Sono
una strega, ebbene sì, una fiera strega di trecentoventottesima
generazione. La nostra stirpe è nata quando un mago e una ninfa dei boschi
hanno… beh hai capito. Da questa “unione” è nata una bambina, la prima strega
della mia famiglia. Ora ti chiederai come abbia fatto questa strega ad avere
dei figli e via discorrendo visto che sappiamo tutti che una fattucchiera che
si rispetti non ha legami di sorta e, rinchiusa nel suo eremo, scaglia
maledizioni, fornisce predizioni o al massimo vende qualche pozione a un
principe bisognoso. La risposta è semplice e credo tu la conosca, come la
conoscono tutti, ha rapito un bambino: un classico insomma. Non scandalizzarti,
erano altri tempi, comunque ha fatto il tipico patto con una contadinella che
voleva sposare un re e alla fine ha ottenuto una bella e sana bambina a cui ha
insegnato le arti magiche e a cui, alla propria morte, ha passato il sangue, un incantesimo un tantino disgustoso ma
necessario per renderla a tutti gli effetti una discendente della ninfa e del
mago.
Da
allora i tempi sono cambiati, una mia bis bis bis bis nonna ha pensato fosse
più divertente farseli da soli i bambini anche perché le contadine erano sempre
più istruite e furbe, così ha messo a punto un incantesimo di seduzione. La
questione è molto semplice, vicino alla nostra casa c’è un romantico laghetto,
quando un giovane vi si sofferma noi ne siamo informate, allora viene
pronunciato l’incantesimo della mia bis bis bis ecc. e il fortunato passa un’indimenticabile giornata
tra le braccia della strega. Non devo spiegarti di più, ma puoi capire da sola
come mai nove mesi dopo nasce un bambino.
Devo
aggiungere un paio di dettagli affinché tu capisca bene la mia famiglia, le
streghe sono molto longeve, ma possono procreare una sola bambina. Io solo
l’ultima nata. Io sono colei che deve recarsi al lago e…
“Smettila di scrivere e inizia a
muoverti o quello se ne va!”
“Nonna!” La giovane arrossì chiudendo
la pergamena. Accanto allo specchio si agitavano la sua bis bis
nonna e la sua bis nonna.
“Guarda come si muove elegantemente,
quello sa danzare, capite cosa intendo vero?” Le due donne ridacchiarono e lei
arrossì ancora di più.
“Mi raccomando, aspetta che si tolga
l’elmo prima di pronunciare l’incantesimo, a me è capitato un cavaliere una
volta, sembrava promettere bene, fortunatamente ho aspettato che si togliesse
l’elmo altrimenti avreste tutte un naso a patata adesso.” Pontificò la bis bis nonna, che malgrado l’età era arzilla e saltellava
agitata.
“Non mi va adesso, aspettiamo il
prossimo…” Le due vecchie si voltarono a guardarla con un’espressione
indecifrabile sul volto, da vere streghe insomma.
“L’ultima volta avevi male alla testa,
però poi ti è passata e non hai voluto l’infuso che ti avevo preparato, quella
prima lo hai lasciato scappare perché ti sei distratta a cogliere dei funghi
che poi non hai portato a casa…” La sua bis nonna non era mai severa, ma ora la
guardava con serietà.
“Sibilla, se la bambina non è pronta…”
“Mamma, la bambina ha venticinque anni,
alla sua età tutte, nella nostra famiglia, avevamo già una figlia che tentava
le prime magie.”
“Alla sua età io avevo già conosciuto
ben più di un uomo!” Ammise Serafina, la sua bis bis
nonna, ridacchiando.
“Non sarebbe bello dire a tua madre che
sei in attesa di una bambina non appena torna dalla città?” Insistette con
maggiore dolcezza Sibilla.
“Va bene, va bene, ci vado.” Capitolò
Nerissa.
“Ti ci devo accompagnare, nel caso ti
perdessi?” La giovane lanciò un’occhiataccia alla gatta che si stava
stiracchiando con la solita eleganza.
“Mi sembra un’ottima idea, brava
Minerva, accompagnala.” Serafina tornò a guardare lo specchio, dove il giovane si
stava occupando del cavallo. “Magari è un principe, sono generazioni che non
aggiungiamo sangue nobile alla nostra famiglia.” Il suo sguardo sognante fece
sbuffare Nerissa che afferrato il suo cappellaccio nero uscì seguita dalla
gatta.
