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Autore: tillmorninghighway    05/02/2016    2 recensioni
Uno scrittore in cerca della sua ispirazione.
Ma può poi definirsi scrittore qualcuno che non è mai riuscito a portare a termine un racconto che sia un racconto? Tim O'Ruy crede di sì - o meglio, spera di sì. Ma perché questa speranza non resti vana è tempo di rompere gli indugi e di rivolgersi al Signore dei Sogni, sperando che sia in ascolto... o forse no.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lord, I kneel and offer you my word on a wing...
 

Tim O’Ruy ci crede. Crede davvero di essere un prescelto. “Non raglio nascosto sotto la pelle del leone, ruggisco davvero”. Tim O’Ruy svelerà all’umanità una nuova parte di sé stessa, scriverà, ebbene sì, uno di quei capolavori che rimangono nella storia, che vengono letti nel corso dei secoli e nei quali la gente di ogni epoca scopre di potersi riconoscere e di potersi guardare riflessa per arrivare infine a meglio comprendersi. Sì, Tim O’Ruy è convinto di tutto ciò. Oh, e non importa se non è ancora riuscito a mettere insieme lo straccio di un racconto breve, è solo questione di tempo. Tim O’Ruy sta aspettando la sua ispirazione. E sa - lo sa - che prima o poi arriverà.
 
- Che aspetto avrà la tua ispirazione, Tim? – gli chiede Rick Carson, già ubriaco, e non sono neanche le dieci del mattino, diamine.
Tim decide di risparmiare il fiato, versa i corn-flakes nel latte e va a mangiare dall’altra parte della cucina. Far colazione col puzzo dell’alcol sotto il naso gli mette sottosopra lo stomaco.
- Voglio dire, spero per te che somigli almeno un po’ a Natalie Portman, se no sai che palle. – Rick Carson ride, e la sua risata sguaiata chiude definitivamente lo stomaco di Tim. Va in bagno, rovescia i resti della colazione nel water e scarica. Quando torna in cucina Carson lo guarda col sorrisetto di chi la sa lunga.
Quanto lunga può saperla un ubriaco, si chiede Tim O’Ruy.
Ha già provato a scrivere dopo essersi scolato mezza bottiglia di vodka. Ha sentito dire che alcuni dei più grandi racconti dell’orrore sono nati in condizioni analoghe, ma lui non ha avuto uguale fortuna.
Ha provato col fumo. Pare che gli oscuri poemi romantici e la raffinata poesia decadente siano venuti fuori dal fornello della medesima pipa. Con lui però non ha funzionato. Forse non ha inspirato bene, forse ha sbagliato qualcosa al momento di buttar fuori dai polmoni il fumo, chissà, fatto sta che non ha funzionato.
Ha provato ad andare nelle aperte campagne ad ascoltare le foglie e il vento e a guardare i prati danzare armonicamente sotto le correnti del cielo. Dicono che tutto abbia origine nella Natura, che l’Arte ne sia un’imitazione. Ma lui non vuole imitare niente e nessuno, forse è per questo che gli unici frutti che gli hanno portato le sue passeggiate sono quel po’di more selvatiche nelle quali gli è capitato talvolta di imbattersi.
Si è infilato in un cimitero, una notte. Dicono che posti del genere turbino le emozioni ed eccitino l’immaginazione. Ma forse lui era troppo preoccupato di non farsi beccare dal custode per pensare ad altro.
E’ andato a guardare il mare in burrasca. Si è intirizzito, un po’spaventato anche, ma non ha trovato quello che cercava nemmeno nella spuma delle onde e nel raffreddore che gliene è venuto dopo.
Ha provato a guardare le facce della gente e ad immaginarne i pensieri, ha provato ad ascoltare le ciance dei giovani e dei vecchi e a tirarne fuori una trama, ha provato a cavarsi dalla testa due o tre microcosmi, qualche galassia, due mondi immaginari e un universo parallelo: ha fallito in tutto.
E ora, benché creda ancora di avere il ruggito del leone, si trova a dover fronteggiare a testa bassa il sorriso alcolico di Rick Carson.
- Natalie Portman, Tim – insiste, strascicando le vocali.
