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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    11/02/2016    4 recensioni
(Post cap. 524 - Zaraki x Unohana x Ukitake - 501 parole)
"«Andiamo, l’hai sempre saputo, quello non era il suo vero nome» lo corresse quasi con astio.
Non aveva più avuto la forza di volgere lo sguardo al volto senza vita dell’unica ragione per cui aveva continuato a lottare sino a quel momento.
Si abbassò e gliela lasciò tra le braccia, senza nemmeno troppa grazia: non sapeva esattamente perché l’avesse portata a lui, piuttosto che ad Isane, ma seguire l’istinto era sempre stata una sua prerogativa.
«Seppelliscila. Io non sono capace a fare ‘ste cose» bofonchiò. Ukitake lo guardò perplesso, per poi spostare lo sguardo sul volto pallido di Unohana. Sentiva il suo corpo ancora tiepido, non era morta da molto, probabilmente, ma in ogni caso non avrebbe potuto fare più nulla…"
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Retsu Unohana, Ukitate Jyuushiro, Zaraki Kenpachi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kenpachi's moments'
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Note Autrice:
Rileggere quei maledetti capitoli 523-524 continua a suscitarmi una certa ispirazione riguardo ciò che è accaduto, ovvero lo scontro tra Unohana e Zaraki. Ho voluto spendere qualche parola per ipotizzare cosa sia successo subito dopo la fine della battaglia, cosa ne abbia fatto il nuovo Kenpachi del corpo della donna e, soprattutto, a chi abbia deciso di lasciarlo...
Non sono una fan di Ukitake ed Unohana, come coppia, ma essendo due dei tre "fondatori" del Gotei 13, sicuramente si conoscevano molto bene, qualsiasi legame abbiano avuto, e mi è sembrato giusto rendergli omaggio.



 
___________Mai più___________

Stava ancora riprendendosi dallo scontro, quando udì una forza spropositata arrivare a pochi passi da lui. I capelli bianchi si erano sciolti lungo il combattimento, il fiato era corto, lo sguardo stanco di tutte quelle morti.
Si volse lentamente alle proprie spalle ed il respiro si fermò. Gli occhi chiari si spalancarono, le ginocchia gli tremarono.
Un senso di implacabile angoscia lo pervase.
Zaraki Kenpachi, stranamente serioso, reggeva tra le braccia il corpo privo di vita di una donna, l’ultima che avrebbe voluto vedere in quelle condizioni. Sapeva che sarebbe successo, prima o poi, ma non era mai stato pronto ad accettarlo.
«Retsu…» bisbigliò, le gambe gli cedettero, lasciandolo scivolare in ginocchio tra le macerie.
Zaraki sbuffò appena, avanzando.
«Andiamo, l’hai sempre saputo, quello non era il suo vero nome» lo corresse quasi con astio. Non aveva più avuto la forza di volgere lo sguardo al volto senza vita dell’unica ragione per cui aveva continuato a lottare sino a quel momento.
Si abbassò e gliela lasciò tra le braccia, senza nemmeno troppa grazia: non sapeva esattamente perché l’avesse portata a lui, piuttosto che ad Isane, ma seguire l’istinto era sempre stata una sua prerogativa.
«Seppelliscila. Io non sono capace a fare ‘ste cose» bofonchiò. Ukitake lo guardò perplesso, per poi spostare lo sguardo sul volto pallido di Unohana. Sentiva il suo corpo ancora tiepido, non era morta da molto, probabilmente, ma in ogni caso non avrebbe potuto fare più nulla
Zaraki gli voltò le spalle, intento ad assolvere il compito che gli era stato lasciato – il motivo per cui lei era morta.
Non gli importava cosa ci fosse stato tra quei due, a dire il vero: amici, conoscenti, amanti… non poteva fregagliene di meno, ciò che aveva sempre voluto da Unohana l’aveva ottenuto, anche se al prezzo più caro.
Ukitake sfiorò la profonda ferita sul petto della donna con la punta delle dita tremanti.
«Cafone…» fuoriuscì dalle sue labbra sottili.
Zaraki si fermò, senza rivolgergli lo sguardo, ma con un tono freddo che non gli si addiceva.
«Non ha deciso di combattere contro di me perché la compiangessi» fu la sua risposta, insita di quell’amara e crudele verità che, prima o poi, l’altro Capitano avrebbe dovuto accettare.
Accettare che Unohana – la sua Unohana – fosse morta per quel grezzo pazzo sanguinario.
Avrebbe voluto insultarlo, ma il dolore sembrava avergli corroso persino le corde vocali.
Il secondo Kenpachi sparì pochi istanti dopo, diretto verso chissà quale terribile nemico, lasciandolo nuovamente solo – lasciandolo col suo stesso tormento.
Lentamente cominciò a lasciar libere le proprie lacrime: con quale forza avrebbe seppellito la donna che amava?
«Bastardo» ringhiò tra i denti: prima l’ammazzava, poi non aveva nemmeno il coraggio di occuparsi del corpo che lui aveva martoriato, anni prima come in quel momento.
La strinse a sé un’ultima, struggente volta: forse sì, avrebbe trovato la forza di sollevarla e di seppellirla… ma non era certo di trovare quella per dirle addio.
Addio per davvero, perché non sarebbe più tornata.
Non sarebbe tornata mai più.

 
  
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