Non aveva nessunissima voglia di fare
quella cosa, non capiva perché le sue nonne ne parlassero sempre con grande
soddisfazione.
“A destra.” Le ricordò la gatta
facendola sobbalzare.
“Grazie, ma so come arrivare al lago.”
“Ah sì?” Minerva alzò lo sguardo
fissando i suoi lucenti occhi verdi su di lei. Nerissa non riuscì a sostenere
lo sguardo dell’animale e si concentrò su quello che, ormai ne era rassegnata,
avrebbe dovuto fare: l’incantesimo della seduzione.
Superare la palude fu semplice, ne
conosceva ogni palmo fin da quando era bambina, era tra quei rotondi sassi,
quelle cespugliose erbe e quelle infide pozze che aveva giocato ed era
cresciuta. In una decina di minuti uscirono dalla palude che circondava la
casetta delle streghe ed entrarono nel bosco. La radura, con il lago, era ormai
a pochi passi.
“Molto bene.” La gatta si sedette e
iniziò a leccarsi una zampa.
“Non vorrai rimanere qua?”
“Perché? Non crederai sia uno
spettacolo a cui non ho mai assistito?” Nerissa arrossì violentemente mentre
scuoteva la testa.
“Per favore Minerva, potresti tornare a
casa?” L’animale finì lentamente di leccarsi la zampa poi alzò lo sguardo su di
lei.
“Se proprio la cosa ti disturba vedrò
di andare da qualche altra parte.” Era il massimo della concessione per la
gatta, così Nerissa le sorrise riconoscente. Un nitrito le ricordò il perché
fosse lì. Prese un profondo respiro e avanzò nella radura.
Il cavaliere era di spalle e stava
armeggiando con il contenuto della sua bisaccia. La strega si chiese se la
distanza fosse quella giusta per l’incantesimo, dopo un rapido calcolo annuì,
chiuse gli occhi e si calmò.
Gettare un incantesimo non era cosa da
poco, non bastava agitare un po’ le mani o urlare qualche parola, no, le
formule erano degne di un matematico, i gesti dovevano essere precisi e le
parole da recitare potevano essere molte. Sua madre le aveva parlato di un
incantesimo che necessitava di una settimana intera per essere pronunciato.
Ovviamente quello che stava scagliando era più corto.
Dopo un decina di versi lo concluse
chiudendo le dita e aprendo gli occhi sul cavaliere.
Per un’istante la sua mente esitò, incerta
su quello che aveva davanti o forse semplicemente rifiutando quello su cui gli
occhi sembravano voler stupidamente insistere.
“Ciao.” Nerissa sbatté gli occhi, ora
anche le sue orecchie le giocavano brutti scherzi. Perché quel cavaliere non
era un principe e neppure un soldato, anzi non era neppure un uomo. Quel
dannato cavaliere era una ragazza.
“Va tutto bene? Sembri aver preso una
botta in testa…” La giovane, sì, ormai non c’erano più dubbi, avanzò verso di
lei. Nerissa fu sul punto di fuggire, ma aveva una reputazione: era una strega
dopo tutto.
“Questa radura appartiene alla mia
famiglia.” Cercò di avere un tono minaccioso ma la voce non collaborò. Si
schiarì la gola e ripeté le parole con voce fievole ma più chiara.
“Questa radura appartiene alla mia
famiglia.”
“Oh… pensavo di fermarmi per la notte, Incitatus, il mio cavallo, è già stanco ma riparto subito
se…” Mentre la ragazza parlava il cervello di Nerissa si scongelò e iniziò a
funzionare di nuovo.
Va bene, aveva scagliato l’incantesimo
di seduzione su una ragazza. Era una tragedia, ma quello che la infastidiva a
questo punto era che non aveva funzionato! Lei era brava negli incantesimi,
anzi era molto brava! Non ne aveva mai fallito uno, neppure il suo primo,
quando aveva cinque anni e aveva fatto cambiare colore al cappello di nonna
Selena.
“Non senti nulla di strano?” Chiese
lasciando perplessa la ragazza.
“No, perché?”
“Nulla di nulla?” Nerissa la guardò
cercando di imitare lo sguardo penetrante che veniva così bene a tutte le donne
della sua famiglia.