- Che cavolo vuoi, Carson? – La pazienza ha un limite. – Ci sei andato a dormire ieri? O sei rimasto a bere tutta la notte per non sprecare tempo utile? Cristo, Carson! Ubriaco alle dieci del mattino! Mi dici un po’che cavolo, che stracavolo vuoi? – Ha alzato la voce. Si, beh, la pazienza ha un limite.
Carson scoppia a ridere e Tim decide che non ha voglia di una scazzottata. Guarda l’orologio e molla il coinquilino in asso.
- Tim! TIM! – si sente chiamare, mentre varca la soglia della sua stanza.
Tim O’Ruy per qualche secondo considera di non rispondere – e con le dita di una mano si arruffa i capelli rossicci, mentre lo fa – considera che è piuttosto tardi, che deve prepararsi per andare a lavoro, che ancora non ha chiamato Joanne per dirle che mancherà la rimpatriata coi ragazzi del college perché deve per forza di cose mettersi al passo con lo studio, di sera. Considera tutto questo e poi scandisce separatamente ogni singola parola della sua risposta: - Che. C’. È. Carson? –
- Tim… Tim, questa ti interesserà. Giuro che ti interesserà, ho pensato a te quando me l’hanno raccontato, ho pensato proprio “Ehi, questa la devo raccontare a Tim, chissà che ne penserà il vecchio Tim di questa storia”. E che storia Timmy, che storiella! -
- Che storiella, Carson? – sospira Tim O’Ruy. E’ tornato in cucina e si è seduto davanti all’ubriaco. Perché continui ad usare questa pazienza con Rick Carson, questo, sinceramente, non se lo sa spiegare.
Rick stringe con una mano un bicchierone per metà pieno di brandy. L’indice dell’altra preme sul tavolo. E’ubriaco fradicio. Si protende verso Tim, gli alita in faccia la sua ebbrezza.
- Ho la soluzione al tuo problema con Natalie Portman, Timmy. – Si raddrizza, vuol darsi un’aria d’importanza. Tim O’Ruy rimane immobile. Rick Carson si protende di nuovo verso di lui, assume un’aria cospiratoria.
- Tu sai chi abita al 5 di Givensburg Road? Sì? No? Sì, sì che lo sai, ora te lo dico io, chi. Non esce mai nessuno da lì, lo hai notato? Eppure il giornalaio ci porta i giornali, il lattaio il latte e il Comune le bollette, perciò qualcuno ci sta. Solo che l’inquilino non esce mai, e sai perché? –
Tim O’Ruy è inespressivo.
- Perché scrive. -
Rick lo fissa e Tim si chiede se è la fissità dello sguardo di chi ha bevuto troppo o se davvero lo sta guardando con studiata insistenza. Forse si aspetta una reazione, perché per qualche secondo tace, poi, capendo che il suo racconto non sarà interrotto, beve una lunga sorsata dal bicchiere e riprende.
- Scrive continuamente, Tim. Incessantemente. Mangia a stento e solo roba cruda, perché non ha tempo per cucinare. Non dorme. Beh, su questo ci sono pareri contrastanti a dire il vero, comunque gira voce che non dorma. E il motivo di tutto ciò, Tim – dice a voce sempre più bassa, costringendolo ad avvicinarsi per non perdersi neanche una parola – è che scrive senza posa. E non è che sia una sua libera scelta, sai, è che… non può smettere si scrivere, Tim, capisci? - Le ultime parole sono un sussurro. Tim O’Ruy rialza di scatto la testa e con voce chiara ribatte: - No, non capisco – Ed è vero, non capisce.
Rick Carson beve ancora una sorsata, si pulisce le labbra col dorso della mano, rutta. E’ uno schifo. – Prendila per buona, Timmy, è così. Io lo so, è vero. Là dentro ci abita un vecchio che si chiama Frans e che fa lo scrittore. Eh, Timmy, che mi fai dire? Non fa lo scrittore, è uno scrittore. Ha Natalie Portman per sé, per te e per l’intero mercato editoriale, te lo giuro, è così Timmy, è così. E’maledetto Timmy, maledetto, me lo ha spiegato Danny Jasper, ha fatto un patto. –
- Col diavolo? -
- Col Re dei Sogni, Timmy, il diavolo c’ha altro da fare, ha fatto un patto col Re dei Sogni ma mi sa che non ha letto le righe in piccolo. – Sghignazza. Beve. – Vallo a trovare Tim, male che vada ti passa sotto banco qualcuna delle sue geniali invenzioni, dato che tu sei totalmente incapace di ruggirne una da te. –
- E nella migliore delle ipotesi? – chiede in tono neutro Tim O’Ruy, il setaccio della sua mente al lavoro per separare la feccia alcolica dai più sottili grani della verità.
