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Autore: Amaya Lee    05/02/2016    0 recensioni
[ Kiyoyui | Arsonist-AU | pwp ]
Che Kiyoko fosse nata bella - come la pioggia estiva - non lo si poteva confutare. Ma la bellezza generava distanza; distacco seducente, come una lingua che nessuno sa parlare.
L’occasione del fiore per marcire e della purezza per finire, di un calice per traboccare e di una fiammella per impazzire.
Genere: Dark, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Kiyoko Shimizu, Yui Michimiya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: PWP
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NA: Mi ripresento in questo fandom con il primo contributo ad una coppia yuri... che dire, è un brano importante per me. Ho cercato di lasciar viaggiare il cuore e le mani, più che la mente, e questo è il risultato. Spero che vogliate avere la pazienza di lasciare un parere, ma anche in caso contrario, grazie semplicemente per la lettura. Chissà che non riesca a spolverare qualche emozione, anche se l'obbiettivo principale non è cercarne la faccia luminosa - be', vediamo. Consiglio vivamente di ascoltare Arsonist's Lullaby - Hozier o mettere in shuffle qualcosa di Tove Lo. A presto!

 

 

 

Ci svegliammo ad albe di cera e sonetti di fumo.

 



 

Le dita di Yui erano calde, ma ancora belle. Come cuscinetti ruvidi tra i loro corpi, forse per attutire un’impatto, o permettere un passaggio. Contatto atomico, protonico, elettronico.

Era un caldo giorno d’inverno.

Era inverno perché sulle pietre sepolcrali del camposanto sussisteva una incantevole mantella, che sembrava intessuta da veli nuziali di minuscole fate, e invece era brina.

Giorno; ecco, perché il grigiore, riflesso distante dell’acqua trascurata delle pozzanghere, non cedeva di un centimetro o accennava a ritrarsi con l’avvento di un tramonto.

Era caldo perché le preghiere incorniciate ai muri - opera diligente di Yui - e la stufetta elettrica ammorbidivano la temperatura ambiente nel loro rifugio, lasciando fuori soltanto le piastrelle. Quelle non si intiepidivano proprio mai, come i nasi di alcune persone.

La vista dalla finestra del loro bagno affondava fino all’elsa sull’ala meridionale del cimitero dall’opposto lato della viuzza provinciale. Sembrava allungare le dita, acchiappare l’immagine, trasmetterla su uno schermo non particolarmente carico di potenziale, poi sfogliare tra mille e mille impressioni negative dello stesso fotogramma; solo che il Sole, con il trascorrere delle ore, prima e dopo il meriggio, modificava un grammo cromatico dopo l’altro, e mai la periziosa relazione chiaro-scuro.

Quella era troppo importante. Il chiaro-scuro.

Nessuno andava a spatinare le lapidi da settimane. Come detto, era inverno. Niente custodi. Solo visite.

Le fate accasate ormai erano forse in dolce attesa.

Kiyoko mosse l’acqua intorno a sè con un gesto rapido delle mani. Non frettoloso, e difatti l’acqua non si agitò. Le cinse la pelle come un abbraccio. O un’onda anomala, pronta ad ingoiarla.

Era chiara e nebulosa, e ardente, come il fuoco che abitava all’interno di una scatola invisibile.

Alle sue spalle, dall’opposto lato della via dove risiedeva - e andavano entrambe per i quattro anni -, fu come se le croci sospirassero d’affetto. Il panorama conosceva loro almeno quanto loro conoscevano il panorama.

Yui le gettò un braccio morbido dietro il collo come per proteggerla dalla morte. Non ci sarebbe mai riuscita. Una disequità inevitabile rendeva le loro forze prime partecipi dell’attrazione che legava le particelle nei loro corpi.Vetro e polvere. Vetro da polvere. Eppure il caldo le faceva fremere entrambe, perse.

Kiyoko la baciò tanto a lungo che gli specchi si appannarono; fluttuava, là in mezzo alla calma del riflesso, il rosso. Un colore sublime. Le mani di Yui - il calore le faceva arrossare, le affamava - scivolavano sollecitatamente sui muscoli rilassati. Sulle scapole, le dita, si spartivano a “v.” V come verità.