“Beh, ho un po’ di sete, pensavo di
riempire la mia borraccia, ma prima dovevo occuparmi di…”
“Non parlo di quello!” La interruppe
Nerissa. A quanto pare l’incantesimo non aveva funzionato, le era stato
spiegato molto chiaramente cosa sarebbe successo quando funzionava. La ragazza
però non si stava spogliando e non declamava versi d’amore.
La strega camminò avanti e indietro
ripercorrendo ogni gesto compiuto e verso declamato.
“C’è qualcosa che non va?”
“Sì.”
“Posso esserti d’aiuto?”
“Ti senti in vena di spogliarti?” La
domanda a bruciapelo lasciò perplessa la ragazza che portò la mano alla
gorgiera di ferro della sua uniforme.
“Fa un po’ caldo e l’armatura è pesante
però… no, non direi.”
“Credo di aver lasciato troppo aperta
la e nella seconda strofa.”
“Capisco…” La giovane aveva sul viso
un’espressione sempre più confusa e Nerissa, per la prima volta, la osservò
attentamente.
Doveva avere più o meno la sua età,
aveva i capelli rossi, legati in una treccia, il naso era dritto e la bocca
sottile, gli occhi poi erano del vivace azzurro del cielo in autunno. Era il
viso di una dama, cosa ci faceva in armatura, da sola, nel bosco?
“Cosa ci fai qui?” Il viso della
giovane si illuminò con un sorriso.
“Mi batto per l’emancipazione femminile
e così mi sposto di contrada in contrada per raccogliere affiliate e liberare
le donne oppresse!” Detto questo tornò velocemente verso il suo cavallo e da
una bisaccia estrasse una pergamena arrotolata che tese con entusiasmo a
Nerissa. La strega aveva capito molto poco dell’infervorato discorso della
ragazza così prese la pergamena, la srotolò e lesse:
“Donne, liberatevi!
Possiamo farlo!”
Sotto queste frasi vi era un immagine
con una donna muscolosa che impugnava una spada con fare aggressivo.
“E… hai trovato molte affiliate?”
Chiese dopo aver riavvolto la pergamena. La giovane arrossì un poco.
“No, non ancora, le donne sono oppresse
da così tanto tempo che sembrano incapaci di riscuotersi dal loro torpore e
reclamare la loro emancipazione.” Nerissa corrugò la fronte, non le sembrava
che le sue nonne e sua madre fossero incapaci di fare qualcosa, anzi, e di
certo non le veniva in mente la parola torpore quando pensava alla sua
famiglia. “Saresti interessata?” Si sentì chiedere.
“Io?”
“Sì, pensaci. Mi chiamo Griselda.” La
giovane le tese la mano guantata che Nerissa strinse perplessa, la
conversazione aveva assunto una piega inaspettata.
“Nerissa.” Poi in un ripensamento
aggiunse: “Sono una strega.” Era quasi sicura che nessuno aveva mai dovuto
precisare la cosa, dopotutto indossava una lunga veste nera e un cappellaccio
altrettanto nero.
“Una strega? Affascinante! Sai io mi
batto per tutte le donne, non importa la loro professione.”
“Essere una strega non è una
professione, è quello che sono.” La ragazza fece una smorfia.
“Mia madre è una duchessa e diceva
esattamente la stessa cosa dei nobili, continuava a ripetere che il mio destino
era tracciato dal momento in cui ero nata. Tu sarai questo, tu farai quello,
eccetera eccetera.”
“Non vedo cosa ci sia di sbagliato.”
Protestò Nerissa, aveva sempre apprezzato avere davanti a sé una via tracciata
e sicura.
“Tutto è sbagliato, noi nasciamo liberi
di scegliere chi vogliamo essere.” L’argomento sembrava scaldare la giovane che
ora si agitava su e giù lungo il bordo del lago. “Non volevo essere solo un
pezzo d’arredamento per mio marito, non volevo passare le mie giornate a
ricamare e fare figli. Voglio vedere il mondo, cavalcare come mi pare e dormire
sotto le stelle.”
“Beh, sei qui, quindi ce l’hai fatta.”
Griselda alzò lo sguardo su di lei mentre sul volto le compariva un sorriso.
“Sì, è vero. Tu invece? Com’è essere
una strega?”
“Oh…” Nerissa rimase interdetta da
quella domanda, aveva l’abitudine di scrivere pergamene su pergamene per
esprimere quello che provava e sentiva, ma non aveva mai espresso a voce alta
quei pensieri.
