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Autore: Bel Riose    23/03/2009    2 recensioni
Nessuno può sfuggire all'amore, neppure l'immortale ragazzo che non voleva crescere. Pure, ora che ha deciso finalmente di tornare nel nostro mondo alla ricerca dell'unica persona che lui abbia mai amato, Wendy Darling, imparerà una amara lezione: l'amore non concede seconde opportunità. E quando si troverà faccia a faccia ad un imperatore tanto spietato quanto misterioso che sembra sapere su di lui molto più di quanto non voglia far pensare, Peter Pan sarà costretto ad udire la voce di una parte di se cui non aveva mai dato ascolto. Mia prima fanfic in assoluto basata su di un mio universo personale.
Genere: Triste, Science-fiction, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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L’Isola che non c’è era ormai lontana, scomparsa alle spalle del ragazzino che ora sfrecciava nel cielo diretto alla meta tanto ambita dal suo cuore.
Era stata una decisione sofferta, ma conseguenza inevitabile di un’altra molto più dolorosa, il lasciare l’Isola. Ma Peter aveva ormai imparato che al cuore non si comandava, che era lui a comandare.
Così, nonostante tutto, era senza remore particolari che volava diretto verso Londra; o meglio, una remora c’era eccome: quella di non aver seguito il volere del cuore quando ne aveva avuto la possibilità, quando Wendy se ne era andata. Ma ora, pensava tra se e se Peter, tutto si sarebbe rimesso a posto, tutto sarebbe andato come doveva andare, per lui non c’era altra soluzione plausibile; lo aveva capito, con certezza assoluta, quando si trovava ancora sull’Isola, intento come sempre a rimuginare, tra la folta foresta, seduto su di un masso, sulla giovane Darling: era stato allora che aveva sentito, dentro di lui, come una voce, un richiamo, la presenza di Wendy che sembrava volerlo chiamare di nuovo a Londra. E lui, ovviamente, non aveva esitato.
La nebbia iniziò a circondare Peter; la tipica nebbia inglese dell’alba.
Ma il ragazzo non riusciva ancora ad intravedere nulla della città, come neppure del terreno sottostante.
Cominciò ad abbassarsi lentamente, nel tentativo di trovare la casa dei Darling una volta che Londra gli si fosse parata innanzi in tutto il suo splendore. Ma, con suo grande stupore, non vide nulla.
Evidentemente, pensò, la nebbia era davvero densa quel giorno.
Dentro di lui, però, sentiva quel richiamo già sentito sull’Isola ricomparire più forte, ed aumentare di intensità mano a mano che avanzava, come un faro nell’oscurità.
Ed il ragazzo continuò nella discesa, nella speranza di individuare almeno qualche tetto su cui appoggiarsi e poter sfruttare come punto di riferimento. Ma ancora, come prima, fu il nulla ad accoglierlo, e nell’animo di Peter iniziò ad insinuarsi il dubbio.
D’un tratto, quindi, decise di scendere in picchiata, il più velocemente possibile. E mano a mano che scendeva, la nebbia iniziò a diradarsi, lasciando spazio all’oscurità dell’alba appena iniziata.
Comparve un prato, di quel verde perfetto ed omogeneo tipico solo dell’Inghilterra, ma ancora nessun edificio, nessuna luce.
Delicatamente, ma con velocità come solo lui poteva fare, Peter atterrò, e si guardò attorno: il verde si stendeva in lungo e in largo, qualche collinetta qua e là; poi, il suo sguardo venne attirato da una sagoma semi-invisibile per l’oscurità, ed egli le si diresse incontro. A prima vista, sembrava un edificio.
E mentre avanzava, si accorse che, in effetti, tutto attorno a lui si ergevano sagome di molto simili; e che l’erba, di tanto in tanto, era interrotta da frammenti di quella che sembrava essere stata, un tempo, una strada. Il richiamo si faceva sempre più forte.
Poi, d’un tratto, ecco il sole fare capolino dall’orizzonte, e diffondere i suoi raggi su tutto il paesaggio: quel poco di nebbia rimasta sparì, l’oscurità iniziò a cedere il passo alla luce.
E davanti a Peter si mostrò, finalmente, Londra o, più precisamente, quel che ne rimaneva: le sagome si rivelarono essere scheletri di palazzi da tempo distrutti, e rovine quasi irriconoscibili erano sparse un po’ ovunque, coperte dall’erba.
Londra non esisteva più, e da moltissimo tempo ormai, da come sembrava.
Peter rimase immobile, come pietrificato a quella tetra visione, senza che riuscisse più a muovere un passo, persino la mente era ferma, come scioccata.
Non si accorse del singolare rumore che si udiva per l’aria; un rumore lievissimo, quasi un sussurro, che si faceva però chiaramente sempre più vicino.
Né si accorse dei passi alle sue spalle, accompagnati da suoni metallici.
Solo l’improvviso rimbombare nell’aria di una sirena squillante riuscì a scuoterlo da quello stato, ed egli iniziò a guardarsi attorno, confuso: e vide così una trentina di soldati con strane armi ed equipaggiamenti circondarlo, e puntare contro di lui i loro fucili.
Poi, comparve anche la causa del rumore di prima: tre velivoli avveniristici chiaramente militari spuntarono da dietro la rovina più alta, il muso rivolto verso Peter, minacciosi, le armi pronte al fuoco.
Subito dopo, un uomo che indossava una uniforme grigio scuro con ben in vista numerose mostrine e medaglie, accompagnato da due soldati diversi dagli altri, totalmente vestiti di nero, si fece avanti, verso Peter.
- Salve- disse, con un sorriso quasi maligno sul volto.
Il ragazzo lo squadrò, poi rispose:- Chi siete?Da dove venite?- - La domanda corretta sarebbe: da dove vieni tu.- replicò freddamente l’ufficiale- Ma questo comunque non ha molta importanza, direi- breve pausa, poi aggiunse, accompagnando le parole con un gesto rivolto ai due soldati accanto a lui:- Prendetelo.-
I due avanzarono verso Peter, il volto coperto da un casco, ed il ragazzo, vedendoseli venire incontro, fece per librarsi in volo. Ma non fece neppure in tempo a muovere un muscolo, che uno dei due soldati, con una velocità impressionante, inumana, alzò il braccio verso di lui, e dalla mano comparve una scarica elettrica che fulminò il ragazzo e lo fece cadere a terra, svenuto.
L’ufficiale raggiunse il ragazzo privo di sensi insieme ai due uomini e rise gelidamente:- Bentornato sulla Terra, mio caro Peter Pan.-

