Benvenuto/a!
Una
piccola premessa sulla one-shot che stai
per leggere.
Questa
fanfiction si basa su fatti realmente
accaduti e descritti nella già nota fanfiction di Ranma
½ “Chiudi
gli occhi” di
Doctor Sleep (che vi invito a leggere, se non l’avete ancora
fatto) e si
colloca al capitolo 20 come “What if”.
Vi
avverto che senza aver letto “Chiudi gli
occhi” la lettura potrebbe risultare difficoltosa.
È dunque una spin-off basata
sull’originale sopracitata.
Un
sentito ringraziamento va a Kuno84, il mio
saggio beta-reader, il quale non ringrazierò mai abbastanza
per i consigli e la
pazienza durante la fase di revisione della storia. Ma ora basta con i
preamboli! Vi saluto, augurandovi buona lettura. Ps: in fondo troverete
la
nota.
Arrivederci,
Laila.
Questioni
stomachevoli da risolvere, Saotome?
C'erano
stati attimi di silenzio, quasi di pace, dopo la sconcertante
rivelazione
dell'essere sfigurato che si era presentato col nome di Janjak.
Happosai aveva
l'aria di chi finalmente aveva ricordato elementi essenziali del
proprio
vissuto, ma la mente di Ranma era ancora occupata dai gatti.
I
Kami*
soli sapevano come aveva fatto ad ignorarli poco prima, inoltrandosi
nel
mucchio delle bestiole che soffiavano e miagolavano come divertite.
Aveva
fallito già una volta: avrebbe dovuto liberare suo padre
dalla sua ‘non vita’!
Tagliandogli
la testa.
Aggiunse sadicamente la voce, ricordandogli così anche il
perché
non lo avesse fatto subito.
Comodo
dimenticarsi di quello che non si vuole fare, o allontanarlo, vero
Saotome? Continuò
il
suo ironico alter ego. Eppure certe volte è
inevitabile...
Ranma
non
era riuscito a proteggerlo. La sua mente, negli ultimi minuti, era
stata
occupata dai pensieri più disparati. Tutti quei morti, che
l’infezione
dilagante rendeva zombie nel giro di qualche ora, erano stati suoi
vicini,
conoscenti... e alcuni, come suo padre, molto di più.
Per
la
maggior parte persone semplici, che non avevano mai combattuto in vita
loro e
che ora, guidate dal burattinaio mascherato, avevano attaccato la casa
di
Akane.
Decine
di
loro li aveva trucidati a colpi di falcetto, ma non aveva tempo per
seppellirli, non c’era nemmeno il tempo per provare
pietà. Tuttavia un senso di
disgusto s’impadroniva di lui ogniqualvolta esitava a colpire.
Poi
la
tregua.
L’arrivo
dei simpatici micetti capeggiati da Shampoo-gatta
lo aveva sollevato da
quella pena come per magia, dando riposo ai suoi pensieri impazziti.
Altro
che
magia e magia. Ti sei distratto, futuro astro delle arti marziali
Saotome! Lo
sbeffeggiò la voce, che non voleva proprio più
abbandonare la sua testa.
Taci!
Digrignò
i
denti, come ad enfatizzare il suo ordine. Sapeva solo una cosa per
certo: non
era esaurito tanto nel fisico quanto emotivamente. Questa storia doveva
finire
in fretta, perché a questo genere di battaglie non era
abituato. Nessuno di loro
lo era.
E
il
vecchiaccio l'avrebbe pagata. Cercò suo padre con lo sguardo
e stentò a
riconoscerlo.
Aveva
gli
occhi storti e assenti, la testa gli pendeva tutta da un lato e la
spalla era
scavata
e
imbrattata di sangue raffermo…
Sentiva
lo
stomaco bruciare, mentre spostò lo sguardo sul vecchio
Happosai.
Quello
stava parlando all'indirizzo di Janjak e lui, come suo solito, non
aveva
afferrato. La voce nella sua testa scoppiò a ridere. Doveva
ritrovare la
concentrazione.
“Ovvio.
Ma
mi sembrava evidente che la nostra posizione è
già abbastanza compromessa ai
tuoi occhi. Quindi perché non togliersi qualche
soddisfazione?”.
Le
labbra
del sacerdote vudù si atteggiarono ad un ghigno, poco prima
di replicare:
“Colgo nella tua voce una pericolosa predisposizione a
giocare con il fuoco.
Devi averne viste parecchie in questi ultimi cento e rotti
anni”.
