Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: dimest    15/02/2016    0 recensioni
Viviamo in un’era in cui non esistono mostri, dove la democrazia e la Repubblica sono state spazzate via da un’economia liberista e la nostra quotidianità è stata posseduta dall’etica del lavoro: se non lavori, non puoi considerarti parte di questa società.
Per chi vive in questo Paese, non c’è via di fuga. Non c’è libertà di parola, non c’è libertà di stampa; ogni informazione è boicottata da questi Titani dello Stato e la gente ne ha paura. Una fottuta paura.
La libertà che crediamo di possedere è solo un'illusione; viviamo nella mera convinzione che le nostre decisioni possano influenzare il nostro futuro.
Da qualche tempo però la speranza si sta ridestando in tutti noi. Questo è possibile solo grazie a chi non si è piegato di fronte alla terribile realtà di cui siamo vittime, loro che combattono contro questi Titani dell’economia; loro che si fanno chiamare “jiyu no tsubasa”, le “ali della libertà”.
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Pov Eren. Coppia: LevixEren
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 04


Sono seduto su uno dei pochi letti presenti nella stanza d’infermeria della Ribellione. Al mio fianco Mikasa non fa che guardarmi con preoccupazione, sicuramente perché, da quando mi sono svegliato, non faccio che accusare un gran mal di testa: tutto merito del bernoccolo sulla nuca e della fasciatura stretta che lo ricopre.
Almeno le tende tirate mi hanno evitato un brusco risveglio stamani, anche se, la quasi assenza di luce sembra far apparire la stanza più angusta di quanto in realtà non sia. Sulle pareti si può notare qualche segno di scrostamento e le travi di legno del soffitto sembrano ricoperte da enormi ragnatele scure, ma questo è solo un effetto ottico causato dalla poca luce.
Armin, seduto al fianco di Mikasa, mi spiega (in pochi minuti) cos’è accaduto in queste ultime ore: non si prolunga in futili dettagli, ciò che dice è sufficiente da darmi un chiaro quadro generale ed abbastanza diretto da farmi sprofondare nell’imbarazzo. Non posso credere che l’uomo appoggiato sullo stipite della porta sia uno dei capi degli Jiyu no Tsubasa e, soprattutto, non posso credere di aver condotto i miei più cari amici ad un incontro ravvicinato con la morte. Mi sorprende che Armin sia qui ora a parlarmi della vicenda senza starsene a fissare il vuoto. Da piccolo era sempre attorniato dai bulli e per questo se ne stava rintanato in un angolino, tanto che poi era difficile convincerlo ad uscire da casa per qualche pomeriggio. Crescendo ha sviluppato un’arguzia tale da riuscire ad evitare spiacevoli episodi, ma questo... questo inconveniente lui non poteva aggirarlo o superarlo in alcun modo; l’ho costretto a sbatterci il viso contro senza dargli la possibilità di fare o pensare ad alcunché.
So bene cosa comporterà la loro scelta di non abbandonarmi e non so se sentirmi felice per avere amici così fedeli o in colpa per averli condannati ad una vita di reclusione: che sia in prigione oppure in un qualche squallido buco al di fuori della società ha poca importanza.
D’altro canto io ho avuto tutta una vita per prendere atto delle conseguenze sulla mia decisione di ribellarmi al sistema, loro invece hanno solo agito d’impulso... e solo a causa mia.
Il senso di colpa e la rabbia verso me stesso prevale sul senso di apatia, a stento freno l’impulso di sbattere la testa contro il muro alle mie spalle, ma non posso impedire alle mani di chiudersi in una morsa ferrea sulle lenzuola di cotone bianco.
L’unica nota positiva in tutto ciò è di aver potuto incontrare la Ribellione; una piccola gioia, una nota quasi dolce che stona brutalmente con l’acidità di sentimenti contrastanti.
< Eren? > mi richiama Mikasa stringendomi una mano. Ha i palmi freddi e, solo ora che la guardo attentamente, mi accorgo dei piccoli cerchi scuri sotto gli occhi; non deve aver dormito molto, sicuramente sarà rimasta in pensiero fino al mio risveglio.
Dovrei mostrarmi comprensivo, rassicurarla sul mio stato, ma la sua preoccupazione non fa che alimentare la rabbia sorda che mi ribolle dentro e, quando alzo lo sguardo, l’indirizzo tutta verso Levi.
Un uomo del quale mi fidavo.
Lui che mi ha allenato tacendomi la sua reale identità.
Lui che mi ha salvato quando poteva evitare questi deprimenti risultati.
Lui… che ora regge perfettamente il mio sguardo senza batter ciglio.
< Devo parlare con lui. > sentenzio con tono serio continuando a fissare la sua figura composta. < Da solo. > ribatto, tacendo eventuali proteste.
Dopo qualche attimo sento Armin sospirare, probabilmente intuendo (in parte) la situazione; posa una mano sulla spalla di Mikasa e la convince a lasciarci soli.
Non vorrei essere così meschino con loro, però ora ho bisogno di sfogare questa rabbia, di capire qualcosa che solo Levi è in grado di dirmi. Più tardi li ringrazierò.
La porta si richiude e un silenzio greve cade nella stanza.