Yui era capace di mentire sempre, e a chiunque, ma non sulle ossa di Kiyoko. E nemmeno intorno. Erano piene di urla, e piene dei silenzi di una casa con le porte che scricchiolano, anche. Yui ascoltava, Kiyoko sapeva - nessuno sguardo può raccontare favole spettrali di stanze vuote, giardini immensi... Ma la pelle punteggiata, con assoluta flessibilità, sì.

Si piegava come sinuose onde e schiuma sotto le unghie di Yui. Kiyoko le fece abbandonare la testa all’indietro, il mento sottile una proiezione astrale senza significato su un soffitto pieno di macchie e di fantasmi dimenticati.

I propri gemiti stessi occludevano a Kiyoko di udirli chiamarla, sussurrare. I suoni di Kiyoko erano i più sensuali, per quanto poco una come lei avesse davvero da dire. Poche parole affidate a fallimenti. Poi sempre meno parole.

La sua quiescenza sinistra risucchiava lo spazio. O almeno è ciò che aveva sentito dire da una vicina anziana, una volta, perché le pareti della palazzetta non potevano essere più spessi del cartoncino delle confezioni di gelato che comprava a Yui quando aveva il suo periodo. Indossava i jeans e i calzari con gli strapps solo per uscire e spendere quei pochi yen in gelato. Quando rincasava si toglieva tutto di tutto.

Trattenere il respiro la aiutava ogni volta che Yui non c’era, quasi come leggere romanzetti porno o cucinare in biancheria.

Kiyoko non amava il lugubre. Amava la semplicità. La simmetria inesatta delle coscie di Yui, per esempio, e il libido che le provocava divorarla solo con gli occhi, e che Yui condivideva per legge di transizione. Coppia di due uguale dinamica. Dinamica uguale calore.

Trattenne il fiato.

Allora s’immerse.

 

(Kiyoko stava solo osservando il fuoco.

Lo osservava come tutti i bambini osservano le fotografie di quand’erano ancora più piccoli. Forse di tanto in tanto sorridono, perché i genitori sembrano tanto commossi. Ma non si riconoscono.

 

Non c’era nessuno nei dintorni. Neanche un alito. Perciò Kiyoko sapeva che non c’era ragione di sorridere e fare una faccia carina - ci era riuscita in modo abbastanza convincente una sola volta, comunque, e con una nonna che era morta di lì a poco.

Kiyoko sapeva anche di essere più sola degli altri bambini alla sua scuola media. Scegliere tra scuola e casa era un po’ come essere graffiati da un cane o ferirsi sui rovi.

Il fuoco invece sembrava cantare una ninnananna. Al mondo. Al cielo. E a Kiyoko.

 

La bambina che sbirciava dall’altro lato della siepe di ginepro non si accorse d’altro che del gracchiare delle cornacchie che mulinavano intorno alle fiamme, le stesse che divoravano la magione.)

 

 

All’estremità opposta del corridoio, sulla soglia del soggiorno dove lo stucco a chiazze scrostato, le infiltrazioni d’acqua, le crepe a ragnatela, venivano occultati mano a mano dal conveniente interesse di Yui per la mobilia d’antiquariato, giaceva sotto il tappeto un frammento di vetro delle dimensioni di un’unghia.

Le era sfuggito. Eppure Yui aveva usato tanta cura nel raccoglierli tutti.

Le sue ginocchia mostravano i graffi freschi, senza cerotti e senza bende, di cui Kiyoko approfittò per aggrapparsi alla promessa di far fuggire il dolore lontano dalla vasca di madreperla.

Il bordo lambito dall’acqua incolore ospitò la schiena convessa di Yui. Kiyoko non udiva i gemiti con le orecchie piene d’acqua e la bocca piena di lei.

Si avvicinava banalmente ad un’esperienza trascendente; una galleria di opaco e traslucido e rosso distorto, un viso, una smorfia, e, se guardava in alto, una vergine sull’orlo dell’orgasmo; rumori ovattati, come se si trovasse su un altro pianeta, un pianeta di nuvole e ruggine, e momenti irregolari, allungati nel tempo come sotto torchio.

