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Autore: GiovanniC86    12/02/2016    0 recensioni
I musicisti non hanno un cuore. Non ce l'hanno perché non si pongono le domande adeguate. I loro strumenti musicali sono solo i mezzi attraverso i quali fluiscono le loro emozioni, che il pubblico ha l'onore di ricevere. Ma gli strumenti, che emozioni provano? Questa domanda ci può far sembrare insensibili e crudeli. Ma noi come ci sentiremmo se le cose stessero davvero così?
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando aprii gli occhi la prima volta, non seppi vedere altro che il nulla. Per lungo tempo non conobbi altro che l’oscurità. Io e le mie cinque sorelle, una più grande dell’altra, non ci siamo mai separate. Intrecciate una con l’altra, strette da qualcosa che non riuscivamo ad identificare, farneticavamo su ciò che ci avrebbe attese. Ad un certo punto, rompendo un silenzio che per tanto tempo aveva regnato, una mia sorella, di nome Regina, attirò la mia attenzione, adoperando un tono piuttosto forte e melodioso. Mi sorprese.
Risposi immediatamente, mostrandomi curiosa al punto da sembrare impaziente. Comunque, Il mio tono era sempre pacato e fino, leggero e solo a volte stridente. Lei tentò di svegliarmi, di notificarmi ciò che ella stessa ha sentito; un suono. Io non sentivo assolutamente nulla . L’unica cosa che riuscivo a percepire, erano dei movimenti mai sentiti in tutta la mia vita, attorno a me, alle mie estremità, alle mie sorelle, che gemevano impaurite ed impazienti. Io stessa non mi vergognai a mostrarmi impaurita ed impaziente, stringendomi ancora di più alle mie cinque sorelle, fredde e nervose. Chiusi gli occhi e nel momento stesso in cui decisi di smettere di osservare, ecco che un rumore spezzo l’aria attorno a noi, un rumore che mai avevo udito. Mi si gelò il sangue, una forte ondata di vento ci investì tutte e sei, improvvisamente cominciammo a sentire un gran freddo. Eravamo ancora aggrovigliate fra di noi, strette dalla paura che ci serrava i cuori, quando una mia sorella, Solita, decise di aprire bocca per tranquillizzarci, finalmente, urlando che era tutto meraviglioso, tutto fantastico! Ci disse di guardare, di aprire gli occhi!
Di getto allora li aprii, assieme a tutte le altre e ciò che mi ritrovai davanti mi scosse al punto che quasi mi venne voglia di staccarmi da quel groviglio in cui ero stata per tutta la vita. Ciò che vidi, fu un enorme spazio, un gigantesco spazio, un infinito spazio che, in confronto a dove ci trovavamo prima, sembrava che fosse infinito davvero. Abbassai gli occhi istintivamente, quando osservai con stupore che, la cosa dentro cui eravamo riposte, era uno strano involucro luccicante, ora strappato per via della nostra uscita, caduto al suolo. Ecco cosa ci circondava, ecco cosa causava la nostra solitudine e l’oscurità attorno a noi! Il mio cuore cominciò a battere sempre più velocemente eppure cercai comunque di capire ove io e le mie sorelle ci trovassimo, con grande interesse. Vedevamo oggetti prima larghi e poi lunghi, strani solidi come cilindri posti in varie maniere, lunghi fili neri e colorati che stavano ovunque nella stanza, enormi cubi e parallelepipedi con dei cerchi in mezzo, colorati e non! Era tutto così nuovo ed emozionante che mi veniva voglia di ballare! Il mio cuore mi parlava, mi diceva che la nostra vita sarebbe cambiata per sempre, che da quel momento le cose avrebbero cominciato ad