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Autore: Made of Snow and Dreams    10/02/2016    3 recensioni
Vi presento il mio secondo oc, Psychosis. Anche se non sembra, questa storia è il seguito di 'Inside', anche se apparentemente le due cose sono scollegate tra loro. Ma il collegamento c'è, e lo vedrete nella terza e ultima storia che pubblicherò tra poco! ^^
Dal testo:'Nessuno era riuscito a ritrovare il suo bambino e nessuno l'aveva chiamata per darle almeno una pista; il preside della scuola le aveva spiegato l'accaduto per telefono, comunicandole anche la conseguente sospensione.
Ma questo era il minimo. Dov'era Simon?'
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Psychosis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNDER YOUR BED

(Le origini di Psychosis)





 
But I know just what it feels like
to have a voice in the back
of my head.
(Linkin Parl – Papercut)









'Mamma, dov'è andato papà? Mi manca!'
'Presto, tesoro, presto tornerà. Te lo prometto.'

 

 

 

 No…
'Coraggio, dai. Ingoiale, Simon. Tieni il bicchiere. Ti sentirai molto meglio una volta che le avrai assunte.'
Non lo fare, maledetto idiota! Lei vuole uccidermi! Non renderti suo complice, complice di un omicidio!
'Sono amare, non le voglio. Non mi piacciono. E poi perché devo prenderle ogni giorno?'
Eh, indovina! Secondo te dove si cela il vero motivo?
'Perché il dottore dice che se vuoi stare bene devi ingoiarle. Ti assicuro che funzioneranno con il passare del tempo! E poi papà non torna se tu non le prendi...'
No! Non farlo, piuttosto sputale! Non lo fare, non-

 

 

 Non uccidermi, bastardo! Lei vuole che io muoia perché ti dico la verità, non lo sapevi? Prova. Testa pure la veridicità delle mie affermazioni. Vedrai.

Stavolta non riuscirai a farmele prendere, mamma cara!

La mano era protesa verso di lui, come al solito, per incoraggiarlo a ingoiare quelle amare pillole bianche che lui non voleva mandar giù. Scosse la testa, aggrottando le sopracciglia bianche, e serrò la bocca in un muto rifiuto. La mano era sempre lì, esigente e irritante come non mai, con la pelle talmente bianca da ricordare il colore della carta.
'T-ti prego, Simon, ti prego. ‘ implorò la donna, mormorando sommessamente per la stanchezza che premeva sul suo animo. ‘Non costringermi a urlarti contro. Ingoiale, masticale, fai ciò che vuoi. Ma prendile! Ti prego...'
Gli occhi azzurri della donna sembravano sprofondare nelle orbite nere, tanto erano scure le occhiaie che li cerchiavano. Anche i capelli biondi, un tempo lucenti e somiglianti a una criniera dorata, ora le ricadevano sul viso, ingrigiti dall’età e dal dolore. Al bambino non piacque come appariva stanca e sfiancata sua madre, ma non poteva e non voleva accontentarla nel soddisfacimento del suo desiderio.
'No, no, no! ‘ protestò lui. Le iridi grigie sembravano emettere saette di rabbia a stento controllata.  ‘Sono stufo di dormire sempre, perché è questo l’effetto di quella roba sul mio corpo! Io voglio solo riavere indietro il mio papà, è troppo da chiedere?' disse Simon, pestando i piedi e stringendo i pugni.
'Papà non tornerà fino a quando-‘
'Fino a quando non continuerò a prendere le pillole ogni giorno. Sì, lo so, non fai che ripetermi la stessa cosa da anni! Da quando è venuta quella macchina bianca e quegli uomini in bianco sono venuti a portarlo via, e tu non facesti nulla per fermarli!' urlò.
Avrebbe voluto dire tante cose in quel momento: che era solo una bugiarda, che aveva capito che il suo papà non sarebbe più tornato, che tutti i grandi erano dei falsi ipocriti, che non avrebbe più preso le pillole perché non aveva senso assumerle. Che lei, quella traditrice di sua madre, voleva solo fargli del male. Non c’erano altre spiegazioni all’orizzonte.
Lo fa apposta, Simon. E’ già tanto che non ti abbia presentato il suo compagnetto di giochi, quella sgualdrina di tua madre! Come sei ingenuo. Come. Sei. Ingenuo. Capisci ora che quelle pillole ti bloccano le facoltà cerebrali, lo intuisci dopo anni! E tuo padre? Tuo padre, eh? Lo hai dimenticato? Lei certamente sì, lei sì, lei sì, lei-