Rick Carson gli sorride complice: - Ti spiega come si fa a fare un patto col Re dei Sogni. –
 
Davanti al numero 5 di Givensburg Road, Tim O’Ruy ricorda improvvisamente che ha di nuovo dimenticato di telefonare a Joanne Deiches. Ma così com’è nato, il pensiero si spegne. Tim O’Ruy fa girare sui cardini il cancelletto d’ingresso, attraversa il viottolo che conduce al portone principale e bussa una volta. Aspetta. Nessuno apre. Bussa di nuovo. Nessuno. Tim O’Ruy si sente un idiota. Esita. Bussa una terza volta. Un cigolio lamentoso e la porta si schiude.
Da sola, pensa Tim, si è aperta da sola, non è venuto nessuno ad aprirla. Poi nota l’occhio che lo scruta dalla fessura che si è creata.
- Cosa vuole? – E’ la voce di un vecchio. Su questo, Carson, Danny Jasper o chi per loro ha avuto ragione, riflette Tim, e pensa anche, e ci pensa solo ora, diamine, che non ha ideato una scusa plausibile per essere accolto a braccia aperte nella casa di uno sconosciuto che, a quanto pare, ha sottoscritto un patto col Monarca dei Sogni.
- Posso venire dentro? – chiede semplicemente – Ho un problema da risolvere. Un amico mi ha detto che lei potrebbe darmi una mano. –
L’occhio lo studia indagatore, a lungo.
- Entri – lo invita un borbottio saturo di rassegnazione. Il vecchio spalanca la porta, distoglie lo sguardo – e Tim lo guarda per la prima volta, e si chiede se quello che sta facendo ha un’ombra di senso - infila le mani nelle tasche della vestaglia che ha addosso e fa strada verso la stanza nella quale, evidentemente, si trovava fino a poco prima.
Tim si richiude la porta alle spalle e lo segue attraverso un corridoio poco illuminato e ricoperto di polvere. L’unica decorazione pende da una parete, uno specchio dalla cornice ossidata e dalla superficie quasi del tutto opaca.
La stanza però rifulge di luce. I raggi del sole la inondano passando attraverso un’ampia finestra, per buona misura anche il lampadario è acceso e sulla scrivania ci sono due lampade da tavolo in funzione. Le pareti sono rivestite di scaffali, il pavimento è disseminato di cassettiere e tavolini. Ed ogni cosa è ricoperta di fogli manoscritti. Ogni cosa, osserva febbrile Tim, schivando le pile di carta e inchiostro che stanno accatastate a terra in mancanza d’altro spazio disponibile.
- Sarei curioso – comincia il vecchio, e già si è seduto alla scrivania e ha cominciato a scrivere, è costretto a notare Tim – di conoscere il nome del comune amico che le ha consigliato di rivolgersi a me per guarire il problema che la affligge. -
Ha la mano destra deforme, nota Tim O’Ruy, ha le dita della mano destra…
- Rick Carson. -
- Non lo conosco. –
Come fa a scrivere con le dita in quelle condizioni? O gli sono diventate così a forza di scrivere?
- E’… un bravo ragazzo. Purtroppo però, quasi sempre ubriaco. -
- Ah, sì. Sì, ora ricordo. – Il vecchio alza gli occhi su di lui. Sono pallidi, forse è quasi cieco.
- Davvero? – Questo lo sorprende. Credeva che Rick avesse un po’parlato a casaccio.
- Sì. – La risposta è secca e Tim O’Ruy sobbalza. E’ nervoso e non sa bene perché.
- Lei è uno scrittore. –
Il vecchio sorride, rigira la penna nella sua mano deforme e sorride, sorride con l’aria di chi la sa lunga.
Quanto può saperla lunga un vecchio quasi cieco che ha stretto un patto col Re dei Sogni e che ha scritto tanto da deformare la sua mano destra e da riempire un’intera casa dei suoi manoscritti? Tim O’Ruy viene attraversato da un brivido.
- Un’affermazione non necessita una risposta. –
- Ha fatto un patto col Re dei Sogni? – Oh, come si sta divertendo, questo vecchio signore.
