Prima classificata al contest: “The story of my life - La
nostra storia” sul Forum di EFP
Nickname Forum: Esther.EFP
Nickname EFP: L u c i n d a
Sfondo triste.
Note:
Nonostante non sia la prima volta che
affronto i miei ricordi, sento di aver fatto uno sforzo in più mettendo a nudo
quelle riflessioni ancora nascoste nella confusione del passato. Sono riuscita
a imprimere nero su bianco qualcosa che in sette anni non ho mai avuto il
coraggio di ammettere: quello che cercherò di raccontare è stato uno dei
momenti che hanno cambiato il mio modo di vivere, pensare e affrontare la
realtà.
Seven years
later
Chiara,
si dice che la
vita sia fatta di momenti rivelatori: occasioni particolari in cui le nostre
emozioni diventano talmente forti da innescare una sorta di marchio nella
nostra coscienza, risvegliando in noi una consapevolezza esistenziale che prima
ignoravamo.
Ho trascorso
gli ultimi sette anni ad analizzare il mio carattere e gli avvenimenti che
hanno portato ai cambiamenti più profondi della mia personalità, ho cercato di
individuare quali meccanismi abbiano agito in me per produrre tali mutamenti e
se questi abbiano influito positivamente o meno sulla mia vita.
Folle, vero?
Eppure sono convinta che il modo migliore per conoscere noi stessi sia quello
di esaminare ogni singola sfaccettatura del nostro modo di essere, agire e
pensare; bisogna avere ben chiari i nostri pregi, i nostri difetti e il modo in
cui questi si sono accentuati nel corso della nostra vita, attribuendo il loro accrescimento
a una causa ben precisa.
Se ripenso alla
me stessa di sette anni fa rivedo raramente la persona che sono ora. Sette anni
fa, se vuoi saperlo, ero nettamente migliore di adesso: ero più piccola, forse,
più ingenua, inconsapevole, istintiva e avventata. Vivere era molto più
semplice: non c’era l’insicurezza, non c’era la paura, la timidezza e la
diffidenza che è subentrata con lo scorrere inesorabile del tempo e degli eventi.
Sai perché ti chiamo in causa.
Sai che è stato per te che ho cominciato a
cambiare.
Sei stata tu ad
aprirmi gli occhi, sette anni fa, sei stata tu a trascinarmi fuori dal mio universo
fantastico e a mostrarmi quanto la realtà, invece, fosse più triste e crudele.
Il mio modo di vedere il mondo ha subito un brusco arresto per poi ripartire con
delle impostazioni diverse, più caute e consapevoli, più aperte a cogliere la
profondità e la sensibilità di tutto quello che mi circondava, intenzionate a
farmi godere la bellezza di ogni momento che avrei trascorso in questa vita.
A volte mi
chiedo come sarei diventata se non ti avessi mai conosciuta, se sarei arrivata
a questo punto percorrendo strade diverse o sarei rimasta la stessa ragazza
sognatrice che ero allora. Ti sembrerà strano ma, nonostante i lati negativi
del mio carattere, sono affezionata indistintamente a tutti ricordi che mi
hanno formata.
Per quanto tu
rifletta il mio periodo più tragico tra i banchi di scuola non vorrei mai
cambiare il fatto di averti incontrata e di averti avuta vicina, anche se per
poco.
È grazie a te che sono cresciuta.
I primi giorni
dopo quella notizia mi trascinavo in classe senza alcuna motivazione.
L’atmosfera era pesante e silenziosa, la voglia di parlare molto poca e
l’attenzione ridotta allo strenuo. Avevo gli occhi stanchi, il cuore a pezzi e
le occhiaie mi solcavano il viso per le notti insonni trascorse in compagnia di
pensieri e domande a cui non avrei mai trovato risposta.
‘Perché?’, continuavo a rimuginare, mentre osservavo il
tuo posto vuoto proprio di fronte al mio. La tua assenza mi distruggeva e la
morsa che avevo nel petto stringeva come mai aveva fatto in tutta la mia vita.