Se non l'avesse portato da lui, sarebbe scappato da casa solo per organizzare la sua fuga da quel posto troppo bianco e profumato di medicinali. Lo avrebbe fatto tornare a casa e la sua famiglia sarebbe stata riunita come un tempo, tutti felici e contenti. Come un tempo lo erano stati, solo loro tre: mamma che rideva alle battute di suo padre mentre preparava la cena, papà seduto sulla sua poltrona preferita - quella in velluto rosso, come dimenticarla? - e lui che giocava sdraiato sul tappeto al centro del salotto, rallegrandosi per quell’atmosfera così sana.
'Vuoi davvero raggiungere tuo padre, Simon?' un mormorio sommesso, fievole e dolce come solo sua madre poteva essere stata un tempo. 'Non te lo permetterò. Farò di tutto per salvarti, anche a costo di rinchiuderti in casa e non farti più uscire, anche a costo di farti dormire sempre. Io devo. Quindi obbedisci. ‘


Come implora la tua collaborazione, la sgualdrina!
Ora credo che inizi ad esagerare. Dopotutto è solo un bambino, no?
Un bambino che deve imparare a crescere. E a guardare. Quella maledetta mano, ad esempio, guardala!
Quella maledetta mano. Quelle dita rilassate eppure contratte, stanche, rovinate dal troppo lavoro. Così morbide e all'apparenza soffici, così delicate da invitare chiunque a morderle.

Cosa ti impedisce di farlo?

Simon scappò via, rifugiandosi in camera sua.

 

 

 
'D'accordo. Come vuoi tu, Simon. Ma mi pregherai affinché te le ridia, un giorno o l'altro. E' solo questione di tempo.'

 

 

 

 
Erano le tre di notte quando Simon si svegliò di soprassalto nel suo letto, sudato, tremante e terrorizzato.
Accese l'interruttore della lampada blu accanto a lui e si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi con forza e togliendosi la maglietta del pigiama che gli si era incollata addosso.
Aveva avuto un incubo. Ancora.
Non era raro che ne avesse spesso la notte - lui stesso si era quasi abituato all'idea -, ma ultimamente ne stava avendo troppi: a volte, capitava anche che sognasse la stessa cosa ripetutamente e senza sosta - come se avesse premuto l'interruttore di un nastro per cassette-, e l'incubo non finiva di torturarlo fino a quando la voce acuta e indesiderata di sua madre gli comunicava che era tempo di svegliarsi ed andare a scuola.
Solo che stavolta si era svegliato troppo presto, e certamente non sarebbe più riuscito a prendere sonno di nuovo. E forse, neanche lo voleva. Quella voce aveva pronunciato cattiverie più pesanti del solito.
Così decise di zampettare fino a trovarsi di fronte alla camera di sua madre, cercando di fare meno rumore possibile. Il piano era il medesimo da mesi: Il piano era il medesimo da mesi: entrare nel suo letto e accoccolarsi vicino a lei. Quando abbracciava la sua mamma nessun mostro riusciva a prenderlo e nessuna voce riprendeva a torturarlo.
 