- Il Signore dei Sogni. Sì. -
Miriadi di gocce di sudore gli imperlano la fronte.
- Sì? Sì, ha fatto un patto col… col Signore dei Sogni? – Tim O’Ruy sa di avere uno sguardo folle mentre ripete la sua domanda, curvandosi sulla scrivania. La situazione, si consola, non ammetterebbe espressione diversa.
- E’ così. –
- Come ha fatto? – La voce gli trema.
- A fare cosa? –
- Come ha fatto a fare un patto col Signore dei Sogni? – Di nuovo la pazienza che gli scivola via dal corpo.
Il sorriso svanisce dal viso del vecchio. – Non ne ho idea. –
- Lei non ha idea… lei non sa… - Ora soffocherò, capisce Tim, soffocherò qui e adesso. Come un completo imbecille. – Lei ha fatto un patto col Re dei Sogni ma non sa come? -
- Col Signore dei Sogni. –
- Quel che è! – sbotta Tim O’Ruy. Ha alzato la voce. Ha il diritto di perdere la pazienza in una situazione del genere, no?
Il vecchio è serio mentre si alza dalla scrivania. Il suo tono è grave quando apre bocca fissando con condiscendenza lo sguardo pallido in quello celeste di Tim O’Ruy.
- Il Signore dei Sogni non siede a discutere coi mortali, giovanotto. I pentacoli di gesso e le chincaglierie esoteriche, i riti alchemici e quelli cabalistici, le fantasie di questo genere non lo affascinano. Il Signore dei Sogni viene a noi quando Lui decide di farlo, non prima, mai dopo. I suoi discepoli lo pregano, invocano il suo nome, si genuflettono e si battono il petto ma conoscono perfettamente la sua sordità. Eppure per alcuni di loro Egli ha in serbo una diversa Rivelazione. Una notte, quando ormai meno se lo aspettano, Egli scivola nel loro sonno e allora, prima che un nuovo giorno sia sorto, ci si trova ad aver messo la firma su un contratto che Lui ha scritto e che noi, in realtà, non abbiamo nemmeno immaginato di poter leggere.
- Capite quindi, mio giovane amico, che pretendere di capire in che modo è stipulato un accordo col Signore dei Sogni, non è cosa blasfema solo perché vi è sottintesa la necessaria ingenuità di un fanciullo. – Il vecchio sorride di nuovo – Di qualcuno come voi. –
Il vecchio sorride, già. Ma Tim no.
 
E’ notte e non riesce a dormire. Rick è ancora sveglio e sta trincando in cucina, i suoni che ne provengono non lasciano dubbi in merito. Non riesce a dormire e sente la frustrazione attraversarlo in scariche regolari. Stanotte il Signore dei Sogni vuole tenermi lontano dal suo regno, pensa.
 
Ma poi c’è un sogno, e ne è consapevole. E’ un sogno di fuoco, cenere e ruggiti. Le fiamme ruggiscono, la corteccia geme, il bosco grida, gli alberi si contorcono nel dolore. Una bestia, un cervo forse, passa veloce nel sogno, salta un tronco fumante, schiva dei rami rossicci e finisce nella trappola del fuoco. Ora anche la bestia grida. E poi non grida più. Il coro del bosco ha perso una voce, un’altra. Alla fine resterà solo il ruggito trionfante delle fiamme, fulve come la pelliccia del leone. Nel sogno, infatti, c’è un leone, e passa fra le scintille e fra i muschi sfrigolanti, indenne. E ruggisce. Ruggisce.
 
Al mattino Tim O’Ruy balza giù dal letto, siede alla sua scrivania e comincia a scrivere. Scrive di un grande incendio, di un bosco sofferente, di un leone. Scrive sette righe, sette. Poi nasconde il viso fra le mani e caccia fuori un verso inarticolato di rabbia e delusione.
Tim O’Ruy ci aveva creduto. Aveva creduto in quel leone ruggente. Aveva creduto nel messaggio che il Signore dei Sogni aveva deciso di mandargli quella notte. Perché era un messaggio del Signore dei Sogni, no? Oh, sì, doveva esserlo. Il leone ruggiva, proprio come lui aveva sempre creduto di saper fare.
Signore dei Sogni, cosa vuoi da me, cosa vuoi.