Ci studiamo l’un l’altro ed il tempo pare dilatarsi (storcersi quasi) mentre aspettiamo che qualcuno di noi parli. Il ticchettare dell’orologio mi esaspera, i secondi che passano sembrano appesantirmi le spalle ed il corpo, in un certo mondo perfino la mente pare diventata pesante.
< Perché? > gli domando incattivito.
È una piccola domanda in confronto alla moltitudine di risposte che voglio sentirmi dire.
Levi prende un respiro, chiudendo per un attimo gli occhi; non si decide a cambiare posizione né sguardo quando riporta l’attenzione su di me. < Sii più preciso, moccioso. >
Stringo i denti ed i pugni, combattendo contro l’istinto animale di saltare giù dal letto e prenderlo a pugni ed urlargli in faccia, ma non ne ricaverei nulla in una situazione simile; in aggiunta in una situazione simile gli basterebbe ben poco per atterrarmi, semplicemente rivoltandomi contro la mia stessa rabbia.
< Perché non mi hai detto nulla? Perché… Perché passare i pomeriggi ad allenarmi tacendomi una cosa simile? >
< Perché, invece, avrei dovuto informarti? >
< Sapevi benissimo quali erano i miei obiettivi, bastardo. > gli ringhio contro.
Lo sguardo di lui si fa tagliente, buio, prima di espirare con tono glaciale: < Non mancare di rispetto agli adulti, piccolo demente. >
Posso avvertire quanto anche lui si stia trattenendo dal prendermi a pugni, e credo lo faccia solo a causa delle mie condizioni.
< E tu rispondi alle mie domande. > gli urlo di rimando, stanco di quest’inutile conversazione.
Levi tace, fissandomi irritato. Sento brividi in tutto il corpo come i suoi occhi ripercorrono con lentezza il mio viso. La temperatura sembra abbassarsi nella stanza secondo dopo secondo. (Che sia intimorita anche lei?)
Solo ora percepisco il pericolo: se vado oltre questa volta Levi non si fermerà dal prendermi a pugni.
Tento di buttar giù il fiotto d’ansia rimasto fermo in gola, non voglio darmi per vinto, ma non voglio nemmeno morire in modo atroce.
Sto per aprire nuovamente bocca, quando, con una semplice occhiata, riesce a mettere un freno alle mie proteste.
< Questo mondo non è il tuo piccolo parco giochi, Eren. Qui noi rischiamo la vita per proteggere un ideale, non per compiere atti vandalici o azioni terroristiche - mettila come vuoi - nei confronti di un sistema che non ti va a genio. >
Lo so. Lo so bene, diamine.
Da quando sono nato, la gente non fa che ripetermelo e mi è stato ancor più chiaro quando è morta mia madre. Ho dovuto imparare a cavarmela da solo, a non pestare troppo i piedi, a non protestare di fronte alla vile realtà. Non ho mai sopportato quando gli adulti mi guardavano con sufficienza dicendo che ero solo un bambino, che non puoi capire, figuriamoci se riesco a sopportarlo ora.
Il suo rimprovero mi ferisce perché speravo avesse capito che, nonostante le mie azioni avventate, non sono uno stupido. Gli lancio uno sguardo offeso.
Sto per ribattere alle sue affermazioni quando riprende: < Malgrado ciò non siamo nemmeno i santi dipinti dalla gente. Siamo assassini a cui piace combattere per una giusta causa. >
I suoi occhi vagano un attimo sulla stanza, soffermandosi un poco sulla finestra.
< Ho visto come combatti: hai del potenziale… > a quelle parole il mio cuore perde un battito; è il primo complimento che mi fa dopo settimane di allenamento (e di insulti). <… tuttavia non è abbastanza. Puoi combattere, te lo concedo, ma non sei in grado di uccidere. Ti manca l’intenzione. >
Non è vero. Ho già ucciso in passato: era un pedofilo che aveva aggredito Mikasa, mi ero avventato su di lui trafiggendolo con il coltello che portava alla cinta; all’epoca avevo otto anni.
Il suo sguardo torna su di me: è severo e pungente. Che abbia intuito i miei pensieri? < Ho visto quando hai sferrato il calcio a quella guardia ed il modo in cui ti sei pisciato addosso nel dubbio di averla uccisa o meno. Qui non sono i Titani in prima persona a rimetterci la vita: è la gente comune che vive di ordini impartiti. >
Si concede una pausa ed io (ora) non riesco a trovare nulla su cui ribattere.
Non ho mai pensato ai soldati al servizio dei Titani come persone imprigionate nel proprio ruolo. In strada, quando le vedi passare, si atteggiano a grandi uomini, esibendo le loro armi scintillanti per ottenere ciò che vogliono.
Eppure non siamo nemmeno tutti uguali a questo mondo. La nostra malata società non è “lo strappo alla regola”… È difficile ricordarselo dopo la moltitudine di angherie a cui siamo costretti a subire.
Come ho potuto dimenticarmene? Io che ho come ideale la libertà d’espressione e la giustizia… come ho potuto?
Levi si avvicina lentamente alla porta mentre prendo coscienza di cosa vuol realmente dire combattere negli Jiyu no Tsubasa.
< Non tutti i sogni portano ad un futuro glorioso, Eren, alcuni sono pieni di dolore ed odio. Sei pronto a farti carico di un tale fardello? > mi domanda stancamente, dopodiché esce, lasciandomi solo con i miei pensieri.