'Ho avuto un incubo stanotte.'
'Ah. Ecco perché sei venuto in camera mia ieri. Che hai sognato?' mugugnò sua madre Laury nervosamente, mentre prendeva la caffettiera da uno scaffale.
'Niente di importante. Le solite cose che si sognano quando si ha un incubo.' disse alzando le spalle Simon, sperando che il suo tono di voce indifferente potesse essere convincente.
'E' per via della scuola nuova, vero? Non hai motivo di essere così ansioso, solo... comportati più normalmente con gli altri bambini. Non pronunciare frasi strane. ‘
'Ma che faccio di male? Io li avverto solo-‘
'Li avverti di cosa?' alzò la voce lei, battendo una mano sul tavolo apparecchiato. 'Che c'è un mostro che intende far loro del male e che tu riesci a vedere? Con cui puoi addirittura parlare?'
'Ma è vero!' replicò il bambino, mentre cercava di reprimere le lacrime che già gli pungevano gli occhi. Fissò sua mamma, sperando che almeno lei potesse capirlo.
'E’ tutto falso!' esclamò lei, mentre la sua voce diveniva sempre più tonante, sempre più schiacciante. Anche la sua immagine pareva avere cattive intenzioni, con i suoi occhi sgranati e i denti acuminati. 'Sono solo sciocchezze, solo dannati incubi, solo fantasie idiote! Ma io ti avverto, Simon: non ho i soldi per mandarti in un'altra scuola, quindi vedi di non costringermi a ritirarti di nuovo. Mi capisci? Non. Ho. I. Soldi.'
'Ma...' tentò ancora Simon. Le dita della sua mano destra ebbero un sussulto involontario quando il mostro in cui si era trasformata sua madre Laury per pochi secondi si rimpicciolì.
'Ora preparati. Sbrigati, e non dimenticare di prendere lo zaino. Dobbiamo essere fuori tra mezz'ora!'
 


Venne presentato agli altri bambini che, a vederli tutti dal davanti, sembravano dei buffi fantocci con gli occhi dipinti. L'attenzione prestata alle parole del loro professore era palpabile.
'Lui è Simon, bambini, il vostro nuovo compagno. Puoi sederti lì, se vuoi, accanto a Julie, nel secondo banco della terza fila.'
Simon obbedì e attraversò la classe per sedersi accanto a quell'ammasso di riccioli scuri che sembrava già esaminarlo da capo a piedi con un misto di curiosità e diffidenza, soffermandosi sui suoi capelli bianchi e sugli occhi grigio. Anche gli altri bambini lo stavano fissando: percepiva i loro sguardi trapassarlo in ogni parte, scambiando qualche giudizio su quanto inusuale fosse il suo aspetto. Pelle diafana, capelli bianchi, camicia a quadri infilata malamente dentro i calzoni marroni, due enormi occhiaie a delineare gli occhi arrossati e gonfi.
'Perché hai i capelli bianchi? Sembrano quelli di mia nonna!' rise Julie, quando lui si fu messo a sedere vicino a lei.
'Sono nato così.' fu la sua secca risposta.
'E perché hai le occhiaie? Non hai dormito bene stanotte?'
'Perché faccio molti incubi la notte.'
'Davvero? Anche io qualche volta ho problemi ad addormentarmi. Sai, draghi che vogliono mangiarmi o un'infinita corsa in uno scivolo senza fine, e cose del genere... tu cosa sogni, invece? '
Simon lanciò un'occhiatina al viso di Giulia. Poteva dirglielo o no? La mamma si sarebbe sicuramente arrabbiata se lo avesse saputo, ma l’espressione calorosa e pacifica della sua compagna di banco sembrava spingerlo a vuotare il sacco.

Avanti, mettili pure tutti in guardia!


Cominciò a raccontare.
 
Rimase in silenzio. I liquidi occhi scuri rimasero fissi a guardare un punto indefinito nel banco. Poi sussurrò: 'Che sogni strani fai.'
'Infatti non è un sogno, è un incubo. Anzi, è qualcosa di più indefinibile.'
'Già. Mi hai detto prima che quella Cosa ti sussurra sempre alle orecchie e tu gli rispondi ogni volta. Quindi davvero puoi parlarci? '
'Sì, certo. Lui mi dice sempre un sacco di cose: mi dice la verità, mi mette in guardia su chi vuole colpirmi, mi dice come reagire agli insulti e alle provocazioni. La notte è più aggressivo. ‘
La bambina annuì debolmente, fissandolo con la coda dell'occhio e stringendo i denti, senza dire una parola. Rimase in silenzio per qualche minuto, lasciandosi guardare da Simon che sperava in una pacca affettuosa sulla schiena o in un sorriso affettuoso di accettazione, ma poi lei parlò.
'Se davvero puoi parlare con Lui, fai in modo che stia lontano da me e dalla mia famiglia, capito? '
In quel momento l’immagine di Julie cambiò.
 