“Ti dispiace se mi accampo qui? Magari
possiamo chiacchierare mentre sistemo le mie cose.”
“Io… sì, credo che vada bene.” Griselda
sorrise di nuovo poi incominciò a montare una piccola tenda. “Allora, mi dicevi
che sei una strega…”
“Già.” Era un chiaro invito e Nerissa
si sedette sul prato osservando le acque del placido lago incresparsi appena
mosse da un alito di vento. “Mi sono interrogata a lungo su quello che significa
essere una strega. Voglio dire, è chiaro che ci si nasce, ma quando si tolgono
gli aspetti scenici, come li chiama la mia bis nonna Sibilla, cosa rimane?”
Griselda le annuì, invitandola a continuare mentre tirava il telo della tenda su
una fragile intelaiatura. “Ebbene rimane il potere che permette ad una strega
di piegare la realtà al proprio volere.”
“Sembra fantastico.” Nerissa si strinse
nelle spalle.
“In realtà non è così facile. Certo,
possiamo compiere magie d’impatto, per esempio la palude attorno a casa mia è
stata messa lì da una mia antenata, diceva che avrebbe fatto più scena, oppure
possiamo vendere pozioni e lozioni per i più disparati disturbi. Mia nonna ha
un negozio in città e mia madre è spesso in viaggio per rifornirla.”
“Credevo che voi streghe viveste
isolate dal mondo.”
“Sì… però dobbiamo pur mangiare, vivere
dei frutti della foresta non è così semplice soprattutto quando quello che si desidera
è una tinta per coprire i capelli grigi o un nuovo cappello.” Nerissa sorrise
nel vedere lo sguardo stupito di Griselda. “Poi ovviamente c’è l’incantesimo di
seduzione…”
“Il cosa?” La giovane dopo aver finito
la tenda, che appariva un po’ sbilenca, si stava togliendo l’armatura.
“Perché indossi un’armatura?” Nerissa
cambiò repentinamente argomento rendendosi conto dell’errore commesso.
“Proprio per liberarmi dagli
stereotipi. Perché solo un uomo può indossare una cotta di maglia e un elmo?”
La domanda lasciò la strega perplessa,
gli stereotipi erano importanti, tutta la sua vita era imperniata attorno
all’immagine e a quello che ci si aspettava da lei in quanto strega, ma perché?
“La risposta è semplice: perché è così e basta. Ebbene, a me questa risposta
non mi va bene. Voglio indossare un’armatura anche se sono una donna? Lo faccio
e basta, questo è quello di cui parlo: emancipazione.”
A quanto pare era proprio infervorata
su quel soggetto, avrebbe dovuto scoprire che diavolo voleva dire.
Quando Griselda ebbe finito di
togliersi l’armatura sembrava diversa, molto più femminile, fu sul punto di
dirglielo, ma qualcosa le suggerì che la ragazza non avrebbe apprezzato il
complimento.
“Quindi viaggi molto?”
“Sì, anche se Incitatus
non è molto veloce e si stanca in fretta.” La ragazza gettò uno sguardo verso
il cavallo che stava brucando l’erba poco distante. “L’ho preso dalle stalle di
mio padre, ricordavo che ne parlava sempre ammirando la sua forza e potenza in
battaglia, ma credo di aver trascurato il fatto che mio padre era stato in
battaglia da giovane…” Nerissa sorrise nell’immaginare la giovane prendere il
cavallo più vecchio della stalla.
“Almeno ha esperienza.”
“Già e nessuno ha mai provato a
rubarmelo.” Guardò verso Nerissa e poi entrambe scoppiarono a ridere. Nerissa
si rilassò, dopo tutto era un bene che l’incantesimo non avesse funzionato, era
bello parlare con qualcuno della sua età e Griselda era piena di idee bizzarre
che la facevano riflettere. Si stese sul prato osservando il cielo pomeridiano
che si scuriva.
“Parlavi di una palude? C’è davvero una
palude in questa fresca foresta?”
“Sì, la mia ava aveva una passione per
i funghi, le rane e gli effetti di stile, così ha ideato un incantesimo
affinché attorno alla sua casetta prosperasse una bella palude.”
“Non sono fastidiose le zanzare?”
“Oh, quelle non le ha comprese
nell’incantesimo.” Griselda annuì ammirata.