Quando riaprì gli occhi, Peter dovette faticare non poco per farli adattare alla luce intensa che illuminava la piccola stanzetta dove si ritrovò. Si massaggiò la testa, gli doleva in maniera incredibile, e cercò di capire dove si trovava, e cosa fosse successo, ma scoprì di avere una sorta di vuoto di memoria; per un po’ rimase fermo, seduto sul freddo pavimento di quella che era a tutti gli effetti una cella di detenzione, cercando di ricordare il suo volo verso Londra, verso Wendy.
Wendy.
Non appena il pensiero andò a lei la memoria tornò, tutta d’un colpo, come un fulmine. Ed il ragazzo si ricordò quel che era accaduto, e davanti a lui poteva ancora vedere, nitida, l’immagine di quella Londra che non c’era più.
Si ricordava anche dei soldati, dell’ufficiale e delle sue due guardie che lo avevano aggredito. Era ovvio che lo avevano preso. Ma dove si trovava ora? Dove lo avevano portato?
Si guardò intorno: nessuna finestra, nessuna porta. Che razza di posto era mai quello?
Si mise in piedi, e rimase a lungo ad osservare il suo nuovo alloggio, nel vano tentativo di capire come fare ad uscire.
Per ore si girò e rigirò, ma alla fine non ce la fece più ed urlò, sbattendo i pugni contro le pareti:- Fatemi uscire!-
Nulla. Nessun rumore, nessun suono.
Continuò per diversi minuti a sbattere sulle pareti, con sempre maggiore forza, lanciando urli sempre più alti, quasi pensasse di distruggere in tal modo quelle mura completamente bianche, al pari del pavimento.
Poi, infine, cadde a terra esausto, e si stese sul pavimento, fissando quel soffitto di un bianco accecante, cercando di ricordare il bel volto di Wendy, i momenti che aveva trascorso con lei sull’Isola, sicuramente i più belli della sua lunghissima vita.
Per quale motivo aveva rifiutato tutto ciò, tanti anni prima? Con quale coraggio aveva detto di no all’amore?
Lo prese una fitta al cuore. Tutto era cambiato, nulla era più come un tempo, prima della venuta di Wendy.
Lui per primo non era più lo stesso di una volta, non era più, ormai, il bambino che non voleva crescere; iniziava a rendersene conto solo adesso.
E pianse.

In un enorme salone semi-avvolto nelle tenebre, l’ufficiale che aveva catturato Peter poco prima era ora in piedi, alla base di una scalinata marmorea su cui sorgeva un trono occupato da una sagoma quasi invisibile per l’oscurità che regnava sovrana.
Poco oltre l’ufficiale, una proiezione olografica sospesa a mezz’aria mostrava l’interno della cella dove era stato rinchiuso il ragazzo, proprio mentre costui si lasciava andare a quel pianto liberatorio.
Dopo aver dato una veloce occhiata all’immagine, l’ufficiale si volse verso il trono:- Crede che possa bastare, mio signore?-
Gli rispose una voce incredibilmente atona e gelida, che non esprimeva alcun tipo di emozione: - Si. Basta, ora. Conducetelo da me, Generale.-
Il Generale, annuì, fece un profondo inchino ed uscì dal salone, oltrepassando un immenso portone che si aprì e si richiuse automaticamente al suo passaggio.
La sagoma rimase ferma sul trono, e continuava a fissare l’immagine olografica. Nell’oscurità si potevano vedere brillare come di luce propria due occhi grigio perla, glaciali come la voce di prima.
Era giunto il momento, quindi.
Il momento di scrivere finalmente la parola fine su quella storia che durava ormai da oltre cinquanta secoli.

  
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