I giorni passarono.
Simon non sapeva definire con certezza se si trovasse bene o male nella sua nuova scuola. Tutti gli altri bambini sembravano evitarlo, sebbene non lo conoscessero, e altri ancora non gli avevano rivolto nemmeno una volta la parola. Avrebbe dovuto farlo lui stesso, ma era un bambino molto timido e solo l'idea lo faceva irrigidire sul posto, pronto ad assorbire le frecciatine crudeli o gli sguardi d’intesa di coloro che, ogni giorno di più, erano sempre più sprezzanti nei suoi confronti.
Anche i professori parevano sbiancare quando si avvicinava per chiedere un consiglio attinente alla materia. A Simon non potevano sfuggire i sorrisi forzati e la loro voce eccessivamente calma.
Era stata Julie, forse, ad aver sparso la voce sulla sua difficile condizione, facendo sì che gli altri lo evitassero per paura?
 


Ebbe la conferma cinque minuti dopo.
'Perché gli altri si comportano così con me? ' le chiese Simon.
Julie, che stava trafficando nel suo borsellino alla ricerca dei colori a matita, non si preoccupò nemmeno di voltare la faccia per guardarlo. 'Forse è perché sei un nuovo arrivo qui. ‘ disse con tranquillità. ‘Oppure è perché... ‘ si voltò, e Simon poté scorgere il guizzo di disprezzo nei suoi occhi accusatori. ‘Insomma, non puoi pretendere che gli altri ti giudichino normale se senti quelle cose!'
'E quindi tutti sanno di me? Hai spifferato i miei segreti ai quattro venti?' ringhiò Simon. Sospirò di sollievo nel percepire una prima scarica di odio percuotergli l’intera spina dorsale. La ricreazione sarebbe finita dopo alcuni minuti, constatò, e nessuno avrebbe potuto sentire la loro conversazione.
Nessun testimone a disturbarlo.
Nessun testimone a disturbarti.

'Io? No, non è vero! Non lo avrei fatto mai!' disse Julie, scuotendo la testa.
'E allora come hanno fatto a scoprire che nella mia testa abita il mio amico? Io l'ho detto solo a te, stupida idiota! ‘
'Sai, ‘ disse la bambina, assottigliando il tono della voce per renderlo più affilato, tagliente come la lama di un coltello. ‘Mia mamma è amica di uno dei nostri professori e mi ha raccontato della tua famiglia. Ora capisco perché tuo padre è in manicomio: ha preferito impazzire pur di allontanarsi da te! ‘
A quelle parole, Simon si slanciò verso di lei e la spinse a terra. Julie emise un lamento soffocato quando la sua schiena urtò il pavimento. Lui le fosse subito addosso, afferrandole la gola con entrambe le braccia.
'No! Lasciami, lasciami! Aiuto!' gridò lei.
Simon iniziò a stringere la sua presa su quella gola calda e pulsante, deciso a mozzarle il respiro. Non doveva rimanere assolutamente nulla della trachea, della pelle, dei capillari, delle vene. Nulla, nulla!

Questa sgualdrina deve pagare.

Con la gola squarciata e il sangue che colava a fiotti intensi sul pavimento, a imbrattare i capelli scuri di quella maledetta, Simon era sicuro che non avrebbe provato nulla verso quell'ipotetico cadavere immaginario. Le sue mani formicolarono quando qualcosa di viscoso gli colò sulle nocche delle mani.
Furono i bidelli e la professoressa di matematica a dividere i due. Julie piangeva mentre si aggrappava al maglione della donna; Simon venne tirato a forza dal bidello, un uomo alto e muscoloso.
'Tu sei cattiva, capisci? Cattiva! Cattiva! Sei un mostro!' urlò Simon con tutta la voce che aveva a quella maschera sfigurata che era stata un tempo la sua compagna di banco.
'E tu sei solo pazzo, sei uno psicopatico! Vattene via da me!'

Pazzo.
Psicopatico.

