sua madre si era presentata di ritorno da lavoro con un ragazzo o una ragazza per ospitarli i giorni prima di un’importante udienza. E quante volte si era ritrovata a dormire di notte nella sua stanza con la porta chiusa a chiave. Aiutare i meno fortunati andava a bene, ma non fino a questo punto. Menatasi completamente nel suo lavoro, Kaori aveva forse dimenticato chi era in realtà la sua famiglia. A chi doveva tutte quelle attenzioni. Spesso la cosa aveva dato sfogo a discussioni senza fine, che si interrompevano con porte chiuse in faccia o un “ Non capisci”. Tuttavia il giorno dopo tutto tornava nella norma. O meglio nella finta norma alla quale la famiglia Saito era costretta a vivere, pur di restare in pace. Ma un ostacolo così grande non poteva essere ignorato per sempre. Un mese prima, i genitori della ragazza decisero di separarsi per un po’ di tempo, non definito, e Daisuke si sarebbe trasferito a Yokohama, sua città natale, per far si che la distanza aiutasse in qualche a modo a ricucire la relazione. Anko non avrebbe sopportato la lontananza di suo padre, così dopo schiamazzi e proteste lo convinse a portarla con sé. Non le importava di lasciare l’istituto alla quale era stata indirizzata. Non le importava di non trovare una squadra in cui giocare. Voleva fuggire via da sua madre, da Tokyo, da quell’orribile situazione in cui viveva consapevolmente in silenzio da troppo tempo. Sapeva che se fosse rimasta dov’era nata e cresciuta sarebbe stata completamente abbandonata a sé stessa. Così dopo varie organizzazioni per il trasferimento, l’iscrizione nella nuova scuola, eccetera, quel pomeriggio, senza neanche aver visto lontanamente un piatto caldo per pranzo, Daisuke e figlia avevano preso gli ultimi bagagli ed erano partiti. Il sole stava ormai calando nel mare, quando finalmente erano entrare nella Prefettura di Kanagawa. Ancora poco e avrebbero messo piede nella nuova casa. O meglio quella dei nonni. E a dirla tutta non si trattava neanche di una casa.
 
Anko spalancò gli occhi verdissimi quando l’auto si fermò per un momento dinanzi al cancello in ferro battuto. Non la ricordava così…grande.
 
Suo padre scese dall’auto per bussare ad un enorme citofono e in un nano secondo il cancello si riaprì. Entrarono in un lungo viale appena sfaltato. Ai lati di questo vi erano ciottoli di dimensioni e tonalità di colore differenti. Al di là di questi uno spazio verde ben curato. Si notava lontano un miglio che le erbe erano state appena tagliate. Il padre parcheggiò l’auto ed entrambi scesero. Anko si stiracchiò. Non stava in piedi da troppo e la schiena sembrava essersi completamente addormentata. Sospirò per poi alzare lo sguardo sulla villetta. Sicuramente, pensò, aveva subito qualche modifica ed era stata appena riverniciata, dal momento che poteva sentire ancora l’odore di vernice fresca. Si chiese se il trasferimento fosse stato nei pensieri di suo padre già da un po’…
 
La sua attenzione fu catturata dall’avvicinarsi di due persone, un uomo e una donna, un pò più anziani di suo padre, il quale manteneva ancora il fisico asciutto ed atletico di un tempo. Gli occhi dello stesso colore della figlia e i capelli tendenti al ramato. Quest’ultimo si avvicinò a quelli tendendo loro la mano e sorridendo cordiale. Fissando meglio i loro visi e sbattendo le palpebre perplessa, la ragazza pensò che probabilmente li aveva già visti da qualche parte. Poi lo sguardo si spostò sul viso di suo padre. Per la prima volta in quella giornata sorrideva. Si, era un sorriso formale. Ma stava sorridendo. Il suo cuore parve alleggerirsi.
 
Daisuke si voltò in direzione della figlia, e con un gesto della mano la invitò ad avvicinarsi. Quella obbedì in silenzio e allungò gli angoli della bocca per compiere un sorriso formale.
 
- Probabilmente non ti ricordi di loro – affermò suo padre – Sono i coniugi Kamoto, grandi collaboratori domestici dei nonni. –
 
Da che ne avesse ricordo, sia nella casa dei nonni che quella in cui abitava a Tokyo, non aveva mai alzato un dito per una faccenda domestica. Una delle fortune di appartenere ad uno strato sociale “ricco”.
 
Borbottando un “ è un piacere”, Anko tese loro la mano per un veloce saluto formale.
 
- Allora – intervenne nuovamente il padre circondandole le spalle con un braccio – Prendiamo le valigie e ci diamo una ripulita?-
 
Sorridendogli la ragazza annuì.
 