C’erano molte cicatrici, sulle braccia, sulle mani di Kiyoko. Se Yui le ripercorreva sotto i polpastrelli, rischiava di perdere la corda per condurla fuori da quello specifico labirinto. Forse un tempo era stata troppo ingenua per capire che la testa di Kiyoko era troppo buia per esplorarla senza.

La cosa interessante è che nel cerchio delle iridi di Kiyoko non brillava alcuna stella, eccetto quella della follia, in quelle occasioni dove distruggeva specchi come se dovesse distruggere i riflessi che rigettavano. Come se Kiyoko fosse già stata dichiarata legalmente morta e si fosse unita da tempo alla schiera che si materializzava dalla finestra del loro bagno.

Le ginocchia tremarono forte, Kiyoko riemerse, e le bruciature sigrinate sui suoi palmi cozzarono sull’internocoscia di Yui. La donna teneva gli occhi solidamente chiusi, ma sentiva, e forse senteiva troppo. Guarire è impossibile.

Il processo era uno stordimento e il venerarsi reciproco non poteva aiutare più delle preghiere affisse alle pareti.

Portarla in alto, più in alto, era la sua missione, perché non si accorgesse dell’inferno che le inghiottiva sempre più in profondità - perché almeno Yui tenesse lo sguardo rivolto alle banchine di nuvole. L’innocenza rappresentava una vista acidamente amena, e così vicina, tanto che a Kiyoko sembrava di non mantenere un briciolo di privacy in sua presenza, perché Yui aveva scelto di spogliarla della sua cosiddetta quiescenza sinistra.

Kiyoko si sentiva guardata, e non le piaceva, ma non c’erano tende dietro a cui fingere di non esistere, e l’acqua nella vasca baciava la sua pelle ovunque senza alcuna intenzione di guarirla. Non si sentiva al sicuro, ma non lo faceva mai.

Yui recitò il suo nome come se fosse una cosa nuova.

Un’alleanza polifonica. Vetro e polvere. Vetro a polvere.

 

 

(Aveva deciso di sua spontanea volontà d’imbarcamenarsi in un’avventura.

Il pericolo ruggiva invano come un leone selvaggio dentro le sbarre di un circo. Era andato quasi tutto come previsto.

 

Saltare da una famiglia adottiva ad un’altra non le aveva impedito di incontrare chi come Kiyoko non si sarebbe pentito di appiccare fuoro a casa propria - a se stessi con l’arrivo del momento giusto. L’eccezione è che lei l’aveva fatto davvero e in modo molto letterale.

A dirla tutta, qualcuno potrebbe sentirsi legittimamente chiamato a ribattere che nessuno degli edifici in cui aveva trascorso quache tempo era stata veramente “casa”, per lei. Ma non importa.

Quando scese da un’auto delle forze dell’ordine per l’ultima volta, Kiyoko si fece tranquillamente scortare verso le austere porte della morte.

 

Quelle della vera morte, la morte del corpo, sono indubbiamente più affabili, non temete. Non hanno catenacci, nè scricchiolano lugubremente.

 

Le porte dell’istituto in cui Kiyoko potè essere legalmente trasferita solo all’età di diciott’anni, al contrario, sancirono una scomparsa.

 

Poi ci vollero degli anni, perché una ragazza libera si innamorasse di ciò che giaceva sotto chiave.)

 

 

Kiyoko si lasciò compiacere soltanto quando Yui fu sazia.

Il vapore della vasca la stordiva squisitamente, ma Yui aveva avuto la rettezza di spingere via la sua mano con decisione, parlandole con lo sguardo di ciò che voleva che facesse. La tenerezza dei favori sessuali che chiedeva turbava talvolta l’egoismo di Kiyoko.

Doveva ricordarsi che era pur sempre la sua donna. Tutte le fantasie si aprivano a lei come i cancelli del paradiso.

Ancora, guarire non si poteva.

Kiyoko si portò sopra di lei, muscoli contro muscoli, cuore contro petto, un sospiro contro i denti. Meglio, meglio del paradiso.

L’indice di Kiyoko cercava i nervi più bollenti, che strappassero al nodo alla gola di Yui i gemiti più alti, mentre il desiderio si materializzava nel basso ventre.