 
 
Il tragitto a casa fu silenzioso. Solo il ronzio del motore spezzava l'angosciante silenzio che opprimeva Simon, che non osava neanche alzare gli occhi per incrociare quelli di sua madre. Era silenziosa e rigida: i capelli le ricadevano sul viso in ciocche scomposte che le coprivano parzialmente gli occhi, rendendo la sua figura ancora più inquietante.
'Tra poco il pranzo sarà pronto. ‘ annunciò lei con voce piatta. ‘ Poi dovrai fare i compiti per domani, senza disturbarmi. Devo lavorare.'
'Domani? Andrò a scuola domani?' chiese il bambino, stupito.
'Sì. Sono riuscita ad evitare una sospensione, parlando con il preside. Ho parlato anche con i genitori di quella bambina. Mi sono scusata con loro.'
Il tono con cui riassumeva la giornata non lasciava presagire nulla di buono. Simon rabbrividì.


'La colpa è solo sua, non mia. Devi credermi, mamma!'
Laury gli scoccò un'occhiata gelida prima di uscire dall'auto e intimargli di fare altrettanto. Simon, troppo agitato e troppo debole per potersi ribellare e sostenere la sua causa, obbedì.
Le parole di Julie, quella bambina odiosa, continuavano a ronzargli in testa, senza sosta.

Pazzo.
Psicopatico.


Ma lui non era né pazzo né psicopatico, anche se gli altri sostenevano il contrario: lui era sanissimo di mente, non aveva difetti, non aveva problemi, a parte quelle maledette voci.
La storia si ripeteva ancora. Mentre saliva le scale che conducevano in camera sua, Simon ripensò all’unica scusa che quella
Bugiarda!
di sua madre gli aveva rifilato per giustificare gli uomini vestiti di bianco. Anche suo padre sentiva delle voci, dei bisbigli senza significato. Ogni attacco era sempre più virulento del precedente.


Pazzo...
Psicopatico...

 
Quella notte Simon non riuscì a prendere sonno. Continuò a girarsi e rigirarsi sotto le coperte del suo letto, stanco, arrabbiato e confuso, mentre Lui continuava a fargli visita. La cosa orribile non era tanto il fatto che stesse avendo uno dei suoi soliti incubi - che poi era sempre lo stesso - quanto il fatto che sembrava davvero essere reale. Provava paura e angoscia ogni volta che il buio riusciva a ingabbiarlo, si sentiva in trappola quando quella voce rauca e bizzarra gli rivolgeva la parola dal nulla, come se lo conoscesse già e lo avesse aspettato per tutto il giorno. Era raro che Simon riuscisse a svegliarsi e a sfuggirgli, e per di più avere il coraggio di attraversare il corridoio buio e stretto che conduceva alla camera di sua madre senza inciampare, tanto era veloce la sua corsa.
Tuttavia quella notte, Lui non lo lasciò andare.
 
Il giorno dopo Simon aveva l'aspetto di un fantasma: i capelli bianchi erano disordinati, le occhiaie sotto gli occhi erano diventate di un colore molto simile al nero, il corpicino sembrava più fragile che mai sotto l'enorme maglione azzurro. Laury spiò il figlio di nascosto, osservando le mani tremare mente portavano la tazza di latte alle labbra, e, turbata, gli propose di fare un giorno d'assenza.
Fu Simon a rifiutare.
'Perderei ore di scuola inutilmente, mamma; ti prometto che quando torneremo a casa andrò subito a dormire, va bene?' provò a dire Simon con un accenno di sorriso.
Laury non rispose, troppo impegnata ad accarezzare amorevolmente la testa ricciuta del figlio e a guardarlo, finalmente, con amore. Annuì.
 