avere un senso. Quell’oscurità che ci circondava non ci avrebbe invasi mai più! Sarebbe rimasta solo una paura, quella di tornare in un luogo senza spazio, senza colori, senza niente. Passarono così lunghi ed interminabili secondi, finché non ci accorgemmo tutte e sei di ciò che ci aveva strappati all’oscurità. Stupore e paura. La nostra sorella più grande, Midia, che non riusciva mai a stare zitta, se non in alcuni rari momenti, ci confuse ancor di più, facendoci notare cosa ci aveva afferrate e tirate fuori dall’involucro primordiale, ovvero qualcosa di… indescrivibile. Adesso, lo definirei come un alto, largo, enorme essere vivente, con delle estremità orrende, coperto in alcuni punti da oggetti più malleabili di altri che abbiamo potuto osservare, colorati e non. Eravamo strette tutte e sei fra alcune delle sue estremità più piccole, a loro volta attaccate ad altre estremità. Prima che ce ne accorgessimo, fra lo sconforto e la paura, eravamo separate. Urla e grida accompagnavano i movimenti dell’essere gigante, che senza pietà strappava ognuna di noi alle sorelle, ponendole tutte su un ripiano larghissimo e marrone. Ci distendemmo tutte, il groviglio da noi formato smise di esistere e ci accorgemmo… di essere molto più lunghe e snelle di quel che pensavamo. Riuscii a sentire la sorella poco più grande di me, Silvia, che urlava un lamento ormai monotono. Noi tutte non eravamo abituate ad altro.  Urlava che saremmo morte, urlava che aveva ragione, urlava che tutto era finito. Catastrofe, catastrofe! Solo lei riusciva a stridere come me, a volte. Proprio non la sopportavo. Dov’era finito l’essere gigante? Improvvisamente, io e le mie sorelle non riuscivamo più a vederlo. Un pensiero ci attraversò la mente, un pensiero che, per breve tempo, ci tranquillizzò e ci fece pensare che ci saremmo salvate, che saremmo state libere, che ci saremmo ricongiunte. Quel pensiero non ci ha mai abbandonato, a dirla tutta.
Tornò all’improvviso.
Silvia urlò ancora, rivolgendo la sua testolina dorata verso l’essere gigante che si avvicinava. Tutte potemmo vederlo: Portava nelle sue estremità uno di quegli oggetti larghi e poi lunghi che vidi una volta uscita dall’involucro oscuro. Lo poggiò vicino a noi e si appoggiò ad un altro oggetto, portando la sua estremità più alta vicino a noi. Accadde ciò che io non avrei mai voluto accadesse. Midia venne afferrata e portata via. Il cuore mi si fermò e le mie sorelle smisero improvvisamente di urlare e gemere. Rimanemmo dritte, fossilizzate, osservando ciò che accadeva. Midia veniva posta sopra questo oggetto lungo e largo, attaccata a due estremità di esso, poi tirata. A tutte noi venne il voltastomaco, girammo lo sguardo disgustate, sperando che quell’orribile spettacolo passasse, attendendo ognuna il proprio turno, rassegnate. Morire. Morire così? Senza sapere nulla di ciò che ci circondava? Senza spiegazioni? Tutto ciò mi sembrava assurdo. Prima Midia, poi Laura, Regina, Solita, Silvia ed infine me, Miriam. Quando due piccole estremità del gigante mi afferrarono, io non feci nulla, chiusi gli occhi e mi misi in attesa della fine. Non sentii più nulla. Improvvisamente, tutto cambiò. Aprii gli occhi e notai che, alla mia destra, erano poste in ordine crescente le mie sorelle, vive e terrorizzate. Furono attimi confusi, ero talmente impaurita che ricordo a malapena gli attimi che seguirono. È… tutto così sfocato, eppure così chiaro nella mia mente.
 