“Sai ho conosciuto il mago di corte una
volta, non mi sembrava il tipo da pensare di eliminare le zanzare da una
palude, se capisci cosa intendo…”
“I maghi sono dei teorici, vanno matti
per gli svolazzi, osservano il cielo e straparlano. Noi streghe, invece,
facciamo quello che va fatto. Anche se ovviamente abbiamo delle origini comuni,
la magia è magia.”
“Mi piace. Credo che avrei proprio
bisogno di te nel mio gruppo di liberazione femminile. Sarebbe d’impatto.”
“Non credo che piacerebbe alla mia
famiglia, sono molto tradizionaliste.” Griselda non commentò, invece si stese
accanto a lei nell’erba osservando il cielo. Rimasero in silenzio, godendosi il
tepore pomeridiano e ascoltando il coro di grilli e cicale.
“Posso chiederti una cosa?” Griselda si
era voltata su un fianco, aveva appoggiato la testa sul palmo della mano e la
osservava.
“Sì.”
“Riesci a volare su una scopa?” Nerissa
ridacchiò.
“Certo, ma non lo facciamo mai, è
estremamente scomodo, hai mai provato a sederti su un manico? Davvero
fastidioso, oltretutto si ha sempre l’impressione di cadere… nessuna strega
sana di mente usa quel metodo per viaggiare, se non per fare qualche entrata ad
effetto, ma è raro.”
“Sei un mix di classicismo e
bizzarria.” Commentò Griselda e Nerissa si voltò mettendosi nella sua stessa
posizione.
“Io? Sei tu quella che va in giro in
armatura.”
“E’ vero, eppure io cerco di scrollarmi
via di dosso un destino che mi è stato appiccicato alla nascita mentre tu fai
di tutto per entrare in quello che è stato disegnato per te.”
“Affrontiamo il mondo in maniera
diversa, eppure siamo simili.” Concluse Nerissa sorridendo.
“Forse dovremmo entrambe tentare di
esse più noi stesse.”
“Perché entrambe, una in un senso e
l’altra in un altro ci sforziamo di essere quello che non siamo.”
“Tu ti attacchi alla tradizione e
all’immagine per essere ciò che in realtà saresti anche senza cappellaccio e
informe abito nero, cioè una grande strega.”
“E tu indossi scomode armature maschili
per sovvertire l’idea di femminilità inculcata nella società quando potresti
farlo anche soltanto usando un abito da ballo, ma vivendo nel modo che reputi
più libero e giusto per le donne.”
Griselda annuì e Nerissa sospirò. Era
sorprendente come erano riuscite a capirsi l’un l’altra. Eppure sentiva che le
parole della giovane, semplici eppure dirette stavano già cambiando tutto
quello in cui aveva sempre creduto. Con un gesto simbolico afferrò il cappello
nero e lo gettò nel lago dove rimase qualche secondo prima di inabissarsi.
“Credo che tornerò a casa, mia madre mi
vuole bene e le mancherò.” Disse Griselda mostrando che anche lei era rimasta
colpita dalla parole della strega. “Questo non significa che sposerò chi vuole
lei o che mi piegherò ai suoi voleri, ma fuggire non è la soluzione. Non sarei
d’esempio a nessuna donna se la mia risposta ai problemi è la fuga.”
“Credo sia una buona idea.”
“E poi Incitatus
è davvero vecchio…” L’affermazione portò un sorriso sulle labbra di entrambe le
giovani. I loro occhi si legarono e Nerissa vide in quelli di Griselda un
scintillio. La ragazza si avvicinò a lei, lentamente, ma inesorabilmente. La
strega rimase immobile, il cuore che batteva rapido nel petto. Prima che le
loro labbra si toccassero però Griselda si fermò. Il tempo sembrò fermarsi e
Nerissa capì che la ragazza le lasciava la possibilità di scegliere.
Chiuse gli occhi e completò il gesto,
incontrando le labbra della giovane. Fu un bacio rapido e pieno di
inesperienza, ma carico di promesse. Quando si separarono Nerissa era rossa in
volto ma Griselda non la lasciò scappare, invece la catturò in un abbraccio e
la baciò di nuovo, questa volta con più decisione. Nerissa si ritrovò sommersa
dalle emozioni, adesso capiva perché le sue nonne ne parlavano con tanto
ardore. Il pensiero le fece spalancare gli occhi e separarsi da Griselda che le
sorrise, un leggero rossore che le colorava le guance.