Mikasa ed Armin rientrano quasi subito nella stanza, mi chiedono se sto bene e mi guardano apprensivi. Li ascolto a malapena; la mia mente è intrappolata lì, nell’attimo in cui Levi rende ogni mio obiettivo un ammasso di progetti idilliaci. Non c’è gloria per i cattivi, dovrei saperlo bene.
In ogni favola i cattivi muoiono tragicamente, e anche se questa è la realtà, la fine è la stessa: i malvagi vengono idolatrati per pochi anni prima di venire sommersi dalla furia repressa della folla.
La notte non riesco a prender sonno, i dubbi continuano a tormentarmi.

< Bene sei guarito. > esordisce Hanji sfoggiando un largo sorriso.
È la ricercatrice della Ribellione ed è stata lei a curarmi in questi pochi giorni di convalescenza. Nonostante il suo aspetto esuberante, possiede un fine intelletto sviluppato soprattutto in campo informatico e scientifico. Si perde in inutili discorsi e si fa prendere dall’entusiasmo, però è una brava persona, simpatica direi, quando non inizia a blaterare.
< Solo due giorni di ricovero e tutti i tuoi graffi… puf! Come se non ci fossero mai stati. Hai un’ottima capacità di guarigione – considerando anche il fatto che sei svenuto e hai sbattuto la testa – e una pelle davvero dura. Senti posso- >
< Hanji, basta così. Potrai interrogare Eren dopo, ora ho bisogno di parlare con lui e con i suoi amici. > la ferma Erwin appena mette piede nella stanza. Levi lo segue quasi subito. Mi fissa, mentre io non ci riesco: le sue parole ancora tormentano i miei pensieri.
Erwin è il capo degli Jiyu no Tsubasa. È un uomo alto e composto, con lo sguardo costantemente fisso su un obiettivo che non ci è dato conoscere. La prima volta che l’ho incontrato è stato al mio risveglio: voleva accertarsi delle mie condizioni, sia fisiche che mentali credo. Ha scambiato qualche parola con Hanji prima di andarsene.
Quella volta era in piedi, appoggiato contro il muro dell’infermeria, gli occhi azzurri rivolti verso la finestra alla sua sinistra. Ricordo che in quel momento mi era parso un uomo afflitto dal peso della vita, eppure, quando aveva posto l’attenzione su di me, di quell’immagine non rimaneva che un futile pensiero.
Mi sistemo meglio sulla brandina, le orecchie ben tese a carpire ogni suo movimento, ogni sua frase enunciata con serietà, la stessa che pare trasparire dalla sua figura.
I miei amici, rimasti sempre al mio fianco, si fanno rigidi sulle sedie.
< Come credo possiate ben immaginare, questo colloquio parlerà di cosa è successo quattro giorni fa, alla medesima ora, alla Wall Rose Co. >
Annuiamo in silenzio, un tacito consenso a proseguire.
< Eren, ti ringrazio per la fiducia accordataci, specialmente per l’impegno che hai messo nella nostra missione. Senza di te temo avremmo subito qualche perdita in più. >
Il mio cuore sobbalza nel sentire quelle parole. In vita mia mai un professore o conoscente adulto mi ha fatto un solo complimento; riceverlo dal capo della Ribellione è un’emozione unica.