Si arrampicò dove nemmeno l’immaginazione si spingeva.

Le pareti della nudità di Yui si comprimevano e cedevano attorno alle sue dita di continuo, mandando brevi spasmi lungo le gambe longilinee, fino al momento in cui il ginocchio della donna si agganciò caparbiamente al fianco di Kiyoko.

Accettò l’orgasmo come se non lo stesse ricevendo da un’assassina; le braccia tremanti, saldamente aggrappate alle spalle che la sostenevano, le labbra umidissime a contatto con le perpetratrici del suo piacere, una bianca pace nella testa.

Kiyoko venne, annidata nelle mani e negli ansimi dell’amante, con fiumi onice di capelli attaccati alle guance e alla fronte, qualcuno persino sulla bocca gonfia.

Le ossa ci mettono mostruosamente poco, a fratturarsi sotto la pressione di una carezza. Il sangue galoppava ancora.

Si sentiva come se la sensazione fosse troppo grande per non aver causato un’onda d’urto, e quasi si aspettava di trovare una gigantesca macchia bagnata tutt’intorno alla vasca.

 

Le gentili labbra intorpidite di Yui coincidevano a stento con le proprie, come un cerotto sopra un graffio molto stretto. Le sarebbe andato bene sepellirsi in quel momento, e dire addio così a quelli futuri che non poteva amare. Indulgere in simili valutazioni le era costato la pelle di porcellana, la stessa che era appartenuta alle sue sorelle, grazie alla mamma. Ma non c’era differenza tra le ceneri di una pelle così e quelle dell’anziana vicina ficcanaso che Yui si ostinava sempre a salutare attraverso la porta socchiusa. Che destino magnanimo.

Che Kiyoko fosse nata bella - come la pioggia estiva - non lo si poteva confutare. Ma la bellezza generava distanza; distacco seducente, come una lingua che nessuno sa parlare.

L’occasione del fiore per marcire e della purezza per finire, di un calice per traboccare e di una fiammella per impazzire.

 

Yui giocava con le sue dita. Dopo poco avevano preso a raggrinzirsi, ma conservavano la banale umanità sensualmente dissonante dal flusso ossidrico che grattava le loro vene.

Ma disorientare i desideri di Kiyoko non era mai stato più complicato di un’equazione algebrica.

Yui rincorse birichinamente la bocca di Kiyoko con la lingua. «Ehi, non correre via. Non da me, piccola.»

«Che assurdità.»

«Macché.» Yui sorrise come se non servisse una ragione.

Kiyoko avvolse le dita snelle alla mano della donna. «È stato uguale alla prima volta.»

«Non è vero. La prima volta stavo tremando come in un film dell’orrore.»

La prima volta era stato come morire, ancora e poi ancora, per risorgere insieme alla Luna. La prima volta, Kiyoko si era sentita radioattiva ed era uscita per prima in modo da piangere in privato.

Il viso della sua amante divenne maternamente serio. «Non è mai stata colpa tua.» Poi, sistemando una ciocca dietro l’orecchio di Kiyoko, aggiunse «Dovremmo proprio tagliarci i capelli insieme. Usciamo, ti va?»

Invece rimasero nella vasca, lasciando che il silenzio deglutisse pensieri, ricordi e malie insostituibili, immaginando di essere più che spettri di dolcezza e amore, e che una volta morte avrebbero vissuto nel cuore della stessa stella, dopo i giorni di gioielli e promesse venefiche e occhi ciechi al dolore.

Sarebbero state così belle, le iridi di Kiyoko, se non riportassero l’incisione impietrita di uno stato mentale più leggero di Saturno; un castello di fiammiferi di qualità dozzinale; ginepri pungenti contro un paio di guance spruzzate di efelidi mattutine; gli spettri nella sua immaginazione, in passeggiata fra i tanti di fronte alla loro strada.

 

 

Non ci aveva creduto, la piccola Yui, eppure ora la realtà fioriva sui loro davanzali, come di ora in ora i fiori abituati alle storie appassivano; non rimaneva che il brancicare nel labirinto.


 
  
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