‘Perché?’,
domandavo a una divinità sconosciuta, mentre le dediche e i fiori appoggiati
sul tuo banco mi palesavano la dura realtà a cui ancora stentavo a credere.
Venerdì 24
aprile 2009. Per molti un giorno qualsiasi, per me il consumarsi di ogni
spensieratezza e serenità.
Eravamo nervosi
quella mattina, lo ricordo ancora, c’era una verifica di filosofia alla terza
ora e nessuno di noi era preparato a dovere, la severità della professoressa e
le sue ristrette votazioni, poi, non aiutavano di certo a mantenere la calma.
Quando quel giorno non hai varcato la soglia in molti hanno pensato che avessi
preferito non tentare la sorte e saltare quel fastidioso compito in classe, me
compresa; ero quasi invidiosa della tua scelta, avrei tanto voluto rimandare
anche io le mie responsabilità a quando sarei finalmente stata più pronta,
invece ero lì, a subire passivamente lo scorrere degli eventi.
Il mio vicino di
banco, al contrario, era ottimista: nonostante fosse impreparato come me per
quella verifica aveva una passione talmente profonda per la filosofia che lo induceva
a credere che sarebbe andata bene, poi il professore di italiano lo aveva
interrogato e il suo ottimismo era stato risucchiato di colpo dalla tracotanza
della sfortuna.
La giornata era
cominciata come tutte le altre: interrogazioni, verifiche e tanta ansia.
Nessuno di noi poteva prevedere quella notizia.
Ci sono momenti
che rimangono scolpiti nella memoria esattamente come l’incisione di un’opera
d’arte nel suo blocco di marmo: eterna, immutabile, pervasa dalla fatica, dal
dolore e dal pathos di un sensibile scultore. La memoria associa ai momenti le
emozioni, ed è grazie alle emozioni che ci sovvengono i ricordi. Più le
emozioni ci travolgono, più i ricordi sono vividi, per questo le reminiscenze
più forti sono quelle legate ad avvenimenti precisi, il più delle volte
dolorosi.
Il professore
di italiano era stato improvvisamente chiamato fuori da un bidello
interrompendo così le interrogazioni, aveva poi fatto ritorno nel caos generale
in cui tutti cercavamo di suggerire il più possibile ai nostri sfortunati
compagni alla cattedra, la sua espressione era sconvolta e la sua voce quasi
tremava.
“Direi che
possiamo sospendere”, aveva cominciato, dirigendosi verso il tuo banco,
passandosi più volte una mano sul viso e tenendo con l’altra dei fiori arancioni.
“E’ morta stanotte la vostra compagna, Chiara”.
Credo di non
riuscire a descrivere a parole quello che successe dopo quelle frasi concise
quanto spietate. È stato tutto troppo veloce e troppo diretto per poter
realizzare subito la gravità della notizia, era come se il mio cuore si fosse
improvvisamente fermato, cercando di metabolizzare che cosa,
esattamente, significasse tutto questo. Un attimo prima ero preoccupata per la
verifica di filosofia, ero impegnata a ripassare e a crucciarmi per la paura di
prendere un brutto voto, un attimo dopo, invece, mi sono dovuta scontrare con
una realtà che aveva letteralmente frantumato ogni sicurezza e caposaldo della
mia esistenza. Mai come in quel momento mi è stato chiaro come tutte le angosce
che riempivano i miei pensieri non fossero altro che futili inquietudini,
insignificanti di fronte a quello che avevo appena appreso. Una vita senza di
te? Non la credevo possibile. Il mio cuore ingenuo aveva aperto le porte alla
paura.
Sono rimasta
immobile a fissare il vuoto mentre attorno a me i miei compagni gemevano nello
strazio generale.
La parola morte
aveva cominciato a rimbombare nella mia testa, a echeggiare in ogni angolo del
corpo portando con sé dei brividi talmente freddi da paralizzare ogni fibra
muscolare e ogni goccia di vita. La gola era in fiamme, lo stomaco in
subbuglio, chiuso in una morsa talmente insopportabile da non riuscire a
respirare. Avrei voluto urlare, mi sarei voluta alzare dalla sedia e avrei
voluto rivolgere al cielo quell’unica domanda che mi stava distruggendo
l’anima, la domanda che non avrebbe trovato risposta in quel momento come negli
anni successivi.