Le cinque ore passarono lentamente per Simon: non perché le materie non gli piacessero quel giorno - l'arte gli piaceva davvero tanto - ma quanto per le occhiatine velenose di Giulia e le frecciatine degli altri suoi compagni, che parlavano davanti a lui fissandolo con i loro crudeli occhietti da fantocci. Erano tanti gli insulti che gli venivano sputati in faccia, ma a questi, per quanto offensivi potessero risultare, Simon non alzò mai lo sguardo per rispondere a tono. Tanto non sarebbe servito a niente.
'Guardalo, guardalo mentre colora il foglio! Come fa la prof. a non vedere questo schifo? E' forse cieca? '
'Vediamo se riesco a indovinare cos'è questo scarabocchio: una casa, forse? E questo è un albero. Solo i mocciosi disegnano queste cose.'
'Avete visto quant'è brutto oggi il nostro Simon? Non hai dormito questa notte, vero? Oh, certo non l'hai fatto: gli psicopatici come te non lo fanno mai.'
Passarono giorni in quella maniera, tra insulti e lacrime trattenute a stento, tra lo sguardo preoccupato e accusatorio dei professori che avevano di certo sentito l'accaduto e gli abbracci dati da sua madre, che sull'argomento non apriva bocca, limitandosi ad abbassare lo sguardo con espressione colpevole e a blaterare parole di conforto.
Passarono notti in quella maniera, la Voce continuava inesorabile a travolgerlo senza che Simon potesse ribellarsi. Gemeva nel sonno, obbligando sua madre a chiudersi nella sua camera per non sentire quell'insopportabile suono provenire dalla cameretta del figlio.


Laury si sentiva sempre peggio nell'essere costretta ad assistere al lento progredire della malattia del figlio. I medicinali erano terminati settimane addietro, e la tempesta di neve che aveva infuriato sul paese aveva reso impercorribile la strada che conduceva all'ospedale psichiatrico, da cui andava per rifornirsi delle pillole che Simon avrebbe dovuto assumere giornalmente per bloccare i deliri.
Stringendo le coperte e artigliando il cuscino con le unghie, si concesse di riporre le speranze nel tempo: se la neve si fosse sciolta entro pochi giorni, avrebbe potuto correre nella clinica per ricominciare un nuovo ciclo di cure.

 
Tuttavia le speranze che Laury aveva riposto in quel momento si infransero una notte.
Si era appena lasciata sprofondare sul materasso dopo aver aperto la porta-finestra ed essersi rannicchiata sotto le coperte; il sonno l'aveva quasi vinta del tutto, mentre ascoltava con piacere il verso di un gufo in lontananza, ma quando uno strano rumore risuonò poco lontano da lei, balzò fuori dal letto, spaventata. Proveniva dal corridoio.
Era simile al rumore che viene prodotto da un vetro rotto, o una lampada caduta a terra; cercando di fare meno rumore possibile, Laury riuscì a constatare che non era un suono continuo: era intervallato da momenti di assurdo silenzio per circa cinque secondi, e poi riprendeva, seguito da...
Laury si trattenne dall'urlare per la paura.
Passi.
Chi c'era in casa sua, se Simon dormiva?
Un altro tonfo.


All'ennesimo rumore, la donna decise di aprire la porta della sua camera e affrontare colui che minacciava la loro incolumità.
'Ora o mai più. Chiunque sia lì fuori non deve toccare mio figlio!'
Aprì la porta.
Ad accoglierla fu solo il buio.

Ma ad un tratto...
…le luci si accesero.
E lì, al centro della stanza, c'era Simon.
Indossava il suo pigiama blu scuro, che ricadeva addosso al suo corpo magrissimo e pallido. I suoi capelli bianchi era scompigliati, e gli ombreggiavano la fronte corrucciata. Le labbra erano grigiastre, molto simili a quelle di un morto, e tremavano come se fosse sul punto di avere un tic; i suoi occhi erano enormi, e il grigio dell’iride, visto nel buio del corridoio, si era scurito così tanto da essere divenuto nero. Gli zigomi del viso sporgevano a tal punto che l’intero volto, nel suo complesso, assomigliava ad un teschio.
Stava immobile al centro del corridoio. Una lampada si era infranta e i cocci erano imperlati da gocce scarlatte. I piedi del bambino sanguinavano per i tagli, ma Simon continuava a fissare il pavimento, preda di un attacco di catatonia.

'Simon?'

