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Autore: AnAngelWithBrokenWings    05/02/2016    2 recensioni
Sfortunatamente non mi è concesso sapere ciò che succede sulla terra, ma quando avviene una catabasi, non di rose o di fiori è fatto il mondo. Chissà in che epoca stai vivendo, figlio, e che aspetto ha ora il mondo. Dovrei essere io a chiamarti “maestro”, caro Dante, chiederti con trepidazione cosa ci sia lassù, cosa faccia la gente, che aspetto abbiano i luoghi, le chiese, le abbazie, le biblioteche, nelle quali vorrei perdermi ora più che mai; che cosa si provi nell’uscire la mattina da casa ed essere inondati dal sole, sentire fra le dita la fragranza del pane caldo e scricchiolante, udire il suono della gente, della propria amata, le risate dei bambini che giocano a palla o si rincorrono divertiti… Tutto questo mi manca terribilmente, non sai quanto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dante Alighieri, Paolo e Francesca, Virgilio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima.”  [Marcel Proust]

Io non Enea, io non Paulo sono


Io non Enea, io non Paulo sono…
Rimasi spiazzato di fronte a questa ferma convinzione. Mi sorprese quell’atteggiamento d’umiltà che ti veste l’anima di un colore meno appariscente e altero rispetto alla tua cappa rossa. Ora cammini dietro di me, obbediente, totalmente dipendente dai miei passi. Mi chiami “guida”, “dottore”, “duca”, “maestro”, ti poni al pari di un discepolo che domanda sempre e freme di curiosità, come il primo giorno di scuola; sei impaurito e mansueto, simile a un agnello, e cerchi protezione e sicurezza tra le pieghe del mio pesante manto. Non mi ero mai sentito così, e solo ora, per la prima volta, nel luogo più temuto dell’universo, mi sento un padre e avverto un leggero carole e un battito impercettibile all’altezza del petto.
Chi sei, Dante? Che siano i tuoi modi reverenti nei miei confronti a rendermi così premuroso nei tuoi? Ora che ci penso, mi sento in colpa per averti rivolto un lieve rimprovero nel caotico vestibolo infernale. In fondo non avevo motivo di biasimarti, eri semplicemente curioso di sapere cosa ci facessero tutte quelle anime ammassate presso la riva del fiume. E invece io, prepotentemente, sopraelevandomi per un breve istante…
Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d’Acheronte
Me la ricordo ancora la tua espressione pentita, gli occhi bassi. Non avrei dovuto usare tanta durezza con te, figlio mio. Specialmente perché anche io ero come te, quando, nel periodo più florido della mia vita avrei dovuto intraprendere la carriera legislativa. Avvocato, dicevano, parlando di me. Ma la prima volta che dovetti tenere un discorso in pubblico, mi si formò un nodo in gola e non vi uscì alcun suono. A pensarci adesso, ogni tanto ci rido sopra. Ma all’epoca questa fu per me una gran vergogna, da cui poi mi riscattai, in un certo senso, con la poesia, mia unica sposa. Nostra unica sposa. Siamo uguali, caro figlio, legati indissolubilmente da un filo rosso resistente alle fiamme dell’Inferno. Se non fosse questa la nostra natura, non ci sarei io a farti da guida adesso, ma Ovidio, Cesare, Socrate, Platone, Omero…
Quel vecchio Omero, un po’ curvo e col volto scavato dall’età. Ma che mente. E che vigore!
Quando siamo arrivati nella mia eterna dimora, il Limbo, lui, di fronte a tutti, ci ha accolto brandendo una spada, da vero sovrano. Subito lessi lo stupore nel tuo volto, illuminato da una luce particolare, che diede un briciolo di vita a quel luogo. Anche Ovidio, Orazio e Lucano ti accolsero benevolmente e tu ti dirigesti subito verso di loro, come attirato da una forza indecifrabile. Sembravi un passerotto che esplora il mondo per la prima volta con le sue piccole ali, al fianco di un’aquila, certo caparbia, ma altrettanto superba e severa, talvolta, come lo sono stato io finora. Ma non hai mai serbato rancore. Anzi, ti sei girato verso di me, come per cercare l’approvazione sul mio volto: ti ho sorriso in maniera naturale e, in quel preciso istante, mi dimenticai di essere all’inferno. Questa è stata la prima- e forse l’unica volta- che ti ho visto sinceramente felice e che mi sono sentito in pace con me stesso.
E come dimenticarsi di poco prima, della tua preoccupazione verso di me, che impallidii prima di accedere nel mio grigio cerchio infernale? In quel momento mi sono lasciato trasportare eccessivamente, lasciai che la paura del luogo in cui sono ormai dannato da secoli e secoli affondasse le sue unghie su di me, e divenni un cencio. Mentre invece sarei dovuto essere in grado di proteggerti e trasmetterti coraggio.
Perdonami ancora una volta, Dante. In vita non ho conosciuto le gioie di essere padre, ma con te voglio dare tutto me stesso e ti proteggerò per quanto mi sarà possibile. L’unica cosa di cui mi rammarico è il non poterti accompagnare fino alle Beate Genti.
Siamo nel secondo cerchio, il nostro viaggio è appena cominciato, e da adesso, mio discepolo amatissimo, il cuore inizierà a piangerti e a urlare molto, e io non potrò fare nulla per placarlo. Sta già iniziando a gemere, dopo che ti ho indicato le donne e gli uomini peccatori di lussuria, sbattuti dalla bufera incessante che ulula senza sosta. Tra queste anche la mia Didone, che ho cantato con tanto ardore sulla carta. Ma non posso lasciarmi intrappolare di nuovo dalla debolezza. Che padre sarei altrimenti? Ricaccio un groppo in gola e incateno il mio sguardo alla scena che mi sta dinanzi: questa donna, che dice di chiamarsi Francesca, ti sta narrando di quando un violento punto ha messo fine alla sua vita, mentre un’altra anima, un giovane bello e avvenente, la stringe sempre più a sé mentre lei ti racconta la tragedia di cui è state protagonista, e piange, la fronte stravolta dalla tristezza poggiata ai ricci di lei.
Tu ascolti con pazienza, ma già hai il cuore che chiede pietà, lo ti si legge in volto, nel capo basso, nel petto che si alza e abbassa in profondi sospiri, il labbro inferiore morso con forza dai denti.
E io non posso fare niente per placare il tuo dolore.
E’ vero: non sei Enea, non sei San Paolo. Sei molto di più. Sei un uomo che ha una forza interiore abbastanza grande da sopportare il clima ostile, greve e dannato del regno di Lucifero, un animo talmente sensibile da sostenere gli sguardi e le storie pietose delle genti che si aggirano in quest’aura nera come la notte. Colui che troneggia Là Sopra e muove il Sole, le stelle e gli astri, ti ha scelto per una ragione. Sfortunatamente non mi è concesso sapere ciò che succede sulla terra, ma quando avviene una catabasi, non di rose o di fiori è fatto il mondo. Chissà in che epoca stai vivendo, figlio, e che aspetto ha ora il mondo. Dovrei essere io a chiamarti “maestro”, caro Dante, chiederti con trepidazione cosa ci sia lassù, cosa faccia la gente, che aspetto abbiano i luoghi, le chiese, le abbazie, le biblioteche, nelle quali vorrei perdermi ora più che mai; che cosa si provi nell’uscire la mattina da casa ed essere inondati dal sole, sentire fra le dita la fragranza del pane caldo e scricchiolante, udire il suono della gente, della propria amata, le risate dei bambini che giocano a palla o si rincorrono divertiti… Tutto questo mi manca terribilmente, non sai quanto.
Ma la morte ha decretato la mia punizione, vagheggiare è inutile. Non posso ricominciare tutto da capo, è assurdo anche solo pensarlo. Perciò abbasso gli occhi sulla mia abbondante veste, accettando i pugni e i calci della sorte con un sorriso rassegnato che nascondo dietro un lembo di stoffa.