Rick Carson non è in cucina. Segno del suo passaggio una bottiglia vuota, un bicchiere rotto, del vetro a terra. Tim O’Ruy nasconde di nuovo il viso fra le mani e si infila in bagno.
Oh, Signore dei Sogni, perché, perché.
Come aveva ruggito bene, quel leone!
Signore dei Sogni…
Sono dunque un discepolo che deve accettare la tua sordità?
Sotto il getto caldo della doccia, Tim O’Ruy rabbrividisce all’improvviso. Una bizzarra rivelazione lo attraversa. La mia Rivelazione, si dice.
In fondo, nessuno sa come si stringe un patto col Signore dei Sogni.
 
- Ho ricevuto un suggerimento – annuncia con calma a Joanne, al telefono.
- Un suggerimento? Riguardo a cosa? – La voce di lei è un po’disturbata. In sottofondo si sente anche la sigla del notiziario del mattino.
- Abbassa un po’il volume della TV, Jo, ti sento male. – Quando il notiziario sparisce dalla telefonata, ricomincia. – Ho ricevuto un suggerimento per… per quel racconto che devo scrivere. –
- Ah. Ah, bene. – Ecco, non se lo aspettava, lo capisce dal suo tono di voce. Sente lo stomaco stringersi.
- Per questo non posso venire alla rimpatriata. Joanne, davvero! – aggiunge in fretta, per frenare le proteste. – Davvero. E’ una cosa importante e credo che questa sia la volta buona. Devo solo… devo solo mettere in pratica questo suggerimento e… insomma, stasera devo fare questa cosa. Jo, credimi, mi spiace! Coi ragazzi, uhm, ci sarà sicuramente un’altra occasione per vedersi. –
- Invece tu non hai un’altra occasione per mettere in pratica questo gran suggerimento? – E’ arrabbiata, lo sente.
- Joanne, non capisci. E’il mio momento d’ispirazione, non posso correre il rischio di… -
- Fartelo sfuggire, certo. Bene Tim. Scelte tue. –
- Joa… -
- Ci sentiamo, allora. – Ha riattaccato.
Tim O’Ruy si morde energicamente il labbro inferiore. Non importa. Lei non capisce. Ma quando il racconto sarà scritto, allora capirà. Ne è convinto.
 
Il bosco è gelido di notte. Dal nord soffia un vento ghiacciato. Dal mare, poco distante, spira la brezza serale. E’ buio, ma poteva andar peggio. La luna è a tre quarti del suo ciclo e il cielo è terso. C’è ancora un certo silenzio. Quando inizierà il canto? - si chiede. E siccome il tempo passa, comincia a pensare che forse ha commesso un errore, che qualcosa è andato storto, che le fiamme non hanno attecchito, che magari il terreno era bagnato, che qualcuno ha visto il focolaio e si è premurato di spegnerlo.
Le mani strette a pungo nelle tasche della giacca a vento, Tim O’Ruy aspetta, e ricaccia i sensi di colpa e la paura in un angolo remoto della sua mente.
Un intero stormo gracchiante, infine, si stacca da una macchia d’alberi per raggiungerne scompostamente un’altra.
E così comincia, pensa Tim O’Ruy, rincuorato e terrorizzato insieme, mentre il terreno gli trema sotto i piedi, gli zoccoli e le zampe della fauna fuggitiva surrogati di movimenti di faglie sotterranee.
Il cielo si tinge di rosso, sopra le vette elevate delle conifere.
Il vento impetuoso soffia fra i rami e porta con sé scintille rossastre, ed è più bello dell’innocenza dell’ondeggiare dei prati di campagna. Le scintille si abbarbicano sul legno, sugli aghi sempreverdi che mutano per la prima volta colore, si accendono di fiamma, si spengono nel nero della cenere. E’ più bello degli inerti cespugli di more selvatiche. Un boato cresce fra le fronde, come nel sogno. E’ strano, perché non credeva che il fuoco facesse quel suono. Gli alberi ardono come pire, i fumi oscurano la luna ma la terra brilla di nuova luce.
Come l’uomo di Neanderthal attorno a un falò, pensa Tim.