Il bambino non rispose.
Laury provò ad avvicinarsi a lui lentamente per non farlo spaventare, ma la paura aveva appena iniziato a divorarla dall'interno e ragionare con lucidità le riusciva molto difficile. Afferrò suo figlio per le braccia e lo scosse, senza alcun risultato. Il bambino continuava guardare un punto indefinito, la boccuccia aperta mentre un rivolo di saliva colava per terra, gli occhi vacui.
'Simon! Ti prego rispondimi!'
'Ma-mma... ma – m... m... a…'
Laury strinse a sé Simon cercando di svegliarlo e riportarlo alla realtà, accarezzandogli i capelli con delicatezza e sentendo quel peso fin troppo leggero.
'Sonno...' mormorò Simon sillabando la parola meccanicamente.
'Sì, Simon, hai sonno... andiamo a dormire, amore mio. Per oggi dormirai con me nel lettone, va bene? '
Chiuse la porta dietro di loro con un giro di chiave e poggiò il cellulare sul comodino, la luce del comodino rimase accesa, e Simon, almeno per quelle poche ore rimaste, dormì.
Il giorno dopo Laury lo accompagnò a scuola, facendo promettere a Simon di chiamarla se si fosse sentito male. Il bambino annuì distrattamente, più pimpante del solito. Quella mattina, con grande sollievo della donna, sembrava essere tornato in sé: sorrideva, era più attivo e rispondeva agli stimoli esterni. Quando lo lasciò all’entrata dell’edificio scolastico, ripartì con il cuore un po' più leggero.
Ma a scuola, l’incubo vero ricominciò: Julie, come tutte le volte, sembrava avere l’intenzione di divertirsi insieme agli altri, schernendolo per ogni cosa che faceva, approfittando di ogni suo momento di distrazione per prendere il pennarello nero e scrivergli in faccia la parola 'psicopatico'.


'Così almeno tutti vedranno la carcassa che sei diventato, e potranno mettersi al sicuro da te. E' quello che ti meriti, solo quello che ti meriti! ‘
Pazzo...
Psicopatico...

Le risate degli altri e gli insulti gli rimbombavano in testa, senza tregua. Ogni faccia che gli si palesava davanti gli sembrava uguale alle altre, con la stessa bocca ghignante, lo stesso sguardo crudele, la stessa mostruosità a infierire su di lui.
L'inchiostro nero che aveva usato Giulia per scrivergli quell'odiosa parola sulla fronte sembrava bruciargli sulla pelle, ed era fin troppo nitida, simile ad uno scarabocchio.
Mani nemiche iniziarono a toccarlo in faccia, pizzicandolo, dandogli schiaffi, graffiandolo. Quelle mani che ora aveva davanti alla sua bocca, e che lui schiuse, preda di un irresistibile istinto di
Pazzo...
Psicopatico...

mordere.
Che ci vuole, Simon? Dovresti farlo ora che sei in tempo dovresti vendicarti di tuttie di tutte le offese dovresti vendicarti delle umiliazioni e di tua madre dovrestiuccidereuccidereuccidere-


E così fece.
Afferrò una delle mani che lo tormentavano con forza e la morse, serrando la mandibola con quanta più forza aveva, e lasciando che i denti schiacciassero la pelle, le ossa, i tendini: fu un gesto liberatorio lasciare che i suoi istinti lo travolgessero e la facessero pagare a tutti quelli che lo torturavano quotidianamente, ma quando uno strillo acuto, che gli fece perdere la presa, gli fece alzare anche lo sguardo su tutti i visi sconvolti, lui perse il controllo.
Fuggì via dalla scuola, leccandosi quel piccolo rivoletto di sangue che gli colava sul mento, e il cui sapore risuonava di vittoria.
 