Perché?
Già, Chiara, spiegamelo tu il perché.
Mi sono sentita
smarrita e svuotata di ogni pensiero positivo, nel mio cuore in apparenza
sicuro e coraggioso si era aperta una crepa profonda che ancora oggi permane,
la crepa della consapevolezza che niente poteva essere eterno, che ogni secondo
che avrei trascorso nella mia vita sarebbe stato unico e irripetibile, che ogni
istante sarebbe potuto essere l’ultimo.
Quando il
professore ha poggiato i fiori sul banco gli occhi hanno cominciato a bruciare
e il petto a diventare troppo doloroso per trattenere il tormento che avevo
accumulato. L’arancione di quei fiori era il colore della quotidianità
spensierata che avevamo condiviso in quegli anni di scuola, era il colore del
tuo sorriso e della tua vitalità, era la tua essenza, il tuo carattere, i tuoi
pregi e la tua allegria.
Eri lì. Credo
di averti vista ancora con noi mentre le lacrime offuscavano la realtà attorno
a me. Ridevi come al solito, ti impegnavi nello studio, ti esaltavi alle
lezioni che più ti appassionavano, mi confortavi quando qualcosa non andava e
cercavi negli altri il sostegno per affrontare le fatiche di quell’ardua vita scolastica.
Il nero, poi, ha cancellato ogni cosa.
Le lacrime mi
abbandonavano copiose, gli occhi cercavano sostegno in quelli dei miei compagni
ma nessuno sguardo è stato capace di darmi il conforto che cercavo, eravamo
insieme eppure eravamo da soli con il nostro dolore, con le nostre domande e le
nostre riflessioni. Anche io, in fondo, mi sono sentita abbandonata tra le improvvise angosce e le inaspettate
paure che mi stavano sconvolgendo, incapace di cercare negli altri la forza di
sostenere quel dolore.
Lentamente, mi
sono sentita affondare.
Ho poggiato la
fronte sull’estremità del banco, fissando le lacrime macchiare il pavimento. Ho
pensato a te, a noi, a quello che avevamo condiviso, ai nostri interessi in
comune e le nostre passioni, per un lungo attimo credo di essermi rifiutata di
averti persa, credo di essermi convinta di trovarmi in un incubo, uno di quelli
talmente veri da coinvolgere le mie più intime emozioni.
La realtà è
stata crudele, sentivo il cuore voler scoppiare.
‘Non tu’,
pensavo. ’Non tu che avevi un sacco di sogni nel cassetto, non tu che dovevi
andare in America, non tu che sei sempre stata gentile, onesta e sincera’.
Mi sono sentita
in colpa per essere ancora viva e spaventata dall’enorme responsabilità che mi
avevi lasciato: vivere al meglio una vita in cui tu non ci saresti stata,
vivere al posto tuo, dando un senso a ogni singolo istante della mia esistenza,
nonostante la paura e le incertezze che l’avevano invasa.
Il petto non
faceva che appesantirsi sempre di più, attirandomi verso il pavimento.
Non volevo un
tale fardello sulle spalle, era troppo per me, era troppo quello che stavo
cercando di sopportare in quei tristi minuti. Avrei tanto voluto essere al
posto tuo, avrei voluto scomparire per sempre da una realtà che non lasciava
vie di scampo, era meglio se fossi stata tu a vivere per me, tu che, ne sono
certa, avresti avuto la forza sufficiente per farlo.
Ho alzato lo
sguardo cogliendo la disperazione negli occhi degli altri, le lacrime ci
rigavano i volti e i singhiozzi squarciavano il silenzio di quella serena mattina
di aprile. Le mie orecchie fischiavano, percepivano il grido della mia anima
fondersi con la medesima costernazione altrui, come un vortice taciturno
condiviso dagli sguardi e dallo strazio dei nostri pianti.