Va bene così, ho ricevuto quel che mi spettava. La mia unica preoccupazione ora sei tu, amato allievo, figlio mio, Dante. Non lascerò che anche tu patisca una sola delle pene cui assisteremo con orrore; non tu, timido, puro, insicuro, impaurito, umile, colmo di pietà persino per i dannati. Tu non sei per questo posto. Ti salverai e salirai in cielo assieme agli altri beati. Va bene così.

Ho solo un desiderio da esprimere, uno piccolo.

 Che ti ricorderai di me e non mi getterai nell’oblio.

Ti voglio bene.
 
 
Care lettrici e cari lettori, ma salve!
Protagonista assoluto di questa OS è Virgilio, che nella Divina Commedia è uno- se non il primo- dei miei personaggi preferiti. Ho deciso di strutturare il testo sfruttando il suo punto di vista perché nell’opera in terzine esiste quello esclusivo di Dante. Anche se Virgilio compie numerosi interventi, nessuno sa esattamente quello che succede nella sua testa, a meno che non sia Dante stesso a spiegarcelo.
Forse la forma e lo stile non sono quelle dell’autore latino Publio Virgilio Marone, eleganti e limpide, ma rispecchiano più che altro quelle di un autore del nostro secolo. Il mio intento voleva essere proprio quello di mettere a nudo i pensieri del giovane poeta latino e di fargli uscire quell’humanitas che… diciamocelo. A noi ragazze piace da morire. Specialmente se ne è dotato un poeta. *love* XD
   
 
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