Centinaia di chiamate aveva ricevuto, e centinaia di chiamate aveva fatto lei.
Nessuno era riuscito a ritrovare il suo bambino e nessuno l'aveva chiamata per darle almeno una pista; il preside della scuola le aveva spiegato l'accaduto per telefono, comunicandole anche la conseguente sospensione.
Ma questo era il minimo. Dov'era Simon?
Sparito. Scomparso. E nessuno aveva visto niente!
Si asciugò le lacrime col primo pezzo di stoffa che le capitò sottomano e si rannicchiò sulla poltrona, lasciando che la sua mano pendesse fino a sfiorare la cornetta del telefono.
Rimase in posizione fetale per almeno due ore, rannicchiata su se stessa, con la mano che sfiorava la cornetta del telefono, dondolante.
Ma non arrivò nulla.
La sua camicia di notte non riusciva a proteggerla dal freddo serale, ma non le importava: non si curò neanche di chiudere la porta-finestra, tanto niente avrebbe riportato Simon a casa.
Chissà dov'era in quel momento...
Era lei la responsabile di tutto. Già, e chi altri poteva essere, visto che la responsabilità di fargli prendere le pillole ogni giorno era solo sua? Era scoppiata in lacrime quando, due settimane fa, la sua macchina era stata fermata da un blocco stradale e un uomo insensibile e freddo - freddo come il ghiaccio che aveva ricoperto la strada a causa della bufera di neve venuta settimane fa - le aveva comunicato che non si poteva più passare, né per andare alla clinica né al manicomio.
Il mondo le era crollato addosso una seconda volta. Da quando avevano diagnosticato a suo marito Loris la schizofrenia, malattia potenzialmente ereditaria, si era sentita completamente sola. Le parole di cordoglio, le frasi di circostanza, erano solo una debolissima ombra della lotta che le era stata annunciata. Una guerra che lei, per la seconda volta nella sua vita, aveva perso.
Chiuse di nuovo gli occhi, addormentandosi con gli occhi gonfi per il pianto.



'Mamma...'
Laury si svegliò di soprassalto. Era notte fonda.
'Mamma...'
'Simon?' urlò Laury. Si mise in posizione eretta sulla poltrona, facendo leva con le mani, e fece il giro della stanza con gli occhi: non c'era nessuno.
'Ma quella voce... la sua voce... Simon! '
Stavolta la donna si precipitò giù, gettandosi in ogni anfratto, ogni fessura, addirittura anche sotto la poltrona, tutto per cercare suo figlio.
Ma non c'era nessuno.
'Mamma...'
La voce proveniva dalla camera da letto, flebile, sottile, trasparente.
'Mamma... vieni, sto male...'
Percorse il corridoio come se fosse inseguita dal diavolo in persona, annaspando in cerca d'aria per lo sforzo, aprendo la maniglia di scatto.
'Mamma...'
'Simon? Amore, dove sei?'
'Qui sotto... chinati.'
E Laury lo fece.
Il colpo fu talmente improvviso da non lasciarle nemmeno il tempo di aggrapparsi a qualcosa; cadde a terra gemendo per la paura, mentre suo figlio le stava addosso, stringendo la carne con le mani, graffiando, annaspando, ringhiando come un animale.
Sentì qualcosa di tagliente trovare quello che stava cercando; Laury cercò disperatamente di rialzarsi e spingere via da sé quella belva... no, Simon! … che la feriva, finché la lama le strappò via un brandello di carne viva dalla sua gola.
Strillò.
 



La terra era umida e fredda ai suoi piedi nudi, ma a lui non importava. Doveva camminare, doveva continuare a cercare.
Il sangue che gli colava dalla bocca aperta e dal mento sembrava un fiume, come quello che aveva visto quando aveva squarciato la gola di sua madre con i denti e l'aveva lasciata lì agonizzante, con gli occhi aperti. Era un sapore dolciastro, simile a quello che provava quando, neonato, succhiava il latte ancorato al corpo della sua bellissima mamma. Erano bei tempi quelli, quando ancora papà non se n'era andato...
Si strinse nel pigiama blu che aveva indossato dopo aver ucciso quella stupida di sua madre, quella schifosa che gli aveva sempre reso le cose difficili. Aveva avuto quello che si meritava!
La Voce aveva avuto ragione: lo aveva guidato fin da subito cercando di mostrargli la via corretta, continuando a palesarsi anche quando la sua bellissima mamma continuava a combatterlo, e lo avrebbe guidato ancora.
Gli restava ancora una cosa da fare, e Simon lo sapeva bene.
La terra era umida e fredda, ma continuò a camminare imperterrito, deciso a cercare... lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
Made of Snow and Dreams.
 
  
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