“Diciamo
che ho avuto una o due avventure", rispose Happosai. "Quel che mi
premeva chiederti, prima della fine delle amenità,
è: perché coinvolgere anche
loro? È con me che ce l’hai, sono io quello che ti
ha sfigurato”.
“La
domanda
è fallace. Quella corretta non è
«perché?», bensì
«perché no?»”.
Cosa
aveva
detto? Non credeva alle sue orecchie.
Bastardo
infame! Ti faccio a pezzi!
Ranma
non
aveva mai conosciuto tanta perfidia in vita sua. Quello stregone non
aveva
niente di umano, anzi disprezzava con tutto se stesso i suoi simili.
“Allora,
se
sono finiti i convenevoli ti lascio l’onore di eliminare
definitivamente il tuo
allievo”, terminò infatti
indicando
il proprio genitore.
Il
vecchio
annui.
Ranma
fu
scosso
da un brivido freddo mentre osservava Happosai creare un fascio di
energia con
gli indici uniti per poi lasciarlo andare in direzione di suo padre e
fargli
esplodere le cervella, generando un bagno di sangue che si sparse nel
raggio di
un metro e mezzo. Il bruciore di stomaco
s’intensificò di colpo.
***
Spalancò
gli occhi e aprì la bocca come a risucchiare tutta
l’aria che poteva.
Era
buio.
Era
steso a
terra.
Coperto
da
un futon... e aveva una grossa zampa pelosa piantata sul torace, che
gli
ostacolava la respirazione.
La
sollevò
rimettendola al suo posto.
Lui
russava
tranquillo.
Suo
padre russava.
Possibile
che fosse
stato
solo un brutto sogno?
Ranma
non
ricordava da quanto non facesse incubi del genere. A rifletterci su,
anche
andando a ritroso nel tempo, non ne aveva mai avuti di così
violenti. Nemmeno
quando, da piccolo, suo padre gli raccontava dell'uomo nero per
spaventarlo.
Lui non era mai stato un tipo suggestionabile, ad eccezione di quella
storia
dei gatti.
Eppure
fino
a poco prima gli era sembrato tutto così reale.
La
presenza
del panda che aveva di fianco riuscì a consolarlo, nel suo
sonno ignaro. Ne era
quasi commosso.
Si
mise a
sedere e il calore uscì dal suo corpo, lasciando penetrare
il freddo nelle
ossa. Si passò una mano sulla faccia sospirando, poi si
alzò e si diresse
deciso verso il bagno.
Sentiva
un
gran bisogno di urinare e una volta che l’ebbe soddisfatto si
trascinò di
fronte al lavandino. Il suo stomaco brontolò.
Sfregò
il
sapone tra le mani e si sciacquò il viso, cercando di
ricomporsi sotto il getto
tiepido dell’acqua, ma per tutto il tempo in cui aveva chiuso
gli occhi le
immagini degli zombie avevano ripopolato la sua mente.
Attese
una
decina di secondi, in cui le sagome sinistre finalmente scomparvero.
Quindi
si
asciugò con un grugnito e si specchiò, notando
delle borse sotto agli occhi.
Era così provato che pensava di trovarsi in uno stato
pre-influenzale, che gli
stesse venendo la febbre? Si toccò la fronte ma non gli
sembrò troppo calda.
Certo
era
che si sentiva molto lontano dall’essere in forma e il motivo
cominciava a
sospettarlo...
La
sera
prima Akane lo aveva costretto a provare la sua zuppa di miso e
poiché anche
sua madre aveva insistito che la mangiasse, Ranma aveva
ceduto.
Persino
Nodoka
sapeva
che la sua fidanzata non era in grado di cucinare piatti
elaborati partendo da ingredienti freschi e genuini, come invece
riusciva
a
fare sua sorella Kasumi.
D’altronde
gli era stato assicurato che il preparato era in scatola, al massimo il
maschiaccio poteva avere aggiunto un po’ d’acqua e
di condimento. Che male
poteva fargli?
E
invece il
risultato era stato lo stesso un miso disgustoso, con il brodo che
sapeva di
aceto. Ranma ricordava bene che ogni cucchiaiata era stata un amaro
boccone da
mandar giù. E le aveva anche sorriso
per
dissimulare il disgusto
mentre avrebbe solo voluto vomitare tutto su una pianta del soggiorno.
Ormai
da
tempo si era rassegnato ai suoi piatti, solo che il suo stomaco non era
dello
stesso parere. Aveva letto su qualche giornale che lo stomaco era come
un
secondo cervello e per esperienza Ranma si sentiva di condividere
quell’articolo.
