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Autore: manumali79    11/02/2016    0 recensioni
chi ha paura del buio?
Genere: Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 “Jacob!”…”JACOB!!!” la madre di Jacob gridava. Il bambino all’epoca aveva solo sei anni e la nictofobia si manifestava ormai da un anno. La paura del buio è una fobia molto comune nei bambini che si presenta in seguito a traumi di varia natura ma, nel caso di Jacob, usare il termine di “altra natura” risulta più appropriato. “Jacob! Devi andare a scuola dai..” ripeté Francesca sconsolata nell’ennesimo tentativo di svegliare il figlio. Jacob aprì a fatica gli occhi non riuscendo a distinguere la strana ombra che lo sovrastava. “BASTA!” urlò il piccolo in faccia alla assonnata madre che di tutta risposta lo sculacciò, facendolo piangere. Piagnucolando e costretto dalla rompiscatole, il piccolo Jacob scese dal letto, si infilò le morbide ciabatte e uscì dalla camera. Mentre camminava per il corridoio sentì l’inebriante profumo di brioche calda e caffelatte arrivare dalla sala che gli asciugarono le lacrime e gli stamparono il sorriso sulla faccia. La brioche era alla marmellata di albicocche e il caffelatte era con poco caffè, tanto latte e tanto miele, come piaceva a lui. Una volta finito, alle otto e cinque, tornò in camera per vestirsi e, avvicinandosi al letto, si ricordò la fine del sogno che stava facendo. Camminava verso casa spaventato da qualcosa e tutto ciò che lo circondava era grigio, come in un film degli anni cinquanta. Null’altro. Si stava mettendo i pantaloni quando sua madre aveva appena finito di scongelare la macchina e dal giardino lo chiamò per portarlo a scuola. <> pensò e cominciò a vestirsi alla rinfusa e in un batter d’occhio uscì dalla camera correndo verso la porta d’entrata. Era solo in casa e, mentre si tirava la porta alle spalle sentì una voce, quasi impercettibile, quasi immaginaria chiamarlo: “..Jacob..” , gli parve di percepire e con uno scatto sbatté la porta di casa alle sue spalle, correndo in salvo dalla madre. Ormai non raccontava più alla madre di ciò che gli succedeva perché sapeva che non gli avrebbe creduto. Molte volte nei mesi passati provò a descrivere ciò che gli accadeva o, a detta della madre, si immaginava. Frequentemente gli capitava di svegliarsi nella pieno della notte a causa di incubi e andava a dormire nel lettone dei genitori. Nel primo mese Jacob si rifugiò circa una ventina di volte in camera di Francesca e Alessio, il padre. Dopo le prime volte i due decisero di parlare di questo problema con la pediatra del piccolo che consigliò loro un colloquio a quattrocchi con la psicologa della città. Era il 4 Novembre e Jacob aveva appena compiuto sei anni quando Giorgia Bach, dottoressa specializzata in psicologia pediatrica, li ricevette. “vi sarei grata se voi due attendiate fuori, grazie” chiese cortesemente la dottoressa. “ma signora è solo un bambino, oltre che essere illegale come richiesta” “Insisto. I miei metodi sono unilaterali, o così o nulla. Mi spiace” I genitori di Jacob rifletterono per qualche secondo prima di acconsentire. Il paziente e il medico entrarono nello studio. “Ciao Jacob, sono Giorgia, una tua amica. Ti andrebbe di parlarmi un po’ di cosa ti spaventa di notte?” “ciao Giorgia. Non posso..” rispose il piccolo. “E perché non puoi?” gli chiese insistente. “Perché no! Basta!“ Il piccolo aveva timore a raccontare poiché nessuno lo aveva mai ascoltato seriamente prima d’ora. Ma non era quello il motivo principale della sua reticenza a parlare. Era spaventato dalla reazione che July avrebbe potuto avere. Lei era ovunque, sapeva tutto di lui e la sera di ogni singolo giorno passava a salutare. Ormai era un anno che si incontravano di notte, quando i genitori erano a dormire, così che nessuno li potesse disturbare. “Raramente si arrabbia” pensò a voce alta il ragazzo. “chi?” “cosa?” “chi si arrabbia raramente, Jacob?” chiese la dottoressa. “nessuno”. “dimmelo Jacob”. “no!”. “dimmelo!” sbraitò Giorgia, spaventando il piccolo fino a farlo singhiozzare. Momenti di silenzio intercorsero fra i due finché una voce flebile ruppe quel muro di mutismo. “ si arrabbia raramente perché non le do mai motivo di farlo, ma perché sono troppo spaventato per andarle contro” accennò il paziente. Alzò lo sguardo, mostrando a Giorgia la paura che anche ora si insinuava nei meandri della sua mente, sconcertandola poiché lei era in grado di vederla. Non si trattava di una nictofobia comune ma qualcosa di più, molto di più. Il terrore si era impossessato di Jacob perché sapeva che quella piccolissima frase lo avrebbe condannato. Iniziò a tremare e gli occhi si girarono all’indietro, quasi non volesse più vedere ciò che gli stava davanti, quasi non potesse vederlo. Cominciò ad urlare, scalciando e muovendo le mani in avanti per proteggersi, cadendo dalla sedia con un tonfo sordo. La dottoressa lo soccorse, ricevendo un unghiata sull’occhio destro ed un morso al dito che le perforò la carne fino all’osso. Percependo le urla del figlio, Alessio si scaraventò contro la porta dell’ufficio, disarcionandola. Prese tra le braccia il bimbo, stringendolo e facendolo calmare come solo un padre o una madre può fare. Un’ambulanza arrivò dopo pochi minuti per soccorrere Giorgia e il ragazzino, portandoli direttamente all’ospedale. Il giorno seguente la psichiatra convocò i genitori, mostrando loro un avviso che descriveva le cure necessarie per il nictofobico, il quale sarebbe dovuto rimanere in terapia dalla medesima dottoressa fino al superamento di un test. Il tempo delle cure stimato era di circa due anni ma di fatto ce ne vollero cinque per liberare la mente dalla figura oscura di July, riuscendo così finalmente a far vivere una vita serena all’ ormai ragazzo Jacob.
  
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