Vede ombre correre nelle fiamme e fiamme correre più veloci delle ombre, balzare di fratta in fratta, di ramo in ramo, di tronco in tronco, rapide, scattanti, sibilanti. Schioccano, nella loro corsa, come fruste che sferzano le carni di cavalli sbavanti al traino di una diligenza, una diligenza che galoppa sconquassata nella notte, diretta a Nowhere, in arrivo alla Piazza del Mercato per Nowhen.
E non c’è nemmeno più tanto freddo. Ora è come una fornace, come la voragine di un vulcano.
E’ in un posto come questo che precipitò Lucifero quando fu punito per la sua ribellione?
Un albero crolla, azzannato dalle fiamme, le lingue fameliche ne gustano la linfa morente, i rami si agitano nel vento, le ali dell’angelo ribelle dovettero apparire così in quella notte che fu la notte dei tempi.
Le ali degli uccelli frullano all’unisono sulla sua testa. Fuggono, fuggono, i nidi abbandonati, i pigolii non si spegneranno sempre più piano, saliranno disperati e bruscamente cesseranno. E’uno spartito perfetto, l’opera di un genio della musica sperimentale. Chi mai ha suonato con strumenti di tal fatta?
In alto, su un colle che domina l’incendio, sta il divino compositore, seduto ad un pianoforte bianco latte, e riempie nota dopo nota le righe del suo pentagramma. Suda un po’, perché c’è davvero caldo a questo punto della faccenda, ma non ha tempo da perdere. Sta componendo una marcia trionfale per celebrare la vittoria di Reinhardt, Principe della Terza Bolgia, che ha attaccato Headicea, regina delle Ninfe di Sunwood e sta ormai vincendo, e la marcia dev’essere pronta per il momento in cui l’araldo annuncerà il trionfo, così, invero, il tempo è davvero agli sgoccioli.
Le Ninfe stanno ancora opponendo resistenza, hanno un gran potere sulle acque, sollevano i letti dei fiumi, ne fanno precipitare dal cielo. Accorrono coi loro unguenti a medicare le loro arboree dimore ma il compositore sa che non hanno speranze. Reinhardt, Principe della Terza Bolgia, ha preparato questo attacco per quasi un intero anno. E’la sua vendetta, la sua vendetta sulle Ninfe, su Headicea, in particolar modo, che ha osato ingannarlo, ingannare lui, il Principe della Terza Bolgia! Reinhardt non perderà, perché non può farlo. Sarà la marcia trionfale più bella degli ultimi cinque secoli, pensa il divino compositore, ed improvvisamente sente sulle spalle il peso di tanta insostenibile responsabilità.
- Questa storia! – esclama in quel momento Tim O’Ruy. – Racconterò questa storia! – E ride. Eccolo, il suo momento d’ispirazione.
Volta le spalle alle conifere in fiamme, tossendo. E’tempo per lui di tornare a casa e di cominciare, finalmente, a scrivere.
Ma, nota ora, uscendo dalla sua fantasticheria, non può più dare le spalle alle conifere in fiamme, perché esse bruciano ovunque intorno a lui.
Come un falò attorno all’uomo di Neanderthal, pensa Tim.
E arranca, inciampando sui suoi piedi e coprendosi il naso e la bocca con le mani. Tossisce. Respira male. Come uscirà da questo incendio? Come farà a raccontare la storia che gli è stata suggerita?
Si guarda attorno, accaldato, gli occhi lacrimanti. Non può. Non può uscire.
Non può uscire da questo incendio e grida di rabbia e dolore. Una nuova voce nel coro del bosco, un’altra.
In ginocchio, le mani levate al cielo, lo chiama.
- Signore dei Sogni! Signore dei Sogni! -
E nessuno risponde.
Naturalmente.
 
E’ notte fonda.
Frans Chesnut lascia che la penna scivoli via dalle sue dita e rilegge le ultime righe che ha scritto - la descrizione di un incendio. E’ da un po’ che sente passare canadair e camionette dei vigili del fuoco. Sospira. Il Signore dei Sogni, pensa, non si lascia mai sfuggire l’occasione di regalare un frammento d’ispirazione. Prova pena per il ragazzo del giorno prima. Apre e chiude più volte la mano destra, sgranchendo le dita callose e ricurve. Prova pena anche per sé. Riprende la penna con un sorriso amaro sulle labbra.
“Come un falò attorno all’uomo di Neandhertal, pensa Tim”, scrive. Va a capo, e continua. Ancora.
   
 
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