 
 
***
 
 
Dopo aver consumato la cena accuratamente preparata dalla signora Kamoto, Anko si affrettò per gettarsi sotto la doccia e successivamente sul letto, a pancia in giù . Se avesse chiuso gli occhi si sarebbe addormentata. Respirò a fondo l’odore delle lenzuola pulite. Pensò alla sua vecchia stanza di Tokyo, dove fine a ventiquattro ore prima aveva dormito. Nella sua pancia si aprì uno strano vortice, dettato dalla malinconia. Quella camera era stata nell’ultimo periodo il suo rifugio migliore. Chiudersi a chiave, luce spenta e cuffie nelle orecchie per evitare di sentire il baccano provocato dai litigi dei suoi. Ma da quella notte non avrebbe più dovuto evitare i “rumori”…e chissà per quanto.
Notò che sua madre non aveva proferito parola sulla sua decisione. Al contrario del padre che fino all’ultimo aveva cercato di persuadere la figlia per restare a Tokyo. Anko sapeva che Kaori non era cattiva. Tutt’altro. L’aveva sempre trattata da principessa e viziata in ogni modo in cui si può viziare un figlio. Ma forse tutti quei modi di fare erano dettati dal fatto che subentravano altre mancanze, molto più gravi dell’assenza di un oggetto o un abito costoso di cui una ragazza come lei avrebbe potuto benissimo farne a meno. Con l’ennesimo sospiro della giornata, Anko si mise a sedere, incrociando le gambe e perlustrando la stanza. Il letto a baldacchino e da una piazza e mezzo su cui era seduta le avrebbe regalato molti sonni comodi. Spaziosa la stanza presentava Le pareti appena pittate di color lilla, un armadio con tre ante, mensole ancora vuote e un paio di comodini, di cui uno affianco al letto. Insomma, la stanza era ancora un po’ “vuota”, e la maggior parte del pavimento era invaso da scatoloni e valigie. Dulcis in fundo, aveva un bagno privato, come nella sua vecchia dimora. Caratteristica che mancava quando abitavano i nonni paterni e conferma che il padre aveva già avviato i lavori da un bel po’. I suoi pensieri furono interrotti dal breve bussare alla porta e successivamente dall’entrata in stanza del padre. Quest’ultimo sorridendo gentile si avvicinò al letto per poi accomodarsi, accavallando le gambe chilometriche che si ritrovava.
 
- Novità?- chiese senza preamboli la ragazza.
 
Daisuke che sapeva benissimo a cosa alludeva sua figlia fece spallucce – L’ho chiamata avvertendola del nostro arrivo –
 
Anko inarcò un sopracciglio infastidita – Dovevi aspettare che fosse lei a chiamare – sbottò a mò di rimprovero.
 
Suo padre scosse il capo – Sapevo che eri ancora col piede di guerra- affermò – per questo non ho voluto che parlaste al telefono. Conoscendovi avreste bisticciato, e per oggi ci siamo stancati abbastanza –
 
La ragazza alzò gli occhi al cielo
– Scommetto che userà la mia stanza per ospitare qualche delinquente –
 Si rabbuiò al pensiero che qualcun altro potesse prendere il suo posto.
 
- Aspettati di tutto Anko – disse Daisuke – Inoltre hai preso una scelta e dovrai accettare le conseguenze -
 
Anko fece un sorriso amaro – Non bastano tutte quelle che ho subito? – chiese con ironia.
 
Suo padre non ribattè lasciandosi ad un profondo sospiro. Entrambi abbassarono lo sguardo, non aggiungendo altro per qualche minuto. Poi egli alzò nuovamente lo sguardo su sua figlia
 
- Mi sono informato per la squadra di basket della nuova scuola – esclamò.
 
Anko lo fissò nettamente curiosa ed interrogandolo con lo sguardo.
 
- Come dovevamo aspettarci non ci sono squadre femminili e quella maschile ha già un manager – aggiunse l’uomo – Tuttavia domani concluse le lezioni andremo insieme a parlare con Anzai e cercheremo di trovarti un posto in squadra -
 
Senza dir nulla Anko annuì. Prima di partire aveva cercato informazioni sullo Shohoku e in particolar modo su Anzai. In passato tale allenatore era un uomo temuto e rispettato. Fece parte della nazionale giapponese e in seguito divenne un allenatore universitario, uno dei più preparati in tutto il paese, particolarmente noto per la sua severità, ricevendo i nomignoli di “diavolo dai capelli bianchi” e “schiavista del basket”. Suo padre non aveva mai avuto a che fare con Anzai dal momento che si era trasferito allo Shohoku quando già si era diplomato. Tuttavia aveva informato il preside della scuola che avrebbe gradito un colloquio privato col mister per parlare di sua figlia.
 
- Detto ciò – il padre di Anko si alzò destandola nuovamente dai suoi pensieri – ti lascio la buonanotte -
 
- Buonanotte papà -
 
Senza aggiungere altro, Daisuke lasciò la stanza chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Anko si intrufolò sotto le lenzuola e spense la luce. Il riflesso della luna entrava a malapena nella stanza, dato che le finestre erano state invase dalle tende. Chiuse gli occhi cercando di dare un ordine dei suoi pensieri. Da sua madre al fatto che il giorno seguente la sua nuova vita sarebbe cominciata. Prima che il sonno e la stanchezza prendessero il sopravvento, si chiese se fosse riuscita a trovare spazio per il basket…
 
 
*** Continua**
 
 
Prima fanfiction su Slam Dunk. C’è molto lavoro da fare e credo che sarà una storia piuttosto lunga. Spero che questo primo capitolo d’introduzione vi sia piaciuto e abbia suscitato la vostra curiosità. Un bacio a tutti. Alla prossima
   
 
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