 
 
Io e le mie sorelle stavamo chiacchierando allegramente riguardo il lavoro che il nostro padrone ci faceva svolgere. Chiamavamo “Padrone” il gigante che ci ha liberate, che ci ha portate alla vita, che ci ha fatte nascere e ci ha messe nelle condizioni di vivere. Il lavoro in questione era quello di danzare.
La danza.
Evidentemente eravamo fatte tutte per la danza, sapevamo danzare così bene e così diversamente! Ognuna di noi aveva ventiquattro modi diversi di danzare, e questi ventiquattro modi di danzare potevano essere combinati tra loro in infinite e mirabolanti combinazioni! Mi sembrava incredibile, assurdo! E mi piaceva da morire. L’atto della danza era per noi la ragione della vita stessa, lo capimmo solo dopo del tempo che fummo liberate. Qual era la cosa bella del danzare? Non era una cosa sola, erano molteplici. Le estremità del padrone ci accarezzavamo con dolcezza, in diversi modi, in diversi punti, ci sentivamo amate, coccolate e la danza ci inebriava. Sentivamo calore, gioia, eccitazione e crescevano sempre di più ogni volta! Ondeggiavamo l’una con l’altra, all’unisono o in tempi diversi. Sorridevamo, ci guardavamo, eravamo felici. L’amore ci abbracciò. Io stessa mi sentivo… amata. Ero la più piccola, la più acuta, la mia voce era la più docile, ma il mio padrone mi amava molto più delle altre. Io ero speciale, me lo faceva capire sempre, toccandomi in modo speciale. Ogni giorno io e le mie sorelle stavamo assieme, sorridenti, felici, realizzate, come se fossimo state sempre in queste meravigliose condizioni. Il nostro padrone ci trattava benissimo, ogni volta che ci faceva danzare, lo faceva meglio ed era sempre delicato.  Lo amavo, lo amavo con tutto il mio cuore.  La sua voce, la sua voce mi riempiva il cuore e ogni volta che danzavo, mentre udivo i suoni che uscivano dalla sua… bocca… morivo e rinascevo. Chiudevo gli occhi e lasciavo che il piacere mi attraversasse, sempre di più, sempre di più, sempre di più! Ed ogni volta era come la prima volta. Lo amavo, lo amavo con tutto il mio cuore. Ma non danzavamo sempre nello stesso luogo. Spesso il nostro padrone organizzava dei saggi di danza, dove altre ballerine ed altri padroni mettevano in scena la loro arte. Io e le mie sorelle ci sentivamo in compagnia! Altre ballerine avevano nomi diversi, cantavano in modo diverso Santo cielo, era una vita perfetta.  
 
 
 
Adesso…Perché? Perché lo stai facendo? Perché?! Io credevo che tu mi amassi, che saremmo stati insieme per l’eternità! Perché adesso ti comporti in questo modo? Solo perché siamo un poco sporche? Non posso pensarci, il mio cuore muore ogni momento che perseveri, ogni momenti che continui! Avevamo dei sogni, io e le mie sorelle. Avevamo dei sogni grandi, delle aspirazioni fantastiche! Il pubblico ci amava, acclamavano noi e solo noi! Solo noi eravamo di fare ciò di cui tu ti attribuivi il merito! Ci hai usate solo come meri strumenti! Eravamo noi a monopolizzare l’attenzione, eravamo noi dietro a tutto quanto, dietro alla preparazione, dietro alla fatica e al sudore! La nostra danza, quella era la nostra arte e ora… la stai uccidendo, ci stai uccidendo. Ecco, io sono da sola ormai, le mie sorelle non ci sono più. Ti odio, ti odio con tutto il cuore. Quell’oscurità, no, quell’oscurità no! Oh Dio no! Avevi promesso! Avevi promesso che non avremmo provato più quella paura, che non avremmo più assaporato l’amara solitudine all’abbandono! Ma ora ho il terrore, il mio corpo cede alla paura. Perché fai questo?! Non può essere per il nostro aspetto! Ci amavi da morire, ci accarezzavi, la nostra danza era la tua gioia, lo vedevamo ogni giorno! No, è inutile, ora so che non c’è speranza! Ora so che non vedrò mai più la luce! Ti odio, ti odio con tutto il cuore!
Ero io… la tua amata.
 
 
 
E il cestino si chiuse. 
   
 
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