Un’idea
si
fece largo fra i suoi perché. Uscì dal bagno e si
diresse verso la cucina.
Prima
di
arrivare a destinazione, però, vide una figura familiare
atterrare all'interno
del giardino.
Fu
ben
felice di andare incontro ad Happosai, il quale era troppo su di giri
per la
refurtiva di reggiseni e mutandine che aveva rubato chissà
dove, per vederlo
arrivare dietro di lui.
Lo
caricò
di pugni, fingendo di non sentire i suoi inutili lamenti.
"Ranma,
ma cosa?", sbottò infine il vecchio.
"Così
la smetterai una buona volta!". Batté le mani e
lasciò Happosai riverso
sul terreno, ancora stordito e dolorante.
Tornò
dentro casa.
Si
sentiva
già molto meglio, ma gli restava quella piccola
curiosità da togliersi prima di
andare a dormire.
Solo
in
quel momento vide Akane e Kasumi in fondo alla rampa delle scale.
"Ranma,
cosa sta succedendo? Abbiamo sentito rumori strani e...", si interruppe
indecisa la maggiore.
"Va
tutto bene, ho dato una piccola lezione ad Happosai. Potete tornare a
riposarvi...", scoccò un'occhiata ad Akane, "voi che ci
riuscite".
La
fronte
della fidanzata s'increspò.
"Visto
che tanto ormai sono sveglia, andrò a farmi una cioccolata",
dichiarò.
Prontamente
Kasumi mise una mano sulla spalla della sorellina.
"Ottima
idea!", asserì dapprima con voce stridula. "Volevo giusto
bere
qualcosa di caldo anch'io, lasciate che ve la prepari e aspettatemi in
soggiorno. Tu e Ranma
potreste
apparecchiare, nel frattempo".
La
ragazza
sorrise grata a Kasumi, completamente ignara delle vere motivazioni che
l’avevano spinta a rendersi volontaria.
Probabilmente
non vuole che si auto-avveleni.
Così,
mentre Akane prendeva le ciotole della colazione e sua sorella
accendeva
la valvola del gas, Ranma si accucciò sul secchio
dell'immondizia frugando al
suo interno.
Al
vederlo
Akane fu talmente sorpresa che quasi le caddero i cocci dalle mani, ma
poi con
uno scatto goffo li recuperò e li adagiò sul
ripiano del lavello.
"Che
diavolo stai facendo?". Era visibilmente allibita.
Non
le
rispose e allora lei si avvicinò piano alle sue spalle.
“Oh,
che
sbadata! Mi sono scordata di chiedere a Ranma se vuole anche lui la
cioccolata…”, s’informò la
sorella maggiore.
“Certo
che
la vuole”, parlò per lui Akane.
“Figurati se…”.
“No
grazie,
Kasumi”, la interruppe spingendo più a fondo le
mani nel cestino.
La
fidanzata rimase interdetta da quell’affermazione. O meglio,
Ranma
non
la vedeva, ma era sicuro che la sua aura si fosse fatta più
fredda.
“Il
fatto è
che vorrei solo prendere un digestivo”, spiegò
loro.
“Si
può
sapere cosa stai cercando lì dentro?”,
continuò imperterrita Akane.
Scartò
un
paio di lattine, un contenitore per uova e trovò il
pacchetto tanto agognato.
"Sì!",
esultò brandendo la scatola di miso istantaneo della sera
prima.
Akane
continuava a fargli domande nonostante lui fosse preso da quella
scatola vuota
come un bambino con un giocattolo nuovo.
Staccò
delicatamente dal cartone i resti di una buccia di banana. Quindi lesse
fra sé
e sé il contenuto.
Miso,
carote, tonno, funghi, tracce di latte, etc... data di scadenza sul
retro.
Girò
il
pacchetto e inorridì.
"Per
tutti i Kami! Quella zuppa è scaduta da almeno un anno!",
sentì la voce di
Kasumi che nel frattempo si era sporta dietro sua sorella.
"Proprio
così!", affermò alzandosi di scatto e lanciando
un'occhiata gelida ad
Akane, che per reazione aveva assunto un'espressione fintamente
innocente.
"Perché
mi guardi in questo modo? Io non lo sapevo! Ho cucinato con tutta la
cura
possibile e credevo che andasse bene!", si difese, incrociando le
braccia
al seno.
