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Autore: Kimiko0248    07/02/2016    0 recensioni
Evey osservò il nuovo arrivato per qualche secondo, poi chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio respiro. Sentiva una morsa nel petto che le stringeva il cuore e lo faceva battere con una lentezza estenuante, scandendo i secondi.
Involontariamente si portò la mano al petto e sentì il lento battito, l'unica testimonianza che era ancora viva.
Lasciò uscire tutta l'aria che aveva nei polmoni e fece un respiro profondo che le provocò una fitta pungente alle costole. La sua espressione distaccata si incrinò, lasciando intravedere quel poco della sua umanità.
Aprì gli occhi e vide che l'uomo la stava fissando con un dolce sorriso dipinto sul volto.
– Non ti ricordi di me? –
Genere: Angst, Sovrannaturale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Parte Ⅰ

 

Quando la porta della cella si aprì, Evey chiuse gli occhi istintivamente per proteggersi dalla luce improvvisa.

Era sdraiata, inevitabilmente vicina ad un muro al quale era incatenata.

Era sfinita, distrutta, sgualcita... Il dolore delle braccia, piegate in modo innaturale dietro alla schiena, era costante e appena si muoveva fitte lancinanti partivano dai tendini e si estendevano a tutto il resto del corpo, facendola gemere.

Erano giorni che non dormiva perché, si sa, la privazione del sonno è uno dei più antichi metodi di tortura. Quindi aveva deciso che l'unico movimento che poteva permettersi, senza dover soffrire troppo, era quello lento ma costante del suo petto.

La guardia spinse un prigioniero in avanti, verso l'oscurità della cella, verso il baratro dell'uomo...

Quello inciampò, a causa delle catene che aveva ai piedi, e quando cadde la guardia scoppiò in una fragorosa risata, piena di scherno e disgusto per quell'uomo che ormai era solo l'ombra di se stesso.

Si avvicinò e lo trascinò fino al muro adiacente a quello a cui era incatenata la donna.

Gli tolse le manette solo per imprigionarlo in nuove catene fissate al muro e in quell'attimo, quel frammento di tempo in cui fu libero, un barlume di speranza lo attraversò, per poi sprofondare, appena il pesante ferro si chiuse attorno ai suoi polsi, nell'oscurità che ormai dominava la sua vita e che era particolarmente profonda in quel luogo.

Evey osservò il nuovo arrivato per qualche secondo, poi chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio respiro. Sentiva una morsa nel petto che le stringeva il cuore e lo faceva battere con una lentezza estenuante, scandendo i secondi. Non sapeva cosa le stesse procurando quella sensazione, ma decise di non pensarci e si perse nei vuoti ricordi della sua mente.

Ripensò al suo villaggio arroccato sulla collina, alla sua vita quando nessuno sapeva ancora cosa fosse. Una vita normale e tranquilla.

Si prendeva cura della sua piccola casa, aiutava gli uomini con la legna e le donne con la coltivazione dei campi. A volte giocava persino con i bambini che tanto la adoravano.

Non aveva mai provato affetto per quelle persone in realtà. Aveva creato la maschera della brava ragazza rimasta orfana, ma che aveva comunque sempre il sorriso sulle labbra, solo per farsi accettare in quella piccola comunità e potersi nascondere.

Ma ora, dopo tutti quei giorni, sentiva la mancanza di quel legame che, seppur falso, aveva instaurato con quelle persone.

Quel legame che le scaldava, almeno un po', il cuore.

Involontariamente si portò la mano al petto e sentì il lento battito, l'unica testimonianza che era ancora viva.

Lasciò uscire tutta l'aria che aveva nei polmoni e fece un respiro profondo che le provocò una fitta pungente alle costole. La sua espressione distaccata si incrinò, lasciando intravedere quel poco della sua umanità.

Aprì gli occhi e vide che l'uomo la stava fissando con un dolce sorriso dipinto sul volto. Lei lo fissò di rimando con un'espressione corrucciata, non capendo il perché di quel gesto.

– Non ti ricordi di me? – domandò lui intristendosi.

– No –

Si avvicinò a lei più che poté, fino a che le catene non si tesero torcendogli le braccia. Una lacrima solitaria gli accarezzò la guancia.

– Come hanno potuto farci questo? – disse con la voce rotta dal pianto che stava trattenendo.

– Di cosa stai parlando? Chi sei? – sussurrò lei mentre quella strana sensazione tornava a farsi sentire, più forte.

La voce dell'uomo aveva rischiarato una parte della sua mente caduta nell'oblio e lei capiva che le era sfuggito qualcosa, ma non riusciva ad afferrarlo.

Almeno fino a quando lui non la baciò.

Un bacio leggero come il battito d'ali di una farfalla, ma abbastanza forte da distruggere quel muro di compostezza che si era creato dentro di lei.

Lentamente qualche frammento di una memoria che non sapeva di aver perduto tornò e una figura incappucciata fece capolino tra i suoi pensieri.

L' uomo la prendeva per mano e poi iniziavano a correre verso la foresta, ridendo, sotto la pallida luce della luna. Si sedevano sull'erba e giocavano, come due bambini.

Lei gli toglieva il cappuccio e lo baciava divertita, innamorata, incatenando i suoi occhi scuri a quelli cristallini di lui.

– Ren – mormorò sulle sue labbra con voce flebile.

Alzò gli occhi e la magia si ripeté. Erano ancora là, su quel prato, e non sul sudicio pavimento di una cella.

– Però non mi ricordo ancora chi sei... –

Lui rise, sottovoce, temendo, se avesse alzato il tono, di distruggere la fragile bolla nella quale si erano rifugiati.

– Sono tuo marito. –

Lei lo guardò, un po' sorpresa, un po' dubbiosa.

– Non ti credo. – decretò infine con convinzione, facendolo ridere.

– Va bene, forse non ancora, ma un giorno potrò dire di esserlo e tu non potrai smentirmi. –

Lei sorrise, con il cuore, per la prima volta dopo tanto tempo, ma un'ombra di disperazione coprì subito quel piccolo raggio di sole.

– Perché non mi ricordo di te? – domandò preoccupata.

Non poté sentire la risposta perché le parole di Ren vennero soppresse dal rumore stridulo della porta della cella che si apriva.

  
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