“Sei bellissima, adoro i tuoi occhi,
sono verdi come le cime degli alberi in estate.” Nerissa scattò in piedi
sorprendendo la giovane che la guardò perplessa.
“Perché? Diavolo d’un incantesimo!
Quella e era chiusa bene, devo aver
tenuto leggermente troppo lunga la a
al quarto verso…”
“Di cosa stai parlando?” Nerissa bloccò
il suo andirivieni sul bordo del lago per guardare la giovane.
“E’ tutto frutto di un incantesimo, il
tuo…” Arrossì un poco, ma poi continuò. “Il tuo desiderio per me è artificiale.
E’ così che facciamo per avere una figlia, generazione dopo generazione.”
“Non capisco di cosa tu stia parlando,
io ti desidero perché hai toccato il mio cuore, perché mi hai capita quando
neppure io capivo me stessa.” Nerissa rimase un istante bloccata poi scosse la
testa, era tutta opera dell’incantesimo.
“Non meriti di essere ingannata in
questo modo, io non voglio che qualsiasi cosa succeda tra noi sia forzata dalla
magia.”
“Ma…”
“No, Griselda. Per favore, vai via.”
“Nerissa, non puoi…”
“Posso eccome, non costringermi a
cacciarti con la forza.” La sua voce era spezzata, ma la ragazza rimase
comunque ferita da quella minaccia, senza ulteriori proteste smontò la tenda e
recuperò le sue cose caricando i suoi averi sul dorso di Incitaus.
Non indossò l’armatura, ma, in un gesto simbolico, gettò l’elmo nel lago, salì
in sella e se ne andò nel crepuscolo.
Nerissa sentiva le lacrime pungerle gli
occhi, ma le trattenne, le streghe non piangono!
Camminò fino a casa, ma non riuscì ad
entrare, sentiva il profumino dello stufato di nonna Sibilla e Serafina che
cantava, chiaramente pronte a festeggiare.
“Tutto ciò è stato estremamente
sciocco.” La voce di Minerva la fece sobbalzare.
“Minerva, non sono dell’umore.”
“Molto bene, volevo dirti alcune cose
sull’incantesimo della seduzione, ma se non ti interessa non importa.” Detto
questo la gatta si voltò pronta a scomparire nella palude.
“Aspetta!” La richiamò allora Nerissa.
“Sì?” Minerva si sedette e la fissò
interrogativa, con quell’aria fastidiosa che assumeva quando sapeva di avere il
potere in pugno.
“Per favore.” Mormorò lei conscia che
la gatta, malgrado l’apparenza, le era troppo affezionata per farla soffrire a
lungo.
“Cambiato idea? Lo sospettavo.” La
gatta sbadigliò mostrando i numerosi denti aguzzi poi si sistemò meglio e si
mise a fissarla.
“Minerva, cosa devo sapere
sull’incantesimo della seduzione?”
“Non funziona.”
“Questo è impossibile, generazioni di
streghe lo hanno usato per protrarre nel tempo la famiglia.”
“Questo è quello che vi siete convinte
essere la verità.”
“Ma… come è possibile?” Nerissa
conosceva Minerva, era con la famiglia da secoli, conosceva cose e segreti che
loro neppure sospettavano e soprattutto, non mentiva mai.
“Senti qua, dimmi, quale uomo non si
presta alla seduzione di una giovane donna che si offre a lui in un romantico
paesaggio? Oltretutto è da tempo che i giovani dei villaggi vicini hanno capito
l’antifona e si presentano casualmente al lago, per non parlare dei meno
giovani considerando la tua bis bis nonna Serafina!”
“Vuoi dirmi che è tutto un inganno?”
“Credi davvero che la tua famiglia
accetterebbe di generare figli attraverso uno stupro? Perché di questo si
tratterebbe, ma no, nessuna di voi ci riflette perché in fondo lo sapete che
non è reale. Siete streghe! Conoscete la magia! Dentro di voi lo sentite che in
realtà non è successo nulla che non sia condiviso.”
Nerissa rimase immobile a fissare la
gatta che iniziava a confondersi nel nero della notte, i brillanti occhi verdi
unico indizio che fosse ancora lì.
Quindi… quindi Griselda…
“Per tutti i diavoli!”
“La scopa è da quella parte…” Le
ricordò Minerva mentre ormai Nerissa già correva. La gatta sorrise facendo
brillare i denti bianchi poi con un balzo sparì nella palude.