< Armin, Mikasa… decidendo di seguire il vostro amico avete preso una decisione molto coraggiosa che ora io vi chiedo di esprimere verbalmente; Eren, lo stesso vale per te. Abbiamo bisogno di sapere quali sono i vostri obiettivi, quanto siete disposti a mettervi in gioco e quanto siete disposti a sacrificare. > ci lascia soppesare le sue il reale valore delle sue parole; hanno un significato importante cui comporteranno un’ondata di drastico cambiamento. < Non è una richiesta semplice la mia, ne sono consapevole. Sono sicuro che in cuor vostro capirete cosa ora vi sto chiedendo di fare. Non abbiate timore, nel caso decidiate di rifiutare, ci assumeremo la totale responsabilità dell’accaduto. Avrete qualche problema con la sicurezza per alcuni mesi, ma ci impegneremo affinché si risolva al più presto. >
< Io ci sto. > dico prontamente, trattenendo un guizzo d’isteria. < Non chiedo di meglio che annientare ogni singolo Titano esistente. >
Tento di mantenere la calma, una postura ridicolmente rigida nonostante il lieve tremore dovuto alla troppa agitazione in corpo; in fondo aspetto questo momento da tutta la vita.
< Oh, non male. > commenta Levi a bassa voce mentre una strana luce pervade i suoi occhi. Che sia orgoglioso della mia risposta?
< Eren. > esordisce subito Mikasa saltando dalla sedia, sovrastando il commento dell’uomo alle sue spalle.
Non è contenta della mia scelta. Mi ha sempre rimproverato questa ossessione verso la Ribellione, fin dalla tenera età, ciò nonostante ho avuto tutta una notte per riflettere sui pro ed i contro di questa mia decisione e, se non ho retroceduto dopo le parole di Levi, non credo me ne pentirò in futuro.
Guardo lei, poi gli occhioni azzurri di Armin ed infine ancora Erwin e Levi. Ora non riesco a decifrare i loro sguardi, sembrano indifferenti (quasi freddi) al contrario di quelli spaesati di Armin o di quelli apprensivi di Mikasa; che mi sia immaginato quel piccolo cambiamento negli occhi dell’uomo di fronte a me? Insomma, non dovrebbero essere contenti di aver trovato un nuovo membro per la causa o almeno mostrare qualche cenno di approvazione?
Mikasa mi stringe la mano e m’impongo di non strappare via la mia dalla sua morsa. La fisso, deciso a farle capire quanto sia disposto a rischiare, quanto io sia fermo sulle mie idee. Lei non replica e poco dopo lascia andare la presa.
< Se Eren rimane, allora lo farò anch’io. >
< Io anche. > risponde immediatamente Armin, accennando un piccolo sorriso quando ci voltiamo a guardarlo. < Siamo una squadra, qualsiasi cosa capiti resteremo uniti. >
Non riesco ad esprimere a parole la mia immensa gratitudine: ancora una volta li ho trascinati nelle mie convinzioni, in una vita che spero non mi rinfaccino mai.
< Benvenuti negli Jiyu no Tsubasa. > esordisce Erwin sfoggiando un sorriso tirato, freddo direi.
Per la prima volta nella mia vita mi sento come a casa.
 
 

Oh quanto è stato sciocco quel sentimento,
non mi sarei mai aspettato quanta polvere creata dalle illusioni di un ragazzino potesse mascherare la realtà.
Tutt’ora non mi pento della mia decisione, ma vorrei aver ponderato meglio il peso di quelle parole.
Forse il nostro futuro e quello delle persone a noi care sarebbe stato differente.



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Piccole note d'autore:
Innanzitutto ci terrei a scusarmi con chi mi segue per l'enorme ritardo che ho nel pubblicare.
La montagna di studio mi sta uccidendo e non so come sono riuscita ad arrivare fino a qui.
Ringrazio immensamente coloro che ancora leggono.
Ora risponderò alle vostre recensioni.
Scusate ancora il ritardo.

   
 
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