"Oh,
cielo! La cioccolata!". Kasumi corse via mentre il latte si versava
copiosamente fuori della pentola.
Vide
le
guance di Akane arrossire mentre si ostinava a fissarla.
Com’è
carina...
Scrollò
la
testa. Come poteva pensare una cosa simile dopo quello che gli aveva
fatto
passare? Quella scema non aveva avuto nemmeno la decenza di controllare
la
scadenza e lui non aveva mai dormito tanto male in vita sua!
"Ora
puoi aggiungere l'avere incubi terrificanti alla lista degli effetti
collaterali della tua cucina! Non mangerò più
qualcosa
preparato da te finché campo!", ribadì
mostrandole la lingua.
Aveva
esagerato? Sembrava delusa da lui, adesso.
"Ti
aiuto a pulire", disse infatti alla sorella, prima di raggiungerla ai
fornelli.
Ma
anche
quando fu distante Ranma non le tolse gli occhi di dosso. Vide le sue
spalle
sussultare e sospirò. Solo con Akane passava dalla ragione
al torto nel giro di
neanche un minuto.
"Stai
piangendo?".
Lei
lo
fulminò con uno sguardo. No, non stava piangendo, era
furiosa.
"Ho
sbagliato, ok? Sono terribile, lo so. Mi dispiace, però
tutti possono
sbagliare!", brontolò mentre strizzava la spugna sul lavello.
Approfittando
del silenzio che ne seguì, Kasumi
s’infilò nel discorso.
"Certo
che tutti possono sbagliare, guardate che disastro ho combinato io con
la
cioccolata! Su, su! Ci sono cose ben più gravi al mondo!" e
sorrise con
quella dolcezza che la caratterizzava.
Sua
sorella
però non riusciva proprio a sdrammatizzare. "Oh, tu sei
così brava che
potresti aprire anche un ristorante!", rispose mentre l’altra
versava per
la seconda volta del latte sopra del cacao e le sorrideva di rimando.
Sapeva
che
anche lui doveva dire qualcosa per rassicurarla.
"Sì,
beh, ho esagerato un po' prima... non volevo dire che non ti sei
impegnata a
prepararmi la cena…", la cercò con lo sguardo e
si grattò la testa in
imbarazzo.
La
fidanzata
gli allungò una tazza e lui la prese senza pensare
più a niente.
"Aiutami
ad apparecchiare, razza di bifolco".
Sentiva
ancora i palmi e le braccia appiccicose.
"Non
posso, maschiaccio. Prima devo lavarmi le mani".
“Allora
ti
aspettiamo in soggiorno”, concluse lei per entrambe.
Appoggiò
il
bicchiere nel lavello ed annuì.
Qualche
minuto dopo si ritrovarono attorno al tavolo del soggiorno.
Lui
con un
bicchiere d’acqua in una mano e una pastiglia digestiva
nell’altra e le sorelle
Tendo con la loro cioccolata fumante a testa da sorseggiare.
La
pace del
momento venne spezzata quando un imbucato si gettò tra le
braccia di Akane per
riprendere le forze.
“Akanucciaaaa!”,
si strusciò al suo petto il pervertito.
Un
attimo
dopo la faccia del molestatore piombò a terra grazie ad un
gomito di
quest’ultima sopra la sua pelata.
“Come
siete
crudeli!”, singhiozzò il maestro appena ne ebbe
facoltà. “Prima Ranma mi
colpisce alle spalle senza nessun motivo! Ora anche Akanuccia mi
picchia!
Kasumi, per fortuna che ci sei tu!”. Le prese
l’orlo della vestaglia
piangendoci sopra.
Ranma
cominciava a sentirsi un po’ in colpa per come aveva trattato
il maestro
qualche minuto prima. Ma solo un po’.
“Se
proprio
vuoi riprendere le forze, vecchio, è avanzata la cioccolata
calda”, lo invitò a
sedersi con loro.
Happosai
non se lo fece ripetere due volte, e balzò al fianco di
Akane.
A
quel
punto Kasumi si alzò in piedi per fare gli onori di casa.
“Aspetti
qui, maestro Happosai. Vado a prenderle una ciotola e torno
subito”, assicurò
con un mezzo inchino.
Un
uccellino scese dall’albero e disegnando una parabola
beccò l’acqua del loro
stagno, quindi
scrollò
le ali per poi spiccare libero il volo.
Da
dietro
le mura di casa Tendo si vedeva spuntare il sole.
***
Nota:
per Kami* si intendono le
divinità shintoiste.