Ho pregato per
qualche istante anche se a Dio non credevo, ti cercavo disperatamente e speravo
mi potessi sentire ovunque fossi, volevo che sapessi quanto ti volevo bene e
quanto fossi entusiasta della nostra amicizia, volevo ti ricordassi di me
qualunque cosa ti sarebbe successa da lì in avanti, e dei momenti felici
trascorsi insieme.
Ho sempre
sperato che non smettessi mai di rimanermi accanto perché avevo un disperato
bisogno di quella forza d’animo che mi avevi sempre dimostrato. Sentivo la tua
mancanza come una voragine nel petto e quasi stentavo a trattenere la collera
che cercava di sprigionarsi dal mio cuore sconvolto. Credo di aver riversato rabbia e frustrazione al cospetto
di una divinità silenziosa che non aveva saputo applicare a dovere il senso di
giustizia, un’entità cieca, maldestra e ingiusta a cui attribuivo la colpa di
quanto accaduto. Non potevo credere che nessuno, là in alto, avesse mosso un
dito per impedire che tu ci lasciassi, non riuscivo a pensare ad altro se non a
quanto avessi rinunciato abbandonando così presto la vita, di come non avessi
ancora conosciuto l’amore e le mille sfaccettature ad esso legate. Tutto questo
mi corrodeva, mi dilaniava e mi riempiva di un rimorso impossibile da
alleviare.
Tu non c’eri
più, e io non avrei potuto cambiare in nessun modo la sentenza della tua morte.
Mi sentivo
afflitta, impotente e inerme, credevo di non riuscire a continuare. Il tempo
invece è passato inesorabile, costringendomi a concentrarmi sulle futili
incombenze della vita, costringendomi a lasciare da parte i pensieri
disfattisti che mi avevano cullato nei giorni in seguito a quella notizia,
riducendo il tempo che dedicavo a pensare ai momenti trascorsi insieme.
Non nego di
aver cercato di dimenticare quel giorno, ma difficilmente si dimenticano le
occasioni dolorose. Le emozioni rimandano ai ricordi, e quei ricordi per me
saranno incancellabili. Ogni pensiero, ogni sensazione, ogni singolo volto
distrutto che ho visto quella mattina rimarrà scolpito per sempre nella mia
memoria, così come lo sarà la tua stanza, la tua mamma, le foto che avevi
appeso sull’armadio e i libri di filosofia lasciati in disordine sulla tua
scrivania insieme alle matite colorate.
Quel giorno per me rimarrà indelebile, marchiato
a fuoco nella mia anima, così come lo sarà il tuo ricordo.
Adesso sono
passati sette anni e non sento di aver vissuto come avresti voluto. Ho lasciato
che il tempo mi scivolasse dalle mani come un drappo della seta più pura, senza
riuscire a dargli il senso che avevo sperato, senza assaporare a fondo ogni
goccia di vita.
Sento quasi di
aver fallito la silente missione che mi avevi affidato, come se ti avessi
tradita, in qualche modo, per non aver prestato fede alla promessa che avevo
tacitamente fatto quel giorno. Ho sempre saputo di non essere forte abbastanza.
Se la vita è un
continuo crescere di consapevolezze e responsabilità sappi che non hai mai
smesso di farmi rialzare ogni volta che qualcosa andava storto, non hai mai
smesso di sussurrarmi quanto fossero preziose le mie seconde occasioni.
Se sono
arrivata a questo punto, se mi sono fatta forza nelle difficoltà, se ho reagito
ai brutti momenti e se tutt’ora combatto per stare bene con me stessa devo solo
esserti grata per la lezione che mi hai insegnato sacrificando il tuo futuro.
Questo è un debito che mi porterò per sempre nel cuore e che, giuro, proverò in
tutti i modi a riscattare facendoti vivere attraverso i miei occhi e le mie
emozioni.
Grazie per
essermi sempre rimasta accanto.
Grazie per
indurmi a provare, ogni giorno, ad essere migliore.
Tu mi aiuti a crescere.
L u c i n d a